Da che ne parlavamo tutti giorni, anche più di una volta al dì, al silenzio quasi totale: ma che fine ha sua maestà Tadej Pogacar? In questo mondo sempre più frenetico e ricco di corse, il Tour de France è stato cancellato in men che non si dica tra Olimpiadi, Vuelta e tante altre gare. E all’improvviso senza Tadej in gara i riflettori si sono spostati altrove.
Ma in questo ultimo mese il leader della UAE Emirates non è stato del tutto con le mani in mano. Per sapere cosa ha fatto e cosa farà, ci siamo rivolti ad Andrej Hauptman, uno dei direttori di fiducia di Pogacar.
Andrej, ci eravamo lasciati a Nizza con un super Pogacar e poi?
Nei giorni immediatamente dopo il Tour, Tadej è andato in Slovenia. La gente lo voleva e lui aveva piacere di mostrare la maglia gialla e la maglia rosa al grande pubblico. Non so se avete visto che immagini da Lubjana, quanta gente c’era. Poi è subito tornato a Monaco e da lì è stato una settimana del tutto tranquillo. Ha passato del tempo con Urska (Zigart, la sua compagna, ndr). Credo siano andati a fare delle gite e abbiano passato qualche giorno presso un lago.
E in bici?
Una settimana di stop totale. Niente bici.
Del discorso Vuelta, visto quanto fosse imbattibile in quel momento, non ci avete pensato neanche per un po’?
La Vuelta non era in programma e non ne abbiamo parlato. O meglio, ne abbiamo parlato perché i media ci hanno portato a farlo in qualche modo, ma tra di noi in verità non lo abbiamo mai fatto in modo tecnico. Non era in programma. Sapete che c’è? Che tante volte sembra tutto facile, ma facile non è.
Chiaro…
Tadej è sempre pronto, sempre a tutta, quando si presenta ad una gara è per vincere. Veniva dal Giro d’Italia, poi è rimasto concentrato nel mezzo, poi ancora il Tour… prima o poi doveva staccare. Non poteva andare in Spagna magari per vincere una tappa. Io ho parlato con lui: la vera stanchezza l’ha avvertita due, tre giorni dopo. «Ora sento la fatica. Sono stanco morto», mi ha detto. E’ normale. Finché sei in gara la tua mente è predisposta, c’è l’adrenalina, hai un alto rendimento. Ma poi se continui prima o poi esplodi e quando poi succede rialzarsi è complicato per davvero a quel punto.
E ora?
Ha ripreso ad allenarsi già da un po’. Come detto, ha fatto quella settimana di stop. Poi ha ricominciato semplicemente pedalando. E quelli forse sono stati i giorni più duri, perché dopo il riposo e le tante fatiche il tuo fisico non ne vuole sapere di riprendere. In ogni caso sta osservando dei carichi di lavoro crescenti, seguendo le indicazioni del suo allenatore.
E come sta lavorando. Tanta base o intensità in vista del mondiale?
Direi normale. Di certo con l’avvicinarsi del mondiale farà dei lavori più specifici adatti a quella corsa.
Quale sarà il suo calendario?
Non spetta a me dirlo, ma più o meno quello suo tipico in questa fase dell’anno (dovrebbe fare la trasferta canadese, il mondiale, l’Emilia, la Tre Valli Varesine e il Lombardia, ndr). Con corse di un giorno, almeno per ora, fino al mondiale… che sarà uno dei goal di fine stagione.
A proposito di mondiale. Pogacar ha visto il percorso?
No, non ancora. Né lui (ci dovrebbe andare giusto questa settimana, ndr), né io, ma lo faremo. Mentre lo ha visionato il tecnico sloveno.
Andrej, tu che lo conosci da molto tempo, ti sembra ancora motivato Pogacar?
Tadej è sempre motivato! E’ per quello che va sempre forte e che bisogna programmare bene le cose con lui. Da quello che so io sta bene. Ma poi di fatto saranno le prime corse a dirci come starà veramente. Anche se i valori e i watt sono buoni in allenamento, poi la gara è un’altra cosa. Tutto procede secondo programma comunque.
E mentalmente? Visto che come hai detto ha speso molto…
Tadej è sereno. Non ho dubbi che lui arriverà in condizione al momento giusto. Semmai sono le corse di un giorno che per certi aspetti sono più difficili da vincere rispetto ad un grande Giro. In una gara di tre settimane, se sei il più forte in qualche modo esci fuori, ma in quella di un giorno se ti capita la giornata così così, o qualsiasi altro imprevisto può succedere di tutto. Specie al mondiale dove tutti arrivano al massimo.
E in quanto a pressione. Può essere che stavolta dopo il Giro e il Tour, con l’occasione di poter realizzare qualcosa d’incredibile un po’ ci dovrà fare i conti?
Ormai fa parte del personaggio. La pressione c’è indubbiamente, ma lui la sopporta bene e forse è anche quello che lo carica di più.
Dietro al successo di Tadej Pogacar al Tour de France c’è una quantità di dettagli incalcolabili. Il corridore sloveno per vincere la maglia gialla, a distanza di tre anni dall’ultima volta, ha spinto e curato ogni particolare. Nelle prove contro il tempo gli è venuta incontro Prologo, azienda che fornisce le selle al UAE Team Emirates. Per Pogacar il modello scelto è stata la Time Trial Predator, la sella da cronometro più performante realizzata dalla stessa Prologo. Si tratta della massima espressione dell’innovazione tecnologica e del design, progettata specificamente per Pogacar in occasione del Tour de France.
Un secondo e un primo
Nelle prove contro il tempo è il cronometro che detta legge, i secondi pesano come macigni e possono risultare una barriera determinante per dividere un successo da una sconfitta. Alla Grande Boucle i chilometri a cronometro erano ben 59, è stata quindi premura di Prologo fornire al campione sloveno il prodotto giusto per performare al meglio.
Il debutto è arrivato nel corso della settima tappa, la prima delle due prove contro il tempo, da Nuits-Saint-Georges a Gevrey-Chambertin. Pogacar in quell’occasione è arrivato secondo, battuto solamente da Remco Evenepoel, che solamente pochi giorni fa si è laureato campione olimpico nella disciplina. La sella Time Trial Predator è tornata protagonista nel gran finale del Tour, nella cronometro da Monaco a Nizza. Prova che ha visto trionfare Pogacar sia nella tappa che nella classifica finale.
Leggera e aerodinamica
Gli studi e gli sviluppi tecnici che hanno portato alla realizzazione della sella Time Trial Predator sono stati numerosi. Come in ogni cosa si è partiti dalla base, Prologo ha utilizzato un software di simulazione CFD per progettare la base della struttura, realizzata in fibra di carbonio. Sulla parte esterna della struttura sono state posizionate della alette che proteggono il rail e il morsetto del reggisella dal vento.
Il rivoluzionario rail in carbonio, perfettamente integrato nella base, presenta una superficie piatta molto più ampia rispetto ai rail tradizionali a sezione tonda o ovale. Una soluzione che migliora la connessione tra il ciclista e il reggisella.
Scelte che hanno portato un vantaggio in termini di guidabilità, come testimoniato dalla imprese dello stesso Pogacar. Ai fini di un corretto posizionamento aerodinamico, inoltre, Prologo ha sviluppato una forma della sella che permette la massima rotazione del bacino. L’atleta riesce così ad assumere, e mantenere, una posizione ancora più aerodinamica.
Nella parte posteriore, l’imbottitura è stata invece ridotta a pochi millimetri, permettendo di abbassare ulteriormente il peso a soli 140 grammi.
