Una maglia Nalini per la “Pedalando per la Ricerca”

19.08.2023
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Per il quarto anno di fila torna la “Pedalando per la Ricerca”, l’iniziativa a scopo benefico promossa da Alessandro Mucci, social media manager di Nalini. Anche quest’anno l’azienda mantovana non ha voluto far mancare il suo supporto all’iniziativa realizzando la maglia ufficiale dell’evento. Un capo totalmente custom che ha accompagnato per 500 chilometri da Torino e Firenze Alessandro e i suoi amici Alberto Tonelli, Marco Violi e Marco Biancini. 

Il percorso affrontato da Alessandro, Alberto, Marco e Marco che li ha portati da Torino a Firenze
Il percorso affrontato da Alessandro, Alberto, Marco e Marco che li ha portati da Torino a Firenze

Un passo indietro

Prima di parlare dell’edizione di quest’anno, è importante fare un piccolo passo indietro per ricordare il motivo per cui ha preso forma la “Pedalando per la Ricerca”. L’iniziativa nasce da un’esperienza personale che nel 2020 ha toccato profondamente lo stesso Alessandro Mucci, conclusasi poi fortunatamente in modo positivo. Mosso dal forte desiderio di fare qualcosa a favore della ricerca contro i tumori, Alessandro ha deciso di mettersi in gioco in prima persona. Per la sua laurea in Economia e Commercio aveva in programma di attraversare in bicicletta e in totale autonomia prima le zone dell’Italia centrale toccate dal terremoto del 2016 e successivamente le Alpi occidentali. Quel progetto di viaggio si è trasformato in un’opera di sensibilizzazione a favore della ricerca unita ad una raccolta fondi. L’iniziativa ha avuto successo e da allora Alessandro ha deciso di organizzare ogni anno una nuova pedalata di raccolta fondi.

Abbiamo raggiunto telefonicamente Alessandro Mucci un paio di giorni dopo aver raggiunto con i suoi compagni di viaggio Firenze (la pedalata si è svolta tra il 5 e il 6 agosto, ndr). Prima di rispondere a qualche nostra domanda ci ha raccontato di non riuscire a stare senza bici e che in giornata ha pedalato per un’ottantina di chilometri attorno a Siena, scoprendo che da quelle parti la pianura non esiste.

500 chilometri con l’obiettivo di raccogliere fondi e di aiutare l’associazione AIRC
500 chilometri con l’obiettivo di raccogliere fondi e di aiutare l’associazione AIRC
Perché con i tuoi amici quest’anno  avete scelto di organizzare la “Pedalando per la Ricerca” andando da Torino a Firenze?

Ci sono svariati motivi. Io e i miei compagni di viaggio siamo tutti originari di Torino e della sua provincia. Pur essendo Torino la nostra città, fino ad oggi non l’avevamo mai messa al centro dei nostri progetti di viaggio. Abbiamo così pensato di unire con una pedalata di 500 chilometri Torino a Firenze, le due città che sono state le prime due capitali del Regno d’Italia. Firenze poi nel 2024 avrà un onore speciale…

Immaginiamo ti riferisca alla partenza del Tour de France?

Esatto. Per la prima volta il Tour partirà dall’Italia e in qualche modo ci faceva piacere celebrare questo evento “storico” per il nostro Paese.

Ci puoi “snoccialare” qualche numero del vostro viaggio?

Da Torino siamo scesi in Liguria. Abbiamo percorso tutta la costa fino ad arrivare in Toscana e fare poi rotta verso Firenze passando per Pisa. In totale abbiamo percorso 500 chilometri per complessive 26 ore …il tempo passato in bici è stato “solo” di 19 ore e 38 minuti. Il dislivello finale ha toccato i 3500 metri con complessive 9700 calorie consumate.

La maglia utilizzata per l’iniziativa “Pedalando per la Ricerca” è stata realizzata da Nalini
La maglia utilizzata per l’iniziativa “Pedalando per la Ricerca” è stata realizzata da Nalini
Obiettivo raggiunto alla grande?

Direi proprio di sì e non solo per aver portato a termine il viaggio nel tempo che ci eravamo prefissati e cioè due giorni. La cosa più importante è aver contribuito alla raccolta fondi che abbiamo iniziato nel 2020 e che ad oggi ci ha permesso di raccogliere quasi 30.000 euro da destinare alla ricerca contro i tumori. In questi stessi giorni è in corso un altro progetto che ha lo stesso scopo della “Pedalando per la Ricerca”. Si tratta di un viaggio in bici da Rivoli a Santiago de Compostela in venti tappe. Protagonisti sono Ciro Russo, atleta professionista di lotta greco romana, l’ex judoka Valentina Giorgis e Gennaro Russo, padre di Ciro e volontario della Croce di Collegno.

Anche quest’anno per il vostro viaggio avete potuto contare sul supporto di Nalini che ha realizzato la vostra maglia…

Nalini ha messo a disposizione un loro grafico che ha realizzato una maglia bellissima prendendo spunto da un mio disegno. Si tratta di una maglia totalmente custom, realizzata appositamente per noi. Nalini ha inoltre deciso di farci dono di un capo davvero utile. Si tratta della Mirror Vest, uno smanicato con una superficie argentata riflettente. Questa ha una tripla funzione: garantire la massima visibilità sulla strada, creare una barriera totale al vento nella parte frontale, evitare il surriscaldamento sulle spalle grazie alla rifrangenza dei raggi solari.

Le informazioni utili a contribuire alla raccolta fondi promossa dalla “Pedalando per la Ricerca” si possono trovare al seguente link.

Nalini

L’eleganza di Gios incontra il Club Italia

05.04.2023
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Con la consegna di 12 Gios Gti in edizione speciale si è celebrato lo scorso 25 marzo al Motovelodromo Fausto Coppi di Torino l’incontro fra due realtà che, seppure in forma diversa, sono portatrici dei valori che caratterizzano il vero Made in Italy. Da una parte il Club Italia, un’associazione sportivo-culturale nata nel 1987 con l’intento di promuovere l’immagine dell’automobile italiana in ogni suo aspetto: sportivo, tecnico, culturale e sociale. Dall’altra Gios Torino, uno dei marchi che hanno fatto la storia del ciclismo, e che ancora oggi è sinonimo di artigianato italiano di qualità.

