Ricordate quando incontrando gli atleti della Bmx nel velodromo di Montichiari e parlando con il loro tecnico Tommasi Lupi venne fuori che in Olanda da quel tipo di base venivano fuori i velocisti su pista? Bene, la conferma è venuta ai recenti mondiali di Roubaix, dove Harrie Lavreysen si è portato a casa tra medaglie d’oro che si sono aggiunte alle due di Tokyo. Impressionando per la guida, l’esplosività e la struttura fisica.
La rivalità fra Lavreysen e Hoogland è uno stimolo per entrambiLa rivalità fra Lavreysen e Hoogland è uno stimolo per entrambi
Star della Bmx
Prima di indossare il body da pista e il casco aerodinamico, infatti, l’olandese di 24 anni si è fatto un nome proprio nella BMX. Tre volte campione europeo juniores tra il 2011 e il 2013, il ragazzo avrebbe avuto certamente davanti una carriera luminosa, anche se praticando una disciplina soggetta a cadute, la sua condizione oscillava spesso tra alti e bassi, entrate e uscite dall’ospedale. Finché nel 2014, ci ha messo un punto.
«Ero tornato al mio miglior livello – ha raccontato – e stavo andando alla grande, ma mi sono lussato entrambe le spalle».
Pare che siano stati gli stessi medici che lo sistemavano da anni a suggerirgli di cambiare sport. E così Harrie ha scelto di allenarsi sulla pista di Papendal, nel centro del Paese.
«E’ stato molto strano passare da professionista della BMX a dilettante su pista – ha raccontato – non sapevo cosa stavo facendo e mi sentivo ridicolo».
Innesco rapido
Eppure, a conferma del fatto che i due percorsi possono essere complementari, i frutti del cambiamento si sono iniziati a vedere quasi subito. Nel 2015, il ragazzo alto 1,81 e arrivato a 92 chili di peso forma, ha vinto subito il campionato nazionale di velocità a squadre. Il primo oro internazionale è arrivato tre anni dopo e da quel momento ha dato il via a un dominio incontrastato nelle discipline veloci.
Detentore del titolo mondiale di velocità a squadre dal 2018, Harrie si è distinto anche individualmente: nella velocità (2019, 2020, 2021) e nel keirin (2020, 2021). A Tokyo, l’olandese ha sfiorato una nuova tripletta, fallendo nel keirin (bronzo), sorpreso da Jason Kenny.
A Roubaix nella velocità ha battuto il compagno di nazionale HooglandA Roubaix nella velocità ha battuto il compagno di nazionale Hoogland
Rivalità da fare invidia
Lavreysen non è da solo. Ogni volta, succede infatti la stessa cosa. I due compagni nella squadra olandese di velocità a squadre, Jeffrey Hoogland e Harrie Lavreysen, diventano avversari all’ultimo respiro quando si tratta di eventi individuali. E se al traguardo uno dei due non è primo, ci sono buone probabilità che l’oro sia al collo dell’altro.
Come a Roubaix, dove Lavreysen, vincitore di keirin e velocità, ha avuto ogni volta dietro di sé il compagno più esperto. Ma questa rivalità non è malsana. I due olandesi condividono sempre la stessa stanza d’albergo prima delle grandi gare, si divertono, guardano film insieme e si tirano su.
«Mi alleno con il migliore al mondo – ha spiegato Hoogland prima delle Olimpadi – penso che ogni corridore sarebbe invidioso».
A Tokyo lo ha battuto solo Kenny nel Keirin e meglio di lui ha fatto anche Firdaus Sahrom (Malesia)
Sul podio di Roubaix, oltre ai due olandesi, anche il francese Vigier, a destra
A Tokyo lo ha battuto solo Kenny nel Keirin e meglio di lui ha fatto anche Firdaus Sahrom (Malesia)
Sul podio di Roubaix, oltre ai due olandesi, anche il francese Vigier, a destra
Un duro lavoratore
Quando Lavreysen non è in bicicletta, è in sala pesi e viceversa. Dedicato ormai totalmente alla pista, il sei volte campione del mondo è alla continua ricerca della forza. Nel 2015, infortunato, ha inviato un messaggio molto evocativo al suo preparatore atletico, Christian Bosse.
«Mi sono operato ieri – gli ha scritto – domani lascerò l’ospedale e al massimo entro due giorni voglio allenarmi. Non posso usare le braccia, puoi farmi ugualmente un programma?».
Oltre alle sessioni fisiche, Harrie Lavreysen trascorre lunghe ore davanti allo schermo, analizzando le sue prestazioni e quelle dei suoi futuri avversari.