Groenewegen vince la tappa, ma tutti parlano della crono di domani. Evenepoel può prendere la maglia a Pogacar? Secondo Ganna è dura. E anche secondo Velo
Tadej Pogacar lo ha detto senza mezzi termini: «Ora punto tutto sul mondiale». Il suo obiettivo è realizzare la tripletta Giro-Tour-gara iridata che in passato è riuscita solo due volte. La prima a Eddy Merckx in quella che fu l’ultima sua grandissima stagione, il 1974. La seconda a Stephen Roche, l’irlandese della Carrera che visse un anno magico nel 1987, mai più replicato.
Oggi l’irlandese gestisce con passione il suo albergo a Sainte Maxime, sulla Costa Azzurra ma resta sempre legato al vecchio mondo. Sa bene che quella tripletta è rimasta storica, anche per come arrivò, soprattutto per il carico di polemiche che si portò dietro nella sua prima tappa, il Giro d’Italia vinto contro tutto e tutti.
Tra Giro, Tour e mondiali, quale fu la corsa più difficile da conquistare e quella che ti diede maggiore soddisfazione?
Ognuna delle tre è molto difficile da vincere. Il Giro lo conquistai avendo problemi con alcuni dei miei compagni di squadra che hanno corso contro di me. E’ stato molto, molto difficile mentalmente perché mi trovavo nell’assurda situazione di dover convincere il pubblico italiano che non ero un cattivo ragazzo e che onoravo la patria che mi stava ospitando e dando lavoro. Quello che è successo con Roberto Visentini è stato qualcosa che è capitato, non c’era acredine fra noi, ma chiaramente molti tifosi italiani mi erano contro. Ogni giorno combattevo con i media e con i miei compagni di squadra, quindi era molto complicato.
Tu hai vinto il Giro senza l’appoggio della tua squadra, con il solo Schepers dalla tua parte. Com’era l’atmosfera nel team fuori dalla corsa, alla sera o prima delle tappe?
Dopo il primo giorno o due ci siamo messi intorno a un tavolo. La squadra voleva la maglia rosa. Visentini era il campione uscente, io venivo dalla vittoria al Romandia. Ma un giro di 3 settimane è qualcosa di diverso. L’accordo era di proteggere entrambi, ma principalmente di puntare su di me perché avevo dimostrato che l’87 era stato un buon anno per me, era da febbraio che ero competitivo. Quindi la squadra ha deciso di darmi la mia possibilità. Ma l’atmosfera era difficile, tra me e i miei compagni di squadra. Ma poi le cose sono andate lentamente meglio perché anche io mi stavo comportando bene. Come detto, al team interessava vincere perché le vittorie portano finanziamenti. E’ chiaro però che tutto quel che avvenne ebbe un prezzo, gli equilibri erano infranti.
Ho letto che la Panasonic si schierò dalla tua parte, come raggiungesti un accordo con il team di Millar e pensi che sia possibile fare lo stesso oggigiorno?
Molte persone nell’87 erano un po’ disgustate dalla reazione del popolo italiano e da quello che mi stava succedendo. Millar era un mio caro amico, quindi voleva vincere una tappa e pensò che fosse un buon compromesso aiutarmi per ottenere il suo scopo. Cosa che avvenne, quindi ci guadagnammo entrambi. Penso che oggi, sì, questo può ripetersi e avvenga. Tutto e niente di ciò che abbiamo fatto è stato eccezionale.
Pogacar punta a ripetere la tua impresa, tu pensi che possa farlo?
Penso onestamente, sì, ci sono stati corridori in passato capaci di farlo come Indurain, Armstrong, Pantani. Potevano. Ma per essere in grado di fare queste tre cose con tre vittorie, tutto deve andare di pari passo, devi programmarti bene. Devi anche avere la fortuna di trovare un percorso adatto: se sei forte in salita e ti trovi un mondiale pianeggiante, diventa tutto complicato. Quest’anno abbiamo lui che ha già vinto Giro e Tour e ha un campionato del mondo a Zurigo molto, molto ondulato. Quindi sì, penso che tutto sia possibile per lui quest’anno perché sta mostrando una forza incredibile nel recupero ed è anche uomo da classiche. Certamente comunque la concorrenza non mancherà con gente come Evenepoel e Van Aert. Deve avere il meteo dalla sua. Deve avere fortuna, non deve avere forature. Deve avere una squadra. Tutto deve coincidere.
Vista la sua superiorità a Giro e Tour, al suo posto proveresti a vincere anche la Vuelta?
In Irlanda diciamo «il cimitero è pieno di eroi morti» – dice Roche sorridendo – Puoi andare e provare a vincere, ma poi se non funziona, allora potrebbe essere più dannoso per lui anche fisicamente perché ha solo 25 anni. Ha già fatto così tanto nella sua breve carriera finora. Non deve rischiare di bruciarsi anzitempo. La gente potrebbe pensare che vincere Giro e Tour non fosse troppo difficile per lui, l’opposizione non c’era. Forse, ma nonostante ciò lo ha fatto accumulando migliaia di chilometri, caldo, fatica. Penso che potrebbe essere un po’ troppo. E’ molto più saggio concentrarsi ora sul campionato mondiale.
Segui il ciclismo irlandese e rispetto ai tuoi tempi lo trovi migliorato come livello?
Sì, il nostro ciclismo è molto cresciuto. Abbiamo gente forte come Healy, Ryan. OK, Sam Bennett sta andando un po’ giù, ma ci sono alcuni bravi ragazzi lì che stanno arrivando nell’EF Education EasyPost che fanno sperare. E penso che la federazione stia lavorando bene, avremo sempre più ragazzi di cui parlare in futuro. Healy mi impressiona, io dico che presto vincerà anche una grande gara.
Quello di oggi è un ciclismo che ti piace?
Sì, penso che il ciclismo di oggi sia cambiato un po’ rispetto all’ultima generazione. I ciclisti sono più aggressivi, sono un po’ più istintivi, vanno forte in salita come a cronometro, nelle corse d’un giorno come in quelle a tappe. Quindi penso che per i prossimi due anni vedremo un po’ di ciclismo davvero buono.
Guardandoti indietro, come giudichi la tua carriera ciclistica?
Guardo tutta la mia carriera e dico OK, posso dire che questo anno è stato buono. Quello no, quell’altro è stato pessimo. Tutto sommato, il complesso è stato positivo. Sai, è molto facile dire che avrei dovuto, avrei potuto…. Ma non è una cosa che potrei cambiare. Ripensandoci, l’unica cosa è che non avrei lasciato la Carrera alla fine dell’87. Avrebbe potuto essere meglio, ma non ne avrò mai la certezza.
Luka Mezgec, corridore sloveno, ha dichiarato alla televisione nazionale che l’assenza di Pogacar alle Olimpiadi di Parigi sia stata dovuta principalmente alla non convocazione della compagna Urska Zigart per le gare femminili. Nonostante sia campionessa nazionale di crono e strada, l’atleta del Team Jayco-AlUla è stata lasciata a casa dai selezionatori sloveni e questo avrebbe provocato la reazione amara del vincitore del Giro e del Tour, che ha comunicato la sua assenza olimpica a causa della stanchezza accumulata.
«Per quanto riguarda la ragione ufficiale secondo cui è stanco – ha detto Mezgec a RTV Slovenija, per come riportato da cyclingnews.com – credo che non sia la più realistica. So che anche se fosse stato sul letto di morte, sarebbe venuto qui se Urska fosse stata convocata, perché così non sarebbe stato da solo a casa.
