L’analisi del Giro Donne e uno sguardo al Tour

18.07.2023
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Il Giro Donne ha lasciato uno strascico lungo alle proprie spalle, che continuerà a far parlare gli appassionati fino al 27 luglio, data d’inizio del Tour de France Femmes. Al seguito del UAE Team ADQ c’era Simone Casonato, performance coach delle ragazze di Arzeni. Casonato ha avuto modo di leggere la corsa dall’interno, vivendola attimo per attimo: grazie al suo occhio tecnico, ci siamo immersi in queste nove tappe. 

Simone Casonato lavora da due anni come performance Coach del UAE Team ADQ
Simone Casonato lavora da due anni come performance Coach del UAE Team ADQ

Nove giorni di lavoro

Quello del coach del UAE Team ADQ è stato un lavoro a 360 gradi, volto a leggere la prestazione delle sue atlete e non solo. 

«Il mio lavoro – dice – si svolgeva in due grandi momenti: il pre tappa ed il post tappa. Nelle fasi precedenti alla partenza, facevo una previsione delle prestazioni delle ragazze, in termini di energie spese. Analizzavo il percorso ed i punti salienti, grazie ai vari software e fogli di calcolo, fornivo una stima dell’energia espressa durante ogni momento della tappa. Un lavoro che andava di pari passo con quello della nostra nutrizionista: Erica Lombardi.

«Nel post tappa – continua Casonato – l’analisi riguardava la prestazione delle nostre ragazze e delle avversarie. Una cosa estremamente utile per i nostri diesse e non solo».

Silvia Persico ha performato bene sia sulle salite brevi (adatte a lei) che sulle più lunghe
Silvia Persico ha performato bene sia sulle salite brevi (adatte a lei) che sulle più lunghe
Quindi si può dire che hai avuto un occhio su tutto il Giro Donne: che cosa ti è parso della prestazione di Van Vleuten?

Si è dimostrata una tacca sopra le altre, le sue prestazioni sono state in linea con i suoi migliori valori del 2022, espressi durante il Tour de France Femmes. In particolare con la tappa della Super Planche des Belles Filles, dove ha espresso i suoi migliori numeri di sempre. 

La cosa che ha impressionato è la sua costanza…

Non solo quella. Lei riesce ad esprimere valori elevati sia consecutivamente che nel corso di tutte le tappe. Per farvi un esempio: riesce a mantenere un picco intorni ai 5,5 watt per chilo su salite da 20 minuti, anche consecutive. Questi dati è stata in grado di riportarli durante tutte le nove tappe (diventate otto a causa dell’annullamento della crono iniziale, ndr). 

Una delle sorprese di questo Giro Donne è stata Gaia Realini.

Si è dimostrata estremamente solida, lo testimonia il fatto che abbia chiuso terza in classifica generale, portando a casa la maglia di miglior giovane. Ha performato ad alti livelli su più terreni: nella tappa regina, quella di Ceres, è stata l’unica a seguire Van Vleuten in salita. Mentre nella tappa di Alassio ha fatto vedere una grande esplosività, caratteristica fondamentale per seguire le prime. Ha solamente 21 anni e sicuramente ha messo in chiaro di essere una delle migliori atlete del futuro. 

Per quanto riguarda le vostre c’è da sottolineare la vittoria di Chiara Consonni nell’ultima tappa…

Chiara ha avuto un finale in crescita, che legato alla sua giovane età è un bel segnale, vincere alla fine di un grande Giro è sinonimo di solidità. Nella volata di Olbia ha avuto un minimo decremento del picco di potenza rispetto alla sua miglior performance. Per una velocista è un grande dato che denota grandi qualità neuromuscolari.

Silvia Persico invece ha ottenuto una bella top 10, no?

Ha avuto una buona tenuta su tutte le tappe, sicuramente non ha giocato a suo favore la cancellazione del prologo. Lì avrebbe potuto fare bene. Silvia ha messo in campo una buona tenuta sia su salite brevi, vicine alle sue caratteristiche, sia in salite più lunghe.

Ci sono stati altri dati che ti hanno colpito?

Uno in particolare: ovvero che l’intensità media di una tappa al Giro Donne è superiore rispetto a quella degli uomini. Un fattore determinato sicuramente dalla distanza percorsa in ogni tappa. La frazione più lunga è stata la quarta, con 134 chilometri. Uno studio ha dimostrato che le donne, durante una corsa, rimangono per più tempo in Zona 4, precisamente del 13%, rispetto agli uomini. I maschi stanno in quella fascia di sforzo, che varia tra il 91 e il 105% per il 20% del tempo totale della gara. Le donne arrivano anche al 33%. 

Torniamo un attimo a Van Vleuten, hai detto che si è espressa sui suoi migliori valori, riuscirà a mantenerli fino alla fine del Tour?

Va detto che non si è mai risparmiata, nonostante avesse un gran margine sulle avversarie. Nelle due settimane che dividono Giro e Tour, il riposo diventa fondamentale. Certo è che Van Vleuten vince i tre grandi Giri dal 2021, sicuramente ha una sicurezza psicologica importante. Va fatta un’analisi però.

Van Vleuten ha vinto la Vuelta per soli 9 secondi sulla connazionale Vollering, un vantaggio risicato
Van Vleuten ha vinto la Vuelta per soli 9 secondi sulla connazionale Vollering, un vantaggio risicato
Dicci.

In questo 2023 l’olandese è partita “a rilento” rispetto allo scorso anno. Il calendario è cambiato, la Vuelta è stata la prima grande corsa a tappe e questo ha influito. 

Infatti in Spagna ha vinto, ma con soli 9 secondi su Vollering. 

Esattamente, perché non era al massimo della sua condizione. I dati, sulla salita di Lagos de Covadonga, parlavano di un discostamento di 0,2/0,3 watt per chilo dalle sue migliori prestazioni. Tant’è che laVollering le ha rifilato poco meno di un minuto. 

Vollering arrivava alla Vuelta Femenina da una campagna del Nord vissuta da dominatrice.

Vero, hanno avuto due approcci alla stagione completamente diversi. Vollering ha avuto un picco di forma ad aprile, che ha sfruttato per fare una grande Vuelta e mettere in difficoltà Van Vleuten. Quest’ultima invece è partita più piano per arrivare poi ad avere la miglior forma possibile al Giro Donne ed al Tour Femmes. 

Vollering ha corso una grande campagna del Nord, poi si è fermata per preparare al meglio il Tour
Vollering ha corso una grande campagna del Nord, poi si è fermata per preparare al meglio il Tour
Vollering, invece, arriverà al Tour da una lunga pausa, l’ultima gara è stato il campionato nazionale…

Ha diviso la stagione in due blocchi, un modo più canonico per gestire la condizione. Il grande vantaggio di Van Vleuten è che riesce a sostenere carichi di lavoro inimmaginabili per le altre. In un anno arriva a fare 33.000 chilometri e 430.000 metri di dislivello. Vi faccio un paragone, Valgren, nel 2018 è stato uno dei corridori dell’Astana ad aver fatto più chilometri. Ha totalizzato 33.900 chilometri ed accumulato 437.000 metri di dislivello, Van Vleuten non è così lontana. 

