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Adam Yates, Caruso, Bernal: verdetti dal Romandia

30.04.2023
6 min
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Con una volata lunga, potente e intelligente Fernando Gaviria si è aggiudicato l’ultima tappa del Giro di Romandia. La corsa svizzera arrivava sulle sponde del Lago di Ginevra, dove il gigantesco zampillo schizzava nell’aria centinaia di litri di acqua al minuto. Una potenza pari a quella del colombiano che in questa stagione ha firmato così il suo secondo successo.

«E’ stata una giornata difficile – ha detto Gaviria – mi sono staccato sulle salite (molte nella parte centrale, ndr) ma la squadra mi è stata vicino. Nel finale però stavo bene. All’ultimo chilometro ero ben piazzato e sono partito lungo. Questo successo è molto importante per me in vista del Giro perché mi sono allenato tanto e bene».

Ma questa bella corsa nel nord ovest della Svizzera ci ha detto molto di più. Sono emersi verdetti interessanti sui quali è bene fare delle considerazioni, a partire dal vincitore della corsa, Adam Yates, e della sua squadra.

Prima però, tanto per restare in casa Movistar, un appunto di merito va a Matteo Jorgenson. Lo spilungone californiano è arrivato secondo nella generale. Continua ad essere costante nel rendimento e se oggi Gaviria ha potuto vincere, una grossa mano gliel’ha data lui. Nei chilometri finali è stato grazie alle sue trenate se il vantaggio della fuga è letteralmente crollato. Occhio dunque a questo classe 1999.

In casa UAE

Ma torniamo ad Adam Yates. La prima di queste riflessioni riguarda proprio la UAE Emirates. La squadra di Mauro Gianetti conferma il suo trend di crescita. In questa stagione Adam ha preso parte a tre corse a tappe da capitano, ne ha vinte due e in una è caduto.

Matxin – come sempre – era stato di parola: «Ayuso andrà al Romandia in supporto di Adam Yates. Ma se starà bene come fermarlo?». E ancora: «Juan sa aiutare i compagni». Dopo la prestazione a crono e la maglia di leader finita sulle spalle del giovane spagnolo si è verificato tutto alla lettera. Verso Thyon 2000 Ayuso ha capito di non essere al meglio e ha dato via libera a Yates. Morale: tappa, maglia e corsa ad Adam.

«Sono contento per me e per la squadra – ha detto Yates – era giusto ieri stare vicino ad Ayuso, perché lui è un talento. Ma poi non era al meglio e mi ha detto di andare. Oggi abbiamo controllato la gara con tranquillità. Siamo una squadra forte e compatta. E’ una vittoria di tutti noi».

Questo certifica che la UAE sta lavorando bene e che per questo ciclismo di livello siderale servono dei gregari di extra lusso. Adam Yates aveva questo spazio del Romandia per sé. Lo ha sfruttato al meglio e ora lavorerà in ottica Tour per Pogacar. E lo farà con convinzione nei propri mezzi, con la tranquillità di chi ha vinto e potrà così dare il 101 per cento per lo sloveno.

Capitolo Ayuso: siamo di fronte ad un nuovo fenomeno. Lo sapevamo, sì, ma stare lontano dalle corse per tanti mesi, rientrare mentre gli altri sono a pieno regime e ottenere un successo a crono, un secondo posto in un’altra tappa e dare una grossa mano ai compagni non è da tutti. Specie se hai appena 20 anni.

Al Romandia visto un ottimo Caruso. Bene in salita, ma bene anche a crono (sesto). Ottimi segnali in vista del Giro
Al Romandia visto un ottimo Caruso. Bene in salita, ma bene anche a crono (sesto). Ottimi segnali in vista del Giro

Caruso c’è

Damiano Caruso: zitto, zitto “Damianuzzo” esce sempre. Nel tappone di Thyon arriva terzo a 19” da un super Yates. E’ in forma Giro d’Italia. Al Giro di Sicilia era palesemente ingolfato dal tanto lavoro. Che sia ancora una volta lui il salvatore della Patria? E’ probabile.

