Asgreen e la sindrome da fatica cronica: cosa dice il dottore?

19.08.2022
5 min
Salva

«Dopo una prima parte di stagione movimentata che lo ha visto affrontare l’intera campagna delle classiche – recita il comunicato della Quick Step-Alpha Vinyl del 15 agosto – Kasper Asgreen è stato coinvolto in un brutto incidente al Tour de Suisse, che ha messo in dubbio la sua partecipazione al Tour de France. Lo stress della caduta e i successivi tentativi di prepararsi per il Tour hanno purtroppo portato Kasper a sviluppare una sindrome da stanchezza, il che significa che il suo corpo non si sta più riprendendo da sforzi anche di bassa intensità. E’ stato quindi deciso che smetterà di correre per il resto di questa stagione e si prenderà un periodo di recupero, prima di concentrarsi sulla preparazione per il 2023».

Nel 2014 a Ponferrada, Besnati divenne medico della nazionale di Cassani
Nel 2014 a Ponferrada, Besnati divenne medico della nazionale di Cassani

Una sindrome contro corrente

Notizie che danno da pensare. Come è possibile, ci siamo chiesti, che in questa epoca di preparazioni personalizzate e infallibili, un atleta di vertice di una squadra di vertice cada nella sindrome da stanchezza? Di cosa si tratta? Ha a che fare con l’overtraining? Asgreen ha sfidato i migliori alle classiche, poi è andato al Tour, ma si è fermato dopo l’ottava tappa.

Serve un dottore, la parola sindrome non lascia spazio a dubbi. E il dottore è Massimo Besnati, medico di lungo corso fra club e maglia azzurra, che quest’anno segue le nazionali giovanili. E’ stato agli europei di Anadia ed è in partenza per i mondiali juniores su pista a Tel Aviv. Il momento storico non è dei migliori per volare laggiù, ma il ciclismo non si ferma.

Dottore, cominciamo dall’inizio: cos’è questa sindrome?

Esiste in letteratura, si chiama sindrome da fatica cronica e viene studiata e descritta con maggior attenzione da un paio d’anni. Compare con sintomi ben precisi, anche senza grosse cause scatenanti. Non è un overtraining, che di questi tempi è cosa rara, vista la precisione degli allenamenti e preparatori che difficilmente sbagliano

Al Tour Asgreen ha provato la fuga, ma si è fermato sfinito dopo l’ottava tappa
Al Tour Asgreen ha provato la fuga, ma si è fermato sfinito dopo l’ottava tappa
Ci ha anticipato: le avremmo chiesto proprio questo. Come si fa a caderci vista la precisione delle preparazioni?

Parto dal presupposto che questi scienziati conoscano bene il loro lavoro. Tuttavia vanno su tabelle, cui ognuno risponde diversamente. A norma vengono considerate le abitudini di vita e i carichi di lavoro, ma siamo certi che accada sempre? Quello che vedo è che l’UCI aumenta i giorni di gara, le squadre portano i corridori a farne un numero spesso molto elevato e alla fine ti presti al… gioco di sindromi come questa. Serve più tempo per recuperare e per allenarsi. Servirebbe fare meno corse. La cura per la sindrome da fatica cronica è il riposo, non ci sono alternative. Se Asgreen ci ha corso sopra, capisco bene che lo abbiano fermato.

L’incidente in Svizzera, la rincorsa della forma e poi il crac…

Inseguire la forma in poco tempo è uno dei fattori scatenanti. Semplicemente perché il fisico non regge certi ritmi. I fattori ambientali possono incidere, il caldo ad esempio. In teoria hai tutto quello che serve per integrare, ma se il caldo perdura e non hai saldato il conto con il tuo fisico, non vai più avanti.

Mark Cavendish, BinckBank Tour 2020
La fretta di riprendere è la peggior consigliera: a causa sua, Cavendish si trascinò la mononucleosi per più di un anno
Mark Cavendish, BinckBank Tour 2020
La fretta di riprendere è la peggior consigliera: a causa sua, Cavendish si trascinò la mononucleosi per più di un anno
Saldato il conto?

Non esiste una gradazione di questa malattia, perché è molto soggettiva. Evidentemente il caso di Asgreen è piuttosto serio. Si arriva a determinarne la gravità proponendo una serie di domande su sonno e alimentazione, ad esempio. I parametri bioumorali sono molto variabili. Però è chiaro che se sei in debito di condizione e non hai una grande salute, è dannoso lavorare come se non ci fossero problemi. Il corpo non è in equilibrio e si peggiorano le cose.

Come si arriva alla diagnosi di questa sindrome?

Fai una serie di esami del sangue e magari viene fuori che i valori sono nella norma. Solo che l’atleta ha dolori muscolari, crampi, dorme male e allora ti viene il dubbio. Così verifichi che in bici i battiti non salgono e dopo un quarto dell’allenamento sei stanco come se l’avessi finito. L’errore di tanti è correre dietro al recupero e al rientro in tempo brevi, perché sono ancora in debito.

A fine Tour, accoglienza da re per Vingegaard in Danimarca. Fra gli invitati c’erano anche Asgreen e tutti i pro’ danesi
A fine Tour, accoglienza da re per Vingegaard in Danimarca. Fra gli invitati c’erano anche Asgreen e tutti i pro’ danesi
Par di capire che fermarsi subito permetta di rientrare prima.

Esatto. Se ti fermi dopo i primi segni e recuperi, allora è tutto più rapido. Come la mononucleosi, che di per sé sarebbe poca cosa. Sapete invece quanti atleti se la portano dietro per mesi? Cavendish è l’emblema, lui si è trascinato per un anno e mezzo. Ripartono. I valori sono ancora sballati. E non capiscono che devono fermarsi, altrimenti non recuperano.

Fermarsi è tuttavia un verbo impopolare, visto il numero delle gare e la necessità di fare punti…

Ma è necessario. Si dovrebbe dare una regolata al calendario, in modo da permettere ai corridori di recuperare. Le corse sono belle lo stesso, anzi forse lo sono di più. Adesso ci sono in giro 4-5 corridori hors categorie, che sembrano non doversi fermare mai. Può darsi che la specie si stia evolvendo, può darsi che siano davvero superuomini. Però starei attento, spesso in certi problemi si cade dando per scontato di essere invincibili.

Le fatiche di Jakobsen, dal calvario del Tour all’oro di Monaco

17.08.2022
5 min
Salva

Fabio Jakobsen non è il velocista più resistente del gruppo, i suoi 78 chili gli rendono indigesta la salita. Tuttavia al momento è indiscutibilmente il più veloce. Il perché soffra così tanto le montagne ha una spiegazione ben precisa. Fabio ha 25 anni e tutto ciò che riguarda la sua maturazione si è fermato contro l’incidente del Polonia. Anziché lavorare per migliorarsi, Jakobsen ha infatti trascorso l’ultimo anno e mezzo a ricostruirsi da quella caduta. E’ facile intuire che i suoi margini siano ampi, ma serve ancora tempo. Ai campionati europei di Monaco conquistati con una volata quasi di sufficienza, a tenerlo in apprensione sono state addirittura le salitelle del tratto in linea.