«Mi piace anche conoscere le caratteristiche della pista su cui correrò – ha spiegato – curo tutti i dettagli prima di andare da qualsiasi parte».
Per Ivan Quaranta, che a quanto si dice avrà in carico il settore velocità sotto l’occhio di Marco Villa, il riferimento è impressionante, ma in qualche modo l’iter dalla BMX alla pista potrebbe indicare la strada per arrivare a qualcosa di concreto in attesa che crescano dalla base dei giovani talenti. In Olanda l’hanno capito da anni, qui dobbiamo rimboccarci tutti le maniche.
Viviani e Consonni chiudono le Olimpiadi con il 10° posto nella madison. Sul primo gradino del podio Morkov e Lasse Hans. Consonni con problemi di pressione
«Sapevo e ho sempre detto che a Tokyo non potevo essere la miglior Paternoster, per cui ringrazio Salvoldi per avermi dato fiducia. A un tratto ho pensato che non sarei andata. Magari i mondiali saranno un bel momento di riscatto».
Colline del Prosecco
Primo pomeriggio sulle colline trevigiane. A Ca’ del Poggio è stata appena presentata una serie di nuove tecnologie con le quali saranno confezionate le divise delle Fiamme Azzurre. Per questo nel resort in cima al celebre Muro si sono ritrovati gli atleti della Polizia Penitenziaria. Con Letizia, appunto, ma anche l’oro olimpico di Lamon, Scartezzini, Bastianelli, Cecchini e Guderzo.
Questa medaglia d’argento ha finalmente il sapore di un ritorno convincente
Salvoldi si è esposto molto portandola a Tokyo. Gli europei lo hanno in parte ripagato
Con le ragazze del quartetto argento agli europei nel suo stesso giorno
Questa medaglia d’argento ha finalmente il sapore di un ritorno convincente
Salvoldi si è esposto molto portandola a Tokyo. Gli europei lo hanno in parte ripagato
Con le ragazze del quartetto argento agli europei nel suo stesso giorno
Manca una settimana all’inizio dei mondiali pista di Roubaix, l’atmosfera è rilassata. E poi, dato che l’azienda che produce le divise ne realizza anche per l’automobilismo, agli atleti è stata offerta la possibilità di un giretto nell’auto di Giandomenico Basso, campione italiano rally. E qui l’adrenalina scorre più copiosa del Prosecco sulle colline che l’Unesco ha inserito nel suo patrimonio
Buio alle spalle?
I campionati europei hanno in qualche nodo segnato la svolta. A Tokyo le cose non sono andate come Salvoldi si aspettava e c’è da capire se la convocazione sia venuta a tutela dell’atleta da cui tanto ci si aspetta o non sia stata piuttosto per lei un’esposizione eccessiva che nel gruppo azzurro ha creato qualche tensione di troppo.
Agli europei un buono spirito di squadra: qui Paternoster gioisce per le compagne del quartettoAgli europei un buono spirito di squadra: qui Paternoster gioisce per le compagne del quartetto
«Lo ripeto – ammette la trentina – a Tokyo non c’era la miglior Letizia, non sono state le Olimpiadi il punto di ripartenza. Vedo piuttosto i campionati europei di Grenchen delle scorse settimane. Ora finalmente posso dire che il momento nero è finito. E posso dirlo in base alle mie sensazioni. Potrei anche dire che ho svoltato alle Olimpiadi, vista l’importanza dell’evento. Ma non sarebbe vero. Ora invece sono veramente felice e veramente serena. E quando hai queste due cose per la testa, puoi lavorare come vuoi e dove vuoi».
Argento preziosissimo
A Grenchen è arrivato finalmente il primo risultato tutto suo: l’argento nell’eliminazione che ha segnato il ritorno su un podio dopo due anni di buio. La risalita è stata lenta e non è ancora completa: il post Covid ha presentato un conto per lei carissimo.
La convocazione a Tokyo forse è stata prematura e ha creato tensioni in squadraLa convocazione a Tokyo forse è stata prematura e ha creato tensioni in squadra
«Faccio fatica a trovare quale sia stato il momento peggiore degli ultimi tempi – dice – ma penso i 40 giorni di febbre col Covid. Non vedevo via d’uscita, ho passato il momento più buio della mia vita. Adesso però si volta pagina e l’inverno che arriva sarà molto importante. Lavorerò con tanta costanza e non vedo l’ora di raggiungere in ritiro la mia Trek-Segafredo per il primo ritiro di dicembre in Spagna. Non toglierò la pista dalla mia vita, ma voglio concentrarmi per bene anche su strada».