Il Tour de France Femmes però probabilmente si deciderà nelle ultime due tappe: arrivo al Tourmalet e cronometro finale.

Per questo il duello Vollering-Van Vleuten affascina così tanto, arrivano in maniera talmente diversa che non abbiamo quasi idea di come possa andare. Non ci resta che goderci questo grande spettacolo, consapevoli che anche il caldo giocherà la sua parte.

Van Anrooij a cuore aperto: ora si pensa alla strada

10.03.2023
6 min
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Manca ormai poco. Mercoledì, alla Danilith Nokere Koerse, Shirin Van Anrooij farà il suo esordio nella stagione su strada. Ci arriva dopo un abbondante periodo di riposo, necessario dopo la stagione di ciclocross culminata con il titolo mondiale U23. L’olandese non aveva fatto la scelta delle sue connazionali Van Empel e Pieterse di salire di categoria, trovandosi così la strada spianata verso il titolo e la cosa non è passata inosservata. Molti sui social hanno giudicato troppo facile il suo compito, privata delle principali avversarie, ma le cose non stanno propriamente così.

Intanto bisogna considerare che la 21enne di Goes abbina al ciclocross anche la strada ai massimi livelli. Lo scorso anno non solo ha conquistato entrambi i titoli europei di categoria (crono e in linea) ma è stata anche la miglior giovane al Tour de France, vorrà pur dire qualcosa. In attesa di rifare le valigie, Shirin si è raccontata a viso aperto in una lunga chiacchierata, partendo dalle sue radici ciclistiche.

Per l’olandese quest’anno 7 vittorie nel cross, con 3 tappe di Coppa del Mondo
Per l’olandese quest’anno 7 vittorie nel cross, con 3 tappe di Coppa del Mondo

«Ho iniziato a pedalare già quando avevo, credo, sei o sette anni – esordisce la portacolori della Trek Segafredo – Ho preso una bici da strada. Anche mio fratello e mia sorella maggiori andavano in bicicletta, quindi volevo solo seguirli. Penso che anche mia madre fosse una ciclista quando era più giovane, quindi è davvero qualcosa che è parte della famiglia. Mi sono subito dedicata a strada e ciclocross, non c’era tempo e spazio per fare altro».

Hai dominato i mondiali U23, con tempi sul giro migliori anche di quelli di Van Empel e Pieterse fra le elite. Ti sei pentita di non aver scelto anche tu di competere fra le più grandi?

No, per niente. Ho perso il titolo l’anno scorso ed è stato un dolore grande, quest’anno volevo davvero vincere la gara, per poter chiudere il capitolo under 23 e girare pagina. I tempi sul giro sono sempre difficili da confrontare. Inoltre, se guardiamo le condizioni meteorologiche, ha piovuto un po’ di più durante la gara delle donne d’élite, probabilmente è per questo che i loro tempi sul giro sono un po’ più lenti.

La stagione della ragazze della Trek Segafredo partirà con le classiche belghe, dove ha molte ambizioni
La stagione della ragazze della Trek Segafredo partirà con le classiche belghe, dove ha molte ambizioni
Fino allo scorso anno nel ciclocross dominavano atlete più grandi come Vos, Brand, Worst. Quest’anno la vostra generazione ha segnato una rivoluzione. Secondo te qual è la causa di un cambiamento così netto?

Penso che fossimo già abbastanza vicine al loro livello l’anno scorso, ma è stato più intermittente. Quindi a volte eravamo lì, a volte no. Penso che continuiamo a progredire, anno dopo anno. E penso che noi tre essendo della stessa età, vogliamo davvero competere l’una contro l’altra e rafforzarci a vicenda. E’ questa rivalità che sta portando il nostro livello a un grado superiore.

Vieni da una grande stagione su strada, con due titoli europei, un argento mondiale e la maglia di miglior giovane al Tour. Quanto pensi di essere cresciuta nelle gare su strada e come ti trovi alla Trek Segafredo?

Sono arrivata dalla categoria juniores direttamente al WorldTour. E’ stato davvero un grande passo, ma il primo anno è stato anche pieno di difficoltà, anche nel gruppo, anche con la squadra, perché dovevo abituarmi a un ruolo diverso da quello a cui ero abituata. Ho ricevuto così tanto aiuto da tutti all’interno del team ed è stato anche fantastico poter lavorare per le migliori del mondo, supportarle e far parte di loro vincendo una gara. Sono stata al mio posto e l’anno scorso si è visto un passo in avanti. Non ero più una semplice gregaria ma ero lì nel finale a lottare con loro per la vittoria. Quindi sì, è stato speciale. E ovviamente anche la maglia bianca al Tour è stata un passaggio fondamentale nella mia carriera.

La Van Anrooij è campionessa europea anche a cronometro, ma sente di doverci ancora lavorare molto
La Van Anrooij è campionessa europea anche a cronometro, ma sente di doverci ancora lavorare molto
Le leader del team come Balsamo e Longo Borghini parlano molto bene di te per l’impegno che metti nell’aiutare in corsa. Pensi quest’anno di avere più spazio e di poter correre anche gare importanti come leader della squadra?

Penso che per me quest’anno sarà molto importante essere ancora all’ombra delle leader della squadra. Forse in alcune gare minori avrò un po’ più di possibilità anch’io. In questo momento il loro livello è più alto e ovviamente voglio crescere, ma prima di tutto voglio dimostrare ancora una volta che l’anno scorso non è stato un caso. Mi piace lavorare per loro e provare a far parte della loro vittoria. Ma ovviamente spero che ci sia spazio per giocare le mie carte, non importa quale gara sarà, ma sarebbe bello vedere fino a che punto posso arrivare.

Nel prosieguo della tua carriera pensi di continuare a dividerti fra strada e ciclocross?

Di sicuro, nei prossimi anni combinerò entrambe. Mi piace molto il ciclocross, mi piacciono molto le corse su strada e non potrei davvero fare una scelta. Non vedo l’ora di ricominciare a correre su strada. Prendo tutta la resistenza dalla strada per andare a tutto gas per 50 minuti nella gara di ciclocross, ma poi scarico tutta la mia esplosività nella stagione di classiche e grandi giri. Le mie squadre (Trek Sgeafredo per la strada, Baloise Trek Lions per il ciclocross, ndr) lavorano molto bene insieme, come stanno facendo in questo momento, e abbiamo un buon piano per non sostenere troppe gare in un anno, penso che continuerò a combinare le due attività perché mi piace troppo farlo.