«Mi sono sentito bene – ha detto dopo la vittoria – sono sopravvissuto sulla prima salita, poi ho faticato un po’ sulle pendenze della seconda, ma l’ho superata mentre la squadra si assicurava di tenere sotto controllo il vantaggio della fuga. Negli ultimi 200 metri ho solo dovuto fare il mio sprint e sono felicissimo di questa vittoria, della medaglia d’oro e di avere questa bella maglia sulle spalle per i prossimi dodici mesi».

A Monaco una volata autorevole tirata da Van Poppel, nonostante le difficoltà in avvio
A Monaco una volata autorevole tirata da Van Poppel, nonostante le difficoltà in avvio

La lezione del Tour

Nella sua testa il Tour ha lasciato un segno profondo, come capita la prima volta che ti spingi oltre il limite. Se l’olandese non è riuscito a sprintare a Parigi, è stato per l’immensa fatica dei Pirenei. Impossibile dimenticare infatti il giorno di Peyragudes, quando Fabio tagliò il traguardo con appena 15 secondi di margine sul tempo massimo. Fu a suo modo un’impresa, sia pure a 36’48” da Pogacar, vincitore di giornata.

Era il 20 luglio e sul traguardo dell’aeroporto in quota si era radunata una piccola folla, composta da compagni di squadra e tifosi. Mentre lui, con grande dignità e il cuore in gola, si arrampicava precedendo il camion scopa, fino a crollare sulla transenna dopo il traguardo.

Penultimo già all’Alpe d’Huez, ma nel tempo massimo per oltre 4 minuti
Penultimo già all’Alpe d’Huez, ma nel tempo massimo per oltre 4 minuti

Un giorno da martire

La tappa non era lunga, appena 129,7 chilometri e quattro salite da leggenda. Ma come ogni giorno nell’ultima Boucle, è stata affrontata a tutto gas sin dai primi chilometri, vista la voglia di Pogacar di riguadagnare terreno su Vingegaard.

Brutta vita in questi casi per i velocisti, soprattutto se il caldo è un carico supplementare. Era il giorno in cui sarebbero andati a casa Majka, Wellens e Felline. Il limite era stato fissato al 18 per cento, per cui essendo andati tutti molto forte, il margine per i velocisti sarebbe stato poco superiore ai 37 minuti.

Giorni prima il team belga aveva perso Morkov, l’uomo che forse a Parigi avrebbe potuto guidare Jakobsen a un piazzamento migliore. Questa volta invece rischiava di perdere proprio il velocista. I suoi compagni Lampaert, Sénéchal e Honoré si sono avvantaggiati, tagliando il traguardo fra 32’03” e 32’16” di ritardo. Poi, raggiunto il traguardo, si sono fermati per aspettare il compagno. 

«Ho visto dalla sua faccia mentre saliva – ha raccontato Senechal con gli occhi rossi – che era davvero messo male. Davvero non si arrende mai. Lui è mio amico. Sono stato con lui oggi, come cerco di fare sempre. Voglio dare il massimo per lui. Gli ho detto di spingersi ai suoi limiti per la famiglia e per i suoi compagni di squadra. Questo è il Tour. Ora Fabio potrà correre sugli Champs Elysées».

Ecco il famoso arrivo di Peyragudes, con Jakobsen salvo dal tempo massimo per appena 15 secondi
Ecco il famoso arrivo di Peyragudes, con Jakobsen salvo dal tempo massimo per appena 15 secondi

Un fatto di grinta

La corsa contro il tempo massimo fa parte dell’essere un velocista e non più tardi di un anno fa la dura legge del cronometro colpì Arnaud Demare nella tappa di Tignes e quella volta finì a casa anche Guarnieri, che non si sognò di lasciare solo il suo capitano.

«Oggi Fabio è andato per tutto il giorno al massimo – ha commentato Tom Steels – non c’era da fare molti calcoli. Ha pedalato sempre al limite. Ora sappiamo su cosa lavorare per migliorare. Fabio ha molto carattere e oggi lo ha dimostrato. Riuscire a stare nel tempo massimo era qualcosa di cui aveva bisogno. Ha messo tanta grinta per recuperare dall’infortunio e ora l’ha dimostrata anche nel sopravvivere nelle tappe di montagna».

Nel Tour del debutto, Jakobsen ha vinto la seconda tappa. Nei giorni successivi ha pagato la durezza della corsa
Nel Tour del debutto, Jakobsen ha vinto la seconda tappa. Nei giorni successivi ha pagato la durezza della corsa

La gabbia Quick Step

Forse essendosi accorti del rischio, il giorno dopo verso Hautacam la Quick Step-Alpha Vinyl ha costruito una gabbia attorno al suo velocista. E appena Jakobsen si è staccato, Bagioli, Cattaneo, Honoré, Lampaert e Sénéchal si sono sfilati dal gruppo e si sono stretti intorno all’olandese.

«Questa mattina non sapevo cosa aspettarmi dopo le due dure giornate precedenti – ha commentato Jakobsen – non sapevo come avrebbe reagito il fisico. Ma sono rimasto calmo e fiducioso, sapendo di poter contare su questa squadra incredibile. Abbiamo lottato ancora duramente e siamo riusciti a superare un’altra dura prova. Non ce l’avrei fatta senza di loro. Come velocista, non sei niente senza una squadra, quindi devo tutto a questo gruppo».

Il prossimo inverno e le fatiche della stagione saranno cruciali per i miglioramenti di Jakobsen
Il prossimo inverno e le fatiche della stagione saranno cruciali per i miglioramenti di Jakobsen

Grazie a Van Poppel

Anche a Monaco, Jakobsen ha ringraziato la squadra, soprattutto Danny Van Poppel, che lo ha pilotato nel finale, servendogli la volata sul piatto d’argento.

«Non ci capita spesso di correre insieme – ha detto – ma ognuno ha fatto il suo lavoro per mettermi in una buona posizione. Danny Van Poppel è stato l’ultimo uomo a fare un ottimo lavoro per farmi superare Merlier. Danny ha dimostrato di essere uno dei migliori leadout del gruppo. E io sono incredibilmente felice! Essere campione d’Europa è qualcosa che sognavo solo. Tutti nel team olandese hanno fatto un lavoro straordinario e mi hanno messo in una posizione perfetta per l’ultimo chilometro, un grande sforzo per il quale sono grato a tutti i ragazzi».