Posto da ritrovare
Prima che si concludesse il carosello sull’auto da corsa, che Letizia ha apprezzato davvero tanto perché quando è scesa dalla Skoda bianca aveva gli occhi fuori dalle orbite per la felicità, la trentina ha lasciato la compagnia e si è diretta verso Montichiari, dove le altre azzurre la aspettavano per le sedute pomeridiane di lavoro. Forse si pensava che finito il Covid, il suo valore tornasse a galla rapidamente da solo. In realtà il recupero è stato lungo e solo ora si può cominciare a parlare di un’atleta ritrovata.
Sul finestrino della Skoda da rally, Paternoster e i nomi degli altri atleti presentiSul finestrino della Skoda da rally, Paternoster e i nomi degli altri atleti presenti
I mondiali saranno uno step da seguire con attenzione, ma la vera sfida sarà tornare al top il prossimo anno e riconquistare un posto importante in nazionale. Lei lo sa. Sa che nel frattempo altre individualità sono cresciute fino a toccare livelli altissimi.
Sorride. Dispensa serenità. E se fino a pochi mesi fa fa in fondo agli occhi potevi riconoscere il dubbio, ora sembra di scorgere la spensieratezza di un tempo.
Dai professionisti agli amatori, da Santini lavorano così. I campioni come modelli, ma gli amatori stanno alzando il livello. E il fatturato si fa con loro
Villa aveva previsto tutto, i suoi ragazzi hanno fatto il capolavoro. Un mix perfetto di cuore e studio. E quando Ganna ha aperto il gas, addio Danimarca
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Questo articolo è stato scritto da Alex Zanardi per il suo amico Fabio Triboli. Racconta una storia vera, dura, infine dolce. E’ stato Fabio, incontrato a Tokyo da Alberto Dolfin, a chiederci di pubblicarlo. E noi abbiamo accettato di buon grado, grazie a equipeenervit.com che ci ha concesso di farlo, avendolo pubblicato per primo nella rubrica A piede libero gestita proprio da Zanardi.Mettetevi comodi, servirà qualche minuto più del solito. Ma se alla fine avrete gli occhi lucidi e il cuore gonfio, significa che ne sarà valsa la pena. E come hanno cantato tutti gli azzurri di Tokyo 2020: Forza Alex!
Ci sono storie belle, popolari. Sì, così simili a quelle raccontate nelle tante pellicole in bianco e nero del dopoguerra che hanno il loro ingrediente più romantico e toccante nel farcela, a dispetto delle difficoltà che la vita imponeva a tanti in quegli anni. Quando c’era tutto da inventare perché tutto mancava e la gente si rompeva la schiena senza paura perché le cose miglioravano in fretta. Questo regalava speranza più che fiducia. Il sogno era di costruire un benessere che non c’era ancora per i figli che forse un giorno l’avrebbero ereditato. Poi è toccata ai nostri genitori, che francamente, qualcosa in più hanno iniziato ad averla. Su tutto, i più hanno evitato la guerra o l’hanno vissuta marginalmente. Ma noi siamo stati quelli davvero fortunati. Perché anche se all’inizio c’era poco, non c’è mancato nulla. Quel poco, quella giusta misura del poco, credo abbia stimolato la nostra capacità di desiderare e al tempo stesso di gioire intensamente per ogni piccola conquista.
L’amicizia con Zanardi, ha spinto Alex a scrivere questo articolo su Fabio Triboli, a sinistra nella fotoL’amicizia con Zanardi, ha spinto Alex a scrivere questo articolo su Fabio Triboli, a sinistra nella foto
Esprimi un desiderio
E ci si accontentava: bastava un pezzo di gesso per tracciare il gioco della Luna per terra e scegliere un sasso buono per sfidare gli amici del cortile. Oppure scoprirci capaci di avvertire meraviglia nello scorgere un nido su un albero. Nel vedere i girini appena nati nell’acqua di un fosso. O ancor più, quando d’estate non dovevamo andare a letto subito dopo Caroselloe si poteva giocare a nascondino dopo cena, magari intravedendo dal nostro nascondiglio una stella cadente. Ed esprimere un desiderio, convinti, anzi certi, che riuscendo a farlo abbastanza in fretta si sarebbe avverato.
Avevamo l’esempio dei nostri genitori che lavoravano tanto e sodo per accedere ai lussi come la gitarella fuori porta o il picnic della domenica pomeriggio. Perché il mattino si andava in chiesa, magari con quel paio di scarpe buone che era arrivato anch’esso come un grande dono da sfoggiare con orgoglio.