«Se ci fosse stata una probabilità dell’uno per cento che per qualsiasi motivo volesse rimanere a casa, quella percentuale sarebbe stata molto più bassa se Urska fosse stata qui. Ovunque sia Urska, c’è anche Tadej. Può sembrare cattivo – ha concluso il corridore del Team Jayco-AlUla – ma forse avrebbero dovuto rischiare un posto per lei, anche se non fosse stata la migliore, perché con questa mossa si sarebbero assicurati Tadej, ma non l’hanno fatto. Sfortunatamente, chi ha preso la decisione non aveva previsto tutti gli scenari».
L’occasione mancata
Alzi la mano chi, avendo seguito la vittoria di Evenepoel sabato a Parigi, non si sia chiesto quale spettacolo ancora più immenso ci sarebbe stato con lo sloveno in gara. E chissà se lo stesso Pogacar ha seguito la corsa e abbia riflettuto sulla sua scelta. Si può fargli una colpa per aver rinunciato alle Olimpiadi? Probabilmente no, cosa vuoi dirgli a uno che nei pochi giorni di gara del 2024 ha realizzato una simile grande impresa? Però forse si può fare una riflessione.
Siamo sicuri che lo sloveno avrà un’altra occasione come questa? Il ciclismo non è paragonabile ad altri sport: Djokovic ha vinto l’oro nel tennis a 37 anni, ma tanta longevità da queste parti non è scontata. Quando nel 2028 le Olimpiadi si correranno a Los Angeles, Pogacar avrà 30 anni: sarà ancora in grado di competere al massimo livello?
Il tema della stanchezza non convince, anche rapportato al voler puntare sui mondiali di Zurigo, mettendo nel mirino Roche che nel 1987 vinse Giro, Tour e mondiale. Nel 2021 Tadej volò a Tokyo pochi giorni dopo aver vinto il Tour e conquistò il bronzo nella gara in linea. Vista l’apparente facilità con cui ha conquistato la maglia gialla e il breve viaggio da Monaco a Parigi, si può immaginare che davvero non avesse le forze per lottare con Evenepoel?
Compagne e atlete
Anche Alaphilippe nel 2021 rinunciò alle Olimpiadi, per stare accanto alla compagna Marion, che aveva da poco messo al mondo il figlio Nino. Julian era iridato e ancora volava. Aveva vinto la Freccia Vallone, era stato battuto solo da Pogacar alla Liegi, aveva vinto la prima tappa del Tour e a settembre avrebbe vinto il secondo mondiale. Eppure rinunciò. E quest’anno che si è rimboccato le maniche, avendo capito che forse allora commise una leggerezza, non è andato oltre l’undicesimo posto a 1’25” dal compagno di squadra Evenepoel. Perché in questo ciclismo che va veloce, 32 sono anni pesanti per sfidare i padroncini del gruppo.
E’ legittimo per chiunque scegliere di stare accanto alla famiglia: non si può fargliene una colpa. Quel che sorprende è semmai la dinamica domestica, in cui casualmente o forse no, entrambe le donne in questione sono o sono state atlete. Come reagì Marion Rousse? E come ha vissuto Urska Zigart la rinuncia del fenomenale compagno che vincendo le Olimpiadi sarebbe potuto entrare nella storia? Lo ha abbracciato intenerita e fiera per il gesto oppure lo ha esortato a non buttare l’occasione? Se teneva così tanto alla convocazione, ha vissuto a cuor leggero la rinuncia da parte del compagno?
Tadej e la storia
I campioni come Pogacar piacciono perché sono capaci di trasfigurarsi nella fatica, tirando fuori da se stessi imprese inimitabili. Lo fanno perché hanno dentro il fuoco, quale che ne sia l’origine. Se rabbia sociale, fame, voglia di dimostrare qualcosa, un agonismo esagerato: l’elenco è lungo e complesso. Ma a volte dimentichiamo che hanno pochi anni e rischiano di cadere in errori adolescenziali, ripicche fatte con la pancia più che col cervello. E la scelta di Pogacar, se è vero quello che ha dichiarato Mezgec, è stata a nostro avviso tale.
Le Olimpiadi sono un traguardo da conquistare, non un viaggio premio. E’ vero che le due ragazze che hanno sostituito Urska Zigart non siano fulmini di guerra, ciò non toglie che il campione abbia rinunciato a una occasione forse irripetibile. Potrà anche vincere il mondiale di Zurigo, ma questa rinuncia resterà per sempre come un vuoto nel suo palmares. Con buona pace di Evenepoel, che la sua chance l’ha presa e sfruttata al meglio. Otto corridori hanno vinto Giro e Tour nello stesso anno, nessuno aveva mai vinto il doppio oro olimpico. A conti fatti, ammesso che il ragionamento abbia un senso, la storia l’ha fatta Remco. Pogacar a nostro avviso è ancora più fenomeno del fenomeno belga, ma s’è aggiunto a una strada già tracciata.
Alla fine a tenere banco è sempre lui: Tadej Pogacar. Vince, rivince, stravince. Attacca, in qualche caso anche senza troppo senso, rinuncia ai Giochi Olimpici e con ogni probabilità anche alla Vuelta.
E da quest’ultimo appunto riprendiamo quel filo del “fantadiscorso” che iniziammo qualche tempo fa con Pino Toni. Appena archiviata la maglia rosa, facemmo delle supposizione tecniche con il preparatore toscano. E ora che anche la Grande Boucle è nel sacco quelle supposizioni assumono ancora più valore.
Vuelta sfida possibile
Premettiamo, e che sia ben chiaro, che non siamo qui a dire che Pogacar dovrebbe fare la Vuelta. E’ un discorso di nuovo quasi da fantaciclismo, che chiaramente si fonda su conoscenze approfondite e tecniche.
Lo sloveno potrebbe riuscirci? Secondo Toni sì. E avrebbe anche l’opportunità di non rinunciare o arrivare col fiato corto al mondiale, il grande obiettivo dichiarato dallo sloveno.
«Tadej – dice Toni – ce la potrebbe fare. Anche perché chi lo potrebbe davvero contrastare alla Vuelta? Sta vivendo un momento unico e potrebbe partire senza neanche troppo stress. Se dovesse far fatica potrebbe fermarsi dopo 10 giorni e tornarsene a casa. Avrebbe comunque svolto un buon lavoro e poi pensare al mondiale. O se invece andasse fino in fondo avrebbe comunque tre settimane dalla fine della corsa spagnola alla prova iridata. Ma certo per queste sfide servono stimoli, soprattutto stimoli esterni».
Ambiente stimolante
E con quegli stimoli esterni, Pino Toni apre un capitolo tanto vasto quanto interessante. Il coach toscano ha una lunga esperienza. Ne ha visti di campioni e di staff importanti e spiega come per gli obiettivi più grandi servano anche stimoli esterni. Gli stimoli di un ambiente positivo e propositivo.
Pensiamo a Filippo Ganna e al suo Record dell’Ora. Chiaro che alla base ci deve essere un campione, ma serve anche tutto un contorno. L’idea di poter abbattere quel record. Lo studio della bici, i test, la preparazione specifica e la programmazione all’interno del calendario stagionale, il body, la scelta della pista e della temperatura, l’alimentazione e addirittura, nel caso di Pippo, un compagno che faccia “da cavia”, perdonateci il termine un po’ forte, quale Dan Bigham che in qualche modo ha fatto le prove generali.
