Ayuso e la UAE: l’idea di Saronni sul divorzio “in corsa”

02.10.2025
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Ayuso in crisi al Giro d’Italia, Ayuso fuori dalla lotta per la maglia amarillo, Ayuso poi trionfatore di tappa alla Vuelta con imprese di spicco. Si è parlato tanto del giovane talento spagnolo quest’anno, ma in fin dei conti più per questioni “fuori gara” che per i suoi successi. L’iberico lascia la UAE per passare alla Lidl-Trek e la sensazione è che nel team degli Emirati siano pochi a piangere per il suo addio.

Ha destato sensazione però l’annuncio del suo passaggio arrivato già a Vuelta in corso e proveniente direttamente dal suo team, mettendolo in chiara difficoltà. Testimonianza ulteriore di rapporti che si erano incancreniti. Giuseppe Saronni conosce bene quell’ambiente e dall’alto della sua esperienza a 360 gradi nel mondo del ciclismo si è fatto una sua idea.

Lo spagnolo ha corso finora 59 giorni con 8 vittorie e 11 top 10
Lo spagnolo ha corso finora 59 giorni con 8 vittorie e 11 top 10

«Non essendo più responsabile della squadra – spiega Saronni – guardo le cose un po’ al di fuori pur sapendo alcune situazioni che ci sono. Ayuso è un corridore che ha delle buone potenzialità, ma questo si sapeva, è già da qualche anno che è ai vertici. Io credo che il problema fondamentale sia che non è mai entrato in sintonia con i compagni di squadra. Si è notato che anche con i corridori di una certa esperienza della squadra si è sempre un po’ scontrato, si sono creati attriti. Ma questo può anche capitare, perché i ragazzi di oggi sono sempre un po’ esuberanti, magari non rispettano certe situazioni nei confronti dei corridori che hanno più esperienza ma questo ci sta».

E’ chiaro però che il team non potesse sopportare a lungo una certa atmosfera negativa…

Teniamo presente che in una squadra come la UAE hai dei compiti e dei ruoli che vanno rispettati avendo compagni di grandissimo peso specifico. E’ chiaro che a volte non puoi fare solo quello che ti pare, ma devi anche stare a certe regole, a certe gerarchie. Quindi secondo me si è scontrato un po’ con l’esuberanza giovanile e un po’ con le esigenze di alcuni corridori della squadra.

Con i compagni, Ayuso non sempre ha legato. Alla Lidl-Trek andrà diversamente?
Con i compagni, Ayuso non sempre ha legato. Alla Lidl-Trek andrà diversamente?
All’annuncio del suo approdo alla Lidl-Trek, Skjelmose ha detto che ha dubbi sul fatto se collaborerà con gli altri in un ipotetico grande giro. Non è che adesso si è fatto una brutta fama che lo accompagna?

In corsa i corridori vedono e sanno, vedono i comportamenti, vedono il carattere, vedono tante cose più di noi che guardiamo da fuori. Anche se ormai le corse le vediamo per intero, ma in mezzo al gruppo le prospettive sono molto diverse. E quindi anche gli altri corridori sanno di questo caratterino. Quindi certe domande se le pongono. Poi dipende da tante cose, soprattutto dal rendimento, da come gira la ruota. Certo che i corridori in gruppo probabilmente hanno visto che questo ragazzo ogni tanto fa un po’ troppo quello che vuole. Poi sul talento non si discute, ma se sei giovane devi capire, devi valutare, devi migliorare e crescere, io dico che sicuramente lo farà.

Il Saronni corridore come avrebbe vissuto la vicenda del cambio di squadra durante una corsa, cioè la comunicazione da parte della tua squadra che andrai via?

Io questo problema non l’ho mai vissuto perché ai nostri tempi le regole erano diverse, quindi un corridore non poteva lasciare la squadra a metà anno o durante la stagione. Oggi questi ragazzi crescono con una mentalità e con norme diverse e quindi crescono in base ad esse. Io credo che se non si sentiva più di rimanere in questo gruppo, sicuramente per lui è una liberazione andare a fare altre esperienze. Alla fine è stato quasi un naturale evolversi delle cose.

Dopo l’annuncio dell’addio in piena Vuelta, lo spagnolo si è risentito attraverso media e social
Dopo l’annuncio dell’addio in piena Vuelta, lo spagnolo si è risentito attraverso media e social
Ma secondo te la squadra poteva gestire la vicenda in maniera diversa, proprio sapendo le difficoltà che Ayuso aveva di coesistenza in quel gruppo?

E’ stata una sorta di liberazione un po’ per tutti, per questo ha anticipato rispetto ai tempi previsti. Sto facendo un ragionamento su sensazioni personali, non ho chiesto notizie nell’ambiente. Alla fine quando la convivenza non può più esserci, credo che sia una soluzione giusta per tutti. La UAE ha talmente tanti corridori, oltre a Pogacar su cui far conto, quindi per il team Ayuso era un valore aggiunto, ma se le cose avessero funzionato. Io credo che anche a lui farà bene cambiare aria, trovare nuovi spazi.

Credi che alla UAE ne avesse?

Secondo me abbastanza, perché mi sembra che avesse un ruolo importante, che poi il corridore ha un po’ sprecato, giocandosi la fiducia riposta in lui.

Un freddo saluto al Giro con il compagno di colori Del Toro. La frattura era già in essere…
Un freddo saluto al Giro con il compagno di colori Del Toro. La frattura era già in essere…
Allargando un attimo il discorso, i tempi attuali del ciclomercato, dove dopo il 31 agosto si possono già ufficializzare i contratti per il nuovo anno, sono qualcosa che funziona?

A volte l’UCI tira fuori delle norme anche abbastanza discutibili. Io sono un po’ vecchia maniera, dell’idea che un corridore può cambiare squadra a fine anno. Poi è anche vero che il ciclismo di oggi ha delle esigenze diverse, oggi dietro i corridori ci sono i procuratori che hanno rivoluzionato ogni rapporto. Io sinceramente preferivo la regola di prima in cui tu cambi squadra a fine stagione. Era molto più semplice e più chiaro…

Domani Andorra dirà chi comanda fra Almeida e Ayuso

27.08.2025
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SUSA – Almeida o Ayuso, questo è il dilemma. Mentre tutti si interrogano su chi sarà l’avversario principale di Jonas Vingegaard, in casa UAE Emirates si parla sempre di coppia di leader e di responsabilità condivise, sin da quando la squadra è stata annunciata ed è stata confermata l’assenza di Tadej Pogacar, fresco del poker giallo.

Già dalla prima conferenza stampa congiunta al J-Hotel nel giorno della presentazione delle squadre a Torino, il gioco di carte è diventato provare a capire chi dei due bluffasse e chi, invece, nascondesse l’asso nella manica. «La mia forma è un’incognita perché ho pochissimi giorni di gara nelle gambe dopo il Giro, mentre Joao va davvero forte», spiegava Ayuso, uscito con morale e fisico a terra dalla Corsa Rosa e a caccia di riscatto nella Vuelta che, ironia della sorte, è scattata proprio dall’Italia. «Mi sento bene, ma sono certo che anche Juan andrà forte e la cosa più importante è che vinca la squadra. Noi, senza dubbio le proveremo tutte», gli faceva eco Almeida.

