Un libro, tante storie: caro Marco, sapevi tutto di Michele?

20.02.2022
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Un libro dedicato a Michele attraverso gli scritti di 55 persone del mondo del ciclismo, musicisti, suiveur e scrittori che l’hanno conosciuto. Così Marco Scarponi ha inteso ancora una volta ricordare suo fratello, affidando la redazione a Marco Pastonesi.

Quando ci è arrivato, avendone scritto un capitolo, abbiamo iniziato a leggerlo, rivivendo episodi di cui siamo stati testimoni e scoprendo sfumature inedite. E qui è scattata la curiosità: Marco Scarponi avrà imparato qualcosa di nuovo su suo fratello? Glielo abbiamo chiesto.

Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione
Con questo libro curato da Marco Pastonesi, la Fondazione Michele Scarponi ricorda il campione

«Immaginavo e ho avuto la conferma – dice – che Michele comunque è sempre stato ed è una grande anima. Quindi dovunque si trovasse, dovunque si trovi porta sempre una bellissima atmosfera. Ma soprattutto ho scoperto che ha fatto delle cose stupende, dei gesti bellissimi. Il piede a terra che ha messo nel Giro del 2016 è stato solo l’apice di tanti gesti che lui ha fatto nella sua vita. Gesti di solidarietà, di amicizia, di bellezza. Quindi tramite questo libro, ne ho scoperti altri, ma tanti altri nel libro neanche ci sono».

Era amico di tutti…

Da queste pagine emerge il grande senso di Michele per l’amicizia. Il piacere di stare insieme agli altri. Già l’amicizia che ha con Luis Matè, oppure il rapporto che ha con tutti i direttori sportivi. E poi emerge tantissimo, secondo me, il suo lato sensibile. Michele in fondo è sempre stato visto come uno che scherza e basta, in realtà è una persona molto intelligente e molto sensibile.

Fai un esempio?

C’è un racconto di Davide Marta. Parla di quando lui riprende al Giro dell’Appennino dopo la squalifica. E lì si vede tutta la grande intensità di Michele, tutta la sua serietà e la grande voglia di ritornare a correre. Michele era molto concentrato, era molto serio su quello che faceva. Poi anche il racconto di Paolo Condò, ad esempio, quando parla della sconfitta contro Contador sull’Etna.

Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Nel 2011 sull’Etna, lottò contro Contador senza pensare mai di arrendersi
Cosa dice?

C’è un pezzetto in cui Michele, anche senza parlare, con quell’azione lì ci ha detto tante cose e ha fatto vedere quanto fosse grande in quello che faceva, anche nella sconfitta. «Un uomo che faceva i conti con se stesso, stremato oltre ogni limite eppure testardamente riottoso alla resa».

Ti aiuta averlo accanto?

Tantissimo. Sono passati quasi 5 anni e non è facile portare avanti il messaggio di qualcuno che non c’è più. Per me è un po’ più facile, perché Michele ha lasciato tantissimo. E’ ancora un testimonial importante per tutto quello che facciamo. A volte mi chiedono di cercare qualcuno da affiancargli, ma che senso ha? Quando vado nelle scuole, parlo coi bambini. Racconto la storia di Michele, arrivando fino alla morte. Prima gli faccio vedere le immagini e Michele diventa subito un protagonista che dà ancora tantissimo e loro se ne innamorano. In quello che faccio con la Fondazione, lui ci indica la strada.

Che cosa ha dato il ciclismo a Michele?

Noi ci diciamo sempre che il ciclismo l’ha salvato da una vita che poteva essere diversa. Nel senso che quando scelse di fare il ciclismo a 16-17 anni, quando decise di lasciare la scuola per seguire il suo sogno di fare il ciclista, ebbene lui lì ha messo tutto se stesso. Il ciclismo lo ha messo in condizione di esprimersi. Di tirare fuori tutto quello che aveva dentro. Non c’era un altro sport, dal mio punto di vista, che Michele potesse fare per rappresentare quello che sentiva. Noi non siamo una famiglia di ciclisti e lo sapete che spesso i ciclisti vengono da genitori già ciclisti, da nonni ciclisti.

Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Colle dell’Agnello al Giro del 2016, dopo la discesa Scarponi si fermerà ad aspettare Nibali
Mentre voi?

Nella nostra famiglia non ci sono stati ciclisti, eravamo tifosi. Eravamo contadini e muratori di qui intorno, ma eravamo anche dei ciclisti e non lo sapevamo. Quindi l’unico modo per raccontare la nostra famiglia e quello che c’era dentro Michele, era fare il ciclista. 

Che cosa gli ha tolto il ciclismo?

