Imelda sfrecciò sul traguardo di Atlanta con lo sguardo sfinito e l’argento olimpico al collo. Chi c’era ricorda che la bergamasca non sapeva se gioire o prendere a pugni il manubrio. La Longo e il suo oro erano sempre rimasti a tiro, ma non c’era stato verso di acchiapparla. In volata, sarebbe stato quasi certamente trionfo azzurro, dopo gli ori su pista di Martinello, Collinelli e Bellutti e a quello della mountain bike di Paola Pezzo.
Sono passati 25 anni, su Atlanta e quel clima surreale di controlli e antiterrorismo è stato girato anche un film, mentre Imelda Chiappa è mamma di due figli. Uno grande, che dello sport non ha mai voluto sentir parlare. E uno un po’ più piccolo, nato agli sgoccioli della sua carriera, che è appena passato professionista al Team Bike Exchange: Kevin Colleoni.
A voi non è ancora venuta la curiosità di sapere in che modo le loro storie ciclistiche si siano intrecciati a quella familiare, da quando Imelda ha passato il testimone?
«In realtà – sorride lei – io non ho mai smesso. Al di fuori del periodo stretto della maternità, ero un’atleta e fino al settimo mese ero in palestra. Ho sempre fatto sport. Con il primo figlio ho corso per sette anni. Quando poi è nato Kevin, ero tesserata con l’Edil Savino. Dissi che avrei corso per capire se fossi ancora all’altezza, ma mi sarei fermata se avessi avuto un altro bimbo. E così fu. Con il primo mi ero reso conto di quanto fosse complicato fare la mamma e anche l’atleta, così decisi di dedicarmi alla famiglia. Ma non ho rammarichi. Negli anni successivi non ho mai partecipato a una Gran Fondo, ma esco tutti i giorni, salvo che non ci sia qualche impegno. Vado con i soliti amici e con il solito agonismo. Se vedo un uomo, devo staccarlo. Non vado affatto piano…».
Sempre così motivata?
Ho iniziato tardi, a 16 anni, anche per un incidente che da ragazza mi costò tibia e perone. Ho vinto 94 gare da elite, si vede che ero portata per questo sport. Ma prima non sapevo che ci fosse il ciclismo anche per le donne. Andavo al bar della Roberta Bonanomi con mio padre e lei aveva già cominciato. Così ci provai anch’io. Qualsiasi sport facessi ero molto competitiva, sempre in lotta con i maschietti. Ai Giochi della Gioventù era sempre una battaglia. Non c’è mai stato un giorno senza sport. Per cui quando ho cominciato, ero già pronta. Dovevo solo imparare ad andare in bicicletta. Ero davvero imbranata. Facevo le curve con il pedale giù e cadevo. Ci andavo in bici, ma con quella da donna.
C’è qualche vittoria che ricordi più delle altre?
Tutte belle, perché me le sono sempre sudate. Mi piaceva attaccare. Il mio diesse Sottocornola faceva le tattiche, ma si rendeva conto che fosse impossibile gestirmi. Ne ridiamo ancora. Quando poi ero con la nazionale, esageravo sempre. Ma era un altro ciclismo. Mi allenavo da me, non ho avuto il cardio se non gli ultimi due anni. Quando arrivò come tecnico Broccardo, ci portò qualche volta a Roma all’Acqua Acetosa per fare dei test. Ero uno spirito libero. Con le preparazioni mirate, avevo due picchi all’anno e andavo forte, ma mi logoravano psicologicamente, perché a me piaceva andare forte sempre.
E Kevin come fa?
Lui è nato in questo tempo, in cui tutti lo fanno, per cui immagino che lo trovi normale. Ha iniziato a farlo come lavoro solo da poco, finché c’è stata la scuola si allenava il giusto. Ha debuttato a 6 anni, dopo che suo fratello Maurizio non aveva voluto saperne.
Lo mettesti tu sulla prima bici?