Tutti contro Vingegaard

Il primo arrivo in salita, con l’allungo di Soler sulle ultime rampe che portavano all’arrivo di Limone Piemonte, è stato fin troppo esplosivo per il tandem UAE. I due però si sono difesi con gli artigli, sfruttando anche il lavoro di Soler: quinto Almeida, ottavo Ayuso, che si è preso la maglia bianca. Lunedì, invece, nel tortuoso finale di Ceres, con il tornante ai -75 metri, il portoghese ha chiuso 28° e lo spagnolo 35°. Qualche chilometro prima del finale della terza tappa, trovandoci accanto a Mauro Gianetti ad attenderne l’esito, ci siamo fatti raccontare come procede la convivenza dopo queste prime tappe italiane. 

«Stanno bene entrambi – ci ha detto – e l’hanno già dimostrato nell’arrivo di Limone Piemonte. Abbiamo questa opportunità di avere due leader e quindi bisogna giocarseli bene. Anche perché per provare a battere Jonas Vingegaard bisogna essere veramente forti. Essere in due è un piccolo vantaggio. Certo, rimane il fatto che Jonas è fortissimo e ha una squadra di altissimo livello ma, con due carte a disposizione, c’è qualche chance in più. Quindi, è importante proprio avere questa coppia perché, nei giorni più difficili, la superiorità numerica può girare a nostro favore».

Di certo, non è una situazione abituale per la UAE, che di solito fa la parte del leone con Pogacar e che, stavolta, è costretta a raddoppiare le forze per contrastare il “solito” rivale danese. Gianetti replica: «E’ chiaro che Tadej è il numero uno al mondo, ma Almeida è un corridore straordinario, così come lo è Ayuso. Entrambi possono sfruttare la presenza dell’altro a proprio vantaggio e dividere le responsabilità».

Ayuso ha conquistato la maglia bianca e per ora corre in posizione di attesa
Ayuso ha conquistato la maglia bianca e per ora corre in posizione di attesa

Chi va e chi resta

Al netto dei tatticismi però, l’incerto futuro di Ayuso per il 2026 (persistono le voci che lo danno in uscita con la Lidl-Trek in pole position) fa propendere la tesi che sia Almeida l’uomo di punta per queste tre settimane a cavallo tra Italia e Spagna con la breve parentesi francese di ieri. Oltre alla preparazione non ottimale sbandierata a più riprese, il ventiduenne catalano è per la prima volta al via di due Grandi Giri nella stessa stagione e questo rappresenta un ulteriore punto interrogativo. Il portoghese, invece, prima del ritiro nella nona tappa del Tour de France, aveva impressionato facendo filotto tra Paesi Baschi, Romandia e Svizzera. Senza dimenticare che era stato l’unico, oltre a Pogacar, a battere Vingeegard in salita, con l’acuto nella quarta frazione della Parigi-Nizza.

Sul portoghese, Gianetti aggiunge: «Ha dimostrato negli ultimi due anni di riuscire ancora a crescere, poco alla volta. Grazie alla sua costanza nelle tre settimane può impensierire Vingegaard che, dal lato suo, ha un Tour de France sulle gambe, molto impegnativo sia dal punto di vista fisico sia mentale». Al punto da convincere anche un alieno come Pogacar a rifiatare. Il doppio impegno potrebbe pesare sulle gambe del danese. A questo si aggiunge, l’indole della Vuelta degli ultimi quindici anni, ovvero di prestarsi spesso a sorprese e colpi di scena: in casa Uae si è pronti a più scenari. 

Matxin è da sempre il mentore di Ayuso, qui parla con Almeida: è importante che regni l’equilibrio
Matxin è da sempre il mentore di Ayuso, qui parla con Almeida: è importante che regni l’equilibrio

Pogacar da tutelare

Sul mancato nuovo atto del dualismo Vingegaard-Pogacar, il team manager risponde così: «Tadej ci aveva pensato a venire alla Vuelta, sin da inizio stagione, perché è una corsa a cui tiene. Non si può però pensare di fare le classiche, il Tour e la Vuelta, perché le prime tolgono parecchie energie. In una corsa a tappe di una settimana, hai tempo magari per rifiatare. Nelle corse di un giorno come Strade Bianche, Milano-Sanremo, Fiandre sei sempre a tutta e richiedono una preparazione ad hoc e complicata. Tra le classiche e il Tour, Tadej ha staccato soltanto 2 giorni. Se avesse fatto la Vuelta, ne avrebbe avuti altrettanti di riposo prima della Corsa spagnola e sarebbe stato un po’ troppo poco per essere al top fisicamente e mentalmente».

Anche perché poi nel finale di stagione ci sono tanti altri appuntamenti che fanno gola al cannibale sloveno come mondiali, europei e Lombardia. E per un’altra ragione più a lungo termine a cui Gianetti tiene: «Vogliamo che il pubblico possa godersi il suo talento cristallino più a lungo possibile. Ovvio, in una Vuelta disegnata così, Tadej avrebbe potuto vincere parecchie tappe, ma bisogna fare delle scelte e preservarlo».

A ruota di Vingegaard, Ayuso vuole rifarsi dello smacco del Giro
A ruota di Vingegaard, Ayuso vuole rifarsi dello smacco del Giro

Ayuso guarda avanti

Gianetti poi rimescola le carte e dà ancora una carezza ad Ayuso, che vede in crescita di forma e non distratto dalle voci di mercato: «Purtroppo al Giro è andata com’è andata, malgrado la sua volontà, ma questo gli ha permesso di essere qui in corsa oggi alla Vuelta. Bisogna guardare avanti e lui non è certo un corridore che guarda indietro. Al massimo, lo fa per analizzare se c’è stato qualche errore o qualcosa nella preparazione che non ha funzionato. Senza dimenticare poi la caduta e la puntura dell’ape che l’hanno costretto al ritiro. Questa è una grande occasione per lui ed è concentrato soltanto su quest’obiettivo».

Dunque, la strana coppia Ayuso-Almeida continua a braccetto. Almeno fino all’arrivo in quota in Andorra di giovedì 28, quando potrebbe essere già la strada a svelare l’arcano, costringendo l’Uae a giocare a carte scoperte. 

Campioni nazionali, la Lidl-Trek si conferma in vetta

04.07.2025
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Non solo Conca. L’ultimo fine settimana, come da tradizione, è stato quello dedicato alle varie rassegne continentali e, al di là di nomi e nazioni, in giro per l’Europa (e non solo) sono emersi molti campioni o aspiranti tali, anche se probabilmente una sorpresa come quella vissuta in Italia non c’è stata. L’elenco dei nuovi campioni nazionali è quasi sterminato, ma offre anche spazio per interessanti considerazioni, a cominciare dalla Lidl-Trek.

Sesto titolo italiano crono per Ganna, maglia tricolore da indossare a Caen e nella cronoscalata sul Peyresourde
Sesto titolo italiano crono per Ganna, maglia tricolore da indossare a Caen e nella cronoscalata sul Peyresourde

9 titoli come lo scorso anno

Che la formazione americana sia stata la primatista di vittorie nel weekend non è una sorpresa, perché il primato lo aveva già raggiunto lo scorso anno, sempre con 9 titoli: 5 a cronometro con Hoole (NED), Skuijns (LAT), Ghebreigzabhier (ERI), Pedersen (DEN) e Vacek (CZE), con quest’ultimo e Skuijns che hanno fatto doppietta con quello in linea. Sempre nella prova principale sono arrivati anche i sigilli di Simmons (USA) e Soren Kragh Andersen (DEN).