Damiano non ama troppo sentir parlare di ruolo da capitano, leader, classifica… però è lì. Queste prestazioni danno consapevolezza. La salita di Thyon era una scalata vera. Lunga. Dura. Adesso il siciliano della Bahrain-Victorious sa che ha lavorato bene. E che si è scontrato con gente che faceva del Romandia un obiettivo primario.

«Conoscevo molto bene l’ultima salita” – ha detto Caruso – era lunga quindi era fondamentale gestire al meglio lo sforzo. E io l’ho gestito bene. Nel finale ho avuto la forza di aumentare e agguantare il terzo posto.

«Questo podio nella classifica generale mi dà soddisfazione perché dopo Il Giro di Sicilia volevo dimostrare che la mia condizione è buona. Inoltre mi dà morale e più fiducia in vista del Giro».

Ai 2090 metri di Thyon 2000 Bernal è giunto ottavo a 54″ da Adam Yates
Ai 2090 metri di Thyon 2000 Bernal è giunto ottavo a 54″ da Adam Yates

Toh, Bernal

Un altro corridore che può uscire col sorriso dalla Svizzera Romanda è Egan Bernal. Il colombiano della Ineos Grenadiers batte un colpo… non in terra, finalmente. Ottavo nell’arrivo in salita, ottavo nelle generale. Per la prima volta dall’inizio dell’anno, ma se vogliamo dal suo ritorno alle corse, Bernal riesce a concludere una gara senza intoppi

E questo è un bel segnale non solo per Egan, ma per il ciclismo intero che potrebbe ritrovare un altro protagonista sopraffino. In attesa di sfide epocali con Pogacar, Evenepoel, Vingegaard… le poche parole di Egan dicono tutto: «Non si tratta di numeri, ma di carattere. Una top dieci nella generale per me è una piccola grande vittoria. Ora torniamo a casa e continuiamo ad allenarci».

Yates Barcellona

La corsa a piedi? Nel ciclismo non è più un tabù…

09.07.2022
5 min
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Nella recente intervista a Michael Woods, il canadese della Israel Premier Tech, ricordando il suo passato di promettente mezzofondista in atletica leggera, sottolineava un aspetto legato all’attività ciclistica e ai suoi effetti.

«Se sei sempre in bici – ha detto – in realtà stai facendo solo un range di movimento davvero ridotto. Così influisci male sul tuo corpo. Alcuni esperti mi hanno detto che molti ciclisti professionisti finiranno con problemi di densità ossea, perché semplicemente non corrono né camminano mai».

Un’affermazione del genere non poteva passare inosservata. Il rapporto fra corsa a piedi e in bici, che pure hanno tanto in comune al punto da essere unite da discipline multisportive come duathlon e triathlon, spesso è stato visto in antitesi da preparatori e diesse, ma è ancora così? In fin dei conti sono tanti i pro’ che, anche solo per una sgambatina per scaricare la tensione, effettuano uscite di corsa a piedi. Anche al Tour de France non mancano esempi di protagonisti che iniziano la giornata con una mezzoretta di corsa su strada, Roglic in testa.

Notari 2022
Giacomo Notari, preparatore dell’Astana, ritiene la corsa a piedi un ottimo compendio aerobico per il ciclismo
Notari 2022
Giacomo Notari, preparatore dell’Astana, ritiene la corsa a piedi un ottimo compendio aerobico per il ciclismo

Ciclismo e corsa, sport fratelli

Come la pensano oggi coloro che sono chiamati a impostare l’allenamento degli atleti? Abbiamo sottoposto le riflessioni di Woods a Giacomo Notari, preparatore dell’Astana.

«Il canadese ha complessivamente ragione – dice – considerando che si tratta di due movimenti legati all’endurance e quindi che influiscono molto sul sistema cardiovascolare, ma molto diversi fra loro. Il ciclismo ha un movimento ciclico, quello pedestre ha un forte impatto sul terreno, ripetuto. Diciamo che si compendiano, anzi si può dire che il ciclismo sia per certi versi ancor più utile al corridore a piedi del contrario».