L’evento si è tenuto all’interno del Motovelodromo Fausto Coppi a Torino
L’evento si è tenuto all’interno del Motovelodromo Fausto Coppi a Torino

Facciamo un passo indietro

L’evento che si è svolto al Motovelodromo Fausto Coppi di Torino trova le sue radici nel 2021 ed esattamente a L’Eroica. In occasione dell’evento di Gaiole in Chianti è sbocciata l’idea di creare una Gios “speciale” per i soci del Club Italia. Lo scorso mese di dicembre, in occasione della cena di Natale dei soci del Club, organizzata presso presso il Museo Casa Enzo Ferrari a Modena, si è tenuto un vero e proprio sorteggio per abbinare a ciascun socio un numero di serie da 1 a 12. Dodici infatti sono state le bici realizzate da Gios Torino per i soci del Club Italia.

Marco e Aldo Gios insieme alle 12 Gios Gti consegnate all’associazione Club Italia
Marco e Aldo Gios insieme alle 12 Gios Gti consegnate all’associazione Club Italia

Una location speciale

La consegna delle dodici biciclette, come anticipato, si è svolta presso il Motovelodromo Fausto Coppi di Torino, in una location davvero unica e con un legame forte con il mondo del ciclismo. Qui in passato si sono concluse alcune tappe del Giro d’Italia e della Milano-Torino, la classica più vecchia tra quelle presenti ancora oggi nel calendario ciclistico internazionale. A consegnare le bici nelle mani dei futuri proprietari, sono stati Aldo Gios e suo figlio Marco, che insieme guidano l’azienda di famiglia. Accanto a loro, il Presidente del Club Italia Stefano Macaluso e il socio Luca Morazzoni, che hanno curato e seguito questo particolare progetto per la loro associazione.

I membri di Club Italia hanno avuto modo di provare le bici all’interno del Motovelodromo
I membri di Club Italia hanno avuto modo di provare le bici all’interno del Motovelodromo

Dalla pista a Superga

Dopo aver ricevuto la loro bici “numerata”, i soci del Club Italia hanno avuto l’opportunità di sfilare in passerella all’interno del Motovelodromo accanto ad una Dallara Stradale Club Italia, ad una Lancia Aurelia B20 e ad una Lancia Flaminia Pininfarina: tre vetture diversissime, accomunate da una elegante livrea blu, rappresentative, insieme alla Gios Torino Gti Club Italia, di una capacità di fare e di uno stile tutti italiani. Terminata la sfilata in pista, i soci del Club non hanno resistito alla tentazione di provare subito su strada le loro nuove Gios Gti. Hanno così deciso di raggiungere tutti insieme la Basilica di Superga che domina Torino. Una breve ma impegnativa sgambata per godersi il piacere di una prima uscita in compagnia sotto gli sguardi e i commenti di ammirazione dei tanti ciclisti incontrati lungo la strada.

Successivamente, con una pedalata sulle strade di Torino, il gruppo è arrivato fino alla Basilica di Superga
Successivamente, con una pedalata sulle strade di Torino, il gruppo è arrivato fino alla Basilica di Superga

Qualche curiosità

Per farci raccontare qualcosa di più su questa particolare giornata abbiamo deciso di contattare Marco Gios, che ci ha svelato qualche curioso “dietro le quinte”.

«Per noi è stata un’esperienza bellissima e molto gratificante – esordisce – il Club Italia è fatto da persone appassionate di tutto ciò che rappresenta quanto di “bello” viene realizzato in Italia. Essere stati scelti da loro è per noi un grande orgoglio. Prima della consegna avvenuta al Motovelodromo, i soci sono passati da noi in negozio per verificare che la misura della loro nuova bici fosse perfetta.

«Il giorno della consegna ufficiale – prosegue – abbiamo dovuto effettuare sono delle piccole regolazioni “di fino”. Per ciascun socio abbiamo poi fatto realizzare un maglia speciale che è stata indossata in occasione della sfilata in pista e della scalata verso il colle di Superga».

Chiacchierando con Marco Gios abbiamo scoperto che per lui il Motovelodromo di Torino ha un significato speciale.

«E’ vero – ci racconta – Mi sono laureato in architettura nel 2010 e il titolo della mia tesi era il seguente: “Il Centro Internazionale della Cultura della Bicicletta. La riqualificazione del Motovelodromo Fausto Coppi di Torino”».

Chiudiamo con una curiosità. I tubi con i quali sono state realizzate le dodici Gios Torino Gti per i soci del Club Italia sono firmati Columbus, azienda produttrice di tubi in acciaio di alta gamma fondata da Angelo Luigi Colombo. Nel dopoguerra Columbus collaborò con Maserati e Ferrari per la costruzione dei telai per le auto da corsa di Juan Manuel Fangio, Luigi Villoresi e Alberto Ascari. La conferma che il mondo dell’automobile e quello della bicicletta hanno più punti di contatto di quelli che si è normalmente portati a pensare.

Gios

Club Italia

Grand Depart in Italia: bellezza, campioni e progetti

14.02.2023
6 min
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Firenze-Rimini, Cesenatico-Bologna, Piacenza-Torino. Gino Bartali, Marco Pantani e Fausto Coppi. Lungo queste strade si passa davanti casa di tanti altri campioni. Vedi Gastone Nencini (anche lui vincitore di un Tour), di Vittorio Adorni, di Giovanni Valetti e persino di quella eroina che fu Alfonsina Strada.

Il Tour de France in Italia non sarà un evento fine a se stesso. E’ un classico esempio della forza promotrice del ciclismo. Di questo sport che passa sotto casa, che ti porta a scoprire posti unici e al tempo stesso li mostra al mondo intero e, soprattutto in questo caso, che lascia qualcosa sul territorio.

Da sinistra: Ricca, Nardella, Prudhomme e Bonaccini firmano l’accordo per il Grand Depart 2024
Da sinistra: Ricca, Nardella, Prudhomme e Bonaccini firmano l’accordo per il Grand Depart 2024

Percorso non casuale

C’è una frase di Christian Prudhomme che ci ha colpito. «Nell’era delle tappe più corte, non abbiamo inserito una frazione di 225 chilometri a caso. Lo abbiamo fatto perché ne valeva la pena. E lo stesso per le altre tappe, entrambe sui 200 chilometri». Il direttore del Tour si riferiva alla Piacenza-Torino e anche alla prima frazione del Grand Depart 2024.

Voleva dire che il ciclismo è bellezza. E’ il filo che unisce le perle, che dà loro un’identità, una storia. Prudhomme, nel suo viaggio in Italia per sancire ufficialmente l’accordo del Tour con le nostre terre, è rimasto ammaliato dalla bellezza che offre il nostro Paese.

Più volte in conferenza stampa ha allargato le braccia con senso di stupore per lo sfarzo di Palazzo Farnese. «In Italia ne avete tantissima di bellezza, di cultura. E mi chiedo come il Tour non sia partito prima da qui».

Ha parlato di Firenze. Delle colline che introducono a Torino o della storia della via Emilia. Prudhomme voleva unire i puntini con le sue tappe. E per farlo non ha badato troppo ai chilometraggi. Ma ha invece insistito su storia, geografia, bellezza, campioni.