Al secondo posto in quest’ideale classifica si pone la Ineos Grenadiers, che toglie la piazza alla UAE. La squadra britannica, come da sua tradizione, sfrutta soprattutto la capacità dei suoi ragazzi nelle prove contro il tempo portando a casa, oltre al tricolore di Ganna, anche quelli di Bernal (COL), Leonard (CAN), Schmidt (USA), Foss (NOR) e Jungels (LUX), a cui si aggiungono le vittorie in linea dello stesso Bernal e di Watson (GBR).

Il titolo olandese è di Van Poppel, che batte allo sprint due big come Kooij e Groenewegen (foto CorVos)
Il titolo olandese è di Van Poppel, che batte allo sprint due big come Kooij e Groenewegen (foto CorVos)

Wellens e Narvaez al servizio di Tadej

Non che la UAE sia andata male. L’impressione però è che il team fosse già concentrato sul Tour, con Pogacar che ha disertato la gara nazionale per non rischiare cadute. Il team arabo, oltre all’iride dello sloveno, porterà in Francia anche le maglie nazionali di Belgio con Wellens e dell’Equador con Narvaez. A fare bottino sono state anche le vittorie di Ivo Oliveira (POR), Majka (POL) e a cronometro di Grosschartner (AUT) e Morgado (POR). Un titolo anche grazie al devo team con Matthias Schwarzbacher, vincitore in Slovacchia.

La vera notizia però è che alcune “corazzate” del ciclismo mondiale sono rimaste completamente a bocca asciutta, soprattutto due riferimenti del movimento olandese-belga come Visma-Lease a Bike e Alpecin Deceuninck, dove quindi non ci saranno variazioni sul tema nella vestizione dei propri ragazzi. Come loro anche Arkea-B&B Hotels, Bahrain Victorious (che però ha nelle fila del devo team il nuovo campione sloveno Jakob Ormzel), Cofidis, Groupama FDJ e Picnic PostNL. Stesso destino sfiorato per l’EF Education Easy-Post e questa è un’altra sorpresa, perché lo scorso anno la squadra americana aveva nelle sue fila ben 6 campioni nazionali, ora dovrà accontentarsi dell’estone Madis Mihkels.

Per Godon niente Tour, ma a consolarlo arriva il contratto con la Ineos per il 2026 (foto DirectVelo)
Per Godon niente Tour, ma a consolarlo arriva il contratto con la Ineos per il 2026 (foto DirectVelo)

Un Tour con 17 maglie da campione

Ma che succede se trasponiamo il tutto in ottica Tour de France, in partenza domani? Cominciamo con il dire che, guardando il gruppo, spiccheranno ben 17 maglie di campioni nazionali, alcune nelle tappe in linea, altre in quelle a cronometro. Tante? Forse, ma la particolarità è data forse più da quelle che mancano. Quella francese, ad esempio: nella di casa, quella più amata, non ci sarà infatti Dorian Godon, il ventinovenne della Decathlon AG2R, squadra che ha preferito scegliere altri elementi sia per supportare l’uomo da classifica Felix Gall sia per andare a caccia di vittorie di tappa.

Le squadre con un roster più ricco di maglie di campione nazionale saranno a pari merito Ineos e Jayco Alula. I britannici avranno Ganna e Foss nelle cronometro, Watson nelle altre tappe. La Jayco potrà contare sui due campioni australiani, Dunbridge in linea e Plapp a cronometro, oltre all’elvetico Mauro Schmid che ha fatto doppietta e questo la dice lunga sulle sue condizioni di forma. Tre maglie diverse anche per la Soudal, ma nel suo caso il discorso cambia, perché Evenepoel indosserà quella di campione del mondo nelle cronometro, Merlier quella di campione europeo nelle tappe in linea. Con loro Schachmann, campione tedesco a cronometro.

Per Tadej Pogacar niente campionato nazionale, concentrazione massima verso il Tour…
Per Tadej Pogacar niente campionato nazionale, concentrazione massima verso il Tour…

La divisa più bella? Resta quella di Pogacar…

La Lidl-Trek primatista avrà solo due campioni nazionali fra gli 8 in gara sulle strade francesi: vedremo spiccare nel gruppo la bellissima maglia a stelle e strisce di Simmons ma anche quella di campione lettone di Skujins. Altre 6 saranno le formazioni che “coloriranno” le loro presentazioni sui palchi: Decathlon AG2R con Armirail campione transalpino contro il tempo. Intermarché con il tedesco Zimmermann. Astana con Fedorov, doppio campione kazako che però avrà indosso la maglia di campione asiatico. Leknessund campione norvegese per la pseudonazionale Uno-X. Van Poppel campione olandese per la Red Bull Bora Hansgrohe e lo spagnolo Romeo per la Movistar.

Abbiamo lasciato per ultima la UAE, che avrà dalla sua la maglia di campione belga di Wellens e quella di campione ecuadoriano di Narvaez, ma gli occhi saranno solo per l’iride indosso a Pogacar…

L’urlo di Covi, ripartito dopo due anni di dolore…

04.06.2025
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In 32 giorni di gara, Alessandro Covi ha finora ottenuto 2 vittorie e 9 top 10. Numeri da primattore, ma si era capito sin dall’inizio dell’anno, da quel 4° posto al GP Castellon quand’eravamo ancora a gennaio che questo è un Covi diverso, più maturo, più voglioso di assumersi certe responsabilità. Il piemontese di Borgomanero è quasi sorpreso nel vedere tanta attenzione su di lui, soprattutto per la considerazione di come questi risultati lo proiettino fra gli italiani più in vista della stagione, quasi come un paladino della faticosa rinascita del ciclismo tricolore.

Il corridore della UAE è in questi giorni in Slovenia e oggi inizierà la sua fatica in una corsa a tappe, l’ennesima della sua stagione. Nell’interrogarlo alla vigilia della corsa la prima domanda verte su che cosa è cambiato per averlo portato a questa costanza ad alto livello e la sua risposta è all’insegna della semplicità.

Finora Covi ha conquistato già due vittorie, in Spagna e al Giro d’Abruzzo, con 9 Top 10
Finora Covi ha conquistato già due vittorie, in Spagna e al Giro d’Abruzzo, con 9 Top 10

«Non ho avuto grossi problemi finora, mi sono potuto preparare con calma come non era avvenuto nelle ultime due stagioni. Nel 2023 ho avuto la mononucleosi, poi problemi vari ai tendini l’anno scorso, quando mi ero ripreso ecco arrivare il covid. Insomma, non ho avuto pace. Salvo un piccolo problema a inizio anno, risolto abbastanza in fretta, ho trovato continuità con gli allenamenti e questo ha portato al Covi attuale».

C’è stato un momento in questa stagione nel quale hai sentito che era scattato qualcosa in te?

Io direi che dobbiamo risalire al luglio dell’anno scorso, al trauma cranico che aveva sugellato quel brutto periodo. Da lì mi sono messo in testa che avevo bisogno di tempo per me stesso, per avere una base di allenamento di almeno un mese. Dovevo ripartire, ma con calma, resettare tutto. Per innanzitutto star bene fisicamente, poi tornare a fare buone performance. Ho sempre creduto però che questo è il mio livello e anzi penso di poter crescere ancora tanto.