«Per certe sfide sportive servono grandi ambizioni. Ambizioni che l’atleta da solo non può avere – spiega Toni – gli serve intorno un team, uno staff, degli uomini che vadano oltre. Che cerchino di far diventare realtà un sogno, di rendere possibile l’impossibile. Riis per primo pensò alla tripletta con Contador e iniziò a costruirgli una squadra forte, fatta di campioni come gregari (e tra questi anche Majka che oggi guarda caso è compagno di Pogacar, ndr). E in UAE Emirates Pogacar ce l’ha uno staff così».
Ed avrebbe anche l’uomo per queste visioni, Matxin. E’ risaputo che molte tattiche nascano da lui. Del suo modo di correre sempre all’attacco. E dalla sua ambizione, benzina vitale nello sport agonistico.
Il toscano riprende: «Per una sfida così il meccanico anche dovrebbe cercare sempre qualcosa di più. Andare oltre il suo seminato. Provare, sperimentare. Idem il preparatore, il nutrizionista e il massaggiatore. Ognuno nel suo campo deve sperimentare, fare ricerca… ma questo si può fare se al vertice c’è questa volontà. E’ come la Formula 1. Ci deve essere sempre uno stimolo ulteriore al miglioramento. Un ambiente che sprona».
Occasione ghiotta
Insomma l’atleta c’è, lo staff anche e persino Giro d’Italia e Tour de France sono nel sacco. «Semmai ci dovesse essere un’occasione – va avanti Toni – è questa. Piuttosto bisogna vedere gli equilibri interni. Bisogna vedere come la prenderebbero i compagni, e Ayuso in particolare, una sua eventuale partecipazione alla corsa spagnola».
Magari non a tutti farebbe piacere avere un corridore che si prende tutta la fetta della torta. Però è anche vero che sarebbero parte attiva di un qualcosa di storico. Tra l’altro sembra che lo stesso Pogacar abbia confidato questo suo dubbio a dei colleghi.
Pogacar e la squadra lo hanno detto e ridetto: niente Vuelta. E anche pochi giorni fa, in un’intervento in diretta su una pagina social, Andrea Agostini, della dirigenza UAE Emirates, lo ha ribadito. «Niente Vuelta. Sarebbe troppo faticoso e poi il rischio magari è quello di perdere Tadej per un anno. Lo vogliamo tutelare»: questi in sintesi i concetti di Agostini. Come dargli torto?
Anche perché noi facciamo un’analisi tecnico sportiva e forse anche da tifosi di ciclismo, che vorrebbero assistere a qualcosa di storico. Ma poi c’è anche il lato economico. Pogacar che per un anno non c’è o non rende come al solito che impatti potrebbe avere?
«Ci sta – ci aveva già detto Toni forte della sua esperienza – che Pogacar poi possa essere stanco e che possa avere meno stimoli nell’anno successivo. Ma a quel punto imposterei per lui un calendario tutto diverso. Un calendario senza grandi Giri, puntando forte sulle classiche, così che possa recuperare e al tempo stesso avere nuovi obiettivi».
Insomma, le basi per una tripletta ci sarebbero anche. Ma questo era fantaciclismo e la realtà è altra cosa.
Richard Carapaz vince a Superdevoluy e corona il suo sogno. Alle sue spalle, si ripete lo show di Pogacar. Ma forse si impone una riflessione su Vingegaard
Cosa ci ha detto il secondo posto di Jonas Vingegaard al Tour de France? Ci sono diversi aspetti da valutare a mente fredda riguardo al danese. Come è variata la sua condizione nel corso delle tre settimane. Come ha reagito fisicamente e mentalmente. Cosa ci si può attendere da lui.
Sono aspetti tecnici che svisceriamo con il preparatore toscano Pino Toni, il quale su certi temi, forte della sua esperienza, ha vedute a 360°.
Pino, partiamo da un tuo giudizio generale sul Tour di Vingegaard.
Se è vero quello che ha detto il suo staff, e cioè che è andato più forte di quando ha vinto il Tour, e io ci credo perché altrimenti in quel team non lo avrebbero portato, direi che ha fatto una grande corsa. Jonas e la Visma-Lease a Bike hanno fatto un gran bel lavoro per rimetterlo in sesto, ma non è bastato. L’altro, Pogacar, nel frattempo è cresciuto tantissimo. I 6,7 watt/kg che ha espresso l’anno scorso sulle salite lunghe non bastavano più. Adesso servono i 7 watt/kg. Sono cambiati i parametri di riferimento. Almeno per vincere, perché comunque con 6,7 watt/chilo si è competitivi. Non dimentichiamo che Vingegaard ha messo dietro il miglior Evenepoel di sempre.
In tanti si aspettavano una crescita di Vingegaard nel corso delle tre settimane. Non è avvenuto, come mai?
Perché questo è il ciclismo attuale di altissimo livello. Anche se sei un Pogacar o un Vingegaard, se non arrivi al top non cresci come un tempo. Oggi non è più possibile. E poi questo aspetto secondo me va visto in modo un po’ diverso.
Cioè?
Secondo me in casa Visma non si aspettavano tanto che crescesse Vingegaard, quanto piuttosto che calasse Pogacar, che di fatto sarebbe stato alla sesta settimana di corsa tra Giro d’Italia e Tour. Che calasse di condizione. Perché poi c’è anche da fare un distinguo fra condizione e prestazione.
Spiegaci meglio.
La condizione è la base, la prestazione è la performance. Faccio un esempio, per ottenere un’ottima prestazione, se magari voglio che il mio atleta faccia i suoi 20′ migliori di sempre, fatta la sua preparazione gli faccio fare due giorni di scarico, uno di attivazione e poi il test sui 20′ e se tutto va bene otterrò il suo top. La condizione invece nel caso del Tour è il livello base di quell’atleta. Sono le capacità dell’atleta a reagire al gruppo, agli eventi e alle condizioni della corsa. E’ il riuscire a stare davanti, a fare la gara. Non si tratta solo di numeri.
Lo abbiamo visto anche al Giro Women che il caldo ha fiaccato le ragazze, non hanno espresso i migliori valori, ma hanno comunque creato delle differenze: questo è il concetto?
La condizione di Vingegaard era buona, ma inferiore a quella di Pogacar. Anche quando ha vinto la tappa, la faccia di Jonas non era bellissima. Si vedeva che aveva speso molto. Lì per esempio, nel suo caso, si è trattato di una performance. Jonas era più fresco, mentre l’altro aveva un Giro d’Italia alle spalle. Ma poi la condizione era diversa. Per questo io credo che ora, al netto dell’incidente di Vingegaard, Pogacar sia più avanti.
E quindi adesso Vingegaard cosa dovrà fare? Dove potrà limare ancora?
Intanto un’altra cosa che ci ha detto questo Tour è che un avvicinamento senza incidenti è fondamentale. Entrambi, si è visto, che con l’incidente lo hanno perso. Che sia un fattore di numeri, di testa, di piani scombussolati… ma incide. Dove può crescere o limare il danese: io credo che più di tanto non possa crescere. Semmai dovrebbe migliorare in salita. Jonas può vincere un Tour contro Pogacar solo se è più forte, ma di tanto, in salita. Lo deve staccare in modo netto.
Perché?