Mozzato, la prima convocazione dopo un Tour di spessore

13.08.2022
5 min
Salva

Il grande momento si avvicina, quello degli europei di Monaco e Luca Mozzato avrebbe voluto una vigilia più tranquilla da molti punti di vista. La caduta al Circuit Franco-Belge ha lasciato strascichi fisici, ma ancor più malumore con Giacomo Nizzolo, suo avversario in quest’occasione e suo compagno fra qualche ora. I due si sono spiegati, ma sinceramente sarebbe stato meglio un avvicinamento più soft per una gara già di per sé complicata. Anche perché, dopo l’allenamento di ieri con gli azzurri, Nizzolo è stato costretto ad alzare bandiera bianca, lasciando il posto a Viviani.

Tutto ciò però non ha scalfito la soddisfazione di Mozzato per la sua prima maglia azzurra “da grande”, dopo averla vestita più volte nelle categorie inferiori e anche da pro’, in qualche gara del calendario italiano dov’era possibile presentare anche la squadra nazionale (come nella foto di apertura alla Tre Valli Varesine del 2017). Una convocazione figlia di un Tour de France, il suo primo, vissuto da protagonista, con molti piazzamenti.

«E’ stato un bellissimo viaggio – racconta – anche se davvero duro, era la mia prima esperienza e mi sono portato dietro tante soddisfazioni. E mancata solo la ciliegina sulla torta, ossia un podio di tappa».

Mozzato Tour 2022
Un Tour di valore per Mozzato con 4 presenze in top 10, sfiorata anche nella tappa finale di Parigi
Mozzato Tour 2022
Un Tour di valore per Mozzato con 4 presenze in top 10, sfiorata anche nella tappa finale di Parigi
Era il tuo primo grande Giro?

Sì, la grande incognita era conoscere il mio rendimento nell’arco di tre settimane. Non sapevo come avrei reagito, se avrei tenuto la condizioni, se andavo in crescita o in calo. Devo dire che alla fine le sensazioni sono state positive, ancora nell’ultima tappa degli Champs Elysees ero lì a giocarmi un piazzamento. Ero stanco, ma mai scarico.

In un grande Giro non ci sono solo le tappe per velocisti, quelle dove essere protagonista. Come hai vissuto quelle di montagna, dove era d’obbligo sopravvivere?

Sono sempre stato tranquillo, non ho mai rischiato e questo mi ha dato ottime sensazioni. Anche nelle tappe più dure non ero mai nell’ultimo gruppetto e questo è importante perché ti dà sicurezza. Sai che hai dietro gente e che c’è come una rete di salvataggio alle tue spalle. Oltretutto ciò significa che puoi affrontare l’ultima salita senza dover spingere a tutta, salvi la gamba e puoi salire in tranquillità. Devo dire che alcune ascese me le sono anche godute, soprattutto per la gente intorno.

Mozzato Beghelli
Il vicentino ai maglia azzurra al Trofeo Beghelli. Bennati ce l’ha da tempo sul suo taccuino
Mozzato Beghelli
Il vicentino ai maglia azzurra al Trofeo Beghelli. Bennati ce l’ha da tempo sul suo taccuino
Che ricordi hai delle tue precedenti esperienze azzurre?

Devo dire che da quando ero junior ho sempre ricevuto chiamate, anche se poi l’unica volta che ho gareggiato è stato a Doha, ai mondiali del 2016 quando finii ai piedi del podio. E se ci ripenso mi fa ancora male. Ma questa ha un sapore diverso, è la prima da “adulto”.

Si dice spesso che nel ciclismo, Olimpiadi a parte, il secondo e terzo posto in un mondiale o in un europeo non contano. Le tue parole a proposito di Doha dimostrano il contrario…

Magari può essere trascurabile per un grande campione, ma per chi è giovane o per chi si guadagna la pagnotta ogni giorno, quella medaglia ha un bel sapore, lo posso assicurare proprio per il fatto che non ce l’ho. All’inizio, quel quarto posto fu un brutto colpo, ripensandoci a mente fredda non fu tutto da buttare.

Mozzato Doha 2016
La sfortunata volata mondiale 2016, chiusa al 4° posto quando vinse il danese Egholm
Mozzato Doha 2016
La sfortunata volata mondiale 2016, chiusa al 4° posto quando vinse il danese Egholm
Che cosa rappresenta per te vestire quella maglia domenica a Monaco?

E’ innanzitutto un grande onore perché quando indossi quel simbolo sai che rappresenti la tua Nazione. E’ anche una responsabilità, perché devi svolgere un compito e devi farlo al meglio possibile proprio perché stai rappresentando il tuo Paese. Non bisogna sbagliare nulla.

Considerando le tue caratteristiche, potresti avere un ruolo importante a Monaco, quello del guastafeste in caso di fuga…

Con Bennati dobbiamo ancora parlare, ma non mi dispiacerebbe, considerando che avere un uomo veloce davanti consentirebbe ai miei compagni di lasciare agli altri l’onere dell’inseguimento, d’altronde credo che ormai anche gli altri sappiano che in volata non sono propriamente fermo…

Mozzato Kint 2022
L’ultimo podio di Mozzato, 2° alla Marcel Kint Classic dietro De Lie (BEL)
Mozzato Kint 2022
L’ultimo podio di Mozzato, 2° alla Marcel Kint Classic dietro De Lie (BEL)
Che cosa ti resta di quelle tre settimane di corsa?

Il Tour è qualcosa di unico: me ne sono accorto dopo, vengo riconosciuto molto di più perché tanta gente lo guarda e magari prima non seguiva il ciclismo. Ha una risonanza speciale, in Francia in quei giorni non si parla d’altro.

Che cosa ti aspetta dopo Monaco?

Ci saranno un po’ di impegni in Francia, fino al GP Plouay, poi vedremo se tirare dritto o prendere qualche giorno di stacco per il finale di stagione. Vivo comunque questo periodo con grande tranquillità, anche perché ho ancora tre stagioni di contratto con la B&B Hotels-Ktm e questo mi dà una grande sicurezza.

Gasparotto: «Higuita alla Vuelta, un cammino lungo 10 mesi»

11.08.2022
4 min
Salva

Nella strada che portava da Kielce a Cracovia, cioè per tutta la durata del Giro di Polonia di ben 1.209 chilometri, c’è stato un solo arrivo in salita. Nella tappa numero tre, sulle colline di Przemysl Sergio Higuita danza e si porta a casa tappa e maglia. Leadership persa poi nella cronometro di Rusinski per mano di Ethan Hayter. Un buon biglietto da visita per il colombiano, che ha iniziato la sua preparazione alla Vuelta Espana già dall’inverno. 

«Abbiamo messo nel mirino la Vuelta già da novembre con Sergio – dice Gasparotto diesse della Bora Hansgrohel’idea ad inizio stagione era di switchare la squadra da velocisti a scalatori. Lo abbiamo fatto con successo al Giro, portando tre capitani, diventati poi quattro in corso d’opera. Non abbiamo portato nemmeno un velocista nei due Grandi Giri fatti fino ad ora. Inizialmente al Tour avremmo dovuto portare Bennet, ma la grande condizione di Vlasov (poi quinto finale a Parigi, ndr) ci ha convinto a puntare tutto su di lui».