Per Covi due anni di forti difficoltà, con una sequela di malanni e incidenti che avevano minato il suo morale
Per Covi due anni di forti difficoltà, con una sequela di malanni e incidenti che avevano minato il suo morale
L’impressione è che il calendario scelto dalla UAE per te ti si addica in questa fase della tua carriera…

Sì, diciamo che appunto dopo due anni molto duri, fisicamente ma a livello psicologico soprattutto, serviva un calendario un po’ più soft, dove potevo ritrovare il ritmo, la fiducia in me stesso. Sapevo che era solo questione di tempo e soprattutto che doveva terminare il periodo di sfortuna. Facendo questo calendario fatto di brevi corse a tappe, ho ritrovato serenità e costanza di rendimento e sono arrivati dei buoni risultati.

Che effetto ha fatto vedere il Giro d’Italia da lontano, tu che hai vinto la tappa nel 2022?

Non è stato facile. Quando ho visto la presentazione mi ricordo che ero a casa, a Monaco. E non essere lì mi è dispiaciuto molto, poi ovviamente penso che comunque in quei giorni sono andato a correre in Ungheria, ho colto un buon risultato, quindi posso essere contento, ma un palcoscenico come quello della corsa rosa, per un italiano, è unico e manca tantissimo. In questo momento della mia carriera era comunque la scelta giusta da fare.

In Norvegia il corridore di Borgomanero ha corso in supporto del leader Christen
In Norvegia il corridore di Borgomanero ha corso in supporto del leader Christen
Tu hai colto ultimamente il secondo posto in Ungheria e l’undicesimo posto domenica al Giro di Norvegia, due corse diverse come caratteristiche…

Sì, in Ungheria, dopo la caduta di Torres, mi sono ritrovato come leader della squadra e credo di aver finalizzato bene il lavoro di tutti. In Norvegia invece correvo a supporto di Jan Christen che ha fatto podio. In entrambe le occasioni ho dimostrato comunque di star bene di condizione e sono riuscito ad aiutare bene Ian nella tappa decisiva per la classifica. Invece in Ungheria ero riuscito a cogliere un buon risultato per me.

Tu eri andato molto bene anche nel 2022, avevi vinto due volte in Spagna e la tappa al Giro d’Italia. Tra queste due stagioni quale preferisci?

E’ facile la risposta. Per un italiano vincere una tappa al Giro vale quasi una carriera, tanti non ci riescono, è qualcosa che mi porto dentro. Ora voglio che quelle emozioni si ripetano, lavoro per questo.

Alessandro sul Passo Fedaia: quella fuga vittoriosa al Giro d’Italia 2022 resta la perla della sua carriera. Per ora…
Alessandro sul Passo Fedaia: quella fuga vittoriosa al Giro d’Italia 2022 resta la perla della sua carriera. Per ora…
Nel team come stanno interpretando questi risultati?

Penso che è quello che cercava il team da me in questa stagione, questo tipo di calendario è stato studiato perché mi ritrovassi. Il morale si era un po’ perso in questi ultimi due anni, l’obiettivo era raccogliere più punti possibile. Penso che stia dando le risposte che ci si aspettavano da me.

Al Giro di Slovenia, con che prospettive ti presenti tu e si presenta il team?

Qua abbiamo Molano per le volate nelle tappe pianeggianti, poi Grosschartner curerà la classifica, ma in caso di arrivi ristretti, se la gara viene fuori un po’ nervosa, magari possiamo giocarci la tappa io e Morgado. Diciamo che fungeremo un po’ da battitori liberi.

In previsione per l’estate non ci sono né Tour né Vuelta, ma classiche del WT e altre corse a tappe
In previsione per l’estate non ci sono né Tour né Vuelta, ma classiche del WT e altre corse a tappe
Nel proseguo di questa stagione, all’orizzonte per te che cosa c’è? Magari un grande giro o la possibilità di una convocazione in maglia azzurra per una prova titolata?

I Grandi Giri quest’anno non sono in programma, proprio per tener fede a quel processo di rinascita. Avrò altre gare in calendario sempre più o meno simili a quelle che ho avuto finora, con gare WT a San Sebastian, Amburgo, poi in Cina a ottobre. All’azzurro come potrei non pensarci? Lo faccio da quando sono passato professionista e quindi sarebbe solo un onore. So che Villa mi segue e ogni tanto mi scrive. Se pensa che possa essere d’aiuto in qualche modo, a me farebbe solo piacere.

Del Toro e una giornata no: cosa rimane nella testa e nelle gambe?

28.05.2025
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SAN VALENTINO – Isaac Del Toro arriva davanti ai giornalisti a pochi minuti dalla fine della sedicesima tappa del suo primo Giro d’Italia. Il messicano del UAE Team Emirates ha mantenuto la maglia rosa nonostante gli attacchi di Richard Carapaz e Simon Yates. Ha tremato ma non è andato a picco. Nonostante la giovane età ha tenuto botta ai colpi dell’ecuadoregno e del britannico. Il secondo gli ha riservato tante piccole punture di spillo, come a voler risvegliare da un sogno il giovane rampollo vestito di rosa. Una sberla secca e decisa quella di Carapaz, che ha fatto male e potrebbe aver lasciato segni ben più profondi. 

Scendendo verso il podio Jose Matxin, sport manager del UAE Team Emirates, non ha perso il sorriso. Se da un lato Ayuso ha definitivamente mollato il colpo a 42 chilometri dal traguardo dall’altra parte Del Toro ha avuto la lucidità di non farsi prendere dal panico. La maglia rosa è rimasta in casa della squadra che lo scorso anno la indossò per venti delle ventuno tappe. Chissà con quali dubbi e certezze Isaac Del Toro si è rimboccato le coperte ieri notte

Del Toro ha detto di aver voluto marcare da vicino Simon Yates, secondo in classifica generale
Del Toro ha detto di aver voluto marcare da vicino Simon Yates, secondo in classifica generale

Le gambe

La terza settimana del Giro d’Italia si apre con diverse considerazioni di cui tenere conto. Una di queste è il crollo delle certezze di Isaac Del Toro che fino a domenica scorsa sembrava in completo controllo. Se guardiamo agli abbuoni portati a casa il messicano risulta secondo solamente a Mads Pedersen, segno che non si sia risparmiato in ogni sprint o allungo a disposizione. 

«È stata una giornata davvero difficile per tutti – racconta Del Toro ancora vestito di rosa e con un cappello di lana appoggiato sulla testa – tutti erano al limite. I corridori in classifica generale hanno vissuto una giornata impegnativa. Ci sono state tante cadute (l’ennesima per Roglic costretto poi al ritiro, ndr). Non posso che essere orgoglioso della mia squadra, senza di loro non sarei di certo in questa posizione. Sicuramente non avevo le gambe migliori della mia vita ma ho fatto il massimo, sono arrivato al traguardo senza un filo di energia in corpo. Voglio far sapere a tutti loro che sto facendo del mio meglio e il mio obiettivo è di dare il 100 per cento per mantenere questa maglia».