Al Tour de France Femmes è stata la miglior giovane, 14esima in classifica a 25’50” dalla Van Vleuten
Al Tour de France Femmes è stata la miglior giovane, 14esima in classifica a 25’50” dalla Van Vleuten
Quali sono ora i tuoi obiettivi per quest’anno?

Per quest’anno, gli obiettivi sono prima di tutto provare a raggiungere lo stesso livello dell’anno scorso, si spera di fare un passo avanti, quindi spero di fare una gara davvero buona durante una delle classiche e poi concentrarmi ancora un po’ sulla cronometro. Inoltre affronterò il Giro per la prima volta. Quindi tante gare entusiasmanti e tante nuove sfide.

Tu, pur essendo specialista delle cronometro, sei già tra le migliori in salita, eppure in Olanda non ci sono grandi salite. Come fai ad allenarti per questa specifica caratteristica?

Dopo la sosta necessaria post ciclocross sono andata in Spagna per prepararmi per la strada, allenandomi molto in salita. A casa non ci sono grandi ascese, è molto difficile curare questo aspetto, ma quando mi alleno in Olanda posso affrontare il fuori soglia e lavorare sul mio FTP. Quando hai una buona potenza in piano, penso che tu possa avere anche una buona potenza in salita e viceversa. E’ comunque necessario abbinare agli allenamenti a casa anche periodi in luoghi specifici per curare le capacità di scalatore.

Van Vleuten: «Tour in 3 settimane? Ci si arriverà…»

21.01.2023
5 min
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«Voglio veder crescere la mia squadra e godermi la mia maglia iridata, perché è il miglior modo per salutare questo sport». Parole, quelle di Annemiek Van Vleuten riportate dal quotidiano spagnolo Marca che sembrano un epitaffio alla sua straordinaria carriera.

L’olandese, superata la soglia dei 40 anni, si appresta a vivere la sua ultima stagione, al termine della quale appenderà la bici al chiodo. E non sembra ci siano margini perché receda dai suoi propositi, anche se sembra strano considerando che siamo nell’anno preolimpico.

La Van Vleuten in Colombia, dove si è allenata nel mese di dicembre (foto Marca)
La Van Vleuten in Colombia, dove si è allenata nel mese di dicembre (foto Marca)

Smettere nonostante tutto

La campionessa della Movistar è stata al riguardo molto chiara: «Voglio smettere quando è ancora doloroso farlo, non cambierò idea. Soffrirò, piangerò, ma non voglio mollare quando il mio livello calerà, voglio essere ancora nel pieno delle mie capacità, al mio massimo livello».

Nella sua intervista, durante il ritiro che la campionessa arancione ha svolto in Colombia, la Van Vleuten ha sottolineato anche come il rapporto con la sua squadra, con la quale è solo al secondo anno, sia molto profondo: «E’ un team forte, hanno tutte grandi qualità tecniche, devo riconoscere che è la prima volta che ripongo una fiducia totale nelle mie compagne e nel sistema di squadra. So che le ragazze mi porteranno davanti ai piedi della prima salita, sempre e comunque. Io dovrò solo stare alla loro ruota. Voglio vederle crescere e accompagnarmi in questo mio ultimo viaggio agonistico, mettendo nel mirino alcune corse, anche se non ho ancora in mente specifici obiettivi».

Tra i nuovi arrivi alla Movistar spicca Liane Lippert, campionessa tedesca ai piedi del podio ai mondiali 2022 (foto Instagram)
Tra i nuovi arrivi alla Movistar spicca Liane Lippert, campionessa tedesca ai piedi del podio ai mondiali 2022 (foto Instagram)

Professionismo femminile

Dopo quel che ha realizzato lo scorso anno, aggiudicandosi tutti e tre i maggiori giri, si sarebbe portati a pensare che voglia ripetersi salutando così il gruppo nella maniera migliore. A tal proposito la Van Vleuten ha puntato l’obiettivo sulla durata delle corse a tappe, dicendo la sua su un tema molto dibattuto.

«Fare corse di tre settimane anche per le donne è possibile – dice l’olandese – ma bisogna lavorarci con calma. Non è qualcosa di realizzabile a breve termine. Per ora è meglio una decina di giorni, concentrati di emozioni. Ma sono sicura che avverrà, ci si arriverà dopo che il passaggio al professionismo sarà completato e ogni ciclista avrà un salario minimo decente, sufficiente per vivere con il proprio lavoro di atleta».

Le sue affermazioni fanno riflettere e ci hanno spinto a chiedere una replica a un altro totem del ciclismo femminile, Fabiana Luperini. La toscana come la Van Vleuten era una specialista delle corse a tappe, vincitrice di 5 Giri d’Italia e 3 Tour de France.

«Io -spiega Fabiana – credo che tornare al passato, ai miei tempi sia la soluzione migliore. Molti hanno dimenticato che quando ho vinto il Tour era articolato su due settimane ed era una quantità di tappe e chilometri più che sufficiente. Tre sarebbe troppo, per me lo è anche per gli uomini e da tempo se ne discute».

«Quindici giorni è la soluzione giusta, quella che fa emergere i valori reali in campo, non credo che una settimana in più cambierebbe le cose. Si è visto d’altronde come anche la formula attuale alla fine premi chi è più forte, allungarla di qualche tappa metterebbe alla prova la resistenza di tutte. Ma non andrei oltre le due settimane: non avrebbe più un senso tecnico».

Per la Luperini ben 3 vittorie al Tour, dal ’95 al ’97 e 5 successi al Giro (foto Facebook)
Per la Luperini ben 3 vittorie al Tour, dal ’95 al ’97 e 5 successi al Giro (foto Facebook)

Due settimane okay

Per certi versi però questa disparità fra uomini e donne può sembrare non al passo con i tempi. È stato scientificamente provato che in tutti gli sport di endurance le prestazioni fra i due sessi tendono a ravvicinarci sempre più con l’aumento dei chilometri tanto che in alcune prove di corsa sono le donne a vincere.

E’ un problema di cultura ciclistica ancora troppo maschilista? «Io non credo – dice la Luperini – ogni sport va visto nella sua singolarità. Se guardiamo al tennis, nei grandi tornei c’è ancora la differenza fra 3 e 5 set ed è giusto che sia così. Nel ciclismo ad esempio la distanza di 150 chilometri per le donne è più che sufficiente per far emergere le giuste gerarchie in campo. Casomai è sul sistema maschile che bisognerebbe intervenire.

«Tornando al discorso delle due settimane – continua la diesse del Team Corratec – queste permetterebbero al Tour di affrontare sia le Alpi che i Pirenei, oggi con una durata così ridotta è impossibile fare entrambi, ci sarebbero trasferimenti troppo lunghi».