Che occasione

«La nostra città – ha detto il sindaco di Firenze, Dario Nardella – ha investito 6 milioni di euro, ma  stimiamo che ci sia un ritorno dieci volte superiore. Per l’evento del prossimo anno ci saranno 400 nuovi posti di lavoro e una parte di questi sarà permanente.

«Quando si è presentata questa opportunità, con il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, abbiamo subito stabilito una grande collaborazione per realizzare il progetto. Avremmo i riflettori del mondo su di noi. Sul nostro ciclismo».

E su questo “nostro ciclismo” vogliamo ragionare. Perché se l’indotto e il ritorno sono pazzeschi, cosa può restare sul territorio? Cosa si può offrire? L’occasione è ghiotta – 1,2 miliardi di persone per tre giorni ammireranno le nostre terre – ma come si può sfruttarla nel concreto?

Il museo di Bartali a Ponte a Ema sarà coinvolto nella partenza della prima frazione
Il museo di Bartali a Ponte a Ema sarà coinvolto nella partenza della prima frazione

La forza del bike tourism

Nardella, Bonaccini e anche l’assessore allo sport del Piemonte, Fabrizio Ricca, stanno lavorando ad eventi di avvicinamento al Grand Depart. Ad uno sviluppo dell’offerta turistica legata alla bike economy, allo sviluppo di una rete ciclabile migliore in città e anche fuori. Dagli hotel della riviera romagnola, alle stradine del Chianti a quelle delle Langhe. Scoprire la “Regione orizzontale”, così Bonaccini ha ribattezzato la “sua” Emilia-Romagna, con le facili pedalate lungo le stradine di campagna della Via Emilia, che guarda caso parte da Rimini e finisce a Piacenza.

E di fruizione concreta ha parlato Prudhomme stesso. Nonostante sia il direttore della corsa più importante del mondo, il francese ha insistito molto sul ciclismo amatoriale sportivo e su quello per tutti nel quotidiano. Anche se lui fa leva su una cultura un po’ diversa.

Il suo concetto è: “Chi è a bordo strada a guardare il Tour, è la stessa persona che in qualche modo è incentivata ad usare la bici per viaggiare, fare sport ma anche per andare a lavoro o a comprare il pane”. Il che è anche giusto, ma non di facile applicazione da noi. Forse questo ragionamento va bene per alcune zone dell’Emilia Romagna.

«Il bike tourism, ma in generale il turismo legato allo sport – ha detto Bonaccini – è il secondo motivo di turismo che c’è. Gli eventi sono importanti (viene in mente la Nove Colli in primis, ndr), ma anche l’offerta permanente è importante. E non è un caso che da noi il responsabile del turismo sia uno sportivo come Davide Cassani».

Sulle strade dei campioni. Fra Castellania e Tortona ogni curva è buona per ricordare Fausto Coppi
Sulle strade dei campioni. Fra Castellania e Tortona ogni curva è buona per ricordare Fausto Coppi

Bellezza da toccare

Prima abbiamo parlato di storia, geografia, bellezza. Spesso, ma tanto spesso, in Italia le prime due parole si trasformano nella terza. Ed è stato soprattutto Prudhomme, “lo straniero”, ad esaltare la bellezza. La bellezza dell’Italia. E della storia del ciclismo.

«In questi giorni in Italia – ha detto il patron del Tour – sono rimasto colpito dal Museo di Gino Bartali. Chi era il corridore, chi era l’uomo. Gino il pio. Gino il Giusto. I campioni sono coloro che fanno sognare… Anche oltre i decenni, che portano i bambini in sella. Passiamo a Tortona, regno di Fausto Coppi. Andiamo a casa di Marco Pantani.

«Tutto ciò non è un patrimonio da tenere vivo per commemorare qualcuno o qualcosa. E’ un patrimonio di cui noi abbiamo la fortuna di beneficiare». Il paradigma francese in tal senso è spettacolare…

Quando il Giro passò sul Barbotto nel 2010 ci fu un vero assalto del pubblico per ammirare i campioni. Qui la rampa finale al 18%
Quando il Giro passò sul Barbotto nel 2010 ci fu un vero assalto del pubblico per ammirare i campioni. Qui la rampa finale al 18%

Al lavoro…

Le parole di Prudhomme hanno un riscontro reale. Già solo nella prima tappa, tra l’altro più che dura con i suoi circa 4.000 metri di dislivello, si scala la “Cotes de Barbotto”. Ogni granfondista italiano conosce questo passaggio mitico e miticizzato della Nove Colli. Prudhomme sapeva benissimo, per esempio, del San Luca a Bologna, classico finale del Giro dell’Emilia. E’ quel patrimonio ciclistico-culturale su cui si farà leva.

La chiave è proprio questa: far diventare le strade italiane del Tour eventi e simboli. «Quello è il Barbotto, vado in Romagna per scoprirlo, scalarlo». Che sia in e-Bike o per confrontare i propri tempi su Strava con quelli dei campioni… Ognuno sceglie il suo ciclismo, ma resta il fatto che si passa di lì. Si ammira il luogo. Si mangia una piadina, si dorme in un agriturismo o in un hotel della costa adriatica.

Tornando al tema del far diventare un simbolo certi passaggi e le strade del Tour, stando a quanto detto da Nardella, Bonaccini e Ricca, non ci stupiremmo se queste tre tappe diventassero dei percorsi permanenti, con una segnaletica a loro dedicata.

Il Tour, l’Italia e la sicurezza: parla Prudhomme

25.12.2022
6 min
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L’Italia si tinge di giallo. Toscana, Emilia Romagna e Piemonte si sono unite come i moschettieri per infilzare l’obiettivo che tutto lo Stivale inseguiva da sempre: la Grand Départ del Tour de France. L’ultima tappa delle presentazioni sul nostro territorio è stata quella a Palazzo Madama di Torino. Prima della conferenza organizzata dalla Regione Piemonte per illustrare la terza frazione del 1° luglio 2024, abbiamo incontrato il direttore generale della Grande Boucle, Christian Prudhomme per una chiacchierata a tutto tondo sul mondo delle due ruote.

L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
Come nasce quest’omaggio storico per l’Italia e per tutto il suo ciclismo?

Era da tantissimo tempo che volevamo fare la Grand Départ dall’Italia. Mi sembra davvero pazzesco che non sia accaduto prima, ma le tessere del puzzle non si erano mai incastrate.

Quanto è stata importante la spinta delle regioni per raggiungere questo traguardo?