L’unico attacco frontale e deciso è stato quello di Carapaz, capace di guadagnare 1′ e 36″ su Del Toro
L’unico attacco frontale e deciso è stato quello di Carapaz, capace di guadagnare 1′ e 36″ su Del Toro

Fiducia

Quali sono le certezze che danno a Del Toro la fiducia nei propri mezzi? Difficile dirlo. Sicuramente rispetto alle tappe precedenti è bene pensare a ogni singola energia spesa, il carburante non è infinito.

«Non sono uno di quei corridori – spiega mentre gli si legge in faccia la fretta di andare via – che crede nella fiducia. Piuttosto mi piace avere “certezze” su quel che sono in grado di fare ogni volta che c’è un attacco. Voglio credere nella mia capacità di rispondere a ogni attacco ma vedremo come comportarci in gara e se sarà una mossa intelligente. Oggi (ieri per chi legge, ndr) non ho seguito Carapaz perché ho voluto marcare da vicino il secondo in classifica generale, Yates. Nella lotta alla generale credo sia una questione riservata ai primi quattro (Gee, Carapaz, Yates e Del Toro stesso, ndr)».

Scampato il pericolo e il panico Del Toro ha riacquistato presto serenità e sorriso, la maglia rosa stamattina è ancora sulle sue spalle
Scampato il pericolo e il panico Del Toro ha riacquistato presto serenità e sorriso, la maglia rosa stamattina è ancora sulle sue spalle

Ogni secondo conta

Il Giro d’Italia si può vincere per secondi, e a guardare la classifica si nota come il distacco tra Del Toro e Simon Yates sia frutto proprio degli abbuoni. Senza questi le posizioni sarebbero invertite e le forze equiparabili. 

La strada ci ha raccontato, fino a questo momento, di un padrone del Giro forte ma non inattaccabile. Per gli avversari vedere che il trono scricchiola può essere un incentivo per continuare a dare colpi sperando di far cadere il Re e di indossare la corona. 

Solo in casa UAE Emirates è dato sapere il motivo legato alla giornata “no” di Del Toro. Il problema è che la strada porta a fare presto i conti con la realtà e oggi verso Bormio le difficoltà sono tante. Yates e Carapaz sono pronti con arco e frecce per prendere d’assalto il padrone del Giro, come abili Robin Hood nei confronti del tesoro custodito dallo Sceriffo di Nottingham. Toccherà ai soldati fare da guardie al ricco bottino, consapevoli che la strada non fa prigionieri.

Pablo Torres solidità, crescita e una news: farà l’Avenir

27.05.2025
4 min
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Pablo Torres è un altro gioiello della ricca corona della UAE Emirates e uno degli scalatori più forti in prospettiva. Su di lui, tutto sommato, si sa ancora poco. Quest’anno è passato nella squadra WorldTour. Torres era già in casa UAE, ma nella continental, ed era seguito da Giacomo Notari.

Come si sta adattando a questa nuova dimensione? Sin qui ha messo nel sacco ben 32 giorni di corsa e si è fermato ai primi di maggio a causa di una caduta, come vedremo. Tante corse a tappe per mettere chilometri ed esperienza nelle gambe e aumentare il motore. Ricordiamo che parliamo di un ragazzo nato nel 2005.

Torres sul podio del Giro d’Abruzzo dove ha chiuso terzo nella generale e primo nella classifica dei giovani
Torres sul podio del Giro d’Abruzzo dove ha chiuso terzo nella generale e primo nella classifica dei giovani

Dall’Abruzzo all’Ungheria

Ci eravamo lasciati con Pablo Torres brillante al Giro d’Abruzzo e poi al servizio del team al Tour de Romandie, sua terza gara WorldTour. Lo spagnolo era partito alla volta della corsa magiara con i gradi di leader e grandi ambizioni, ma nella seconda tappa ecco una brutta caduta che lo ha messo ko. Commozione cerebrale e stop forzato.

Come sta dunque Pablo Torres? «In Ungheria è caduto – spiega Matxin – ed è un peccato perché avrebbe potuto fare classifica. C’era per lui una tappa in salita interessante. La cosa importante però è che sta recuperando bene».

Noi ci ricordiamo delle sue imprese al Giro della Valle d’Aosta. Vederlo pedalare dal vivo non fu cosa banale: scioltezza e potenza insieme.

Matxin con il suo pupillo al Catalunya (foto Instagram)
Matxin con il suo pupillo al Catalunya (foto Instagram)

La crescita

Non è facile stabilire quanto sia cresciuto il madrileno. Ma se una squadra come la UAE Emirates, dove di certo non c’è fretta di sfornare campioni, ti promuove in prima squadra, vuol dire che stai andando bene e che la stoffa c’è.

«Io – va avanti Matxin – dico che Pablo sta facendo bene la sua professione ed è senza dubbio in crescita. Sta imparando a prendere il livello del WorldTour, che è diverso da quello della continental. Lo sta facendo piano piano. Stiamo mischiando un po’ le cose e le corse: alcune gare di primo livello e altre nel WorldTour, per far sì che possa crescere, come detto, e ottenere, non col Tour, qualche risultato».

«Non voglio neanche etichettare la sua crescita con un numero, con i watt… Non è una macchina che è in anticipo o in ritardo su certi parametri. Vogliamo fare le cose in maniera corretta, rispettando i suoi tempi. Se lui va forte siamo contenti, se va meno forte siamo fiduciosi per quello che sarà. Insomma, vogliamo togliergli tutta la pressione e dargli tutta la fiducia».

Torres al Romandia ha lavorato per il team e capitan Almeida. Anche questo fa parte della “scuola”
Torres al Romandia ha lavorato per il team e capitan Almeida. Anche questo fa parte della “scuola”

Torres all’Avenir

Matxin parla a tutto tondo del suo giovane connazionale. Esalta sia l’aspetto tecnico che quello umano.

«Pablo è un ragazzo d’oro. In squadra lo adorano tutti. Si sa far voler bene, E’ un ragazzo umile che ha tanta, tanta voglia di vincere. Per lui tutto questo è un sogno. Mi diceva: “Il primo giorno che sono stato con la prima squadra e sedermi al fianco di Tadej, Adam o Jay… non ci credevo. Erano i corridori di cui avevo il poster in camera”».

Ma c’è una domanda che ci preme fare al manager della UAE Emirates. Di solito chi arriva al primo anno nel WorldTour non fa un grande Giro. Tuttavia, qualche eccezione c’è stata: Del Toro e, prima ancora, Ayuso. Insomma, c’è un’idea Vuelta per Torres?

«Quest’anno no – replica Matxin – almeno per il momento. Ma vi dico questa: Torres farà il Tour de Suisse, il campionato nazionale e, visto che l’anno scorso è arrivato secondo sarà presente al Tour de l’Avenir. Abbiamo parlato con la Federazione spagnola, l’ho fatto io personalmente, per prepararlo bene in vista dell’Avenir».

Per Almeida un ritorno al successo atteso 4 anni

21.04.2025
5 min
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«E’ la vittoria più importante della mia carriera». Può sembrare una battuta scontata, ma nel caso di Joao Almeida non lo è, perché il trionfo all’Itzulia Basque Country può rappresentare uno spartiacque per il corridore lusitano, una sorta di porta scorrevole nella sua carriera. Il portoghese è sempre stato visto come un corridore per le corse a tappe, ma erano quattro anni che non ne vinceva una. Non era ancora approdato alla UAE Emirates quando infatti vinse due gare importanti come i Giri di Lussemburgo e Polonia.