Higuita ha iniziato la stagione vincendo il campionato nazionale su strada a febbraio
Higuita ha iniziato la stagione vincendo il campionato nazionale su strada a febbraio

Annuncio a breve

La squadra per la Vuelta non è ancora stata annunciata dalla Bora, i giorni si contano sulle dita d’una mano. Tuttavia, seguendo il metodo di lavoro usato nelle corse a tappe precedenti, viene da pensare che la squadra sia disegnata tutta intorno allo scalatore colombiano

«Non posso ancora dire nulla sulla squadra che ci sarà alla Vuelta – prosegue Gasparotto – ma che Higuita ci sarà è praticamente fuori discussione. D’altronde abbiamo messo il mirino su questa corsa già dall’inverno, Sergio è colombiano e noi dobbiamo considerare dei periodi nei quali lavora in Colombia e altri in cui è qui per correre. Avevamo già tre leader per il Giro e il Tour ci sembrava troppo impegnativo, così abbiamo mirato sulla Vuelta. Poi lui, ad inizio stagione, aveva espresso il desiderio di correre nelle Ardenne. Allora ci è sembrato naturale fare così. Anche perché se vuoi fare bene nelle Ardenne, è difficile poi fare altrettanto al Giro».

Higuita è andato forte anche al Catalunya, prima, e fino ad ora unica, corsa a tappe vinta in stagione
Higuita è andato forte anche al Catalunya, prima, e fino ad ora unica, corsa a tappe vinta in stagione

Un percorso netto

Se si guarda alle corse fatte da Higuita, si vede un percorso netto, pulito. Condito da periodi di allenamenti intensi, per lo più svolti a casa sua (alcuni seguiti da un nostro inviato laggiù) ed altri di corse, dove ha ottenuto ottimi risultati. 

«Da febbraio ad oggi – riprende Gasparotto – il percorso è stato netto, preciso. Ha iniziato con il campionato colombiano ed ha vinto, poi è andato alla Volta Algarve ed ha vinto una tappa. Poi ha riposato un paio di settimane ed è andato alle Strade Bianche (decimo, ndr) e dopo poco ha vinto il Catalunya. Ci sono stati dei piccoli problemi ad aprile ed è rientrato alle gare alla Liegi, suo obiettivo di inizio stagione e ha fatto quinto. A maggio ha lavorato tanto in Colombia e poi è tornato in Europa a correre il Giro di Svizzera e il Polonia. Dai nostri corridori ci aspettiamo il meglio, non posso dire che non mi sarei aspettato questo percorso da Higuita. La nostra squadra vuole eccellere e diamo tutto ai nostri ragazzi per farlo».

Il colombiano è stato vittima di una caduta nelle fasi finali della quarta tappa del Polonia
Il colombiano è stato vittima di una caduta nelle fasi finali della quarta tappa del Polonia

Le sue salite

Higuita, al termine della terza tappa del Tour de Pologne, ce lo aveva detto: «Queste sono le mie pendenze, qui mi trovo a mio agio, la salita si fa sempre più dura e serve forza per andare avanti». 

«Vero – conferma Gasparotto – al Giro e alla Vuelta troverebbe le sue salite: lunghe ma con pendenze aspre. Al Tour le salite non sono così dure e non hanno grandi pendenze, quindi lui soffre questo rispetto agli altri. Ce l’ho in squadra solo da quest’anno, ma devo ammettere che Sergio è una delle persone più facili con cui lavorare. E’ molto “colombiano” nel modo di fare – dice ridendo – non si lamenta mai. Per lui c’è sempre una soluzione, non si preoccupa troppo delle cose. Vi faccio un esempio: eravamo al Giro di Svizzera e non gli è arrivata la valigia dalla Colombia, quindi non aveva tutto il materiale, non ha fatto una smorfia. Non è una di quelle persone che vede problemi anche dove non ci sono, penso sia un fatto culturale, che aiuta molto la squadra».

La storia di Jorgenson, fatta di bici e di tante mail

10.08.2022
6 min
Salva

E’ il 2017. Un giovane californiano divide la sua giornata in due: al mattino pedala per ore sulle lunghe strade intorno a Walnut Creek, la sua città natale. Il pomeriggio passa ore al computer, per inviare una mail a tutte le squadre professionistiche europee che ha trovato tramite Google. “Ciao, mi chiamo Matteo Jorgenson e sono un americano di 18 anni, corro il mio ultimo anno da junior con Hot Tubes Cycling e USA Junior National Program. Sono molto interessato a correre per te per il 2018”. Il suo è un lavoro certosino: ogni mail è personalizzata, in base alle caratteristiche del team, al calendario, alle sensazioni che gli desta. Impiega almeno un’ora per inviarne una, perché la studia a fondo. Si aiuta con i traduttori online o chiede consiglio a chi conosce altre lingue. Ne manda dieci, cento e anche molte di più. Perché sa che il ciclismo vero è in Europa e vuole evadere…

La storia di Matteo Jorgenson, uno degli americani emergenti, che ha impressionato molti addetti ai lavori all’ultimo Tour, non si comprende se non si ripercorre l’excursus degli ultimi suoi anni, perché su quest’attività ha investito tutto sin da giovanissimo. In attesa di ricevere qualche risposta valida, che non fosse il solito “le faremo sapere”, Matteo aspetta. La sua grande speranza è approdare all’Hagens Berman Axeon, dalla quale sono passati molti americani, ma la risposta che gli arriva lo gela. Porta chiusa, anzi serrata. Matteo non si perde d’animo: qualcuno risponderà, intanto però c’è una soluzione da trovare e il californiano la trova accettando la proposta del team americano Jelly Belly-Maxxis a condizione di trovare spazio nel gruppo della nazionale Under 23 e poter frequentare la prima parte di stagione nel Vecchio Continente.

Jorgenson Mondiali 2019
Jorgenson è nato il 1° luglio 1999. Qui in maglia nazionale, ai mondiali 2019 (foto Casey B.Gibson)
Jorgenson Mondiali 2019
Jorgenson è nato il 1° luglio 1999. Qui in maglia nazionale, ai mondiali 2019 (foto Casey B.Gibson)

La risposta dalla Francia

Una cosa Jorgenson l’ha imparata presto: «Ogni gara fatta in Europa ne vale più di 10 negli Usa. Le corse sono tutte diverse, cambiano in base al Paese, alle strade, alla gente, ai percorsi. Si impara tantissimo ogni volta, è come andare a scuola. E’ uno sport completamente diverso». L’americano si rende perfettamente conto che il ciclismo oltreoceano è ben poca cosa al confronto, fatto di kermesse che se danno spettacolo alla gente tra un hot dog e una birra, tecnicamente non trasmettono nulla.