Toscana, Emilia Romagna e Piemonte sono state brave a fare squadra, così come le città, a cominciare da Firenze, da cui scatterà la prima tappa. Hanno fatto un po’ come i moschettieri: uno per tutti, tutti per uno, ed è stata la ricetta vincente perché il Tour partisse dall’Italia. Volevamo omaggiare i campioni che hanno scritto pagine indelebili del ciclismo mondiale come Bartali, Coppi, Pantani, a 100 anni dalla prima vittoria italiana (Bottecchia nel 1924, ndr). Siamo contentissimi di questa opportunità, non vediamo l’ora di valorizzare il magnifico paesaggio del vostro Paese. Da luoghi che sono patrimonio dell’Unesco come il centro storico di Firenze, le arcate di Bologne, i paesaggi vinicoli del Piemonte con vini di grandissima qualità. Non vedo l’ora di scoprire questi posti splendidi.  

Nel 2023 la Spagna, nel 2024 l’Italia: il Tour abbraccia gli altri due Paesi dei grandi giri in un momento in cui il mondo è diviso dalle guerre. 

Lo sport permette di avvicinarsi alla gente. Il ciclismo più di tutti gli altri perché attraversa le città e i paesini che si trovano sul percorso delle sue competizioni.

Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
L’anno prossimo, il tracciato strizza l’occhio agli scalatori: corretto?

Il Tour è sempre per scalatori, poi magari l’anno prossimo ci sarà la sfida tra un grimpeur puro e un passista, come accadde in passato con il duello tra Bahamontes e Anquetil. Al giorno d’oggi però non ci sono differenze così marcate tra scalatori e passisti, ma ci siamo ritrovati una generazione di fenomeni straordinari, che attaccano da lontano, che animano la corsa e la rendono entusiasmante per tutti.

Che ciclismo ci aspetta dopo i ritiri di due monumenti come Nibali e Valverde?

Il Tour dello scorso anno è stato magnifico. Pogacar era il super favorito e non ha vinto, ma è stato grandioso nella sua sconfitta. Non ha mai mollato, attaccando persino sui Campi Elisi. Vingegaard è stato straordinario. Ha ottenuto una splendida vittoria sul Granon, grazie all’aiuto della sua squadra, la Jumbo Visma. Sono stati capaci di accerchiare Pogacar e di regalarci quella che, a mio parere, è stata la tappa più bella degli ultimi trent’anni. Sono sicuro che ci aspettano altre annate splendide, sia nel 2023 sia nel 2024 quando si partirà dall’Italia. 

Il percorso della corsa su strada dell’Olimpiade di Parigi 2024 sarà nelle vostre mani?

Noi presteremo soltanto i nostri servizi e faremo il lavoro che ci chiederanno di fare, ma non siamo noi a scegliere il percorso. Offriremo soltanto la nostra esperienza sotto l’aspetto tecnico, anche perché non capita tutti i giorni di avere i Giochi in casa a Parigi.

Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi successivi tentativi di recuperare
Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi tentativi di recuperare
Negli stessi giorni si sono celebrati anche i funerali di Davide Rebellin, omaggiato dalla platea di Palazzo Madama con un minuto di silenzio. Che segno ha lasciato quest’ennesima tragedia?

E’ stato drammatico e l’Italia continua a pagare un dazio enorme. Il pensiero vola sempre anche a Michele Scarponi, che ci ha lasciato qualche anno fa. Non soltanto in Italia, ma in tutti gli altri Paesi del mondo devono fare attenzione a chi va in bicicletta. Chi va in bici, uomo o donna, non ha nessuna protezione. Mi sembra pazzesco pensare che il lunedì sera ho stretto la mano a Davide Rebellin a Monaco e tre giorni dopo lui non c’era più. Il Tour de France continuerà a lavorare affinché non si ripetano queste tragedie, per noi che porteremo sempre nel cuore il ricordo di Fabio Casartelli. C’è un messaggio che deve passare e ne abbiamo parlato di recente a Monaco con Matteo Trentin, perché bisogna far qualcosa per la sicurezza stradale. Al Tour lavoriamo molto su questo tema, mentre ai villaggi di partenza cerchiamo di lanciare un messaggio per la sicurezza quotidiana: la strada si condivide

Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Tour de Femmes avec Zwift: soddisfatto dei riscontri ottenuti?

E’ stato davvero magnifico avere mezzo mondo a bordo strada, l’interesse delle televisioni, la direzione formidabile di corsa da parte di Marion Rousse. Poi, una corsa spettacolare con le olandesi Annemiek Van Vleuten e Marianne Vos sugli scudi. Non è stato un rilancio soltanto per catturare audience televisiva, ma per riportare pubblico a vedere le corse dal vivo. E’ stato bellissimo vedere tante piccole bambine che si immedesimavano nelle campionesse odierne pensando: “Domani potrei esserci io al suo posto”. Proprio come è accaduto per tanti anni in Italia tutte le volte che si vedeva passare un fuoriclasse come Nibali. Chissà che ora non capiti lo stesso con Marta Cavalli come modello per le più piccine. E’ un cambiamento epocale.

Il ciclismo è in continua evoluzione. Si è parlato moltissimo dei ciclisti esplosi con Zwift come Jay Vine, due tappe vinte alla Vuelta 2022: pensieri?

Ci sono tantissimi giovani che sgomitano. Non tutti sono Coppi o Gimondi, esplosi prestissimo e capaci di vincere il Tour in giovanissima età. Ora il movimento è su scala globale e propone atleti che arrivano al top utilizzando anche metodologie differenti da quelle canoniche, come il caso di Zwift. Corridori magari nati sui rulli, ma poi dimostratisi fortissimi anche su strada: dunque, le carte si sono mescolate. Ciò è un bene e rende ancora più interessante il nostro sport.

Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Qualche suggestione per il futuro del Tour?

La corsa la fanno i corridori, per cui non è vero che dipende tutto dal percorso. Questa generazione di fenomeni, ad esempio, utilizza il percorso in maniera migliore rispetto alla precedente e questo diverte i più giovani. Tra gli utenti che hanno seguito il Tour, la seconda fascia più numerosa comprendeva i telespettatori di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Avere nuovo pubblico che segue il Tour de France per noi è una notizia splendida, grazie anche all’imprevedibilità di corridori alla Van Aert o Van der Poel. 

Come procede la lotta al doping?

La battaglia contro chi bara non riguarda soltanto il mondo dello sport. Abbiamo lavorato tantissimo con l’Uci e con le squadre, soprattutto durante la pandemia ed è stato fondamentale questo lavoro corale, perché se non l’avessimo fatto, ci sarebbero stati dei passi indietro fatali. Con il Covid ci siamo ritrovati tutti sulla stessa barca e abbiamo capito l’importanza di muoverci insieme per il bene del ciclismo.