Perché?

La storia di Woods è già esemplare in tal senso: chi subisce un infortunio nella corsa, riprende a fare attività fisica attraverso discipline come il nuoto e il ciclismo che permettono di allenare il fisico a livello cardiovascolare in assenza di peso, senza traumi impattanti col terreno. Come detto prima, si tratta di due specialità endurance che aiutano e incrementano le qualità aerobiche.

Woods Tour 2022
Michael Woods, in gara al Tour, non ha mai dimenticato le sue radici nell’atletica
Woods Tour 2022
Michael Woods, in gara al Tour, non ha mai dimenticato le sue radici nell’atletica
E’ pur vero però che la corsa è sempre stata vista poco favorevolmente nel mondo ciclistico…

E’ qualcosa che è andato cambiando negli ultimi anni con l’affermazione sempre più diffusa della multidisciplina. Se guardiamo a mezzo secolo fa è vero, le tabelle di allora non prevedevano la corsa perché si pensava facesse male andando a inficiare la ciclicità del movimento, ma non è più così. Ormai ogni preparatore la giudica una specialità complementare, sicuramente necessaria per chi fa ciclocross, ma utile anche per chi è concentrato sulla strada.

C’è da fare una distinzione nel suo utilizzo in base al periodo?

Direi di sì. La preparazione invernale ad esempio è andata molto cambiando nel tempo, prevede palestra e anche corsa a piedi quando invece una volta si lavorava prevalentemente in bici. D’estate nel pieno dell’attività si usa meno, ma molti preferiscono al mattino fare leggere uscite per riattivare il metabolismo. Van Aert ad esempio è uno di questi. Va sottolineato poi il fatto che si tratta di atleti che hanno anche una certa predisposizione per gli sport di endurance nel loro complesso. Lo stesso belga è comunque uno capace di correre la mezza maratona a un ritmo di 4’ al chilometro che non è da tutti (nella foto di apertura Adam Yates alla Maratona di Barcellona, chiusa in 2h58’46”, ndr). Molto c’entra anche la provenienza geografica.

Van Aert corsa 2022
Wout Van Aert a Livigno: la corsa a piedi fa parte del suo programma di allenamento da sempre
Van Aert corsa 2022
Wout Van Aert a Livigno: la corsa a piedi fa parte del suo programma di allenamento da sempre
In che senso?

Chi viene da un Paese freddo come Olanda o Belgio d’inverno ha buoni vantaggi nell’abbinare alle uscite in bici quelle sostitutive a piedi, perché in tal modo si riesce a fare meno fatica considerando la temperatura e si ha comunque la base aerobica di cui si ha bisogno nel quadro complessivo della preparazione. Per i mediterranei il discorso è diverso: in Spagna il clima è sempre favorevole, tanto è vero che le squadre prevedono ritiri quasi tutti i mesi in loco.

Ci sono controindicazioni?

E’ importante che la corsa a piedi sia qualcosa di naturale, che “appartenga” al corridore come nel caso di Woods. Iniziare dall’oggi al domani significa andare incontro ad almeno due settimane di indolenzimento muscolare che non fa bene a chi pretica attività ciclistica. Se invece è qualcosa di connaturato, di normale, allora non ci sono problemi. Tornando al paragone col passato, bisogna dire che le nuove generazioni sono nate nello spirito della multidisciplina, quindi la corsa fa già parte della loro cultura sportiva. A maggior ragione se praticano specialità offroad come il ciclocross o la mountain bike, dove l’attività a piedi è parte integrante della disciplina. Ma su questo tema io andrei anche oltre.

Boaro 2022
Manuele Boaro è uno dei ciclisti italiani che ha sempre praticato la corsa su strada
boaro 2022
Manuele Boaro è uno dei ciclisti italiani che ha sempre praticato la corsa su strada
Ossia?