Il ciclismo gli ha dato tanto, mentre gli ha dato molto meno non mandando messaggi come quello della sicurezza stradale. In tutte le squadre in cui è stato non ho mai visto un minimo di attenzione su questo. Ecco, questo è sorprendente, il solo dito che mi sento di puntare. Io sono entrato nel mondo del ciclismo con Michele, ma in maniera più diretta dopo la sua morte. Magari è difficile avvicinarsi a una famiglia come la nostra dopo quello che abbiamo vissuto. Molti lo stanno facendo adesso e io magari dopo un mese che era morto Michele mi chiedevo perché non si facesse sentire nessuno.

Che risposta ti sei dato?

Mi rendo conto che ci vuole tempo e molte persone fanno fatica. Spesso è capitato anche a me di andare da famiglie di vittime della strada e ho capito che non serve a niente andarci subito e che ci vuole il giusto tempo. Dal ciclismo mi aspettavo tanto, ma adesso mi aspetto un po’ meno.

Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Non passa corsa dal quell’aprile 2017, senza che sulla strada un cartello ricordi Michele
Cosa ti aspettavi?

Mi aspettavo molto di più da qualcuno, certo. Però mi rendo conto che non siamo tutti uguali. Me ne faccio una ragione. Dopo quello che è successo, mi sarebbe piaciuto che si fossero un po’ tutti coalizzati e fermati. Perché è morto uno di noi. Qui invece non ci si ferma per niente. Lo sport deve continuare, come lo show…

Tu però vai avanti…

Io capisco che magari la mia figura a volte possa essere ingombrante o fastidiosa, però mi aspetterei più coinvolgimento. Ma si fa fatica, siamo sempre un po’ egoisti. Adesso stiamo cercando di mettere in piedi una scuola di ciclismo per bambini e tutti ne sono entusiasti. Poi ti volti e intorno non c’è nessuno che ti aiuti, mentre se c’è da fare una gran fondo sono tutti pronti.

La sicurezza stradale…

Anche se facciamo delle riforme, cadono nel vuoto e questa cosa è impressionante. In Italia vale il detto di Verga, che tutto cambia affinché non cambi nulla. In questi giorni si è parlato tanto delle morti degli studenti nell’alternanza scuola-lavoro, ma della sicurezza stradale non si parla. Nel suo primo settennato, il Presidente della Repubblica Mattarella non ha mai parlato delle morti sulla strada, eppure si parla di migliaia di giovani. Dicono che non ci sono abbastanza Forze dell’Ordine per far rispettare il codice della Strada, eppure per rincorrere la gente che durante il lockdown andava a camminare sulla spiaggia le hanno trovate.

Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
Dietro quel sorriso bislacco, c’erano i pensieri di un uomo profondo e buono
All’estero si danno da fare…

In Inghilterra quel principio che c’è nel nostro slogan, per cui la strada è di tutti a partire dal più fragile, è diventato un principio che sta dentro il codice della strada. E’ vero che sulla strada dobbiamo tutti rispettare le regole, però è innegabile che l’automobilista abbia più potere e caratteristiche tecnologiche tali da renderlo più pericoloso. Non sono opinioni, è fisica. Ma da noi sembrano discorsi insostenibili. Evidentemente ci sono degli interessi troppo superiori…

In cosa Michele e Marco si somigliano?

Io rispetto a lui sono stato sempre indeciso, Michele era più determinato. Mio fratello sapeva quello che voleva e se lo andava a prendere. Michele era uno che sapeva fare le salite e ci ha detto: «Guardate, le salite si fanno così. Si deve fare fatica». E’ stato sempre deciso, io non sono stato mai così, io sono uno che rimanda. Però dopo la sua morte, in certo senso lo prendo un po’ come esempio e cerco di mettermi nella sua scia. E poi…

E poi?

Ho la stessa caratteristica di sdrammatizzare, di fare come lui, di buttarla un po’ in burla. Piace molto anche a me questo modo di fare, quella risata di Michele spesso simile alla mia. Però entrambi probabilmente veniamo però da un momento ben preciso, che è quello di sognare tanto. Siamo grandi sognatori e a tutti e due piace fare qualcosa, non semplicemente partecipare senza motivo. E poi non so quante altre cose ci accomunano e quante ci tengono distanti, è tutta da scoprire ancora ‘sta roba.

Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Marco Scarponi, sul podio della Tirreno-Adriatico 2019, con Lutsenko
Ti sei reso conto che per tutto il tempo hai parlato di Michele al presente?

Io sono un familiare, ho perso un fratello. Quindi dovete capire che sono traumatizzato all’infinito e quindi per fare sì che questo per me sia una fonte di energia e un valore, devo essere convinto che Michele sia qui. Anche se so che probabilmente non è così ed è tutta una proiezione che ci facciamo noi vivi. Però il fatto di dire e pensare costantemente che Michele sia qui e viva in quello che sto cercando di fare, per me è la soluzione per andare avanti.