Il giorno di Felline: tifosi, ricordi, previsioni e la pista

30.10.2022
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Una domenica in sella con Fabio Felline. Grande festa e sole splendente ad Almese, in provincia di Torino, per il ritorno della pedalata con il trentaduenne dell’Astana Qazaqstan Team, al quale hanno partecipato anche Umberto Marengo della Drone Hopper-Androni e il campione italiano paralimpico di ciclocross 2022 Fabrizio Topatigh. A margine della IX Fellinata, i cui proventi sono stati donati in beneficienza alla Fondazione Scarponi e alla Fondazione 160cm per la ricerca sulla sclerosi multipla, abbiamo chiacchierato a tutto tondo con Fabio.

La Fellinata è tornata oggi dopo due anni di stop per la pandemia (foto Umberto Zollo)
La Fellinata è tornata oggi dopo due anni di stop per la pandemia (foto Umberto Zollo)
Che effetto fa riabbracciare gli appassionati delle due ruote dopo due anni di pandemia?

Devo ringraziare l’Associazione Sul Tornante, perché senza il loro supporto sarebbe stato impossibile fare la Fellinata: hanno fatto un bellissimo lavoro.

Dalla strada alla pista, perché il 12 e il 20 novembre ti vedremo fare da cicerone al Motovelodromo Fausto Coppi: com’è nata l’idea?

Vorrei evitare quello che è successo a me: quando sono passato pro’, non avevo un riferimento, ero l’unico piemontese. Se a quell’età avessi avuto un altro Felline che usciva con me e mi diceva cosa stavo sbagliando, magari avrei avuto una spinta in più. Non voglio essere un maestro, ma voglio essere avvicinabile e aiutare qualche ragazzino volenteroso che da grande vuol fare il ciclista. Quanti non hanno mai girato in pista? Il velodromo può essere una bella alternativa per tanti allenamenti in autunno ed è un’esperienza da provare.

Felline, il figlio Edoardo e la compagna Nicoletta nel Motovelodromo di Torino, dove girerà il 12 e il 20 novembre con chi vorrà provare
Felline, il figlio Edoardo e la compagna Nicoletta nel Motovelodromo di Torino, dove girerà il 12 e il 20 novembre con chi vorrà provare
Il tuo supporter più scatenato è il piccolo Edoardo: com’è fare il papà-ciclista?

E’ bello, ma se lo vuoi far bene diventa tutto più impegnativo. In vita mia non ho mai fatto un riposino, ma ora quando lo fa lui, mi metto giù anch’io a volte. Sono cambiati totalmente i ritmi e a volte mi stupisco di me stesso, perché prima mi lamentavo, mentre adesso mi sembra di avere molte più energie per fare più cose.

Il gadget che ha rubato il cuore dei partecipanti è stata la borraccia con il pappagallo Frankie, nel nome di Michele Scarponi: ci spieghi questa scelta?

Io e Michele siamo sempre stati avversari, ma il suo modo di essere, la sua voglia di attaccar bottone e i suoi sorrisi mi hanno conquistato. C’era un rapporto di stima e rispetto tra noi e, quando è mancato, è venuta a mancare una figura simbolo. Non solo per me, ma parlo per tutto il gruppo. Mi fa molto piacere che sia venuto a pedalare con noi suo fratello Marco, che ha molto a cuore il tema della sicurezza stradale per noi ciclisti.

Felline sul palco con Marco Scarponi e Umberto Marengo. A sinistra, il nostro Alberto Dolfin (foto Umberto Zollo)
Felline sul palco con Marco Scarponi e Umberto Marengo (foto Umberto Zollo)
Quant’è cambiato il ciclismo rispetto a quando sei passato pro’?

Le dirigenze odierne hanno capito che il ferro bisogna batterlo finché è caldo, come si fa in altri sport. Non so se sia giusto o sbagliato, ma penso a quanto poco mi allenavo, a quanto tanto andavo forte da ragazzino e tutto il tempo che ho buttato via.

Ce lo spieghi meglio?

Quando sono passato pro’, sembrava un reato che l’avessi fatto troppo giovane e avevo persino ricevuto una multa dalla Federazione italiana. Oggi c’è l’esaltazione per i giovani fenomeni, mentre i veterani vengono accantonati fin troppo in fretta. E’ una contraddizione, perché i vecchi di oggi erano quei corridori a cui si chiedeva di aspettare per maturare con calma. Se hai vent’anni e vai forte, ti fanno anche provare a vincere il Tour: guardiamo cosa è successo con Pogacar: una volta si sarebbe temuto di bruciarlo.

C’è una controindicazione?

Non sappiamo se i giovani campioni resteranno meno sulla cresta dell’onda, ma penso che non ci saranno più corridori come Valverde o Nibali che vincono per così tante stagioni. Se a 20 anni fai 6,5 watt per chilo, fai la vita da super-atleta, è inevitabile che tu non possa farlo per più di un decennio.

Hai qualche rimpianto sulla tua carriera?

Da giovane mi veniva tutto facile. Mi fa effetto pensare che il misuratore di potenza l’ho preso dopo 3 o 4 anni che ero pro’, quando avevo 23 anni mi dicevano che era presto per tutto, mentre io magari mi sentivo nel giusto. Non si può sapere, certo avessi avuto meno sfiga, con la toxoplasmosi a 27 anni, che mi ha fatto perdere un anno e mezzo nel periodo in cui il ciclismo stava cambiando di più. Mi sono ritrovato a ripartire con la sensazione di aver perso il treno e dopo è arrivata anche la pandemia. Poi, se guardo i numeri, vado più forte del 2016, ma è cambiato il modo di correre e anche le mie prospettive, così ho scelto di provare a diventare un uomo-squadra e un gran lavoratore piuttosto che provare a fare il campioncino, perché dopo i 30 anni non hai più la seconda chance. Anche se il mestiere di gregario è difficile da giudicare.

La Fellinata si è svolta ad Almese, in provincia di Torino, con il patrocinio della Fondazione Scarponi (foto Umberto Zollo)
La Fellinata si è svolta ad Almese, in provincia di Torino, con il patrocinio della Fondazione Scarponi (foto Umberto Zollo)
Perché?

Tu puoi andare anche forte, ma se poi i capitani per cui lavori non vanno, il tuo lavoro è abbastanza inutile. Quest’anno dal Giro ho avuto un ottimo riscontro e se Vincenzo (Nibali, ndr) andava forte e io ero con lui, avendo gli occhi puntati, risaltava molto. Nel 2021, invece, Vlasov era meno mediatico, ma sentivo di andare comunque forte. Al di là delle tue capacità, il lavoro di gregariato viene valorizzato in base a quanto si mette in luce il capitano.