Perché ora Tadej è più forte anche a crono. Ha fatto dei passi enormi, ma loro in UAE Emirates avevano da limare. In Visma non so quanto spazio abbiano ancora nella crono per migliorare. In UAE ci sono arrivati adesso perché in fin dei conti prima non avevano questa necessità. Ma questo ci dice anche che oggi per vincere a certi livelli l’atleta da solo, benché forte, non basta più. Servono gli staff. E loro due hanno due squadre importanti. Un po’ come la Formula 1.
In F1 si mette in pista una monoposto, nel ciclismo si mette in corsa un atleta…
Esatto. Chiaro che serve un grande atleta, questo è ovvio, ma poi serve che chi è dietro di loro vada oltre. Esca dalle righe, dalla routine, che faccia ricerca. Ricerca sui materiali, sull’alimentazione, sull’integrazione…
Come ne esce Vingegaard mentalmente secondo te?
Per me Jonas deve considerare il suo Tour come un super Tour. E’ comunque il secondo al mondo nonostante quel grosso incidente ad inizio aprile. Sarà rimontato in bici a fine aprile, avrà ripreso a fare qualche allenamento specifico a maggio, mentre l’altro vinceva il Giro. Non ha avuto i tempi per metabolizzare quanto fatto. Ma per il resto ha messo dietro tutti, tutti tranne uno. Quindi per me ne deve uscire con un giudizio positivo.
A mente fredda abbiamo visto davvero che Pogacar al Giro si è allenato, non sarà bello da dire ma è così, tu per primo ci parlasti di “scatti per attivazione”durante la corsa rosa. Questa cosa potrebbe aver acceso qualche spia d’interesse anche a Vingegaard? Potrebbe venire al Giro anche lui in futuro?
Bisogna considerare che sono due corridori un pochino diversi, anche se entrambi mirano al Tour. Pogacar può vincere tutto, anche la Roubaix, l’altro ha qualche limite in più. Vingegaard è un atleta un po’ più specializzato e il livello della sua prestazione top in una corsa di un giorno ce l’hanno diversi corridori. Per questo dico che forse a Vingegaard un Giro potrebbe costare un po’ di più che a Pogacar, fosse anche solo mentalmente. Chiaro, lo vincerebbe, ma il suo carico esterno sarebbe maggiore.
Carico esterno?
Sì, tutto quello che c’è intorno, la sua spesa in generale. Il suo TTS (il livello di stress, ndr) sarebbe maggiore e questo dipende da tanti fattori, il recupero o semplicemente le energie nervose per stare in gruppo. Tadej è molto abile e sciolto nello stare in gruppo, nel guidare la bici, Jonas un po’ meno.
Una foto del manubrio di Pogacar. Mancava un’ora circa alla partenza della tappa di Plateau de Beille, quella del record di Pantani e dei numeri pazzeschi. Era il 14 luglio, Festa nazionale francese. Tadej aveva già 1’57” di vantaggio su Vingegaard, accumulato nella crono vinta da Evenepoel e soprattutto il giorno prima a Pla d’Adet, quando era riuscito a staccare nuovamente il danese. Le schermaglie sugli sterrati di Troyes, ma soprattutto la vittoria di Vingegaard a Le Lioran avevano autorizzato qualche dubbio.
In particolare quest’ultima. L’attacco violentissimo dello sloveno sul Pas de Peyrol e il suo spegnersi progressivo a fronte del rientro di Jonas avevano fatto pensare a una crisi di fame. Troppo netta la differenza delle forze quel giorno. Invece alla partenza della tappa di Saint Lary Soulan, alla vigilia di Plateau de Beille, il nutrizionista Giorka Prieto l’aveva esclusa dalle possibilità, parlando di uno sforzo eccessivo al momento dell’attacco. Quasi si fosse trattato di un errore tattico e non di un problema alimentare. Per questo il cartoncino sul manubrio della bici col numero 11 ci era sembrato così interessante (foto di apertura). E ci siamo messi a studiarlo in relazione all’altimetria della tappa di giornata.
Sei salite in 199 chilometri
La 15ª tappa da Loudenvielle a Plateau de Beille misurava 197,7 chilometri e proponeva sei gran premi della montagna. Il Peyresourde in partenza, dopo 6,9 chilometri. Quindi il Col de Mente al chilometro 50, il Portet d’Aspet al 65,5. E a seguire il Col d’Agnes al chilometro 139, il Port de Lers al 147,5 e la salita finale, dal chilometro 181,3 al 197,7.
La tabella sul manubrio indicava i punti in cui mangiare, un utile memorandum per evitare qualsiasi imprevisto. Per dargli una forma che in qualche modo sia esplicativa per chi, come noi, va in bici ma non ha le gambe di Pogacar, abbiamo chiesto un commento a Paolo Calabresi, Direttore Marketing Sport & Fitness di Enervit.
«Questo è un classico esempio di tabella chilometrica – spiega – con alcune informazioni riguardanti lo schema di integrazione che deve seguire l’atleta, come da indicazione del suo nutrizionista. Utile per evitare che il corridore trascorra troppo tempo senza integrarsi e farsi trovare scarico nel finale della gara. Insieme ci sono alcune indicazioni utili sul percorso come salite, sprint intermedi, feed zone».
In partenza nelle taschenon solo barrette, ma anche rice cake o un panino con marmellata o NutellaDoppia borraccia al via, di solito con carboidrati in base alle indicazioni di GorkaLa Colnago V4RS pronta a partire verso Plateau de Beille. Via ufficiale alle 12,05
A un chilometro dal GPM
La collocazione dei punti in cui alimentarsi non è ovviamente casuale. Si nota ad esempio come Pogacar debba mangiare circa un chilometro prima della fine della salita: un passaggio invece non indicato per la scalata finale. Si suggerisce un gel poco dopo l’inizio dell’ultima salita e acqua a 10 chilometri dall’arrivo.
«Relativamente ai prodotti – spiega Calabresi – con XX è contraddistinta la borraccia di Enervit Isocarb caricata con 60 grammi di carboidrati. Se ci fosse la X singola, sarebbero invece 30 grammi. In rari casi, alcuni atleti la chiedono anche la tripla X, ossia 90 grammi di carboidrati.
«Con la w è contraddistinta la borraccia di acqua. Ice sta ad indicare quando viene fornito il sacchettino di ghiaccio da posizionare sul collo. Il gel corrisponde al Carbo Gel Enervit C2:1PRO che nelle tappe più calde può essere la versione arricchita con sodio. Quando si legge caf, si intende il Carbo Gel Enervit C2:1PRO con caffeina. Là dove è indicato XX caf o XX gel oppure w caf vuol dire che hai una borraccia con nastrato un gel con o senza caffeina, quelle che solitamente si vedono passare dal massaggiatore lungo il percorso. Water gel o caf sta per borraccia di acqua con attaccato un gel con caffeina o senza».
All’arrivo, dove era effettivamente caldo, Pogacar si è dissetato a lungoNel finale di tappa infatti, Tadej ha staccato Vingegaard e non aveva più borracceAll’arrivo, dove era effettivamente caldo, Pogacar si è dissetato a lungoNel finale di tappa infatti, Tadej ha staccato Vingegaard e non aveva più borracce
Alimentazione continua
Ovviamente non si tiene conto in questo schema di ciò che Pogacar aveva in tasca alla partenza e che certamente avrà preso al rifornimento che il gruppo ha incontrato dal chilometro 92,5. Ciascun corridore ha le sue esigenze e spetta al nutrisionista individuarle e gestirle. Quel che interessa è il dato assoluto. Che si tratti di professionisti o amatori, nel momento in cui si è dotati di una strategia alimentare, quanto si deve essere precisi nel rispettare certi tempi e certe scadenze?