La Luperini (qui con Attilio Viviani) esordirà da diesse Corratec al Saudi Tour dal 30 gennaio
La Luperini esordirà da diesse Corratec al Saudi Tour dal 30 gennaio

Ritiro? Forse ci ripenserà

La toscana dice la sua anche sulla decisione della Van Vleuten di chiudere la sua carriera essendo ancora al vertice.

«Al suo posto avrei tirato avanti ancora un anno, proprio perché si arriva alle Olimpiadi che sono un po’ il compendio di tutto il lavoro di un quadriennio. Ma probabilmente l’olandese sa che il percorso di Parigi non le sarà favorevole e poi in fin dei conti lei un oro olimpico lo ha già vinto, anche se a cronometro e non in linea. Io comunque sul suo ritiro a fine anno non sono così convinta: è nettamente superiore e se lo sarà anche nel 2023, magari ci ripenserà. Prima di dare la cosa per certa è meglio aspettare…».

Tour Femmes: tappe nervose, Tourmalet e crono finale

02.11.2022
5 min
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Otto tappe, una super montagna, una cronometro individuale. La scorsa settimana non è stato presentato solo il Tour degli uomini. Nella stessa occasione è stata svelata anche la Grande Boucle femminile: il Tour de France Femmes.

Dicevamo otto tappe come lo scorso anno, trasferimenti pressoché inesistenti e molto centro-sud. La novità è la cronometro. Anche per questo i chilometri scendono un po’. Si passa dai 1.034 dell’anno scorso ai 956 della prossima estate. A proposito: Le Tour de France Femmes andrà in scena dal 23 al 30 luglio.

Marion Rousse, direttrice del Tour Femmes. Alle sue spalle il percorso 2023 che si snoda nel sud della Francia
Marion Rousse, direttrice del Tour Femmes. Alle sue spalle il percorso 2023 che si snoda nel sud della Francia

Tappe nervose

Il percorso si snoda tutto nel Sud, ma guai a pensare alla bella e lussuosa Costa Azzurra. Si va dalle alture del Massiccio Centrale, a quelle dei Pirenei, passando per le colline e le valli della Garonne e del Tarn.

Ad ospitare le Grand Depart sarà Clermont Ferrand, proprio nella zona del Massiccio Centrale. Una prima tappa subito molto nervosa con una “cote” nel finale che complicherà tanto, ma proprio tanto, le cose alle sprinter.

E questo è uno dei leit motiv del prossimo Tour de Femmes: l’assenza di una vera tappa pianeggiante. Lo scorso anno, complice anche la lotta serrata, si è visto come la “pianura francese” con i suoi tipici vallonati riuscisse a fare scompiglio. Quest’anno sembra essere peggio.

A strizzare l’occhio alle ruote veloci sono la sesta tappa e anche la terza, ma quest’ultima ancora una volta se la dovranno sudare.

Super finale

Per il resto la parola d’ordine è nervosismo o cotes. Una continua Liegi. Senza contare che il chilometraggio non sarà affatto semplice. La frazione più lunga, la quarta, la Cahors-Rodez, misura ben 177 chilometri.

L’unica frazione al di sotto dei 100 chilometri, crono esclusa, è quella che con ogni probabilità deciderà la corsa, vale dire la settima. Quella del Tourmalet. Quella che in fase di presentazione nel Palais des Congres ha visto sentire dei grossi mormorii tra il pubblico.

Il gigante pirenaico si affronta dal versante meno cattivo, ma si deve comunque arrivare in cima. Pertanto da La Mongie, gli ultimi 6 chilometri sono micidiali. La strada si restringe, la pendenza balla costantemente tra il 10 e l’11 per cento. Ci si lascia alle spalle i casermoni della civiltà (appunto La Mongie) e si entra nel regno della natura. Sarà un vero spettacolo fino ai 2.110 metri di questo superbo e storico Colle.

Senza contare che prima si scala un altro passo mitico: l’Aspin!

E il giorno dopo c’è la crono. Come è stato fatto a Wollongong, per uomini e donne l’unica crono in programma misura 22 chilometri. Un altro simbolo dell’evoluzione rapida che sta vivendo il ciclismo in rosa.

La Pau-Pau, però rispetto alla frazione contro il tempo degli uomini è più scorrevole. E più per specialiste. E tutto sommato, dopo tappe dure e dopo il Tourmalet, è anche giusto dare delle possibilità alle passiste.

Le protagoniste

Le big a partire dalla campionessa uscente, Annemiek Van Vleuten, hanno tutte detto che si tratta un Tour Femmes parecchio duro, più dello scorso anno.

«Mi godrò il mio ultimo anno da atleta – ha detto la campionessa della Movistar – Sono felice di vedere una salita famosa come il Tourmalet, così come che ci sarà una crono. E che non ci sarà dello sterrato. In questo modo tutto sarà più equilibrato. Ma certo è un tracciato esigente anche nelle altre tappe».

«Penso che sia un percorso impegnativo ed eccitante già dall’inizio – ha sentenziato la seconda classificata del 2022, Demi Vollering –  C’è solo una grande tappa di montagna ma devi arrivarci bene. Lo abbiamo visto questa estate, i guai sono sempre dietro l’angolo, specie con tappe così nervose. Non vedo l’ora di fare le ricognizioni».

E anche Marta Cavalli ha sentenziato: «Il Tourmalet non ti regala nulla e tante tappe sono davvero belle».

«Ci siamo affidati a ciò che ci hanno suggerito le rider lo scorso anno – ha detto la direttrice del Tour Femmes, Marion Roussel’idea è tenere aperta la corsa fino alla fine, che poi è il sogno di tutti gli organizzatori. Volevamo fare un percorso equilibrato e credo che ci siamo riusciti».

Arzeni e le più forti se ne vanno: cosa fa la Valcar?

25.08.2022
7 min
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Se l’aspettava anche lui una chiamata prima o poi. Valentino Villa, presidente e fondatore, accoglie con un sorriso le domande sul futuro della squadra. Le ragazze più forti sono in procinto di lasciarla per approdare in team WorldTour e soprattutto dalla nave sta per sbarcare Davide Arzeni, il comandante di lungo corso che l’ha resa così forte. Ma la Valcar-Travel & Service continua, fedele alla filosofia di sempre. Poco importa se domani sarà costretta a cambiare nome: quando al centro c’è un’idea, il colore della maglia non incide poi molto.

Valentino Villa, qui con Chiara Consonni, è il fondatore della Valcar
Valentino Villa, qui con Chiara Consonni, è il fondatore della Valcar
Presidente, cosa si fa?