Lo sprint su Mas a sancire il trionfo all’Itzulia Basque Country, atteso per 4 anni
Lo sprint su Mas a sancire il trionfo all’Itzulia Basque Country, atteso per 4 anni

Uno specialista delle corse a tappe

Intendiamoci: parliamo sempre di un big del ciclismo, che tra l’altro vanta ben 6 top 10 nei Grandi Giri, tra cui il 3° posto nella corsa rosa del 2023 e il 4° in tutte e tre le prove. Lo scorso anno è stato prezioso aiutante per Pogacar al Tour finendo ai piedi del podio, ma chiaramente il fatto che la vittoria latitasse iniziava ad essere un cruccio nella sua mente.

«Io però non ho mai cambiato mentalità» ha raccontato ai taccuini dei giornalisti presenti in Spagna, prima di prendersi un breve periodo lontano dalla ribalta e preparare come si deve il ritorno al Tour, sempre come spalla dell’iridato sloveno. Almeida è un corridore dalle idee chiare: «E’ tutta questione di gambe – dice – se vanno puoi ripagare il lavoro perfetto della squadra, com’è stato in questo caso. E’ importante, per vincere, che le gambe funzionino, ma anche la testa. Mas andava fortissimo, ho provato a staccarlo ma ho visto subito che non era aria, allora mi sono messo alla sua ruota, era più saggio».

All’ultimo Tour è stato fedele aiutante di Pogacar, chiudendo però con un ottimo 4° posto
All’ultimo Tour è stato fedele aiutante di Pogacar, chiudendo però con un ottimo 4° posto

In Spagna un “nuovo” Almeida

La sensazione, vedendo la sua gara in Spagna, dove ha portato a casa anche due vittorie di tappa, è che ci troviamo di fronte a un Almeida nuovo. Eravamo abituati a conoscerlo come corridore da alcuni definito “conservatore”, che centellina le energie e che rispecchia un canone abbastanza diffuso da sempre fra i corridori da gare a tappe: uno forte a cronometro e che tiene in salita. Spesso lo abbiamo visto lasciarsi sfilare dagli attacchi degli scalatori, proseguire sul suo ritmo e poi recuperare, tenendo sempre d’occhio la classifica.

Nei Paesi Baschi invece si è presentata una nuova versione, più autorevole, pronta anche a prendere l’iniziativa, pronta per certi versi a fare il capitano che era poi ciò che la UAE andava cercando, nelle occasioni quando il “vero capitano” non c’è… Una risposta a chi lo accusava di non essere un vincente, di avere sempre mancante quel centesimo che fa l’euro…

Il portoghese è sempre stato un ottimo cronoman, a cui abbina buona tenuta in salita
Il portoghese è sempre stato un ottimo cronoman, a cui abbina buona tenuta in salita

La fiducia che nasce nei numeri

«Io non ho mai avuto dubbi, so di essere un corridore solido e sono i numeri a dirmelo, a dimostrarmi che cresco ma che ho ancora margini. Non ho raggiunto il mio culmine, non so se quel che manca basterà per vincere ancora, a che cosa mi porterà, ma non me ne preoccupo. Io anzi spero che questa vittoria sia la prima di una serie, anche per ripagare chi fa sacrifici con me, come la mia famiglia, la mia ragazza. Perché essere un professionista è faticoso, in gara ma ancor di più fuori».

Sembra passato un secolo da quando Joao Almeida venne allo scoperto. Avvenne in quel Giro d’Italia completamente sui generis, come tutta la stagione 2020, quella del Covid. Il lusitano visse 15 giorni in maglia rosa, mostrando le sue caratteristiche di passista-scalatore, per finire quarto. Era ancora giovanissimo, ma dimostrò un’astuzia tattica e una maturità di gestione che lasciavano intravedere grandi prospettive.

Almeida al Giro 2020, dove da semisconosciuto veste per 15 giorni la maglia rosa
Almeida al Giro 2020, dove da semisconosciuto veste per 15 giorni la maglia rosa

«Lo faccio perché so di poterlo fare…»

Il portoghese non ha mai smesso di credere nelle sue capacità, accettando nel 2022 l’approdo nella squadra degli Emirati Arabi, dove ci sono equilibri diversi rispetto a qualsiasi altro team, con un campionissimo attorniato da campioni. Altrimenti non arriverebbe il nettissimo primato in fatto di corse vinte, ma Almeida sembrava un po’ latitare in tal senso, anche se il suo rendimento era sempre altissimo. Ora le cose sono state messe al loro giusto posto: «Se non credo di poterlo fare, non lo farò mai – è il suo mantra – ma io sono fiducioso in me e so che posso.

«Seguo in maniera fedele l’evoluzione del ciclismo, guardo i numeri e vedo che anno dopo anno migliorano. Per essere il ciclista che voglio devo essere forte mentalmente e fisicamente, ora sto raggiungendo il livello che mi aspetto».

Joao con la maglia della nazionale. Non ha mai corso per un team di casa, se non da ragazzino
Joao con la maglia della nazionale. Non ha mai corso per un team di casa, se non da ragazzino

Pronto per tornare al Tour da luogotenente

Il portoghese si è costruito una reputazione correndo sempre lontano dalla sua patria: «Grazie al WorldTour la gente mi riconosce, anche se non corro in Portogallo da quando ero nelle categorie giovanili. L’importante è essere un esempio aiutando così i giovani a emergere, per fortuna ce ne sono sempre di più».

Ora lo aspettano altre due importanti corse a tappe come il Romandia e il Giro di Svizzera (lo scorso anno fu secondo dietro Yates, ndr) dove cercare gloria e affinare la condizione in vista del ritorno al Tour de France, ancora al fianco di Pogacar: «Se devo tifare per lui, lo farò con il sorriso sulle labbra. E’ un piacere correre per Tadej», affermò prima dell’edizione dello scorso anno e così è stato. E così sarà…

E dal bus della UAE Emirates spunta Borselli…

20.03.2025
6 min
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All’improvviso ce lo siamo ritrovati davanti, come mille altre volte, ma stavolta nel bus “sbagliato”. Federico Borselli, infatti, non era al pullman della XSD-Astana, ma in quello della UAE Emirates. Un cambio di casacca che ha sorpreso molti, non solo gli addetti ai lavori, ma anche i tifosi più accaniti. Niente più maglietta turchese, ma bianca (in apertura foto Fizza).

Dopo tre lustri, tante vittorie, sfide e campioni, l’autista toscano è passato alla corte di Tadej Pogacar. Un riconoscimento per Borselli, persona dall’animo buono, gentile e dall’esperienza ancora più grande. Ma è chiaro che questo passaggio porta con sé una storia. Cosa lascia all’Astana? E cosa trova alla UAE Emirates? Sentiamo cosa ci racconta…

Con Gil e Tosello, Borselli era l’anima più esperta del gruppo Astana
Con Gil e Tosello, Borselli era l’anima più esperta del gruppo Astana
Federico, insomma ci hai fatto questa sorpresa…

Sì, avevo bisogno di cambiare, ma non perché non mi trovassi più bene. Mentalmente sentivo il bisogno di nuovi stimoli e di cambiare aria. E’ vero che in Astana alcune cose sono cambiate, come tutti sanno, e alcune di queste non mi piacevano più. Vinokourov ha fatto le sue scelte e io lo ringrazierò sempre per quello che ha fatto per me. Dopo 15 anni non posso che essere grato: abbiamo vinto tanto e siamo stati benissimo. Ora è il momento di provare questa nuova avventura.

