Lamon, la medaglia e un pezzo di pista per ricordare

19.08.2021
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Lamon era uscito dalla qualifica del quartetto con l’umore un po’ così, semplicemente non si era piaciuto. Oltre al fatto di essersi staccato ai meno due giri, gli era sembrato di non aver tirato tanto a lungo, costringendo gli altri a esporsi e spendere di più. Per questo la sera li aveva riuniti, dicendo che d’ora in avanti la sua seconda tirata sarebbe stata più lunga. Poi, rivolgendosi a Consonni e al presidente Dagnoni che quella sera era con loro, aveva concluso dicendo che sarebbero andati di certo nella finale per giocarsi la medaglia d’oro.

Sta per partire la finale olimpica, Ultimi consigli di Villa a Lamon mentre viene sistemato il blocco
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Medaglia da curare

«La medaglia resta con me – dice – non c’è da discuterne. La guardo spesso. Di tanto in tanto le passo davanti e butto lo sguardo per controllare che sia tutto a posto. L’altra notte, adesso vi faccio un po’ ridere, mi sono svegliato di soprassalto. Ho sognato che di colpo il nastro si era tutto scolorito. Questa cosa di essere campione olimpico è davvero troppo grande da vivere, un’emozione che faccio fatica a gestire. Sul momento in Giappone, non sono riuscito a dormire. La prima notte due ore, la seconda forse tre. Ho ricordato quando guardavo Elia (viviani, ndr) dopo l’oro di Rio e mi chiedevo che cosa pensasse. Faccio fatica a pensare di aver raggiunto lo stesso traguardo.

«L’ultimo giorno mi è venuto un piccolo magone. Eravamo in pista, i meccanici sistemavano i cartoni e siamo andati sotto la curva a farci la foto con i 5 cerchi. Così sono andato a prendermi un pezzetto di nastro dalla riga della partenza e l’ho messo nella cover del telefono per avere un pezzo di Tokyo per sempre con me».

A Montichiari con Viviani nei mesi che hanno condotto a Tokyo. Il veronese è sempre stato uno stimolo per Lamon
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“Fiamme”, 10.000 grazie

Francesco Lamon, miranese classe 1994 detto “Lemon”, nel quartetto che ha vinto l’oro olimpico di Tokyo è l’unico a non fare il ciclista professionista WorldTour. Per carità, niente di strano: anche nei quartetti avversari c’erano pistard puri che non sapranno mai cosa sia un Tour de France, ma nell’immaginario collettivo si tende a pensare che per questo si abbia qualcosa in meno.

«Ma non è mica vero – ride col buon umore di chi ultimamente vede soltanto il sole – per il tipo di prestazione che devo fare, per lo sforzo di 4 chilometri, fare tante corse a tappe non serve. Soprattutto a ridosso dell’evento, per un fatto di recupero. Villa l’ha capito e nell’avvicinamento mi ha permesso di non correre in Sardegna, ma di continuare a lavorare in velodromo. La mia scelta di entrare nelle Fiamme Azzurre la rifarei diecimila volte e anzi li ringrazio. Dal 2018 mi sono stati sempre vicini e un pezzo della mia medaglia è sicuramente anche loro».

Scartezzini è suo amico, anche lui nelle Fiamme Azzurre e compagno di madison da anni: qui nel 2018, tricolori al Vigorelli
Scartezzini è suo amico, anche lui nelle Fiamme Azzurre e compagno di madison da anni: qui nel 2018, tricolori al Vigorelli

Danesi spacciati

E allora torniamo ai giorni giapponesi, con le parole del primo uomo del quartetto: quello che Consonni ha definito un metronomo, colui dal cui lancio dipende una bella fetta dell’esito dell’inseguimento.

«Siamo partiti tranquilli – dice – con il nervosismo per me soltanto in qualificazione, perché non si sapeva nulla del livello degli avversari. Passato quel turno e passata la semifinale, che comunque era un dentro-fuori, alla finale ci siamo arrivati come in un gioco. Il fatto di aver allungato la mia seconda tirata ha cambiato l’impostazione del quartetto, ma non abbiamo dovuto parlare. Eravamo in finale. Non avevamo niente da perdere e i danesi di sicuro pensavano di vincere. Non sapevano che la medaglia ce l’avevamo addosso noi».