Un giorno arriva la svolta. Nella mail trova una risposta, dalla Francia, dalla Chambery CF, squadra che fa parte della rete dell’AG2R La Mondiale. Riesce a parlare con il responsabile, con molta fatica per la differenza linguistica (e questo è un aspetto sul quale torneremo) e si ridanno appuntamento. Il team transalpino vuole saperne di più, vuole i suoi valori di potenza, tutti i suoi dati di allenamento. Alla fine arriva la proposta: un contratto per il 2019 a patto che dall’inizio dell’anno si trasferisca in Francia. Una proposta che sembra un segno, perché contemporaneamente la Usa Cycling annuncia che per problemi di budget non sarà più possibile per i suoi ragazzi fare attività in Europa dalla stagione successiva. Appena in tempo…

Jorgenson AG2R
L’americano ha fatto parte dell’AG2R solo nella seconda metà del 2019, andando poi in Spagna
Jorgenson AG2R
L’americano ha fatto parte dell’AG2R solo nella seconda metà del 2019, andando poi in Spagna

Poliglotta per necessità…

Matteo ha capito che per emergere in Europa non basta pedalare, allenarsi soffrire in bici. Deve davvero mettere in discussione se stesso. Si trasferirà in Francia, ma prima di allora dovrà imparare la lingua: «Non posso partire e poi affrontare viaggi di ore senza poter parlare, comunicare liberamente, non posso costringere gli altri a parlare la mia lingua». Jorgenson studia intensivamente e per l’inverno successivo parla già un fluente francese al punto non solo di poter sostenere una conversazione con i compagni, ma anche di essere intervistato. E così farà anche dopo, quando si trasferirà alla Movistar in Spagna.

Ciclisticamente i francesi capiscono presto che quel ragazzo a stelle e strisce ci sa fare. Si piazza spesso, anche in Italia al Trofeo Edil, lotta per il successo finale alla Ronde de l’Izoard e al Tour de l’Avenir conquista la classifica a punti. E’ forte sul passo e in salita e proprio questo fatto non sfugge ai responsabili del team spagnolo, che interrompono la sua scalata all’interno del team transalpino e lo portano al di là dei Pirenei, perché di uno scalatore c’è sempre bisogno da quelle parti. Erano oltre trent’anni che uno statunitense non vestiva quella maglia, l’ultimo era stato Andy Hampstean, per un breve periodo quando ancora la squadra era targata Banesto.

Jorgenson Jelly 2018
In maglia Jelly Belly Jorgenson è stato vicecampione americano a crono U23 (foto Brian Holmes)
Jorgenson Jelly 2018
In maglia Jelly Belly Jorgenson è stato vicecampione americano a crono U23 (foto Brian Holmes)

Punta tutto sul Tour

Jorgenson continua la sua ascesa, è molto giovane ma soprattutto è americano e per un americano il ciclismo ha un solo sinonimo: Tour de France. Nel 2021, quando gli comunicano che non sarà del team per la Grande Boucle ci resta male e questo influisce anche sulle sue prestazioni al Giro d’Italia («E’ stata la mia peggiore esperienza, non ne avevo più e non era cosa per me – affermerà in seguito – ho capito che se non mi prendo un periodo di pausa a inizio primavera, non posso essere competitivo per il Tour»).

Quest’anno, presosi i suoi tempi, si guadagna i galloni di luogotenente per Enric Mas al Tour. E’ al settimo cielo e soprattutto sente la gamba piena, tonica. Sono tre settimane intensissime, nelle quali entra spesso nelle fughe. Per ben due volte Jorgenson sfiora il podio e quando arriva la delusione è tanta. A Megeve forse con quel Cort Nielsen c’era poco da fare, a Foix invece appena arrivato va verso il bus, appoggia la bici e si siede con la testa fra le mani, trattenendo a stento le lacrime per l’occasione mancata. I dirigenti arrivano e lo trovano stanco e insanguinato: un’immagine difficile da dimenticare.

Jorgenson Tour 2022
Jorgenson e Woods verso Foix: il canadese protegge a buon diritto il compagno Houle
Jorgenson Tour 2022
Jorgenson e Woods verso Foix: il canadese protegge a buon diritto il compagno Houle

Lacrime di rabbia

«Io non credo di aver sbagliato – racconta – era l’ultima possibilità e mi sono giocato tutto, ma Woods aveva Houle davanti, nessuno mi poteva aiutare. In discesa ho rischiato tutto e sono anche caduto, ma se prendi dei rischi devi accettarlo e il dolore neanche lo sentivo. Quando il canadese è partito ero con la macchina a prendere la borraccia, neanche me ne sono accorto e quando l’ho saputo mi sono gettato in caccia, ma era tardi». «Dove ti fa male, dove hai sbattuto? » gli chiedono. «Mi fa male non essere là» risponde indicando il podio.

Più tardi, ai giornalisti che gli chiedono del suo 21° posto, parte della “Usa Connection” che ha caratterizzato la classifica del Tour con 4 atleti fra i primi, Jorgenson dimostrerà di non aver ancora digerito la delusione: «Quando arrivi e sai che sei in forma, che hai indovinato tutto, non stai a guardare e a pensare al futuro, vuoi tutto. Ci riproverò il prossimo anno, ma se le ferite fisiche guariranno presto, quelle nell’animo ci metteranno molto di più».

Il sorriso gli torna solo quando qualcuno gli ricorda la sua storia, il coraggio avuto nel mettersi in gioco e provare ad allacciare un legame digitale con l’Europa: «A molti ragazzi che mi contattano dico di provarci subito, appena passano junior, a contattare quante più società possibili e preparare la valigia, anche se non hai ancora risultati. Credo di aver mostrato una strada per rilanciare il nostro ciclismo, anche se mi davano del pazzo».

Ganna, Tour e rinnovo. Intanto vince la madison a Fiorenzuola

09.08.2022
6 min
Salva

La pista è la sua comfort zone. Dopo la fine del Tour de France e qualche giorno di riposo, Filippo Ganna (in apertura foto Cavalli) ha trovato un ottimo compromesso per decomprimere lo stress di un grande Giro e contemporaneamente riprendere il ritmo-gara. A Fiorenzuola il ventiseienne della Ineos Grenadiers ha sfruttato la condizione data da tre settimane di gare disputando il giro lanciato e soprattutto vincendo la madison alla Sei Giorni delle Rose in coppia con Michele Scartezzini.

Quest’anno non è stata una partecipazione casuale e banale quella del ragazzone di Verbania. Giovedì 4 agosto, giorno della sua prima serata alla kermesse, il velodromo Pavesi era stracolmo per celebrare un anno esatto dalla vittoria dell’oro olimpico del quartetto azzurro nell’inseguimento a squadre a Tokyo. C’era anche Lamon insieme a Ganna a ricevere il meritato tributo, mentre Consonni e Milan erano impegnati al Tour de Pologne.