Il tuo sogno?

Ci sono andato così tante volte vicino che, non voglio dire una classica che sembra il sogno possibile, ma dico vincere una tappa in un grande Giro. Penso sia fattibile.

A Yates la tappa, a Carapaz la maglia. E domani si sale

21.05.2022
5 min
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C’è voluta parecchia testa per restare in corsa dopo la botta al ginocchio sull’Etna e quella al morale sul Blockhaus. Simon Yates se ne è andato in giro per qualche tappa come uno zombie nella coda del gruppo, cercando di ricollegare i punti.

«Ammetto che negli ultimi giorni ho pensato molto al ritiro – mormora – avevo ancora problemi al ginocchio, ero venuto a combattere per la vittoria e di colpo avevo perso tutto. Adesso penso solo di lottare per qualche altra tappa».

Dopo il colpo al ginocchio, ora Yates può di nuovo alzarsi sui pedali. Si è visto bene…
Dopo il colpo al ginocchio, ora Yates può di nuovo alzarsi sui pedali. Si è visto bene…

Dodici borracce

L’inglese sfortunato della Bike Exchange-Jayco oggi è stato il più furbo di tutti. Li ha lasciati sfogare davanti. E quando poi ha capito che la pendenza fosse giusta per rientrare, lo ha fatto e ha poi piazzato l’attacco vincente. Uno e uno solo. Avrebbero potuto rispondergli, certamente Hindley e Carapaz ne avevano le gambe. Ma quando hanno realizzato che il distacco in classifica di Simon fosse a dir poco tranquillizzante, hanno preferito fingere di non averlo visto. L’unico a fare professione di rammarico è stato a quel punto Nibali, come abbiamo già raccontato.

«Quando sono partito – dice Yates – la situazione era veramente una lotta. I ragazzi della classifica si marcavano, mentre io stavo solo cercando la tappa, quindi ho dovuto approfittare di quel vantaggio. Lì davanti c’erano corridori più forti di me, quindi ho dovuto decidere dove attaccare e farlo bene. Ho sofferto il caldo e l’umidità, non ho potuto realmente raffreddare il mio corpo. Credo di avere bevuto 10-12 borracce per permettere al mio corpo di raffreddarsi».

Dopo la crono di Budapest, ecco la tappa di Torino. Nel mezzo il crollo del Blockhaus
Dopo la crono di Budapest, ecco la tappa di Torino. Nel mezzo il crollo del Blockhaus

Ginocchio (quasi) a posto

Dopo il blackout al Giro del 2018, Yates non è più stato lo stesso. E anche se l’anno scorso il suo terzo posto è quasi passato in sordina, non è un mistero che quest’anno fosse indicato tra i possibili vincitori.

«Però ho avuto un sacco di problemi al ginocchio – ammette – e non sono ancora al 100 per cento, ma adesso posso alzarmi sui pedali. Prima provavo molto fastidio e per me che non sono mai seduto sulla sella, era un bel problema. Mi sento finalmente dove dovrei essere, ho un po’ di frustrazione perché non posso più combattere per la classifica, ma ormai è andata così. I vari leader al momento mi sembrano equivalenti. Carapaz ha speso tante energie ad attaccare per primo, gli altri non si sono concessi spazio e questo mi ha permesso di andarmene, di prendere la mia occasione. Forse queste tappe non sono neppure fatte per certi corridori, la prossima settimana sarà loro più congeniale».

Carapaz di nuovo in rosa dopo la vittoria del 2019: oggi però la Ineos ha mostrato un po’ il fianco
Carapaz di nuovo in rosa dopo la vittoria del 2019: oggi però la Ineos ha mostrato un po’ il fianco

Carapaz e la rosa

E così, spodestato il giovane “Juanpe” Lopez, Richard Carapaz si è infilato nuovamente nella maglia rosa che aveva conquistato a Courmayeur nel 2019, nella stessa Val d’Aosta che domani abbraccerà nuovamente il Giro.

«Oggi è stato un giorno molto duro – dice – la Bora ha voluto correre in modo abbastanza aggressivo. Pensavamo che sarebbe stato tutto diverso, invece il gruppo si è spaccato. I mei compagni sono rimasti dietro, ma è andata bene. Quando mi sono reso conto che tanti erano al limite, ho provato ad approfittarne e ho attaccato. Siamo rimasti in quattro, per me è stato un movimento buono, perché tanti della generale hanno perso tempo significativo».

Giro complicato

A chi gli chiede se abbia sofferto per il caldo, Carapaz strabuzza gli occhi e passa avanti. In Ecuador umidità e calore non fanno difetto.

«Anche a casa mia c’è questo tipo di clima – sorride – non è un problema, sapevamo che avrebbe fatto molto caldo. La settimana che viene è abbastanza complicata. Si deciderà il Giro, c’è tanta montagna e già dopo il riposo ci sarà una tappa importante, come anche domani. Sarà duro. Domani sarà una corsa diversa. Ci sono più montagne e dovremo difenderci. So come si fa. La prima volta che indossai la maglia rosa ero più giovane. Ora ho esperienza e una squadra per provare a vincerla. Ci sono corridori forti che hanno perso tempo nella prima settimana, come Yates e pure Nibali. Credo che se tornano in ballo anche loro, il Giro sarà anche più complicato».

Colle di Superga, scatta il piano: la Bora scatena l’inferno

21.05.2022
4 min
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Non è stato per caso. Quando la Bora-Hansgrohe si è messa davanti, si è capito in un secondo che fosse un piano organizzato da prima. L’azione della squadra tedesca ha sbriciolato quel che restava del gruppo. Qualcuno è rimbalzato. Qualcuno ha perso la squadra. Per qualcuno il Giro si è chiuso.

Lo sprint fra Carapaz e Hindley per il secondo posto: l’ecuadoriano ha mostrato di essere forte
Lo sprint fra Carapaz e Hindley per il secondo posto: l’ecuadoriano ha mostrato di essere forte

Lo zampino di Gasparotto

Lo zampino di Gasparotto è stato subito evidente e lui non fa niente per nasconderlo: belli i direttori con idee e personalità.

«Abbiamo iniziato a parlarne già due giorni fa – spiega il giovane tecnico della Bora – ci siamo confrontati, perché sulla bici vanno i ragazzi. Dopo due giorni che ci pensavamo, ieri abbiamo chiesto se gli stesse bene mettere in atto questa tattica. E quando abbiamo capito che eravamo tutti sulla stessa pagina, il piano è scattato. Consapevoli che qualcosa si potesse cambiare, ma siamo partiti per fare quello che avete visto».