Abbiamo trovato le soluzioni per continuare, un’azienda che ci sponsorizza, puntando ancora su ragazze giovani e promettenti. Alcune hanno scelto di rimanere. E se chiuderemo la stagione fra le prime tre continental, come penso, l’anno prossimo potremo comunque fare la nostra bella attività. Stiamo bene nella nostra dimensione. Il team si ringiovanisce ed è una sfida che mi piace. Era giusto che le ragazze di 23-25 anni andassero in squadre più strutturate.

A un certo punto infatti avete abbandonato l’idea di diventare una WorldTour.

E’ un discorso mio, personale. Sono felicissimo di aver fatto il Tour de France, una cosa indescrivibile. Ma quando sono arrivato lì, mi sono reso conto che fossimo la Cenerentola del ciclismo. Non tanto per un fatto di risultati, quelli ci sono stati, quanto per la dimensione del team. Per questo devo dire grazie alle ragazze per la fiducia, allo staff che ha chiesto di essere confermato e anche a chi andrà via. E’ il mio destino. Sono un buon costruttore, ma una frana sul fronte del marketing. Solo che non si può fare tutto e noi abbiamo raggiunto il nostro massimo. Torniamo a essere piccoli come quando siamo nati, ma non lo resteremo per sempre.

L’uscita di “Capo” Arzeni forse fa più notizia delle atlete.

Gli devo molto. Ci sentiamo in ogni momento della giornata. Ricordo una festa di fine anno, in cui parlavo a ragazze come la Persico, arrivata a 12 anni mentre ora ne ha 25. E dicevo loro che per me sono come delle figlie, mentre Davide è più di un fratello. Allora lui ha preso il microfono e rivolgendosi alle ragazze, ha detto di essere loro zio. Dire che non mi dispiace della sua partenza sarebbe una bugia, ma di fronte a certe offerte non poteva voltarsi dall’altra parte. Lui è un competitivo, si metterà in gioco.

Arzeni e Sanguineti, festa dopo l’attesa vittoria di giugno alla Dwars door het Hageland
Arzeni e Sanguineti, festa dopo l’attesa vittoria di giugno alla Dwars door het Hageland
E’ forse strano che non lo abbiano avvicinato prima.

Pensavo la stessa cosa, erano due anni che mi chiedevo quando sarebbe successo. Eppure sono convinto di tre cose. Che faremo grandi sfide. Che se dovessi indicare una persona con cui andare a cena, sceglierei lui. E che quando saremo entrambi a fine carriera, metteremo su una squadra giovanile di ciclocross e ci divertiremo ancora. La fortuna della Valcar è stato il dinamismo di due persone dai caratteri complementari. Davide mi guarda negli occhi e capisce cosa sto pensando, lo stesso io con lui.

Come è stato il momento in cui ha annunciato che andava via?

Ne parliamo già da un paio di mesi, perché possiamo trovare la soluzione migliore, ma non mi aspettavo di vedere quelle lacrime. Il nostro legame nasce sì dai risultati, ma soprattutto dai momenti difficili.

Avete già in mente chi sarà il suo successore?

C’è qualche nome e sono determinato a rinforzare la struttura, in termini di personale e mezzi. Abbiamo due diesse che ci aiutavano in caso di tanti impegni, ma mi sto confrontando anche con Arzeni su chi prenderà il suo posto.

Torniamo per un attimo alla scelta di continuare ripartendo da una dimensione più piccola?

Ho avuto contatti con sponsor importanti, purtroppo stranieri, che proponevano di andare avanti alzando il livello del team. Sia pure in extremis, si sono accorti del nostro buon lavoro e ci hanno proposto di fare una fusione. Nell’ultimo mese e mezzo ho fatto delle scelte, convinto che riconoscere e ammettere i propri limiti sia segno di maturità.

Quali limiti?

Il sogno è sempre stato di avere un team italiano alla conquista del mondo, ma gli sponsor tecnici ci hanno fatto capire che non sarebbe stato male renderlo più internazionale. Quando arrivano le straniere, dico loro che la lingua nazionale qui è il bergamasco e quella ufficiale l’italiano. Prima mi guardano come fossi matto, poi capiscono la nostra dimensione. Ricordo spesso che siamo partiti da cinque esordienti e quello che abbiamo fatto dopo è stato tanta roba. Credo che in questo ciclismo che va così veloce, serva una squadra cuscinetto per un’età molto delicata. Lo vedo nel mondo del lavoro. I ragazzi che lavorano alle macchine a controllo numerico sono dei fenomeni, con abilità pazzesche, ma sono anche fragili. Nel ciclismo è lo stesso.

Ci spiega meglio per favore?

Tutti i preparatori conoscono numeri e sistemi di allenamento, ma l’aspetto umano è un’altra cosa. Serve avere una squadra senza l’assillo del risultato, del peso, in cui si abbia il tempo per crescere. Un ambiente in cui si lavora bene, ma in cui si sorride. A 19 anni servono pazienza e tempo, che secondo me sono valori aggiunti. Senza viziarle, ma mettendole nelle condizioni di crescere e spiccare il volo. Sarei in grado di gestire una Vos? Forse no e allora è meglio fare quel che siamo in grado di fare.

Fra le ragazze della Valcar resta grande affetto. Qui Balsamo dopo la vittoria di Consonni al Giro
Fra le ragazze della Valcar resta grande affetto. Qui Balsamo dopo la vittoria di Consonni al Giro
Di sicuro le ragazze che sono passate di qua avranno sempre una buona parola…

Infatti ci arrivano richieste dall’Italia e dall’estero. Anche se le cose stanno cambiando, c’è un mercato di cui tenere conto. Ogni giorno è una battaglia, puoi fare del tuo meglio, ma devi sapere che ci sono anche gli altri. Davanti alle cifre che mi giungono per alcune atlete di vertice, rimango stupito, ma sono anche contento perché finalmente si è raggiunta la parità, che è un grande obiettivo. E’ bello vedere le ex che si fermano, girano la bici e vengono a chiedermi come sto, anche poco prima della partenza. E mi sono commosso quando Margaux Vigie mi ha mostrato la maglia della nazionale francese a Monaco con il marchio della nostra squadra. Voglio ringraziare quei signori della Federazione francese.

Alla fine si fa parte del mondo Valcar a prescindere dal cambio di maglia, un bel messaggio, no?

Devo molto al ciclismo e a queste ragazze. Sono felice. Il fatto che ancora oggi vengano a salutarmi, quando sono finiti i rapporti di interesse, fa capire che hai costruito qualcosa. Il fatto che dopo essere andate via, alcune ammettano che forse stavano meglio con noi è un altro segnale. Per questo andiamo avanti. Per coerenza. E perché non ho proprio avuto cuore di interrompere questa storia.

La Passione, dopo il rosa ecco il giallo

22.08.2022
3 min
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Il 2022 non smette di regalare successi ad Annemiek Van Vleuten e di riflesso a La Passione, partner tecnico del Movistar Team per quel che riguarda l’abbigliamento da gara. 