In realtà no. C’era un signore anziano che lo invitava tutti gli anni a mangiare il panettone. Io gli proponevo di fare altri sport, un anno gli proposi anche di fare danza e dovreste vedere con quale sguardo mi chiese se fossi impazzita. Kevin non ha mai voluto fare altro al di fuori della bici, ad eccezione del nuoto cui l’ho obbligato per due anni.
E’ andato subito forte?
In realtà era tanto piccolino, come me. Poi ha iniziato la crescita e ha cominciato a far vedere che c’era. Fino ad allievo è stato con me alla Caluschese, lo allenavo io perché ho il secondo livello. Non abbiamo mai preteso che dovesse vincere e nessun genitore si permetteva di sgridare i ragazzi per i loro risultati. Fino a un certo punto devono maturare, ma per come va oggi, se non pedali non trovi nemmeno squadra da junior. Non a caso, di tutti quelli che erano allievi con Kevin, è rimasto soltanto lui. Ma non si tratta di vincere, quanto di dimostrare che ci sei. Mio figlio non è mai stato uno che vinceva corse a palate, da junior ha vinto appena una cronoscalata battendo Bagioli.
Quanto hai potuto raccontargli della tua storia oppure quanto ti ha chiesto lui?
Non è che parli molto, come me. Gli piace stare in silenzio, ascoltare. A casa ho le mie maglie appese, ma ogni volta che provavo a raccontargli qualcosa, mi zittiva. Gli piaceva correre, non guardare il ciclismo in tivù. Quello che gli ho trasmesso è che il ciclismo è un impegno che va mantenuto, ma non è mai andato in giro a vantarsi della mamma. Semmai erano gli altri che glielo dicevano.
Uscite ancora in bici assieme?
Fino da allievi sempre, adesso è antipatico. Parte subito a tutta e io sono già in affanno, ha il passo da pro’. I figli sono buoni (ride, ndr), ma non hanno rispetto per le mamme.
Tuo marito Marco correva anche lui?
E’ arrivato ai dilettanti, ci siamo fidanzati che avevo 19 anni e quando ha iniziato Kevin, non era tanto d’accordo. Di fatto, diceva, non abbiamo mai smesso di andare appresso alle bici. E ha ragione. Lui lavora in Ungheria e rientra solo nei weekend, così io sono a casa a mandare avanti tutto. Non ho mai lavorato, ma ho tanto da lavorare.
Ti manca mai l’adrenalina delle corse?
Adesso ovviamente no, i primi anni sì.
Atlanta fu una vittoria sfumata?
L’ho sempre pensato, ma ugualmente è un gran ricordo. Anche perché non volevano portarci. Ai mondiali dell’anno prima si erano qualificate Bonanomi e Cappellotto, io rientrai alla fine e fu davvero magnifico.
Avresti preferito che Kevin si trovasse un lavoro normale?
Ma lui è come me, non pensa al futuro. Era già contento dell’Androni, l’apertura WorldTour è stata inaspettata. E poi anche i lavori normali, di questi tempi, oggi li hai e domani spariscono. Per cui adesso ha davanti gli anni in cui potrà dimostrare di essere all’altezza. E per andare a lavorare, semmai, avrà sempre tempo. Ha 21 anni, ha il suo diploma alberghiero, può sempre iscriversi all’Università.
Ha una chance importante e in squadra lo adorano.
Con mio marito abbiamo visto che lo portano già allo Uae Tour e ci siamo chiesti se non sia troppo presto, ma significa che ci credono ed è bello.
Che corridore sarà?
E’ uno scalatore atipico, non si alza mai in piedi. Ha fatto anche qualche crono e non va male. Fisicamente è come me, in proporzione ovviamente… Ha il cavallo da 1,90 pur essendo 1,80. Ha delle leve lunghissime. In pianura non lo staccano, ma deve fare esperienza. E secondo me non sarebbe fermo nemmeno in una volata ristretta. Quando faccio certi ragionamenti, viene fuori la mamma e non il direttore sportivo. Me lo dicono che sono troppo buona, anche quando vado a girare con i bambini…