«Oggi i corridori sono sempre full gas – spiega Calabresi – iniziano ad alimentarsi fin dai primi chilometri. Non è tanto una questione di timing. Loro sanno che devono continuamente alimentarsi per mantenere un livello di carboidrati circolanti il più costante possibile, per non farsi mai trovare in carenza. Il ciclismo moderno non è a richiesta: non funziona più che prendo un gel nella fase finale per la volata. E’ un continuo alimentare il fisico con il carburante dei carboidrati, per mantenere e soddisfare la richiesta di performance per tutta la tappa. In modo da mantenere le riserve energetiche il più possibile costanti e stabili e salvaguardarle anche per il giorno successivo. L’evoluzione dei nuovi prodotti consente l’assunzione in grandi quantità, in termini di grammature di carboidrati, rispetto al passato».
La mancanza di Trentin si farà sentire. Gianetti parla della sua squadra e dell'abilità di Pogacar sul pavé. Poi tira fuori un ricordo da morire dal ridere
Si avvicina a grandi passi l’appuntamento olimpico, ma prima di chiudere la porta sul Tour, vogliamo condividere con voi alcuni approfondimenti. Uno riguarda la cronometro di Nizza, che ha suggellato il podio francese e a ben vedere avrà riflessi anche sulle sfide olimpiche di sabato. E’ singolare e insieme indicativo che il podio dell’ultima tappa abbia ricalcato alla perfezione quello finale. Evenepoel è stato al di sotto dei suoi standard di specialista? Va bene Pogacar, ma Vingegaard così forte era prevedibile anche contro il tempo?
A Nizza c’era anche Marco Pinotti, allenatore del Team Jayco-AlUla, che in carriera ha vinto per due volte l’ultima crono del Giro. Nel 2008, battendo Tony Martin a Milano su un percorso velocissimo: 51,298 di media. Nel 2012, battendo Geraint Thomas ancora a Milano, a 51,118 di media. Proprio in quest’ultimo caso, la maglia rosa si giocò in quell’ultima tappa, con Hesjedal che recuperò i 31 secondi di ritardo da Purito Rodiguez e conquistò il Giro con vantaggio finale di 16 secondi. Ugualmente, nella classifica di tappa finirono 6° e 26°.
«Il percorso dell’ultima crono – dice Pinotti – era meno adatto a Remco, rispetto a quella che ha vinto nella prima settimana. Era una crono dura e lui è finito terzo, perché ha perso la maggior parte del tempo nella prima parte, quella in salita. Nella parte finale invece, sei minuti tutti in pianura, lui ha fatto il miglior tempo. Secondo Campenaerts, terzo Matthews. Sesto in quel tratto è stato Vingegaard, mentre Pogacar addirittura ottavo o nono, però lui negli ultimi due chilometri ha rallentato. Quindi un parziale in linea con quello che ci saremmo aspettati in una crono piatta, cioè Remco più veloce».
Pogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdaePogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdae
Invece nei tratti precedenti?
Dal secondo al terzo intertempo c’era la discesa e Pogacar ha fatto il miglior tempo, perché abita lì. Jorgenson il secondo. Almeida, Buitrago e Tejada hanno fatto una bella discesa perché si giocavano il piazzamento. Sono andati bene anche Ciccone e Matthews, gente che ci vive o che ci ha vissuto. Remco è andato come Yates, che era in ritardo ai primi intermedi ma sempre intorno all’ottavo, nono posto e nell’ultimo tratto è scivolato tutto indietro. Nel senso che era in ritardo in salita e una volta che si è reso conto di non poter vincere la crono, non ha preso rischi. Si è visto che in discesa non era proprio lineare nelle curve.
Quindi un risultato che si poteva scrivere anche prima che corressero?
Alla fine di un Grande Giro è sempre così, quelli di classifica sono più performanti. Primo, perché ultimamente dedicano anche loro tanto tempo all’allenamento e all’aerodinamica. E poi perché quel percorso ha penalizzato gli specialisti. Campenaerts nell’altra crono era arrivato 5° a 52″ da Evenepoel: a Nizza invece è finito 13° a 3’14” da Pogacar. La prima non era una crono piatta, però Evenepoel l’ha fatta a 52,587 di media. A Nizza, Pogacar ha fatto 44,521, vuol dire che è stata dura. Quindi è normale che siano arrivati davanti quelli di classifica, che avevano più riserva. Specialisti non ce n’erano, tranne Campenaerts e Sobrero. Matteo mi ha detto di averla fatta a tutta. E’ arrivato 19° e con le forze che gli erano rimaste si è preso quasi 4 minuti.
Sobrero si è molto impegnato, ma era sfinito e ha subito un passivo di 3’55”Non era una crono per specialisti: Campenaerts (5° nella prima) si è piazzato 13° a 3’14”Sobrero si è molto impegnato, ma era sfinito e ha subito un passivo di 3’55”Non era una crono per specialisti: Campenaerts (5° nella prima) si è piazzato 13° a 3’14”
In conferenza stampa Remco ha detto che la discesa era troppo pericolosa e avendo l’obiettivo delle Olimpiadi non ha voluto rischiare.
Può essere, perché la discesa non era semplicissima. Se uno abita lì e va a farla cinque volte al mese, è un’altra cosa. Non era pericolosa, però c’erano tantissime curve, dove se sei sicuro di poter lasciare i freni, guadagni 13-14 secondi. Invece nell’altra crono, Remco aveva fatto una bella discesa, perché magari l’aveva vista 2-3 volte come gli altri. E poi a Nizza, una volta che non aveva il miglior tempo in salita, cosa aveva da guadagnare a rischiare? Il terzo posto era consolidato e il secondo irraggiungibile. Avrà visto negli intertempi dov’era rispetto a Vingegaard, ha capito che la crono non la vinceva e ha deciso di non prendere rischi.
Secondo te chi ha puntato al cambio di bici ha fatto un passo falso?
C’era una strategia alternativa possibile: partire con la bici da strada e cambiarla in cima alla seconda salitella. Però c’erano 3 chilometri piatti all’inizio e già lì, con la bici da crono rispetto a quella da strada, guadagnavi minimo 15 secondi. Poi speri di riguadagnarli in salita con la bici più leggera? Può essere, ma sulla prima salita andavano a 24 di media, Pogacar anche a 28. A quelle velocità la bici da crono è ancora vantaggiosa. Altra cosa: noi abbiamo avuto da poco la bici da crono con i freni a disco. E se c’è un feedback che tutti mi hanno dato è di trovarsi meglio come guidabilità anche rispetto alla bici da strada. L’unico svantaggio resta il peso, perché una bici da crono pesa mediamente un paio di chili in più.
Pinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di DillierPinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di Dillier
Uno svantaggio che riesci a colmare con le velocità?
Vi faccio questo esempio. Io ho seguito Durbridge e avevamo davanti Silvan Dillier, che correva con la bici da strada e non andava certo a spasso. Vedendo come muoveva le spalle, si stava impegnando. Durbridge è andato regolare, eppure gli è arrivato sotto già sulla prima salita. Poi ha recuperato e in discesa Dillier con la bici da strada ci ha staccato perché noi siano andati prudenti. Ma quando siamo arrivati alla parte in pianura finale, si è messo a ruota irrispettoso delle regole, ma dopo un chilometro si è staccato. Lottavano per il 50° posto quindi non so neanche se avrà preso la penalità, però è stato divertente vedere questa differenza. Storia simile con Yates.
Cioè?