In poco più di un mese la fuoriclasse olandese ha saputo conquistare la meritata doppietta: prima il Giro d’Italia Donne e successivamente il Tour de France Femmes.

Dopo un inizio sofferto a causa di problemi di salute, la Van Vleuten ha saputo fare sua la corsa a tappe francese dominando le due frazioni sui Vosgi. Prima ha sbaragliato la concorrenza con un’azione da lontano nella tappa con arrivo a Le Markstein. Il giorno dopo ha conquistato in maglia gialla l’arrivo a La Super Planche des Belle Filles.

La Van Vleuten durante la prova abbigliamento fatta quest’inverno. Attenzione massima per ogni dettaglio
La Van Vleuten durante la prova abbigliamento fatta quest’inverno. Attenzione massima per ogni dettaglio

Abbigliamento top

La vittoria della Van Vleuten ha permesso a La Passione di conquistare, dopo il Giro d’Italia femminile, anche il Tour de France Femmes e sigillare un 2022 che rimarrà indimenticabile. 

Nei giorni di gara la campionessa olandese non ha mancato di sottolineare il perfetto feeling che si è creato fin da subito con l’abbigliamento tecnico de La Passione: «Se non mi trovo a mio agio con quello che indosso – ha detto – non posso essere me stessa nemmeno in corsa. Questo è fondamentale. Voglio essere al cento per cento, e ogni più piccolo dettaglio conta».

La forte sintonia che si è venuta a creare tra la stessa Van Vleuten e La Passione è riassunta perfettamente nelle parole di Yiurika Marchetti, Co-Founder di La Passione: «E’ davvero incredibile come Annemiek incarni in tutto e per tutto la filosofia di La Passione. Ha un carattere di ferro, formato dalle avversità e dalla determinazione. La sua vittoria è un grande traguardo per il movimento. Esserne parte attiva era già un orgoglio, ma Annemiek ha reso tutto più speciale con questo successo che è molto di più che una bella storia da raccontare: è una realtà di lavoro e sacrificio, un motivo di ispirazione per tutti, noi inclusi». 

Annemiek Van Vleuten ha conquistato la maglia gialla dopo le due tappe corse sui Vosgi in maniera eccellente
Annemiek Van Vleuten ha conquistato la maglia gialla dopo le due tappe corse sui Vosgi in maniera eccellente

Contro il caldo

L’edizione femminile del Tour de France ha risentito, a pari di quella maschile, del gran caldo: la famosa “canicule” di cui abbiamo sentito più volte parlare dagli inviati al seguito della corsa.

Ad alleviare la sofferenza causata dal gran caldo un ruolo fondamentale lo ha svolto la linea Ultralight de La Passione, studiata appositamente per le condizioni estive più critiche.

E’ sempre Yourika Marchetti a descrivere le caratteristiche principali di questa linea: «Questi sono prodotti dal peso piuma, caratterizzati da un tessuto a rete ultra traspirante. La maglia in particolare è dotata di maniche a giro e di uno scollo generoso per evitare di sentire la necessità di aprire la zip in corsa e perdere di conseguenza in aerodinamica. Sappiamo che per Annemiek questi dettagli sono molto importanti, anzi fondamentali. Per noi è un piacere lavorare con una campionessa così meticolosa che ci porta continuamente ad alzare l’asticella, rendendo poi fruibili queste evoluzioni tecniche anche ai nostri clienti».

In Francia la Van Vleuten ha utilizzato anche l’Ultralight Road Skinsuit. Il tessuto a rete di cui è composto, oltre che essere traspirante grazie alla sua costruzione a rombo, si asciuga rapidamente, garantendo il massimo del comfort ed evitando la sensazione di freddo che spesso i corridori percepiscono in discesa, anche nelle giornate più calde. 

Il programma di Annemiek Van Vleuten prevede ora la Challenge by La Vuelta in programma dal 7 all’11 settembre. Nel caso in cui la fuoriclasse olandese riuscisse nell’obiettivo di vincerla si tratterebbe di un risultato sensazionale: vincere nella stessa stagione Giro, Tour e Vuelta. Non è mai riuscito a nessuno fino ad ora.

La Passione

Da Levitan a Prudhomme, ricordi gialli di Jeanie Longo

08.08.2022
4 min
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Felix Levitan era a suo modo un genio. Giornalista parigino classe 1911, fu il terzo organizzatore de Tour de France, dopo Desgrange e Goddet e fu il primo a portare nella corsa il concetto di business. Fu anche colui che nel 1984 creò il Tour de France delle donne. L’operazione di ASO nel rilanciarlo è stato più un riprendere il discorso che iniziarne uno nuovo. Perché delle potenzialità del ciclismo femminile si era accorto anche quel giornalista visionario con la fronte alta e il fiuto per gli affari.

Levitan fu il terzo organizzatore del Tour. Nel 1984 lanciò la versione femminile (foto Wieler Revue)
Levitan fu il terzo organizzatore del Tour. Nel 1984 lanciò la versione femminile (foto Wieler Revue)

A ruota delle americane

«Negli anni ’80 in Francia – ricorda Jeanie Longo, sul podio della Tour Eiffel con Marion Rousse per lanciare il Tour Femmes (foto Le Monde in apertura) – c’erano gare interregionali in abbondanza e alcune internazionali che stavano nascendo. Negli Stati Uniti erano più avanti di noi, le donne avevano già squadre sponsorizzate. Il Tour of Colorado era la gara più importante e soprattutto c’erano buoni premi anche per le donne. Ci andai nel 1981. Correvamo sugli stessi percorsi degli uomini, con la stessa copertura mediatica. Non so se fu per caso, ma proprio nel 1981 Levitan portò il primo americano al Tour de France e nel 1984 creò il Tour de France femminile. Fu l’esplosione del nostro ciclismo».

La francese, classe 1958, ha una bacheca piuttosto affollata. L’oro olimpico su strada di Atlanta davanti a Imelda Chiappa. Nove mondiali su strada (6 in linea, 3 a crono). Nove mondiali su pista. Tre Tour de France.

Nel 1996, Jeanie Longo vince per distacco l’oro di Atlanta. Seconda Imelda Chiappa (foto Profimedia)
Nel 1996, Jeanie Longo vince per distacco l’oro di Atlanta. Seconda Imelda Chiappa (foto Profimedia)

Campi Elisi per due

La prima edizione del Tour donne andò a un’americana, Marianne Martin: ottimo per il flusso degli sponsor. Poi ne vinse due l’azzurra Maria Canins, proprio davanti a Jeanie Longo. E a partire dal 1987 e per tre anni, i ruoli si invertirono. Per tre anni infatti, la francese precedette l’italiana.