Le emozioni rivissute grazie alle immagini del maxischermo di quella finale hanno poi lasciato il posto all’adrenalina che si vive su un anello di cemento o legno. Però noi sfruttiamo una pausa dovuta ad un acquazzone per parlare col campione del mondo e d’Italia a crono sotto il tendone delle squadre. Ganna ci appare più magro e tirato del solito anche se lui ci garantisce che sia solo l’effetto del Tour. E iniziamo a chiacchierare…

Com’è andata l’esperienza della madison?

L’avevo fatta proprio qua a Fiorenzuola da allievo. E’ stato particolare rifarla a distanza di tempo, anche perché vederla in televisione ovviamente è diversa che correrla. Ho dovuto prenderci le misure, soprattutto la prima sera, ma mi sono fidato di Scartezzini e della sua esperienza. E’ un valido compagno e la cosa ci ha salvato.

La previsione è quella di poterla fare in competizioni con la nazionale?

Non penso al momento. Questi tre giorni erano da prendere più come esperienza. E vedere le sensazioni post gara. Al mattino ci allenavamo a Montichiari con lavori di forza. Non correrò gli europei su pista, quindi gli obiettivi saranno più avanti, al mondiale. Però vedremo che disciplina farò, magari non avrò nemmeno i punti per farlo (sorride, ndr).

Su strada farai europei in linea mentre al mondiale correrai entrambe le prove.

A Monaco ci saranno Dainese e Nizzolo come velocisti designati, poi vedremo come si svolgerà la corsa. Magari può esserci una fuga e a quel punto bisognerà tenere coperti i due ragazzi. Il mondiale invece è sempre un mondiale. Sarà duro, con più di quattromila metri di dislivello. Staremo a vedere anche lì, adesso manca ancora tanto e abbiamo tempo per pensarci.

Ed in vista della crono iridata hai già iniziato a pensare alla preparazione?

So che il percorso ha tante curve e tanti rilanci. E’ una cronometro un po’ atipica. Personalmente sono più da prova più lineare dove c’è da esprimere un wattaggio costante. Non so ancora se farò lavori specifici, bisogna chiedere a Cioni (il suo diesse e preparatore alla Ineos Grenadiers, ndr). Rispetto le decisioni del capo (dice sorridendo, ndr).

Com’è stato invece il tuo primo Tour de France?

Duro, come credo per il novanta per cento del gruppo. Lo è stato anche di più, se possibile, perché dovevamo evitare il Covid. C’è stata gente che si è ritirata o non è partita per il virus anche l’ultimo giorno a Parigi. Diciamo che già arrivare alla fine schivando il Covid era già un buon risultato. Siamo riusciti a fare classifica con G (Geraint Thomas, come viene chiamato il gallese dai suoi compagni, ndr). Chiudendo terzo ha dimostrato che è il campione che merita di essere.

Quel giorno in fuga cosa ti ha dato?

Niente, solo tanta fatica (ride, ndr). E tanto mal di gambe soprattutto il giorno dopo. No, come avevo già detto, quel giorno a Saint Etienne non ne avevo più nel finale quando è partito Pedersen.

E la crono invece ti ha fornito qualche indicazione?

Ho fatto quello che dovevo fare. Ho chiuso quinto e non posso recriminarmi nulla, semplicemente c’è stato chi è andato più forte. Ho espresso i miei soliti valori e non sono troppo preoccupato per il futuro però è ovvio che ci sia qualcosa da migliorare.

Che differenze hai trovato rispetto al Giro?

Il caldo principalmente. Lo soffro tanto io e questo può avere influito sulle mie prestazioni. La grandezza del Tour però implica anche avere tanti corridori all’altezza, così come al Giro che è una corsa importantissima. Però il livello era quello che mi aspettavo. Alto e duro come mi era stato detto. Ecco, ho sofferto un po’ tanto (sorride, ndr).

Tutti parlano del record dell’Ora. A noi sembra una forzatura in questo momento. Tu cosa ne pensi?

In realtà siete voi giornalisti che continuate a chiedermi se e quando lo farò. Personalmente io ne faccio a meno volentieri, non mi interessa molto. Sì, un giorno si farà ma adesso pensare di mettermi lì per un’ora a pedalare non è un mio obiettivo. I record sono fatti per essere infranti, come è successo con l’inseguimento individuale. Avevo fatto il primato con 4’01” e tutti a dire che era imbattibile, poi Lambie qualche mese dopo ha fatto meglio di due secondi. Qualcuno dice che è una prova estrema il record dell’Ora, ma vi dico che lo sono anche ventuno giorni al Tour.

Quinto posto per Ganna nella crono di Rocamadour alla 20ª tappa. Buona prova ma forse si aspettava qualcosa di più
Quinto posto per Ganna nella crono di Rocamadour alla 20ª tappa
Prossime gare col team?

Farò la classica di Amburgo il 21 agosto e il Deutschland Tour dal 24 al 28 agosto. Vedremo giorno per giorno come si metterà, magari ci sarà un leader. Vedremo anche come ci organizzeremo con la squadra.

Il ciclomercato ti dava in uscita dalla Ineos poi hai firmato un rinnovo fino al 2027 con la tua formazione. Quali sono i nuovi obiettivi?

Intanto bisogna dire che il 2022 non è finito e ci sono ancora cose da fare. Poi penseremo a tutte le stagioni successive. Naturalmente questo prolungamento di contratto mi fa molto piacere e mette più serenità per lavorare al meglio. So che dovrò pedalare e allenarmi bene senza avere altri pensieri.

Da Levitan a Prudhomme, ricordi gialli di Jeanie Longo

08.08.2022
4 min
Salva

Felix Levitan era a suo modo un genio. Giornalista parigino classe 1911, fu il terzo organizzatore de Tour de France, dopo Desgrange e Goddet e fu il primo a portare nella corsa il concetto di business. Fu anche colui che nel 1984 creò il Tour de France delle donne. L’operazione di ASO nel rilanciarlo è stato più un riprendere il discorso che iniziarne uno nuovo. Perché delle potenzialità del ciclismo femminile si era accorto anche quel giornalista visionario con la fronte alta e il fiuto per gli affari.

Levitan fu il terzo organizzatore del Tour. Nel 1984 lanciò la versione femminile (foto Wieler Revue)
Levitan fu il terzo organizzatore del Tour. Nel 1984 lanciò la versione femminile (foto Wieler Revue)

A ruota delle americane

«Negli anni ’80 in Francia – ricorda Jeanie Longo, sul podio della Tour Eiffel con Marion Rousse per lanciare il Tour Femmes (foto Le Monde in apertura) – c’erano gare interregionali in abbondanza e alcune internazionali che stavano nascendo. Negli Stati Uniti erano più avanti di noi, le donne avevano già squadre sponsorizzate. Il Tour of Colorado era la gara più importante e soprattutto c’erano buoni premi anche per le donne. Ci andai nel 1981. Correvamo sugli stessi percorsi degli uomini, con la stessa copertura mediatica. Non so se fu per caso, ma proprio nel 1981 Levitan portò il primo americano al Tour de France e nel 1984 creò il Tour de France femminile. Fu l’esplosione del nostro ciclismo».