Ho seguito anche Simon e davanti a lui è partito Gall, che era 13° in classifica e ha scelto la bici da strada. Mi è sembrata una scelta assurda. Infatti, nonostante Yates avesse la bici da crono, lo ha preso sulla prima salita. L’ha passato in discesa e Gall non è più rientrato. E proprio a causa della crono ha perso una posizione. L’anno scorso a Combloux fu diverso, perché la crono era divisa in due: prima la pianura e poi quasi tutta salita. Però quando la velocità media è sopra il 23-24 all’ora, io prendo sempre la bici da crono.
Gall è partito con la bici da strada e poi ha cambiato, perdendo una posizioneQuelli che hanno usato solo la bici da strada hanno vissuto una crono a mezzo servizio: lui è Marco HallerGall è partito con la bici da strada e poi ha cambiato, perdendo una posizioneQuelli che hanno usato solo la bici da strada hanno vissuto una crono a mezzo servizio: lui è Marco Haller
I ragazzi ti hanno spiegato perché con i freni a disco la bici si guida meglio?
Prima quando avevi i freni rim e le ruote lenticolari o in carbonio, la frenata non era lineare. Adesso con i dischi è come sulla bici da strada. Prima era un problema cambiare da un giorno all’altro. Adesso frenano allo stesso modo, è un passaggio naturale. Corridori come Sobrero avevano la sensibilità per passare senza problemi da una all’altra, però la maggior parte è contenta di questo cambiamento. Adesso usano la stessa forza, staccano alla stessa distanza dalla curva e la frenata è più lineare.
Cambiando argomento, in casa UAE Emirates hanno sottolineato l’importanza della doppia guarnitura 46-60 con 11-34 dietro: perché secondo te?
Partiamo col dire che a Nizza serviva la doppia corona, la mono non andava bene. Se avessi dovuto scegliere, avrei voluto un 60-44, che per noi non era disponibile. Noi avevamo il 58 come corona più grande, l’ideale sarebbe stato un 60 o un 62, perché gli ultimi chilometri erano proprio veloci. Perciò Pogacar con il 60 è andato bene e in salita con il 46×34 era giusto. Secondo me aveva il 46-60 perché il limite del salto tra le due corone sono 14 denti. Io ho chiesto di avere il 44-60: se riescono, siamo a posto perché avremmo una copertura più grande di percorsi. Il 46×34 lo spingi bene, ma idealmente sarebbe meglio avere il 44×30, così ho una scala più lineare. Se metto il 34, uno fra il 17 e il 19 devo tenerlo fuori, invece con il 30 potrei rimetterlo. Però comunque il 46-60 è stato una buona scelta.
Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30
Perché è stato giusto non usare la monocorona?
Si può usare quando c’è una strada molto veloce o una discesa. Però di solito, se c’è una discesa, prima c’è stata una salita. E se, come in questo caso, non è pedalabile, allora ti serve la doppia corona. Non puoi correre con il 62×38. Anche perché se usi il 62, già passare dal 13 al 14 è un bel salto rispetto a quando hai il 53. Se poi mi togli anche dei rapporti dietro e ne fai due ogni volta per montare il 38, finisce che ti serve anche una catena lunga un chilometro… Io sono più un fan della doppia corona.
Dipende anche dai percorsi?
Ormai mettono sempre sia la salita ripida che la discesa veloce, quindi devi avere l’opzione di due corone. La mono va bene nella crono di Desenzano al Giro, ma già in quella di Perugia secondo me non andava (Pogacar che ha vinto aveva la doppia, Ganna che ha fatto secondo aveva la monocorona, ndr). Le crono più belle in un Giro sono quelle dove ci sono salita e discesa. Diverso magari se si parla di una crono dei mondiali o delle Olimpiadi.
Se la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondoSe la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondo
L’anno scorso ai mondiali, la salitella al castello di Stirling premiò Evenepoel e penalizzò Ganna…
Sono scelte che fanno in base ai posti che devono raggiungere, cercando di non favorire i passisti o gli scalatori. Le Olimpiadi ad esempio quest’anno strizzano di più l’occhio agli specialisti, ma non so con quale criterio l’abbiano disegnata così. Chi organizza fa una proposta. Poi c’è una commissione che approva e penso che scelgano un percorso che possa creare la massima indecisione nella vittoria. In un Giro invece è diverso. E soprattutto la crono finale, se la fai dura, sai già che arriveranno davanti quelli di classifica. Al netto di ogni ragionamento, è così che va a finire.
Dopo essere stata per tutto il giorno davanti al pullman del UAE Team Emirates, la bici gialla è spuntata ai piedi del podio sulla spalla di Tadej Pogacar. Lo sloveno aveva appena vinto il Tour e, con un gesto mai visto prima, è salito sul podio portando la bici e sollevandola al cielo. Non era mai successo. Si ricorda Roglic con una Cervélo rossa sul podio finale della Vuelta, ma quella Colnago gialla sul tetto della Grande Boucle ha fatto a suo modo la storia.
E proprio la storia dice che la V4RS gialla è stata verniciata soltanto giovedì, tre giorni prima della fine del Tour. Per tutta la sana scaramanzia di chi conosce il mondo dello sport, l’azienda di Cambiago aveva tenuto libero un turno di due ore dal proprio verniciatore. Quando c’è stata la certezza della conquista, la bici ha indossato la sua livrea gialla. E’ stata recapitata al Tour venerdì mattina, mentre Pogacar si accingeva a vincere la quinta tappa a Isola 2000. E pur violando la sacra regola secondo cui lo sposo non deve mai vedere la sposa alla vigilia, venerdì sera Tadej l’ha vista, ma ha preferito non usarla sabato. La motivazione? Una parola italiana che è uscita perfettamente comprensibile dalla sua bocca: «Scaramanzia!».
La VRs4 gialla di Pogacar ha posato domenica mattina ed è poi salita con lui sul podioLa VRs4 gialla di Pogacar ha posato domenica mattina ed è poi salita con lui sul podio
Il Tour per Colnago
Della bici gialla e di che cosa abbia significato la vittoria di Pogacar parliamo con Nicola Rosin, amministratore delegato di Colnago, che sta vivendo una delle più belle settimane da quando ha accettato l’incarico di occuparsi e ridare luce a quel marchio tanto prestigioso. E’ immediato capire che ci troviamo al centro di una giostra velocissima, in cui conciliare il lato tecnico e le esigenze degli atleti con tutti gli aspetti legati al marketing che in questo momento è probabilmente prioritario.
Che significa per un brand come Colnago un Tour del genere, dopo un Giro del genere?
E’ il riconoscimento perfetto di tre anni e mezzo di lavoro, un coronamento. Non vorrei dire che ci stiamo abituando, comunque questo è il quarto Grande Giro che Tadej vince con la cosiddetta nuova Colnago. Parlo di coronamento perché tre anni e mezzo fa è stata avviata una strategia di prodotto e insieme è nato il desiderio di creare un rapporto simbiotico con il team. Ma neanche nella regia del film più ottimistico, si poteva immaginare che sarebbe andato tutto così bene. Per noi significa esserci consolidati come il brand road più desiderabile al mondo, che era l’obiettivo che con Manolo Bertocchi ci eravamo posti a gennaio del 2021. Hai fatto una bici performante che vince, con bella creatività. Hai una squadra cui ti lega un rapporto simbiotico. E hai l’atleta per antonomasia e non stiamo parlando del ciclista, ma di un atleta di valore assoluto, che vince non solo dal punto di vista sportivo. Cosa ci manca?