L’Italia fu ripescata a Rio per l’esclusione della Russia e arrivò a un passo dalla finale per la medaglia di bronzo
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Tirate lunghe

Ma la partenza resta un momento delicato e questo suo ruolo così prezioso nasce da lontano, da quando Villa, visto che andava così bene nel chilometro, gli propose di lanciare il quartetto dopo anni in cui i ruoli non erano così precisi. Due giri subito, poi la seconda tirata. Lamon aveva provato e il ruolo gli si era cucito addosso come un abito su misura.

«Siamo partiti forte – ricorda – loro non se lo aspettavano. Il nostro obiettivo era portare Ganna alla fine senza che soffrisse la fase di lancio, per cui c’era da dosare le forze in partenza. Quando ci hanno visto davanti, di sicuro hanno preso paura e hanno aumentato. Non so se per questo hanno pagato nel finale, so che in quei miei giri e quando poi ho fatto la seconda tirata più lunga, ho ripensato a tutto il lavoro fatto, alle difficoltà e all’impegno messo nei mesi per dare sicurezza a Villa e ai compagni».

Marco Villa, Francesco Lamon
Europei di Plovdiv 2020, il quartetto azzurro decimato dal Covid. Lamon c’è e alla fine arriva l’argento dietro alla Russia
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Un pacco di Red Bull

La gara è diventata un intreccio di storie personali, di amicizie che hanno reso questo quartetto così unico e inclusivo. Come quando videro per la prima volta Jonathan Milan o quando col magone addosso hanno saputo che Scartezzini sarebbe rimasto a casa.

«Siamo fratelli – conferma – da Scartezzini a Bertazzo e poi noi quattro. Viviani è il fratello maggiore e Villa nostro padre. Ci siamo ritrovati in stanza con Elia, Consonni, Ganna ed io e non mi sono mai divertito tanto. Facevamo scherzi a Elia e lui stava al gioco. Abbiamo ordinato su Amazon la San Pellegrino e anche la Red Bull, per ricreare il clima che abbiamo di solito nei ritiri in Italia. Per Villa è stato tanto difficile scegliere, ma quando hai questi problemi, vuol dire che hai tanti corridori ed è un bene. Con Michele (Scartezzini, ndr) che è rimasto a casa ho un rapporto speciale, abbiamo condiviso la scelta delle Fiamme Azzurre, ci sentiamo quasi tutti i giorni, ci siamo sentiti anche da Tokyo. Mi è dispiaciuto che non ci fosse. Per l’impegno che abbiamo messo, meritavano tutti di esserci e vivere quei giorni irripetibili».

Dopo i primi giorni a casa, finalmente un po’ di tempo con Sara (foto Instagram)
Dopo i primi giorni a casa, finalmente un po’ di tempo con Sara (foto Instagram)

Si ricomincia

A fronte di altri olimpionici che sono spariti dai campi di gara, risucchiati dai salotti e dai riflettori, il ciclista non ha diritto, tempo e forse voglia di mollare. Così i nostri sono tutti sulle loro bici a colmare le differenze che le varie preparazioni specifiche hanno indotto rispetto all’attività su strada.

«Feste ancora niente – ammette Lemon – sono stato a casa per cinque giorni cercando di capire dove fossi e facendo le solite visite parenti. La famiglia è stata importante. Poi sono andato assieme a Sara (la sua compagna ndr), che ha fatto i miei stessi sacrifici, a far visita a mia sorella che vive a Malaga, in Spagna. Per le feste ci sarà giustamente tempo il prossimo inverno, ora c’è da rimettersi sotto pensando ai campionati italiani su pista di fine settembre, poi gli europei e i mondiali. Mi ricollego a quanto ho detto su Elia. Per me era uno stimolo pazzesco avere un campione olimpico che si allenava con noi a Montichiari, perciò spero che per i giovani azzurri sia lo stesso quando ci ritroveremo a girare».