Cosa ci puoi dire di quelle cose che non ti piacevano? Magari una te la imbocchiamo noi: non c’è più “Martino”, Giuseppe Martinelli, che era un punto di riferimento…

Sì, una è anche quella: non c’è più Martino, non c’è più sua figlia Francesca. Negli anni è arrivato un tecnico nuovo, che a me non piace per niente, che ha un po’ destabilizzato il gruppo, ma va bene così… Sono scelte che ha fatto Vino e io gliel’ho detto apertamente, senza problemi. Con lui ho sempre avuto un bellissimo rapporto e non ho nulla contro di lui. Anzi…

Hai accennato di ricordi: che cosa è stata per te l’Astana? Quindici anni non sono pochi.

L’Astana è stata una seconda famiglia. Lo dico tranquillamente: nel 2011 ho avuto un problema di salute, sono stato operato per un tumore e nel 2012 ho fatto la chemioterapia. Loro mi hanno supportato tantissimo. Vinokourov voleva che restassi a casa, ma io sono andato comunque alle corse, anche al Tour. Il giorno di riposo tornavo a casa per la chemioterapia e ripartivo quello successivo. Questo mi ha aiutato tantissimo a superare quel periodo difficile, anche per questo resto legato a Vino.

E avete vinto moltissimo…

Eravamo la più grande squadra. Abbiamo vinto di tutto con Fuglsang, Nibali, i fratelli Izaguirre, Sanchez, Aru. Ho davvero dei ricordi bellissimi: dal Tour a tutte le classiche vinte. Sono cose che non dimentichi e ti rimarranno sempre dentro.

La mitica targa di Scarponi che Borselli aveva sul suo bus. Ora è casa sua nel Mugello
La mitica targa di Scarponi che Borselli aveva sul suo bus. Ora è casa sua nel Mugello
Quando arrivavi col tuo pullman e magari avevate la maglia rosa o gialla, come ci si sentiva di fronte agli altri colleghi nel parcheggio delle corse?

Ti dava e ti dà un morale incredibile. Non senti la fatica, non senti niente, sei al settimo cielo. E sono emozioni e sensazioni che ti restano addosso e che ancora provo. Amo questo mestiere. Mestiere che ho iniziato grazie a Bruno Vicino negli anni ’90 e a Franco Gini.

E poi c’è quel cartello che ormai ti aveva identificato: il cartello della crono di Michele Scarponi. Sappiamo che te lo sei portato via.

Esatto, è a casa con me. Quello è qualcosa di speciale. Ho tantissimi ricordi belli e tre brutti che mi hanno segnato, tre perdite toste. La morte del povero Alessio Galletti, ragazzo speciale. Michele Scarponi e Umberto Inselvini. Sono cose che ti restano dentro. Ho vissuto momenti bellissimi, come con Franco Ballerini, con cui siamo cresciuti insieme. Lui mi vedeva fare motocross e diceva che ero matto. Io gli rispondevo che lui scendeva a 70 all’ora senza casco. Sono aneddoti che mi porto dentro e che nessuno mi potrà togliere. Ho vinto sette Grandi Giri, partendo da Gotti fino ad arrivare a Simoni, Cunego, Nibali, Aru. Sono passati 30 anni in un attimo: questa è la mia trentunesima stagione e nemmeno me ne sono accorto.

E si vede anche dalla stima che i tuoi colleghi di riservano. Ma giriamo pagina, Federico: torni a guidare il bus della squadra numero uno, come fu l’Astana un tempo. Come sei arrivato alla UAE?

E’ successo per caso. Ho aiutato tanti giovani autisti a crescere e ora questi ragazzi sono più tecnologici, parlano inglese. Senza l’inglese oggi sei perso. Tramite uno di loro, durante la scorsa campagna del Nord, in Belgio ho parlato con Andrea Agostini e lui mi ha detto che stavano cercando un autista bravo. Luigi Saronni ha subito fatto il mio nome, ma Agostini pensava che non sarei mai andato via dall’Astana. Luigi gli ha detto di provarci. Così mi hanno contattato, abbiamo parlato ed è nato tutto. Solo una cosa ho detto ad Agostini: «Cercate uno che parla inglese o che sappia fare il suo mestiere?». Lui mi ha risposto: «Uno che sappia fare il mestiere». In pochi giorni abbiamo fatto tutto. Nessuno pensava che lasciassi l’Astana, ma sentivo che era il momento giusto per un nuovo inizio.

I primi successi con la UAE Emirates… Federico è sulla destra
I primi successi con la UAE Emirates… Federico è sulla destra
Ma effettivamente è stata una sorpresona pure per noi. Dire Astana era un po’ come dire Borselli. Almeno nei parcheggi delle corse!

Grazie! In effetti sentivo la squadra mia. A parte l’ultimo anno e mezzo, ma lottavo perché tutto funzionasse bene, come fanno tanti altri colleghi in Astana. Ma ora è un nuovo capitolo.

E adesso che ambiente hai trovato? Quanto è diverso?

L’organizzazione è completamente diversa. A livello economico in UAE Emirates non ci sono problemi e sono tre scalini avanti. Le mansioni per me sono le stesse: pullman, caricare le radio, trovare le strade, coordinarmi con i direttori sportivi e guidare al meglio fra gli hotel e le corse. In Astana era Martinelli che gestiva tutto, qui invece ogni direttore ha il suo settore specifico. Ognuno ha una sua mansione e sai che per quella cosa X, devi chiedere al tizio X.

Che impressione ti ha fatto Pogacar? E’ molto più star rispetto alle star che avevi dieci anni fa considerando anche l’era dei social?

I primi dieci giorni sono stati difficili, avevo paura di sbagliare. Pullman nuovo, abitudini diverse. Ma mi hanno aiutato tantissimo e mi hanno fatto sentire a mio agio. Pogacar è tranquillissimo. Certo, alle partenze e agli arrivi c’è il mondo attorno a lui, ma l’ho sempre protetto come ho fatto con i leader del passato.

Alla Strade Bianche ti aspettavi quella calca davanti al bus?

Me l’avevano detto, ma non immaginavo così tanta gente. Mi ha ricordato i tempi di Cipollini alla Saeco e del camper della Mercatone Uno con Pantani. Quella fu un’era incredibile.

Quanti campioni per Borselli. Ora eccolo con il numero uno
Quanti campioni per Borselli. Ora eccolo con il numero uno
Chi ti aveva avvertito della calca alla Strade Bianche?

Me lo avevano detto Gianetti e Matxin, ma anche Luigi Saronni. Ora mi aspetto ancora più gente nelle prossime gare.

Alla fine sei nel bus più atteso e Pogacar è un’icona importante per il ciclismo…

Sì, Tadej è un’iniezione di spettacolo e fiducia per il ciclismo. Speriamo che anche in Italia si riesca a crescere un talento così, ma servono più strutture e mentalità.

Alla UAE conoscevi già qualcuno?