«Quando uno di noi si è trovato in fuga – dice Gasparotto – abbiamo chiesto se volessero continuare. Hanno detto di sì»
«Quando uno di noii si è trovato in fuga – dice Gasparotto – abbiamo chiesto se volessero continuare. Hanno detto di sì»
Mai un ripensamento?

Quando uno di noi, è entrato nella prima fuga, ho chiesto via radio cosa volessero fare. Nessun ripensamento, avanti col piano. L’idea era di fare la selezione sul Superga, invece l’hanno fatta in discesa e devo dire che è venuta anche meglio. Servono ragazzi forti per fare certe cose e loro sono stati bravissimi. Se qualcuno non ce la fa, è un attimo fare una figuraccia.

Qual era lo scopo?

L’obiettivo della Bora da inizio Giro è salire sul podio. Per cui dovevamo cercare di isolare chi poteva rimanere da solo, in una tappa in cui sarebbe stato impossibile fare una strategia di contenimento come sulle lunghe salite. Non c’era spazio per tirare con la squadra in fila, anche se Carapaz ha poi dimostrato di essere il più forte. Però abbiamo guadagnato su Almeida e su Landa, che se non trovava Pello per strada, avrebbe perso parecchio di più.

Se Pello non avesse aiutato Landa, forse il basco avrebbe perso molto di più
Se Pello non avesse aiutato Landa, forse il basco avrebbe perso molto di più
Davvero non si poteva lavorare di squadra?

Su un circuito così, se stai a ruota fai più fatica che a stare davanti. Non si poteva lavorare di squadra per inseguire, ma si poteva usare la squadra per attaccare. Non so quante altre tappe così troveremo al Giro, probabilmente nessuna ed era l’unica in cui imporre il nostro collettivo. Le prossime avranno salite lunghe, lì la Ineos tornerà forte.

Che cosa ti è parso della corsa di Nibali?

Lo Squalo sta bene e diventa pericoloso perché ha preso morale. Io lo conosco bene. Yates l’hanno lasciato andare perché è fuori classifica, Vincenzo invece non è così lontano e tutti hanno paura di Nibali nella terza settimana. Sapevo che sul Blockhaus avrebbe preso morale (quel giorni Nibali si piazzò 8° a 34” da Hindley, ndr), so cos’ha in testa.

Alla fine, Hindley ha portato al traguardo il lavoro dei compagni, consolidando la sua classifica
Alla fine, Hindley ha portato al traguardo il lavoro dei compagni, consolidando la sua classifica
Stasera cosa dirai alla squadra?

Stasera li lascio tranquilli. Parleremo domani sul bus. So che certi attacchi poi rischi di pagarli, ma non potevamo non sfruttare una tappa così.

Un giorno da Nibali. E forse adesso qualcuno ha paura

21.05.2022
5 min
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«Sono distrutto», dice Lopez con la maglia rosa fradicia di sudore. Lo spagnolo si è fermato accanto al siciliano dell’Astana. Hanno corso insieme lo scorso anno. Nibali lo guarda dall’alto dei rulli. Poi sorride e gli dice: «Abituati, al Giro è così!».

L’arrivo sconsolato di Lopez e l’incoraggiamento di Nibali: «Abituati, funziona così»
L’arrivo sconsolato di Lopez e l’incoraggiamento di Nibali: «Abituati, funziona così»

Lo Squalo cresce

La tappa di Torino è finita da una ventina di minuti. Fa un caldo torrido e ci sono parecchi corridori ancora sul percorso. Si sono ritirati Dumoulin e Nizzolo e se la fatica di oggi resterà nelle gambe, domani verso Cogne si vedranno le scimmie. Da quanto tempo non vedevamo un Nibali così bello? La gente lo ha capito e l’esplosione ogni volta che lo speaker faceva il suo nome faceva capire che il pubblico avesse già scelto il suo favorito. Questa è già da cerchiare come una delle tappe più belle del Giro.

«E’ stata una giornata molto dura – dice Nibali – perché il ritmo imposto dalla Bora è stato fortissimo. Era difficilissimo persino alimentarsi sul circuito, perché era molto nervoso e il ritmo era alto in salita e in discesa. Si è rivelata una tappa durissima. Io cercavo la vittoria di tappa, ma sapevo che era difficile. Ero controllato a vista, ho preso un po’ di minuti sull’Etna, ma sono sempre considerato pericoloso. Quindi mi guardano ed è difficile sganciarsi, è normale che sia così».

Lo Squalo ha attaccato prima per rientrare su Carapaz e poi ha provato a fare la differenza: la gamba c’è
Lo Squalo ha attaccato prima per rientrare su Carapaz e poi ha provato a fare la differenza: la gamba c’è

La testa giusta

Sembra di cogliere una punta di orgoglio nelle ultime parole. E sembra anche che aver annunciato il ritiro sia un macigno che si è tolto dalle spalle.

«Non è quello – dice – avevo già deciso, ce l’avevo nella testa. Avevo pensato già da qualche mese di chiudere così alla soglia dei 38 ed era un po’ anche quello che volevo, non ha senso andare oltre. Sono tranquillo. Se va bene, sono contento. Se dovessi saltare, pazienza. Non me ne faccio un grande problema. L’idea di voler andare avanti c’è. Mi manca un po’ di esplosività, però penso che sia anche normale. Non è mai facile essere competitivo così, perché richiede un sacco di lavoro. Lo dice anche Pozzovivo, che è sempre stato un rivale ma anche un amico. Lo sa benissimo che quando gli anni vanno avanti, i sacrifici da fare sono maggiori».

Dopo l’arrivo, con 30 gradi, due bottiglie d’acqua sulla testa prima di iniziare a parlare
Dopo l’arrivo, con 30 gradi, due bottiglie d’acuq sulla testa prima di iniziare a parlare

L’abbraccio del pubblico

Cosa sarà da qui in avanti è difficile da dire. Quanto peserà questa tappa nelle gambe se domani sarà così caldo? Carpaz pagherà quell’attacco da lontano, poi risultato inutile? E questo Nibali può avere mire di classifica? Vincenzo ha morale, basta guardare il gusto con cui sorride e dà di gomito. Il Blockhaus ha riportato l’allegria e forse per questo in finale nessuno se l’è sentita di lasciarlo andare. Dalla transenna lo acclamano. Gli chiedono di voltarsi per fare una foto e lui si volta.

«Ho visto che due volte prima di salire sul Superga – dice – si è rotto il gruppo e tanti sono rimasti indietro. Ora è il momento di recuperare. Sono veramente molto felice. Dall’inizio di questo Giro e fino ad oggi, il pubblico è stato davvero eccezionale. Vorrei regalare un successo anche a tutti loro che mi sono stati molto vicini con grandi pensieri, striscioni, cartelloni. Ci vorrebbe un mese da dedicare soltanto a loro per dirgli grazie, però purtroppo durante il Giro siamo sempre sotto stress e non è facile essere disponibili. Ci sarà un po’ di tempo anche dopo…».