Nel caso dei bambini bisogna spingerli a fare la gamma più ampia di sport per accrescere il loro background motorio e sviluppare qualità diverse. Quando si entra nell’età adolescenziale si comincia a fare attività specifica, ossia a individuare quali saranno le specialità più adatte, ma io personalmente sono contrario a concentrare ragazzi di 13-14 su una sola specialità. Avranno tutto il tempo.

Tu che vivi nell’ambiente, ci sono esempi anche in Italia di ciclisti che fanno anche attività di corsa?

Sì, Boaro è uno fra questi. Sicuramente però – e parlo anche in relazione a quel che vedo nel mio team – per i corridori stranieri l’uscita di corsa a piedi è cosa normale, noi siamo ancora un po’ figli di una concezione antica, che piano piano si va sradicando.

Yates scatta ma piega (ancora) la testa. UAE Tour a Pogacar

26.02.2022
4 min
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Un deja vu, un copia e incolla, una replica. Chiamatela come volete, ma dopo un anno si è ripetuta la stessa scena, sulla stessa salita, tra gli stessi interpreti. Adam Yates che attacca, Tadej Pogacar che risponde, soffre, e poi vince.

L’epilogo del UAE Tour è andato più o meno secondo i programmi. I due uomini più in forma e forse più adatti a questa scalata, quella di Jebel Hafeet, hanno tenuto fede alle attese. Ma forse alla fine tutto è racchiuso nelle parole proprio di Yates: «E’ difficile staccare un doppio vincitore del Tour de France».

Adam Yates attacca forte, screma il gruppo, ma non stacca lo sloveno. L’inglese fu 2° nel 2021 e 3° nel 2020, sempre dietro a Pogacar
Adam Yates attacca forte, screma il gruppo, ma non stacca lo sloveno. L’inglese fu 2° nel 2021 e 3° nel 2020, sempre dietro a Pogacar

Errore Yates?

Però qualche errore c’è eccome da parte sua. E se è vera quella sua frase, anche la disamina che fa non convince del tutto.

«Oggi abbiamo lavorato duramente – ha detto il portacolori della Ineos-Grenadiers – come per tutto il giro. Al primo attacco sono andato a tutto gas fino a non averne più (e già qui c’è forse un piccolo errore tattico, ndr). Mi sono guardato dietro e speravo che Pogacar non fosse attaccato alla mia ruota, ma era piuttosto difficile. 

«Ho riprovato proprio alla fine e ancora non riuscivo a liberarmi di lui. Su un traguardo come questo è abbastanza veloce in volata. Tutto sommato, penso che possiamo essere contenti di come abbiamo corso».

Quel che dice l’inglese non è del tutto sbagliato, ma ci sono dei ma… Tu sai chi è il tuo avversario, sai che in volata è più veloce, sai come va su quella specifica salita perché ci hai già perso e ripeti lo stesso errore? Come si dice: sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

Inizia la scalata verso Jebel Hafeet, scalata di 10,9 chilometri al 6,7% e che arriva a quota 1.030 metri
Inizia la scalata verso Jebel Hafeet, scalata di 10,9 chilometri al 6,7% e che arriva a quota 1.030 metri

L’assoluzione di Garzelli

Stefano Garzelli, che ha commentato la gara per la Rai, però in qualche modo tende la mano ad Adam. Anzi, lo assolve proprio.

«E che cosa poteva fare di diverso Yates? Ha provato a vincere la corsa – dice – e al tempo stesso a difendere il podio perché c’era anche Almeida. Il UAE Team Emirates si è rinforzata tantissimo. Ha fatto tirare Bennett, poi Majka e anche Almeida… oltre a Pogacar. Se avesse aspettato l’ultimo chilometro avrebbe rischiato tantissimo. Sarebbero rimasti in cinque con due UAE (Pogacar e Almeida, ndr) e si sa che su un arrivo così Joao è pericolosissimo ai fini del podio».