Sì, se parliamo di ex corridori dico: Baldato, Marzano e Mori. Con Mori ho un rapporto particolare, lo vedevo da piccolo crescere. Lui è entrato in Lampre quando io sono andato via, ma lo conosco da sempre.

Quest’anno che calendario farai?

Farò il Giro d’Italia, le classiche delle Ardenne, il Giro di Svizzera… E oggi parto per la Milano-Sanremo, pronto per un’altra avventura!

Cadute e cure: l’arte del fisioterapista e l’arte di saper cadere

18.03.2025
5 min
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Pogacar che cade, rotola, passa indenne in mezzo a vari ostacoli, si rialza, si toglie la polvere di dosso e vince la Strade Bianche. Milan che cade, batte forte, si rialza, stringe i denti per due giorni e poi vince l’ultima volata della Tirreno. I corridori sono gatti, ma dietro le quinte hanno un esercito di personale altamente specializzato che è capace di rimetterli in sesto in tempi rapidissimi dalle loro cadute. Oggi parliamo proprio di questo con Michele Del Gallo, veneto di 50 anni: uno dei fisioterapisti e osteopati più preparati del gruppo, che lavora al UAE Team Emirates.

Che cosa succede, specialmente in una corsa a tappe, quando un corridore cade e in apparenza è conciato per le feste? Se cadute come quella di Pogacar alla Strade Bianche si verificassero durante il Giro d’Italia, quale sarebbe il modo di agire?

«Il primo intervento – comincia Del Gallo, aprendo la porta alle domande – viene fatto quando arrivano al bus. Abbiamo sempre del ghiaccio pronto e un macchinario che fa contemporaneamente pressoterapia e freddo, affinché la parte interessata si gonfi il meno possibile. Poi il medico valuta se ci sia il rischio di una frattura. Se ha il dubbio che sia così, si va diretti in ospedale per gli approfondimenti del caso e poi si torna in albergo».

Michele Del Gallo lavora nel ciclismo dal 1996: è fisioterapista e osteopata al Uae Team Emirates
Michele Del Gallo lavora nel ciclismo dal 1996: è fisioterapista e osteopata al Uae Team Emirates
Cerchiamo di essere ottimisti ed escludiamo la frattura.

Se non c’è quel dubbio, sul bus si fa solo ghiaccio e quando si arriva in albergo si prende in mano la situazione e si valuta il problema. In base a questo, si cerca di intervenire attraverso tutto quello che una squadra ha a disposizione.

Il primo soccorso, tolto semmai il medico di gara, compete al direttore sportivo e al meccanico: come viene fatta la prima valutazione?

Nel nostro caso negli allenamenti abbiamo sempre il medico in macchina. Le cadute non accadono soltanto in corsa. Se il medico non c’è, il da farsi viene valutato dal direttore o eventualmente il manager.

Torniamo sul pullman: ghiaccio, macchinario che fa pressoterapia e freddo, ma potrebbe servire anche qualche medicazione?

Le cadute hanno spesso come primo effetto delle abrasioni. Per questo vanno in doccia e si usano dei saponi che servono per disinfettare. Una volta fatto questo, si chiude la ferita con garze e bende, perché altrimenti diventerebbe difficoltoso anche vestirsi per rientrare in albergo.

Hai parlato di ricorrere a tutto quello di cui una squadra dispone. In caso di colpo molto forte, come quello di Milan alla Tirreno, si fa ugualmente il messaggio?

Il massaggio lo fai dovunque riesci, perché è importante. Nel punto interessato dalla botta, si usa invece qualche macchinario per sopperire alla mancanza del massaggio e far riassorbire più velocemente possibile il gonfiore.

Milan è caduto nella terza tappa della Tirreno, dopo tre giorni è tornato a vincere
Milan è caduto nella terza tappa della Tirreno, dopo tre giorni è tornato a vincere
Macchinari come la Tecar e altri che sfruttano gli stessi principi?

Esattamente. Macchine che sfruttano le radiofrequenza per generare calore e stimolano i processi di riparazione dell’organismo. Quello che crea più problemi, oltre all’abrasione che ti dà fastidio dal punto di vista superficiale al contatto, è infatti il versamento, che può impedirti di piegare bene il ginocchio oppure la caviglia.

C’è anche il rischio di problematiche posturali come conseguenza delle cadute?

E’ scontato che ci siano. A causa delle cadute ci sono spesso dei problemi a livello del bacino, con l’anteriorizzazione o la posteriorizzazione dell’osso iliaco. E’ molto probabile che insorga una serie di complicanze dal punto di vista osteopatico ed è per questo che in tutte le squadre c’è anche un osteopata per trattare quel tipo di situazioni.

Dopo la caduta si parla di un solo intervento oppure è necessario ripeterlo dopo cena e anche il mattino successivo?

Non si smette mai. Lo fai appena arrivi in albergo, appena finito il massaggio, dopo cena e la mattina prima di partire dall’hotel. In qualsiasi momento ci sia la possibilità di fare qualcosa, si cerca di farlo. Oggi l’uso di macchinari specifici offre la possibilità di intervenire su varie sintomatologie, dal gonfiore delle articolazioni a tutto ciò che può interessare i legamenti. Ogni squadra ha i suoi strumenti per cercare di far riassorbire più in fretta possibile gli effetti di una caduta.

Per Pogacar, abrasioni su gambe, schiena e spalle, dopo l’arrivo le prime medicazioni
Per Pogacar, abrasioni su gambe, schiena e spalle, dopo l’arrivo le prime medicazioni
Quanto sono decisive queste tecnologie?

Fanno la differenza. Noi siamo sempre sotto, se serve portiamo le macchine sul bus anche prima della partenza. Logisticamente, il ciclismo è un disastro. Non c’è la possibilità di avere la tua struttura dove far venire il corridore, avendo il tempo per trattarlo. Tante volte devi improvvisare. Mi è capitato che il corridore fosse sul bus e attaccasse il numero sulla maglia e io intanto gli facevo un trattamento termico al ginocchio fino alla partenza della gara.

Quindi, riepilogando, si parte dalla valutazione del medico e poi l’atleta viene affidato a voi?

La supervisione è sempre del medico. Eliminato il rischio di complicanze severe, si affida alla nostra esperienza, perché abbiamo una competenza diversa e più specifica. L’atleta passa a noi e il medico si impegna a tenere monitorata la situazione. E si va avanti finché il dolore sparisce, tenendo conto che abbiamo a che fare con atleti giovani che prima della caduta erano perfettamente sani. Quindi i tempi di recupero rispetto a una persona normale sono notevolmente più rapidi. E poi considerate il modo in cui cadono…

Vale a dire?

Avete visto com’è caduto Tadej? Partiamo dal fatto che il professionista cade in maniera diversa rispetto a una persona normale. Non è andato giù come un sacco di patate. E’ andato giù che stava già rotolando, come se ci fosse uno spirito di conservazione grazie al quale il rotolare lo porta a dissipare la forza di impatto che potrebbe causare maggiori problemi se concentrata in un solo punto. Quello ce l’hai di istinto, ti viene perché sei giovane e sei abituato a cadere. Quale corridore non è mai caduto? Uno che corre in bici prima o dopo l’asfalto lo assaggia, no? Quindi imparano anche a cadere e c’è anche chi cade con classe. Il campione cade con classe.