Martinelli voleva vincere, lo ha detto chiaramente: ci riproveranno
Martinelli voleva vincere, lo ha detto chiaramente: ci riproveranno

Rammarico Martinelli

Lo lasciamo al suo girare le gambe per riprendere il battito giusto e ci accorgiamo che dal bus è appena sceso Martinelli. Quando vi è salito, aveva un mezzo groppo in gola.

«Io oggi volevo vincere – dice il bresciano – e mi dispiace non esserci riuscito. Per lui, non per me, perché per me non cambia niente. Sono contento di cosa ha fatto. Sicuramente quando ti fai il gusto e vedi che davanti sono rimasti tutti i buoni per la classifica e tu sei un pochino fuori… Invece abbiamo scoperto che c’era uno ancora più fuori ed è quello che ha vinto. Yates è stato il più furbo di tutti, non c’è niente da fare».

Da quanto tempo non si vedeva un Nibali così di buon umore? Il Blockhaus ha portato morale
Da quanto tempo non si vedeva un Nibali così di buon umore? Il Blockhaus ha portato morale

Un giorno per volta

Ma l’appetito vien mangiando. Solo che Martino non abbocca: ne ha viste troppe per lasciarsi andare, anche se magari la testa dipinge altri scenari.

«Pensiamo alla prossima – dice – dopo la giornata di oggi non voglio pensare al mal di gambe che ci sarà domani. Io voglio vedere questo Vincenzo. Quello che dopo la corsa non è arrabbiato, che non ce l’ha con nessuno. Quello gli va bene, non dico tutto ma quasi, perché oggi s’è fatto anche lui il gusto di vincere una tappa al Giro dopo un bel po’ che non ci riusciva.

«Oggi è stato uno di quelli che ha movimentato la corsa e quando gli abbiamo detto di fare quello che era nei nostri giochi lo ha fatto. Quando è partito sulla salita dura, gli abbiamo detto noi che era l’unico momento per andare su Carapaz. Non aveva niente da perdere, è fuori classifica, ma non lo lasciano andare. E’ normale? Pensavo che oggi si poteva lasciargli spazio, ma evidentemente qualcuno pensa che possa arrivare più avanti. Nei mesi scorsi dopo il Covid l’ho visto un po’… smarronato. Però secondo me un bel boccone che aveva lì è stato Messina. Io da Messina in poi ho visto un altro Vincenzo».

Un grande Cavendish, lasciato a casa. Giusto o sbagliato?

17.03.2022
4 min
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Una palla di cannone sfreccia su Corso Francia a Rivoli. Mark Cavendish aggiunge un’altra gemma alla sua già ricca collezione e peraltro si tratta della classica più antica che esista: la Milano-Torino. 

Una corsa che fino allo scorso autunno eravamo abituati a seguire come antipasto del Lombardia e con la tremenda doppia scalata a Superga, mentre ora è un discorso per velocisti ed è un avvicinamento alla Milano-Sanremo.

E’ il 2009, sul traguardo della Classicissima, Cavendish batte così Haussler
E’ il 2009, sul traguardo della Classicissima, Cavendish batte così Haussler

Sanremo proibita

Eppure il vincitore non sarà al via della Classicissima di sabato, come ufficializzato dalla Quick-Step Alpha Vinyl proprio ieri, con un tempismo che non ha fatto proprio felice lo stesso Cavendish.

«Dovete chiederlo alla squadra perché non ci sarò, nessuno me ne ha parlato», ha dichiarato Cannonball dopo essere sceso dal podio a chi gli chiedeva se la rinuncia delle ultime ore di Julian Alaphilippe a causa della bronchite non potesse aprire qualche spiraglio.

«L’ho già vinta (nel 2009, ndr) e mi sarebbe piaciuto rifarla, ma non ne so nulla». La squadra belga ha deciso di puntare tutto su Fabio Jakobsen e sull’ulteriore domanda riguardo alla Sanremo, viene chiesto di tornare all’attualità

Cavendish al via dopo una Tirreno opaca, sapendo di non andare alla Sanremo
Cavendish al via dopo una Tirreno opaca, sapendo di non andare alla Sanremo

Gigante Morkov

Il pensiero di Mark è tutto per la terza vittoria stagionale, ottenuta bruciando il redivivo francese Nacer Bouhanni (secondo) e il norvegese Alexander Kristoff (terzo), mentre Peter Sagan ha chiuso soltanto quinto.

Una volata regale per l’asso britannico che, dopo aver mancato il successo alla Tirreno-Adriatico, l’ha trovato oggi grazie all’inesauribile Michael Morkov, che gli ha tirato uno sprint perfetto.

«Non è importante soltanto per me – risponde Cavendish, incoronando il danese – ma per chiunque abbia mai corso con lui. Sai che con lui hai le migliori chances di arrivare davanti se ti pilota. Di dieci sprint, probabilmente ne vinci nove. Sono stato fortunato che sia venuto apposta qui per guidarmi a questo successo».

Al rientro dopo il Covid anche Vincenzo Nibali, acclamato dal pubblico
Al rientro dopo il Covid anche Vincenzo Nibali, acclamato dal pubblico

Una squadra compatta

Anche se il trentaseienne dell’Isola di Man precisa: «In un contesto così però non basta soltanto avere Mike, ma ci vuole tutta una squadra forte a sostegno e io per fortuna ce l’ho avuta. Avendo Mike a disposizione, sapevo di avere una grande opportunità, però tutti i ragazzi sono stati fantastici. Cattaneo, Devenyns, Vervaeke, poi Cavagna che è davvero una macchina.

«Infine Mike, che era tranquillo e stava ancora accelerando quando ho lasciato la sua ruota. Avrei potuto persino aspettare ancora un attimo, ma ero molto nervoso per andare a prendermi questa vittoria. Pensare che lui ha trovato ancora la forza di incitarmi mentre lo sorpassavo».

Passione infinita

E Cavendish ha terminato il lavoro alla grande, pur continuando a spartire i meriti coi compagni: «Si vede anche da come domina Fabio (Jakobsen, ndr) che dietro c’è una grande squadra che ci rende il lavoro molto più semplice allo sprint». 

Centocinquantanove i successi in carriera per l’eterno sprinter che sembra non voler fermarsi mai: «Non sono qui per i numeri. Sono soltanto statistiche e io non corro per quelle, ma col cuore. Adoro correre ed è tutto quello che conta per me». Non vederlo sabato a giocarsi le sue carte sarà davvero un peccato.