La bici è arrivata al Tour venerdì, ma Pogacar non ha voluto usarlaLa bici è arrivata al Tour venerdì, ma Pogacar non ha voluto usarla
Dietro tanto lavoro di marketing c’è anche tanto lavoro di progettazione. Non sono sfuggiti i 1.300 grammi limati sulla bici da crono, ad esempio…
Esatto. E non solo quella da crono, ma anche la V4RS è una bici che ha fatto un salto quantico rispetto alla V3RS. Bisogna dire che la squadra e Tadej sono personaggi molto esigenti, gente che giustamente pretende il massimo. E tu devi stargli dietro, sapendo che ormai si lavora al livello della Formula Uno. Si ragiona sui decimi di secondo, sui grammi o le percentuali di rigidità e aerodinamicità. Dietro quella bici gialla c’è davvero tanto…
In che misura siete dovuti intervenire sulla struttura aziendale per stare dietro a queste richieste?
Abbiamo fatto un più 40 per cento sul personale in Italia, che è il cuore della produzione. Poi abbiamo aperto anche una piccola divisione di ricerca e sviluppo ad Abu Dhabi. Ma soprattutto poi, a parte le teste coinvolte, direi che il salto di qualità si deve al processo di responsabilizzazione. Noi oggi abbiamo dei manager che si sentono responsabili e che hanno sviluppato un grande senso di appartenenza e di partecipazione. Quindi non è solo il numero di persone, ma come le responsabilizzi. Se vuoi fare le cose per bene, essere sul pezzo commercialmente, cavalcare sempre tutte le onde e andare a vincere un Tour de France, devi avere il giusto numero di persone, ma soprattutto dei manager capaci di far funzionare la macchina. Gente come Mauro Mondonico, Davide Fumagalli e Manolo Bertocchi hanno… licenza di uccidere. Facciamo prima le cosiddette riunioni di management, però poi loro hanno la libertà di gestire. Hanno la delega a operare, quindi quello che conta è il livello di responsabilizzazione.
Anche le ruote ENVE sono state customizzate con dedica al campione della maglia giallaAnche le ruote ENVE sono state customizzate con dedica al campione della maglia gialla
Si potrebbe dire facilmente che Colnago ha la stessa proprietà di UAE Team Emirates, quindi è tutto più facile. In realtà, in quale misura dovete lavorare per essere all’altezza?
Si continua a lavorare, ovviamente, anzi certi risultati sono di stimolo. Siamo fratelli, siamo parte della stessa proprietà, però lavoriamo come se non lo fossimo. Va bene essere simbiotici, però dobbiamo meritarci questo tipo di partnership e anche loro in qualche maniera devono essere alla giusta altezza. C’è un rapporto biunivoco, per cui siamo già al lavoro su nuovi progetti. Speriamo che quel dream team sia destinato a vincere per il prossimo filotto di 2-3 anni, per cui la bici deve essere all’altezza. Non a caso lunedì mattina Tadej non ha fatto niente con nessuno, al di fuori di un’intervista in cui diceva di no alle Olimpiadi e parlare di nuovi progetti con Colnago.
Da cosa si capisce che la bici è diventata l’oggetto del desiderio nel mondo corse?
Prima che partisse il Tour, a Palazzo Vecchio di Firenze abbiamo fatto la conferenza stampa per presentare la bici ufficiale del Tour: la C68 Fleur de Lys. Le vendite sono state aperte alle 16. Io stavo parlando con Manolo, quando una nostra assistente mi ha fatto l’occhiolino. Significava che dopo mezz’ora era già tutto sold-out. In 30 minuti abbiamo venduto 110 bici a 23 mila euro ciascuna: per me questo è desiderabilità. Funziona essere un’azienda con una strategia ben definita e il team certifica la validità del nostro operato. Poi, in termini di business, non so valutare quanto valgano l’ingrediente squadra e Tadej. Hanno un’importanza soprattutto in alcuni mercati, mentre ce ne sono altri completamente scollegati dal mondo delle corse. Ma adesso vi racconto un altro episodio…
Sulla Prologo Nago R4 sono riportate tutte le vittorie più grandi di PogacarSulla Prologo Nago R4 sono riportate tutte le vittorie più grandi di Pogacar
Prego.
Alla cena di gala a Firenze per l’inizio del Tour c’erano più o meno 100 invitati, modello matrimonio, nella corte di Santa Maria Novella. C’erano tutti i brand più altisonanti del Tour. Sto parlando di LCL e di Skoda, sto parlando di Tissot. Sto parlando di tutti i brand top, ma c’erano solo due marchi ben visibili. Uno era il Tour de France, perché è un brand ed ha una forza pazzesca. Il secondo era Colnago, con la bici esposta nel palco centrale. Ebbene, è stato possibile perché il nostro ufficio marketing e le persone che lo rappresentano sanno trasformare i progetti in realtà.
Che rapporto c’è fra Tadej Pogacar e Colnago?
Quando gli abbiamo proposto di portare la bici gialla sul podio, Tadej sicuramente ha gradito l’assist e gli è piaciuta l’idea di dare un riconoscimento anche a noi. Ma è successo perché qualcuno l’ha fatto succedere. Oggi è in Slovenia con il Presidente della Repubblica, fanno la festa di piazza e qualcuno di Colnago è con lui. Si è creato un rapporto per cui devo dire bravi ai miei uomini dello sport marketing che hanno costruito una relazione assolutamente pazzesca. Il Covid ci ha portato ad allontanarci dai nostri interlocutori, confinandoci nelle call e nelle telefonate. Invece Colnago dimostra ancora che alla fine il luogo fondamentale dove succedono le cose è la strada. Noi dobbiamo esserci. L’ufficio del team marketing qui a Cambiago è sempre vuoto e questo per me è un orgoglio, perché significa essere sempre sul campo. Ieri uno era in viaggio per la Slovenia, un altro era con la squadra per mettere a posto le cose dopo il Tour, un altro ancora era da un fornitore nelle Marche.
La bici gialla è stata fotografata anche più di tanti corridori importanti…
In realtà non era una sola, si vedeva dai bollini. Una era lì davanti, le altre erano sulle due ammiraglie. E’ stato bravo Gabriele Campello a sistemarla fuori dal recinto, evitando che ci parcheggiassero davanti le ammiraglie. Anche questo è possibile perché adesso con i meccanici abbiamo un rapporto bellissimo.
Con la sua Colnago gialla sul palco. Quella bici resterà a Pogacar come ricordo del suo terzo TourCon la sua Colnago gialla sul palco. Quella bici resterà a Pogacar come ricordo del suo terzo Tour
Si può fare una differenza fra Giro e Tour?
Dal punto di vista internazionale, il Tour ha più risonanza, perché sono stati bravi a costruirlo in un certo modo. Però vincere il Giro d’Italia con una bicicletta italiana ha generato un’onda mediatica che in Italia spacca e rimbalza fuori in maniera molto importante. Forse da azienda italiana direi che le due corse per noi hanno avuto lo stesso impatto. Il buon vecchio Giro per il quale quest’anno mi sento di fare complimenti. E’ stato un film meraviglioso. Quest’anno abbiamo visto un Giro veramente in ripresa, è stato incoraggiante, speriamo che continui così. Anche il supporto ricevuto dal Governo è qualcosa che non si era mai visto. Vuol dire che forse i nostri politici, come è sempre avvenuto in Francia, hanno capito che il Giro d’Italia e il ciclismo sono il modo migliore per promuovere il Paese.