Pierrik era fuori a fare jogging nei giorni che portavano al Natale del 2012. Hugo Houle studiava per diventare un agente di polizia e condivideva col fratello minore la grande passione per il Tour de France. Non passava giorno di luglio, senza che si sedessero insieme per seguire quelle immagini che arrivavano da così lontano.
Nel piccolo villaggio del Quebec in cui vivevano non c’era molto da fare, per cui non vedendolo tornare, Hugo uscì per andarlo a cercare. Lo trovò disteso sulla strada, nessuno intorno. Qualcuno lo aveva investito, poi era scappato.
«Questa vittoria è per mio fratello – dice Houle dopo aver vinto la tappa di Foix – non avevo mai vinto, questo era il posto giusto per cogliere la prima. La sua morte all’inizio mi ha distrutto più di quanto abbia aiutato, dopo un po’ invece questo è cambiato. Pierrick ha avuto appena il tempo di vedermi diventare professionista. Ho dovuto aspettare dieci anni, ma finalmente ho centrato questa vittoria per lui. Incredibile, non ho parole per questo».
Le dita al cielo, lacrime e sorrisi. Il canadese è frastornato. Nella tappa che ci ha fatto sperare in Caruso e ha vissuto della grande attesa del duello fra Pogacar e Vingegaard (sicuramente iniziato senza che però la maglia gialla abbia mostrato più di tanto il fianco), il romanzo del canadese in fuga per fare da riferimento a Woods è uno spicchio di storia che merita un racconto.
Hugo Houle è canadese, ha 31 anni ed è passato professionista nel 2013 Sapevano tutti della voglia di Houle di dedicare la vittoria al fratello. Ecco l’abbraccio di Woods, in fuga con lui
Cresciuti insieme
Di questa sua voglia di vincere per onorare il fratello, Houle parlava spesso e in gruppo tutti ne erano al corrente. Per questo i corridori che gli sono sfilati accanto hanno colto la profondità dello sguardo e di quella gioia e sono andati a congratularsi con lui.
«Passavamo tutta la mattina – ricorda – a guardare le tappe, ma lui non ha mai avuto la possibilità di venire in Europa. Ho sempre pensato che sia molto triste. Quando cresci insieme, ti somigli per forza. E Pierrick era un po’ come me. Abbiamo iniziato insieme nel triathlon. Avevamo tre anni di differenza, abbiamo corso insieme e all’inizio era più veloce di me.
«Ci piaceva fare sport insieme, con i nostri genitori che ci accompagnavano. Poi dal triathlon sono passato al ciclismo, ma lui dopo un po’ ha lasciato la bici e ha iniziato a giocare a calcio. Era timido, ma davvero intelligente e un gran lavoratore».
Ho provato ad andare in fuga, ma poi mi sono spento. Forse ho sbagliato ad alimentarmi. Almeno ho fatto vedere che ci sono e nei prossimi giorni ci riproverò
Damiano Caruso
Il primo Tour
Il resto della storia sono i sogni che diventano realtà. Il professionismo arrivato come per miracolo. Gli studi interrotti nel 2010 per fare un solo tentativo convinto. La maglia del team canadese Spidertech. Il WorldTour nel 2013 con la AG2R-La Mondiale nel 2013. E poi il primo Tour nel 2019 con la maglia Astana.
«Non ci sono molti ciclisti del Quebec – sorride – quindi è stato un grande momento. E inoltre ero davvero orgoglioso di avercela fatta. Il passo successivo sarebbe stato ottenere un risultato nel Tour e non semplicemente correrlo. E oggi questo risultato è arrivato».
Non è facile trattenere le lacrime. La stessa linguaccia sul traguardo dopo un po’ è diventata un brivido che lo ha scosso e ancora un’ora dopo la vittoria nei suoi occhi continuano a galleggiare le lacrime.
Assaggi di Pogacar
A margine di tutto questo, si segnalano i due scatti in salita di Pogacar e il suo allungo in discesa, con la netta sensazione (probabilmente accentuata dalla facilità d’azione di Vingegaard) che allo sloveno manchi il rapporto.
«Non è stata una brutta giornata – ha detto appena tagliato il traguardo – ma non è stata nemmeno una giornata perfetta. Spero in occasioni migliori. Ho provato le strade, quindi ho un’idea anche delle discese, anche se sarà meglio fare la differenza in salita. Come ho detto già ieri, i prossimi due giorni saranno perfetti per andare a tutto gas».
Il Tour intanto si è preso anche Marc Soler, arrivato fuori tempo massimo, mentre Majka ha dovuto lasciar andare il giovane capitano per un guaio meccanico sull’ultima salita. Vingegaard è parso in totale controllo per tutto il giorno.
La crisi si è invece abbattuta su Bardet, al traguardo 3’37” dopo Pogacar e VIngegaard Chi invece ha centrato una bella operazione in classifica è Vlasov, che ha ripreso 4’14” al leader
La crisi si è invece abbattuta su Bardet, al traguardo 3’37” dopo Pogacar e VIngegaard Chi invece ha centrato una bella operazione in classifica è Vlasov, che ha ripreso 4’14” al leader
«Due corridori in meno – dice Van Aert, che si è rialzato dalla fuga – cambiano la tattica. Soprattutto perché parliamo di Roglic e Kruijswijk. Ma se Jonas ha le gambe che ha avuto nelle ultime due settimane, lavoreremo per portarlo ai piedi delle ultime salite. Per noi la cosa più complicata sarà l’inizio delle tappe, il controllo della situazione».
Domani, nella 17ª tappa da Saint Gaudens a Peyragudes di appena 129,7 chilometri, i primi 53 saranno proprio di pianura. Poi si scatenerà un inferno incandescente sulle rampe di Aubisque, Horquette de Arcizan, Val Louron-Azet e Peyragudes dove nel 2017 Aru strappò la maglia gialla dalle spalle di Froome. Ha ragione Pogacar, domani sarà per lui un’occasione da non lasciar passare invano.