Ma cosa avrebbe fatto il Garzelli corridore? Non avrebbe giocato un po’ d’astuzia? Forse qualcosa di più o quantomeno di diverso si poteva fare…

«Più che in Yates, per caratteristiche mie mi vedo più nella parte di Pogacar – dice Garzelli – in una situazione del genere avrei pensato a difendermi per vincere poi in volata. Se proprio devo imputare qualcosa all’inglese dico che questa volta poteva gestire meglio la volata. Quello sì. Doveva anticiparla lui e non farsi trovare davanti in quel punto. Doveva sapere che partendo da dietro, l’altro gli prende quei cinque metri difficili poi da chiudere. E che doveva arrivare davanti all’ingresso dell’ultima curva.

«Ripeto – dice – Yates ha giocato bene le sue carte. La salita la conosceva bene. Ha attaccato nel punto più duro, per di più in un momento in cui la UAE Team Emirates tirava forte, dando una dimostrazione di grande forza. E credo anche che allo “scollinamento” Pogacar abbia sofferto. Ma lui è forte anche in questo: ha una grande capacità di tenere duro e di essere lucido quando è sotto pressione e a tutta. Sapeva che se avesse tenuto fino a quel punto poi lo sprint sarebbe stato dalla sua».

Pogacar re della quarta edizione del UAE Tour
Pogacar re della quarta edizione del UAE Tour

Anche Pogacar soffre

Ed è vero, ha ragione Garzelli: anche Pogacar ha sofferto. «E’ sempre un piacere vincere a Jebel Hafeet», ha detto soddisfatto lo sloveno a fine gara.

«La squadra aveva lavorato molto – ha proseguito – e dovevo ripagare questo sforzo. Tutti i miei compagni hanno tirato forte, soprattutto Rafal Majka che aveva attaccato: sarei stato felice di lasciarlo andare per la vittoria di tappa, ma non ci è riuscito.

«Poi ad un certo punto, Adam è andato all’attacco ed è stato uno degli affondi più duri che abbia mai visto. E’ stata davvero dura ricucire. Ho sofferto molto.

«Ho aspettato che Joao Almeida e Rafal Majka rientrassero. Ci ha provato anche Joao e quando anche lui è stato ripreso a quel punto ho pensato solo alla volata. Il UAE Tour è per noi il primo traguardo della stagione. E’ la nostra gara di casa. È importante per i nostri sponsor».

E anche su questo ultimo punto Garzelli ha la sua teoria: «Staccare Pogacar di questi tempi è pressoché impossibile, ma poi valutiamo una cosa. Per la sua squadra questo è l’appuntamento più importante dopo il Tour. Vincere questa tappa con la maglia di leader, vincere l’intero Tour… è un bel colpo per loro. E si è visto anche da come hanno festeggiato dopo l’arrivo i corridori, ma anche lo staff, a partire dallo sceicco, Gianetti e Agostini».

Gemelli Yates, uguali per modo di dire! Algeri racconta

31.03.2021
4 min
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Gli Yates sfuggono alla regola, come fu in epoca recente anche con gli Schleck, secondo cui tra due fratelli che corrono uno va forte e l’altro fa numero. Sarà perché sono gemelli? I due britannici vanno come le moto e adesso che Adam è passato alla Ineos Grenadiers avranno finalmente modo di misurarsi. E se inizialmente è parso strano che si siano separati, adesso la novità inizia a sembrare ghiotta. Pur essendo gemelli, quali sono le differenze fra loro? Lo abbiamo chiesto a Vittorio Algeri, che li ha accolti alla Orica-GreenEdge nel 2014 e li ha visti crescere.

Lo scatto di Simon Yates verso Prati di Tivo è stato un bel segno di vitalità
Lo scatto di Simon Yates verso Prati di Tivo è stato un bel segno di vitalità
Sono proprio uguali?

Mica tanto. Adam è più estroso e al limite anche nervoso. Simon è più calmo e riflessivo. Adam a volte esplode. Sono sempre stati così, ma fra loro vanno d’accordo, pur essendo sempre in competizione. Se uno vince, l’altro cerca di pareggiare subito i conti. Ricordate quando nel 2018 Simon vinse alla Parigi-Nizza e il giorno dopo Adam andò in fuga e vinse alla Tirreno-Adriatico a Filottrano? Fra loro è sempre così.