La francese, classe 1958, ha una bacheca piuttosto affollata. L’oro olimpico su strada di Atlanta davanti a Imelda Chiappa. Nove mondiali su strada (6 in linea, 3 a crono). Nove mondiali su pista. Tre Tour de France.

Nel 1996, Jeanie Longo vince per distacco l’oro di Atlanta. Seconda Imelda Chiappa (foto Profimedia)
Nel 1996, Jeanie Longo vince per distacco l’oro di Atlanta. Seconda Imelda Chiappa (foto Profimedia)

Campi Elisi per due

La prima edizione del Tour donne andò a un’americana, Marianne Martin: ottimo per il flusso degli sponsor. Poi ne vinse due l’azzurra Maria Canins, proprio davanti a Jeanie Longo. E a partire dal 1987 e per tre anni, i ruoli si invertirono. Per tre anni infatti, la francese precedette l’italiana.

«Penso che il signor Levitan fosse un innovatore – ricorda Longo – forse anche un visionario. Come direttore del Tour de France, sapeva come fare le cose al momento giusto. Non appena lanciò il Tour femminile, fu un’esplosione. All’epoca, i vincitori sfilavano sui Campi Elisi per salutare il pubblico. Io lo feci con Roche, Delgado e Lemond. Sono momenti straordinari, scolpiti nella mente».

Nel 1987 sui Campi Elisi, Roche e Longo: la gloria di Parigi per due (foto Profimedia)
Nel 1987 sui Campi Elisi, Roche e Longo: la gloria di Parigi per due (foto Profimedia)

«Ma non erano solo gli Champs Elysées – prosegue – anche i passi di montagna, tutto… Ricordo che negli angoli più sperduti, c’era gente che mi incitava. La gente si abituò presto ad avere il Tour femminile prima di quello maschile. Ho avuto la maglia verde per due anni, poi la gialla per tre di seguito. I duelli con Maria Canins. La gente ci aspettava, il pubblico era enorme. Un anno, nella tappa dell’Izoard, mio marito era sull’ammiraglia con le due porte anteriori aperte come uno spazzaneve».

Resistenze superate

Il ciclismo forse non era pronto per tutto questo, tanto che dal gruppo stesso si levarono alcune voci di dissenso. Marc Madiot, che oggi ha una delle squadre femminili WorldTour più importanti accanto a quella degli uomini, fu autore di un battibecco proprio con Longo.

«Marc però cambiò presto parere – sorride – anche se quell’episodio mi viene spesso ricordato. All’epoca aveva delle idee preconcette sul ciclismo femminile, le stesse che aveva Fignon. Si sbagliavano, ma erano influenzati dall’idea generale che il ciclismo professionistico fosse solo per uomini. Le cose però cambiarono in fretta. Il fatto che io fossi una donna e avessi preso una maglia gialla che normalmente era riservata ai gentiluomini, fece sì che le persone abbiano preso coscienza di tutte le lotte che conducemmo per farci ascoltare. Per questo fu un colpo molto duro quando nel 1989 il Tour si fermò. Ancora oggi ci sono atlete che mi ringraziano per l’ispirazione. E’ questa immagine che mi piace, perché non è solo quella del ciclista che ha vinto, ma in qualche modo va oltre lo sport».

Velasco, riflessioni del primo italiano al Tour

07.08.2022
4 min
Salva

C’è un particolare elenco che da un paio di settimane, al fianco di campioni come Coppi, Gimondi, Pantani comprende anche Simone Velasco. Ed è l’elenco dei primi italiani classificati al Tour de France. Intendiamoci: è solo un puro dato statistico.

E’ chiaro che c’è una bella differenza se si parla di campionissimi che hanno vinto la Grande Boucle o di un corridore arrivato 31° e Velasco lo sa bene. Ma è pur sempre qualcosa, considerando anche che l’elbano era partito per la Francia certamente non per fare classifica. Il compito era lavorare per gli altri, nella fattispecie Lutsenko.

Velasco ci risponde dall’Elba, dove è approdato dopo la classica di San Sebastian per qualche giorno di meritato riposo con la famiglia.

«E’ un caso che sia risultato il miglior italiano – dice – certamente non correvo con questo obiettivo. E’ venuto dopo ritiri importanti, come quello di Caruso. Io sono soddisfatto a prescindere, dovevo aiutare Lutsenko, poi entrando in qualche fuga ho anche migliorato la mia classifica. A dir la verità è più il rammarico per come sono andate le cose proprio in un paio di occasioni».

Velasco Tour
Velasco, 27 anni il prossimo 2 dicembre, ha chiuso 31° un Tour molto regolare
Velasco Tour
Velasco, 27 anni il prossimo 2 dicembre, ha chiuso 31° un Tour molto regolare
Che cosa è successo?

Io volevo il risultato di tappa, ma dal secondo giorno di riposo ho cominciato ad avere bronchite e raffreddore e me li sono portati dietro per tutto il Tour. Comincio a stare meglio ora, dopo qualche giorno di mare e aria aperta.

Per te è stato il primo Tour?

Non solo, è stato il primo grande Giro… E’ stata un’esperienza enorme, il Tour è più che stressante: mai tranquillo, devi stare sul pezzo ogni singolo metro, con il caldo che ti soffoca e l’asfalto che si scioglie sotto le ruote. Ma è bellissimo, quando passi in mezzo alla gente. Sentire quel tifo enorme è un’emozione indimenticabile.

Velasco tifosi
Simone è rimasto sorpreso dal calore del pubblico lungo le salite. Un’esperienza unica…
Velasco tifosi
Simone è rimasto sorpreso dal calore del pubblico lungo le salite. Un’esperienza unica…
Pur dando a quel piazzamento il giusto valore, è anche la conferma che comunque sei un corridore da corse a tappe come si diceva da tempo…

Le caratteristiche sono quelle e sono contento che anche una corsa così particolare, affrontata in questo modo, le abbia confermate. Io penso che nelle brevi corse a tappe posso dire la mia perché in salita mi difendo e a cronometro non sono certo fermo. Ma per emergere serve essere sempre al massimo. La differenza fra chi vince e chi arriva dietro è quella: i primi non hanno mai cedimenti.

Che cosa ti aspetta adesso?

L’emozione più grande della mia vita! Sto per diventare papà di una bella bimba, dovrebbe arrivare intorno al periodo del Lombardia. Il programma della stagione prevede una bella serie di classiche, di gare d’un giorno. In squadra sanno però che appena arrivano le avvisaglie stacco tutto e raggiungo mia moglie per vivere quel momento insieme.