«Penso che il signor Levitan fosse un innovatore – ricorda Longo – forse anche un visionario. Come direttore del Tour de France, sapeva come fare le cose al momento giusto. Non appena lanciò il Tour femminile, fu un’esplosione. All’epoca, i vincitori sfilavano sui Campi Elisi per salutare il pubblico. Io lo feci con Roche, Delgado e Lemond. Sono momenti straordinari, scolpiti nella mente».

Nel 1987 sui Campi Elisi, Roche e Longo: la gloria di Parigi per due (foto Profimedia)
Nel 1987 sui Campi Elisi, Roche e Longo: la gloria di Parigi per due (foto Profimedia)

«Ma non erano solo gli Champs Elysées – prosegue – anche i passi di montagna, tutto… Ricordo che negli angoli più sperduti, c’era gente che mi incitava. La gente si abituò presto ad avere il Tour femminile prima di quello maschile. Ho avuto la maglia verde per due anni, poi la gialla per tre di seguito. I duelli con Maria Canins. La gente ci aspettava, il pubblico era enorme. Un anno, nella tappa dell’Izoard, mio marito era sull’ammiraglia con le due porte anteriori aperte come uno spazzaneve».

Resistenze superate

Il ciclismo forse non era pronto per tutto questo, tanto che dal gruppo stesso si levarono alcune voci di dissenso. Marc Madiot, che oggi ha una delle squadre femminili WorldTour più importanti accanto a quella degli uomini, fu autore di un battibecco proprio con Longo.

«Marc però cambiò presto parere – sorride – anche se quell’episodio mi viene spesso ricordato. All’epoca aveva delle idee preconcette sul ciclismo femminile, le stesse che aveva Fignon. Si sbagliavano, ma erano influenzati dall’idea generale che il ciclismo professionistico fosse solo per uomini. Le cose però cambiarono in fretta. Il fatto che io fossi una donna e avessi preso una maglia gialla che normalmente era riservata ai gentiluomini, fece sì che le persone abbiano preso coscienza di tutte le lotte che conducemmo per farci ascoltare. Per questo fu un colpo molto duro quando nel 1989 il Tour si fermò. Ancora oggi ci sono atlete che mi ringraziano per l’ispirazione. E’ questa immagine che mi piace, perché non è solo quella del ciclista che ha vinto, ma in qualche modo va oltre lo sport».

Il mondo di Pogacar nel racconto di Urska Zigart

03.08.2022
5 min
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Prima si è fatto trovare a Meaux, al via della seconda tappa del Tour de France Femmes. Poi Tadej Pogacar si è presentato nuovamente a La Planche des Belles Filles, dove la sua compagna Urska Zigart ha conquistato il 29° posto finale a 4’41” dalla Van Vleuten, migliore della sua squadra. L’avevamo incontrata all’Alpe d’Huez, il giorno dopo la legnata del Granon. Era sulle Alpi per un periodo di allenamento in vista del Tour e si era fatta trovare sul traguardo in cui Tadej avrebbe provato la prima risalita dopo la crisi.

Un’interessante intervista de L’Equipe, insieme a quello che abbiamo raccolto sulle strade francesi, offre un interessante punto di vista sulla vita di Pogacar e su come affronti i problemi.

Pogacar con Zigart al via della seconda tappa del Tour Femmes (foto B. Papon/L’Equipe)
Pogacar con Zigart al via della seconda tappa del Tour Femmes (foto B. Papon/L’Equipe)
Come sei arrivata al ciclismo?

Al liceo da qualche mese avevo problemi di anoressia, una forma abbastanza lieve. Mangiavo e mi sentivo in colpa. I miei genitori mi hanno aiutato molto e mi hanno evitato di finire in un centro specializzato, spingendomi a fare sport. Così ho iniziato a pedalare sempre di più e dopo il diploma mi hanno comprato una bici da corsa e mia madre ha chiamato il club di Lubiana, KD Rog, per vedere se potevo allenarmi con la squadra femminile. Le prime gare le ho finite sempre in ritardo, anche venti minuti. Una volta ricordo di essermi persa nel tentativo di trovare l’arrivo perché tutte le strade erano già state riaperte al traffico.

Non soffri più di anoressia oggi?

E’ una malattia mentale, può volerci molto tempo per uscirne, ma sono stata fortunata ad essere ben circondata e a non esserne stata gravemente affetta. Ne sono uscita con l’aiuto dello sport, ma è un problema che riguarda anche gli atleti. A volte, quando osservo certe ragazze o certi ragazzi, il modo in cui si comportano in relazione al cibo, mi ricorda quello che facevo io. Se posso, glielo racconto perché so che è un modo terribile di vivere. Tadej non ha mai avuto problemi con questo, ha un rapporto molto sano con il suo corpo.

Urska Zigart è nata nel 1996, corre con il Team Bike Exchange-Jayco dallo scorso anno
Urska Zigart è nata nel 1996, corre con il Team Bike Exchange-Jayco dallo scorso anno
Vi siete conosciuti attraverso il ciclismo?

Sì, nella Slovenia U23, nel 2017. Correvamo nello stesso club a Lubiana, ma non ci conoscevamo. Un giorno, durante un ritiro in Croazia, ci siamo ritrovati nello stesso gruppo a gareggiare negli sprint maschili e femminili. Lui aveva 17 o 18 anni e io due di più. Avevo già sentito il suo nome, visto che era arrivato terzo ai campionati europei di Plumelec nel 2016, ma non sarei stata in grado di dargli un volto. Alla fine della seconda serie di sprint, stavo davvero faticando, gli ho chiesto come si chiamasse e a quel punto ho capito perché stessi soffrendo così. Era già un vero talento. Eppure ricordo che nel 2017, quando arrivò 5° al Giro di Slovenia, studiava contemporaneamente perché doveva superare il diploma di maturità a fine mese. Siamo usciti insieme poco prima della sua vittoria al Tour de l’Avenir.

Come hai vissuto la sua prima vittoria al Tour de France, nel 2020, quando batté Roglic proprio a La Planche des Belles Filles?

Ero sul pullman della squadra, era l’ultima tappa del Giro Donne e non avevo quasi nessuna rete. Ho visto il suo tempo passare dal rosso al verde, ma non l’ho realizzato subito subito. Fu una giornata strana. Ero felice, ma la maggior parte della Slovenia era triste perché aveva battuto Primoz Roglic. Ci siamo sentiti un po’ in colpa e non abbiamo festeggiato questa vittoria come avremmo dovuto. Pochi giorni dopo, eravamo tutti e tre nella squadra slovena per i mondiali di Imola e nessuno sapeva cosa dire. Lo sport a volte è crudele…

Alpe d’Huez, Zigart in visita a Tadej nel giorno della prima reazione alla crisi del Granon
Alpe d’Huez, Zigart in visita a Tadej nel giorno della prima reazione alla crisi del Granon
Parlaci di Tadej…

Tadej è molto divertente, ma è stato messo sotto i riflettori molto velocemente (a 21 anni) e all’inizio ha faticato a mostrare questo aspetto di sé. Aveva paura di passare per quello che non è, mentre in realtà è molto umile. Nella sua squadra, fa di tutto per essere uno tra gli altri e perché tutti ricevano lo stesso trattamento. Penso che ciò che lo descrive molto bene, simbolicamente, sia la ciocca di capelli che spunta dal suo casco. E’ uno spirito libero, che va per la sua strada.