Simon sembrava più vincente…

Simon sembrava il predestinato, ma Adam ripeteva che avrebbe vinto grandi corse anche lui. Al Catalunya ci è riuscito e si è lasciato indietro anche il fratello, ma va detto che Simon ha perso le corse spagnole di inizio stagione e ha bisogno di fare chilometri.

Scattano entrambi in salita con il lungo rapporto.

Adam ha sempre esagerato. La sua prima corsa con noi fu in Argentina. Nella settimana che precedeva la gara, seguendolo in allenamento non facevo che dirgli di andare più agile. Poi però vinse la classifica dei giovani, quindi evidentemente quei rapportoni non li pagò.

Adam Yates ha vinto il Catalunya, precedendo i compagni Porte e Yates
Adam Yates ha vinto il Catalunya, precedendo Porte e Yates
Simon è più agile?

Agile è un parolone – sorride Algeri – e comunque hanno i loro allenatori che li guidano. Piuttosto spero che Simon abbia risolto i suoi problemi e possa tornare quello del Giro 2018. Ha doti importanti. L’anno scorso era preparato bene per il Giro, poi saltò fuori la positività al Covid. Quest’anno ha corso la Tirreno senza preparazione. A Prati di Tivo ha attaccato bene, ma si è visto che in finale gli è mancata la base. E a Castelfidardo ha avuto i crampi per lo stesso motivo.

Era prevedibile che si sarebbero separati?

Secondo me era nell’aria e credo che Ineos abbia fatto una bella offerta. In più qui al Team Bike Exchange nel frattempo era tornato Matthews, per cui il budget si è stretto.

Ricordi quando dissero che non sarebbero mai andati al Team Sky?

Ci ho pensato (Algeri ride, ndr), ma cambiare idea ci può stare. Il primo pensiero quando Adam disse che sarebbe andato là, fu che sarebbe andato a tirare per gli altri. In realtà fino a questo momento ha avuto le gambe per imporsi ed essere lui uno dei leader. Sono contento se riuscirà a confermarsi a quel livello, altrimenti ci saranno logiche di squadra da seguire, come è normale.

Simon e Adam alla Vuelta 2018 corsa insieme: Adam si riconosce per la cicatrice sul mento
Insieme alla Vuelta 2018: Adam si riconosce per la cicatrice sul mento
Lo vedi adatto ai grandi Giri?

Sulla carta si è sempre pensato che fosse Simon il più adatto alle tre settimane, in cui bisogna sapersi gestire in modo più oculato. Adam può vincere bene il Catalunya, anche se sempre con noi fece un bel Tour nel 2016, arrivando 4° in classifica dietro Froome, Bardet e Quintana, ma a soli 37″ dal secondo posto. E sempre quell’anno vinse la maglia bianca. Sarei curioso di vederlo partire come leader, per capire come regge la responsabilità.

Mentre Simon?

Simon deve mettere chilometri nelle gambe. Non so se al Catalunya abbia sofferto il fatto di stare dietro al fratello – chiude Algeri – spero solo che torni ai suoi livelli. Così poi vederli uno contro l’altro sarà ancora più divertente.

Yates “gregario” di Pogacar?Il punto tattico con Bartoli

24.02.2021
4 min
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La prima tappa di salita dell’UAE Tour ha subito lasciato verdetti importanti. Il primo: Tadej Pogacar è già in palla. Il secondo: Nibali non è andato poi così male. Il terzo: Joao Almeida è forte davvero, lasciamolo maturare. Il quarto: Chris Froome “scricchiola” in modo preoccupante. E il quinto: Adam Yates è in super forma ma è stato al tempo stesso protagonista di una tattica quantomeno discutibile. E su questo punto vogliamo insistere.

Siamo nella prima corsa WorldTour dell’anno e tutti vogliono vincere, specie nell’era del Covid in cui il senso di precarietà è alto e si cerca di prendere quel che c’è sul banco.