Velasco Caruso 2022
Velasco al fianco di Damiano Caruso, costretto al ritiro per Covid quand’era ancora il miglior italiano
Velasco Caruso 2022
Velasco al fianco di Damiano Caruso, costretto al ritiro per Covid quand’era ancora il miglior italiano
Dopo l’Elba che cosa farai?

Un paio di settimane di altura, in Val di Fassa. Poi riprenderò con le due classiche del WorldTour in Canada. A seguire il Pantani e per il resto si vedrà.

Torniamo al Tour, com’è stato giudicato in squadra?

Abbastanza positivamente. Dovevamo portare Lutsenko nella Top 10 e lo abbiamo fatto in una corsa decisamente non facile. Ci è mancato forse qualche risultato di tappa in più, ma va bene così.

Lutsenko Tour 2022
Per l’Astana l’obiettivo di portare Lutsenko nella top 10 è stato centrato: 9° a 22’56” da Vingegaard
Lutsenko Tour 2022
Per l’Astana l’obiettivo di portare Lutsenko nella top 10 è stato centrato: 9° a 22’56” da Vingegaard
Il fatto che il tuo risultato abbia avuto un tale clamore fa anche capire qual è lo stato del ciclismo italiano nei grandi giri, decisamente non positivo.

Io penso che molto sia casuale. Caruso era partito con grandi ambizioni, ma se non sei al top c’è poco da fare contro simili campioni. Altri che avrebbero potuto far bene avevano un altro calendario. E’ difficile essere competitivi, ma penso che presto torneremo a farci vedere. Il movimento c’è, in questo momento sembra che vada tutto male ma gli aspetti positivi ci sono. A volte basta anche un pizzico di fortuna in più e quest’anno obiettivamente al nostro ciclismo è andato tutto male…

Tu che vivi una realtà come l’Astana, che ha sì uno zoccolo duro italiano ma che resta una squadra straniera come tutte le altre del WorldTour, che cosa ne pensi dell’assenza di un team di vertice tutto italiano?

Che ci penalizza e molto. Devo però dire che nell’Astana non ci sono preclusioni né preferenze in base alla nazionalità e così credo avvenga anche negli altri team. Alla squadra interessa che si facciano risultati, che si vinca: i corridori vengono valutati in base a gambe e condizione atletica, certamente non per il passaporto.

L’alta sartoria Santini al servizio del Tour

06.08.2022
4 min
Salva

Fornire le maglie di leader per una qualsiasi gara a tappe comporta onori ma anche oneri, soprattutto quando si parla di Tour de France. La corsa francese è da sempre una sfida per tutte le aziende partner della gara a tappe più importante al mondo. A poco meno di due settimane dalla conclusione del Tour, oggi possiamo tranquillamente dire che Santini ha superato alla grande la sua sfida. 

L’azienda bergamasca ha lavorato su numeri importanti. Complessivamente sono stati realizzati ben 2.000 capi che hanno interessato le quattro maglie destinate ai leader delle varie classifiche individuali: gialla, a pois, verde e bianca.

Questi numeri, di per sé già importanti, non sarebbero nulla se non fossero stati accompagnati dalla grande capacità sartoriale che Santini ha messo sul campo per realizzare ogni singolo capo.

Gli ultimi capi realizzati da Santini sono stati i body da crono, fatti rigorosamente su misura (foto BeardyMCBeard)
Gli ultimi capi realizzati da Santini sono stati i body da crono, fatti rigorosamente su misura (foto BeardyMCBeard)

Body su misura

In occasione di una nostra intervista realizzata alla vigilia del Tour de France, Stefano Devicenzi dell’ufficio marketing di Santini ci aveva confidato che tra gli ultimi prodotti realizzati e pronti a partire per la Francia c’erano i body da crono. La spiegazione era molto semplice.

Per la crono d’apertura del Tour non era previsto il loro utilizzo. Sarebbero serviti solamente per la crono del penultimo giorno, la Lacapelle-Marival che avrebbe dovuto decretare il vincitore dell’edizione 2022 del Tour de France.

Alla vigilia della cronometro lo staff Santini ha fatto visita al team Jumbo-Visma per far provare a Wout Van Aert e Jonas Vingegaard i body che avrebbe dovuto poi utilizzare in occasione della tappa a cronometro. Santini ha messo sul campo il meglio del proprio know-how e l’esperienza del proprio staff per garantire il massimo in termini prestazionali, intervenendo appositamente sui capi al fine di soddisfare le necessità dei singoli atleti.

Si è trattato di un lavoro dietro alle quinte, tutt’altro che semplice, che ha richiesto competenza, discrezione e precisione.

Ecco tutti i vari pezzi tagliati dal body verde di Wout Van Aert, taglia “L” per il campione belga (foto BeardyMCBeard)
Ecco tutti i vari pezzi tagliati dal body verde di Wout Van Aert, taglia “L” per il campione belga (foto BeardyMCBeard)

Jonas e Wout tester

Modelli d’eccezione non potevano che essere Jonas Vingegaard e Wout Van Aert, rispettivamente maglia gialla e verde del Tour. Il lavoro di adattamento dei body è stato realizzato direttamente sul corpo dei due campioni del team Jumbo-Visma.

Jonas e Wout sono stati fatti salire in bici e invitati ad assumere la posizione che avrebbero poi avuto durante la prova a cronometro. A questo punto il body è stato controllato dalla modellista e dalla maitre tailleur Santini, che, confrontandosi con l’atleta stesso, hanno preso nota e identificato le modifiche da effettuare.

La fase successiva è stata quella di intervenire sul body stesso, realizzando le modifiche richieste. Una volta effettuate, sono state successivamente verificate ripetendo l’analisi del capo indossato. Il risultato finale è stato quello di un body “su misura” che non a caso ha portato i due atleti ai primi due posti della cronometro.

La stessa attenzione e cura è stata naturalmente riservata a Tadej Pogacar, secondo in classifica generale e leader della classifica del miglior giovane del Tour.

I capi realizzati da Santini durante tutto il Tour de France sono stati 2.000 (foto BeardyMCBeard)
I capi realizzati da Santini durante tutto il Tour de France sono stati 2.000 (foto BeardyMCBeard)

L’esperienza Santini

A supervisionare l’intera operazione di messa in prova era presente Monica Santini, amministratore Delegato di Santini Cycling Wear.

«E’ una attività che conosciamo bene – ha detto Monica Santini – perché da anni viene realizzata per gli atleti che vestiamo. E’ fondamentale che i capi vestano come una seconda pelle, che le pieghe e i tagli dei capi si adattino alla conformazione fisica dell’atleta e che non ci siano eccessi di tessuto; tutto questo garantisce la massima performance aerodinamica.

«Si tratta di un lavoro di grande precisione che richiede dedizione e passione, oltre che grandi competenze; la nostra esperienza è sicuramente un valore aggiunto sia per gli organizzatori del Tour che per gli atleti stessi».

Santini