Insieme, avete creato il PogiTeam, una squadra di giovani corridori in Slovenia, attaccata al vostro club di Lubiana e che beneficia degli sponsor di Tadej…

In Slovenia, il ciclismo era uno sport minuscolo quando Tadej ha iniziato. In una squadra come la nostra non c’erano soldi e si doveva sempre riuscire a recuperare bici, abiti, scarpe. Avevamo solo attrezzature usate. L’idea è quella di aiutare i bambini ad essere ben attrezzati e questo forse ci permetterà di scoprire più talenti. Per il momento, questa squadra è una squadra di ragazzi ma alla fine vorremmo farne una per ragazze, magari la chiameremo Urska Team! Il ciclismo femminile è ancora tutto da costruire.

Al Giro di Slovenia, la visita era stata ricambiata da Urska
Al Giro di Slovenia, la visita era stata ricambiata da Urska
Lo scorso aprile, Tadej ha rinunciato alla Liegi per essere al tuo fianco, in Slovenia, al momento della morte di tua madre…

Gli ho detto che poteva rimanere in gara, ovviamente, ma ha preso il primo aereo per raggiungermi. Questi sono tempi dolorosi nella vita ed entrambi sappiamo che tra qualche anno ci renderemo conto di quanto fosse importante stare insieme. Più importante di una gara ciclistica. 

Tre settimane fa avete lanciato insieme una fondazione per aiutare a combattere il cancro.

Questa fondazione non è per mia madre. Vogliamo provare a raccogliere fondi per trovare cure per quante più persone possibile e permettere loro di trattarsi diversamente e, magari, di trascorrere più tempo con i propri cari. In Slovenia, dopo le sedute di chemioterapia, mia madre è stata rimandata a casa e, senza l’intervento di Inigo San Millan (medico e allenatore di Pogacar, ndr), non avrebbe potuto beneficiare delle ultime cure. Vogliamo solo che altre persone possano approfittarne.

Van Vleuten si inchina alla squadra: il Tour è anche loro

02.08.2022
5 min
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Scherzando sulla sua età dopo la vittoria della Liegi, Annemiek Van Vleuten disse che non fosse possibile un paragone fra sé e Alejandro Valverde. Entrambi corrono con il Movistar Team ed entrambi stanno vivendo l’ultima stagione agonistica, a capo di carriere impressionanti. Li dividono due anni, probabilmente, e intensità necessariamente diverse. Ma chi ha seguito l’olandese nei suoi allenamenti sullo Stelvio, la sua seconda casa, sa benissimo che la fatica non le fa paura. E che non è per caso che abbia vinto il Tour de France Femmes, con un’azione solitaria di 85 chilometri nella tappa del sabato verso Le Markstein che ha piegato le avversarie

«Ma quello in realtà è stato un miracolo – dice – i primi tre giorni sono stata malata. A un certo punto non riuscivo nemmeno a mettere le mie cose nella valigia e le compagne di squadra hanno dovuto anche spingermi. Se sei capace di reagire a una situazione come quella, tutto diventa più speciale. Il modo in cui ho preso la maglia gialla sabato è stato impressionante, stessa cosa il giorno dopo alla Planche des Belles Filles. Pelle d’oca, indescrivibile. Questo è il Tour. La corsa che ho scoperto quando avevo otto anni. Mentre i miei genitori andavano al mare, io ero incollata alla TV per tifare i corridori della Rabobank».

Con l’impresa a Le Markstein, da sola contro tutte, ha conquistato la maglia gialla
Con l’impresa a Le Markstein, da sola contro tutte, ha conquistato la maglia gialla
Finora abbiamo letto soltanto commenti positivi sulla prima edizione. Ne sei convinta anche tu?

Fino in fondo, ha superato le mie aspettative. L’organizzazione era la stessa del Tour con gli uomini, non siamo diventate un’appendice. E il pubblico è stato fantastico, c’erano file in ogni villaggio. Questo è solo l’inizio di qualcosa di ancora più bello, poiché si evolverà ancora di più negli anni a venire. Abbiamo dimostrato di meritare tanta attenzione. Quando ho vinto il Giro delle Fiandre per la prima volta nel 2011, in televisione ne fecero vedere esattamente un minuto. Veniamo da lontano.

Quanto è diverso il Tour rispetto al Giro Donne?

Il Tour è più duro, con percorsi più lunghi e la prima ora velocissima. Ora so di cosa parlano i ragazzi, tutti vogliono essere in fuga. Al Giro a volte ci sono giornate più tranquille, al Tour si lotta anche per le altre maglie, se non altro per poterle indossare anche un solo giorno. Il Tour è diventato immediatamente la più grande corsa a tappe.

Con l’impresa a La Super Planche des Belles Filles, il sigillo definitivo di Van Vleuten sul Tour
Con l’impresa a La Super Planche des Belles Filles, il sigillo definitivo di Van Vleuten sul Tour
La differenza di livello tra te e le altre è stata schiacciante, te lo aspettavi?

Il mio rapporto con il ciclismo è qualcosa di enorme. E questo arriva con l’età. Si dice spesso che altre ragazze dovrebbero allenarsi quanto me, ma è impossibile. E’ un processo di anni. Ora ne ho 39 e posso gestirlo. Ogni anno ho fatto un passo avanti, per essere finalmente dove sono ora. Più è dura la gara, più posso fare la differenza.

Per l’anno prossimo si parla di Alpi e Pirenei.

Non si tratta di dove corri, purché ci sia una buona gara. Certo, un arrivo all’Alpe d’Huez sarebbe fantastico. Ma se si scopre che la differenza di livello lo rende meno divertente ed eccitante da guardare, allora è meglio non farlo. Deve restare uno spettacolo, come questa settimana. Manca solo una cronometro, poi siamo alla perfezione.

Il 2023 sarà davvero l’ultimo anno?

Corro per un’altra stagione e poi è finita. Ho festeggiato la vittoria con pizza e gelato. Troverò del tempo per la famiglia e non farò nulla per un’intera settimana. Anche se correrò il criterium a Roosendaal in maglia gialla e una cronometro a coppie con Mathieu van der Poel. Il mio prossimo obiettivo è la Vuelta.