Il plotone all’assalto della scalata finale verso Jebel Hafeet. Ritmi subito altissimi
Gruppo sulla scalata finale verso Jebel Hafeet. Ritmi subito alti

Il forcing della Ineos

Ma torniamo alla tattica di Yates. La corsa vive sulla fuga di De Gent e Gallopin. I due, seppur in momenti diversi, vengono ripresi nella salita finale. A tirare è la Ineos-Grenadiers di Yates. Fino a quel momento l’inglese era quinto in classifica a 39” dallo sloveno.

Sotto le menate della sua squadra davanti restano in tre: Yates, Pogacar e Kuss. Lo stesso Yates accelera e restano in due: lui e Pogacar. Di “scatti” (con due virgolette grosse così) il portacolori della Ineos ne fa sei in tutto, restando sempre in testa. E così facendo agevola la vittoria di Pogacar.

Tra l’altro lo sloveno nel momento della volata è chirurgico. Sembra essere partito presto, invece ha calcolato come arrivo l’ingresso dell’ultima curva a 130 metri dalla linea finale. Si defila tre, quattro metri prima dello scatto e poi come inizia la leggera discesa si lancia. Yates a quel punto non può far altro che chiudere il gap…. e restargli dietro.

Adam Yates attacca e Pogacar resta (soffrendo) a ruota
Adam Yates attacca e Pogacar resta (soffrendo) a ruota

Yates gregario

Una tattica così non poteva passare inosservata a Michele Bartoli.

«Yates – dice il campione toscano – voleva vincere il UAE Tour e ha tirato tanto per recuperare quei 40” a Pogacar e non per vincere la tappa. Ma la sua è stata non dico una tattica suicida, ma quasi…. E’ stato poco lucido. Dal momento in cui ha capito che non lo avrebbe staccato più o quantomeno non gli avrebbe dato 40”, doveva smettere di tirare. Invece è stato il gregario perfetto di Tadej».

Yates ha portato 5-6 attacchi o, per meglio dire, accelerazioni. Spingeva forte ma restava sempre abbastanza composto. Non dava l’idea di chi stesse raschiando il barile.

«Quel tipo di scatti – riprende Bartoli – li puoi fare quando il terreno te lo consente. Sulla salita di ieri quando acceleravano andavano a più di 30 all’ora e a quella velocità a ruota si risparmia tanto. Voglio attaccare? Faccio tre scatti al massimo. Il primo vedere come sta e gli altri per provarci davvero, ma poi se non lo stacco mollo, non sto lì a finirmi.

«Se avessi corso io gli avrei chiesto collaborazione. Conoscendo la salita, e loro la conoscevano, avrei cercato di arrivare insieme fin sotto l’arrivo per poi giocarmi la tappa. Quando si attacca bisogna valutare le caratteristiche del percorso e dell’avversario. La tattica di Yates sarebbe andata bene se la salita fosse stata più dura. A quel punto lo stare a ruota avrebbe inciso molto molto meno e sarebbe diventato un testa a testa».

Nessun allenamento

Alcuni hanno vociferato che nel ciclismo tecnologico attuale Yates abbia corso con una sorta “contagiri”, come se si stesse allenando e non dovesse superare certi limiti. O che gli scatti non dovessero durare più di “X” secondi. Bartoli smonta subito questa tesi.

«Mi viene da ridere quando sento queste cose – dice il toscano – Io non ci credo. Ci sono troppe variabili. Un ritmo predefinito lo imposti magari se stai facendo un tappone in un grande Giro, ma non in una salita secca in cui cerchi la performance. In quel caso vai a sensazione».

Infine Michele chiude con un paragone che ha a dir poco del sublime.

«Tutti quegli scatti? Beh, se ne sarebbero dovuti fare un paio, ma alla morte. Non di più. Se ti devi gustare un bicchiere di buon vino non lo allunghi con l’acqua per farlo durare di più. Lo stesso vale in bici. Quel bicchiere non lo “annaffi” di scatti, altrimenti perdi la qualità. Da dove arrivano questi paragoni? Da Giancarlo Ferretti!».