Come Gimondi
La mia è stata una generazione felice e sognante. La domanda “Cosa farai da grande?” arrivava a giorni alterni mentre pranzavamo con la famiglia, ma negli altri, eravamo noi a comunicare con teatralità il nuovo progetto di vita appena rivisto.
Mi viene da credere che quel mondo che abbiamo vissuto, abbia in qualche modo attrezzato tanti bambini nel diventare appassionati lottatori di vita. Fabio era certamente uno di questi bambini. Vispo, sempre sorridente, mai fermo. Mai il primo della classe a scuola, ma sempre tra i primi nel cuore della maestra che li aveva cresciuti.
Un giorno il nonno lo aveva portato a vedere il passaggio del Giro d’Italia e tornando, nella prima occasione di convivialità familiare a tavola, aveva dichiarato solennemente che nella vita avrebbe fatto il Corridore come Gimondi.
I bambini cambiavano e cambiano idea. Non Fabio, nemmeno quando la vita sembrava volergli imporre un cammino diverso, dove la salita non sarebbe stata quella da scalare in bicicletta, ma piuttosto quella in apparenza molto più dura della disabilità.
Ecco la volata che vale l’oro paralimpico di Pechino 2008Ecco la volata che vale l’oro paralimpico di Pechino 2008
L’ubriaco
Un giorno, un anziano signore che guidava l’auto anche se ubriaco, diventò vittima e carnefice della sua vita. Vittima, perché quando investi due bambini innocenti che hanno la sola colpa di essere sulla stessa tua strada mano nella mano, non sarai mai più un uomo felice. Carnefice, perché anche se certe cose nella vita non si possono evitare solo a forza di buone intenzioni, quel suo mettersi al volante nelle peggiori delle condizioni cambiò per sempre la vita del piccolo Fabio e della cugina che lo teneva per mano.
Lei fu investita dall’auto che la trascinò sulla strada per decine di metri. Fratture multiple, degenza lunghissima in ospedale ma, pur con gravi conseguenze permanenti si salvò. Era più grande del piccolo Fabio che quel giorno le era stato, come dire, affidato. E per questo lo teneva per mano con responsabilità, con una presa così salda, che quando fu investita dall’auto, il Plesso Brachiale dell’esile braccio del bambino si strappò di netto. La speranza tiepidamente offerta dai medici per un possibile recupero parziale dei movimenti si perse nel tempo assieme al tono muscolare di un arto che non si sarebbe più mosso come prima.
Una vita diversa
La vita per Fabio non sarebbe stata più la stessa, eppure i suoi sogni non cambiarono. Questo ostinato modo di pensare può pure essere normale per un bambino, ma un conto è provare, un altro poi è riuscire a dispetto delle difficoltà.
Diventando uomo Fabio ha fatto la sua parte. Ha studiato quel che serviva e poi è andato a lavorare. Ha messo su famiglia, assieme ad Antonella ha cresciuto tre bellissimi figli, due ragazze e un ragazzo. Tra le difficoltà eh, perché lavorando in fabbrica bisogna saper tirare la cinghia quando si avvicina la fine del mese. Ma a dispetto di tutto non ha mai mollato il suo sogno, quello di andare in bicicletta e di fare il corridore.
Un brav’uomo Fabio. Uno che sul lavoro non s’è mai tirato indietro, guadagnandosi la stima e l’amicizia dei colleghi. E soprattutto dei suoi superiori, perché non puoi non notare un uomo che col suo sorriso e la sua caparbia nell’affrontare ogni giorno le difficoltà più ovvie, finisce per ispirare quelli che gli stanno attorno rendendoli persone migliori.
Pechino 2008, Triboli ha appena vinto l’oro su stradaPechino 2008, Triboli ha appena vinto l’oro su strada
Un giorno Valentini
Forse è per questo che quando poi la vita, che, come dice spesso un mio amico, ha più fantasia di noi, ebbene quando finalmente ti fa un regalo, in tanti siano felici per te. E il regalo arrivò sotto forma di un incontro. Con Mario Valentini, che dopo aver diretto la Nazionale Italiana di ciclismo su pista, aveva da poco ricevuto l’incarico di ristrutturare e gestire i programmi del Ciclismo Paralimpico dalla Federciclismo. Fabio aveva sviluppato il suo sogno come aveva potuto finendo per correre gare di mountain bike. Quello che si poteva fare sulle colline vicino a Lecco dove vive, con qualche puntatina ogni tanto fuori dal solito perimetro dopo aver risparmiato un po’. Perché se affronti una trasferta per una gara che merita, beh, per una gara che merita vuoi non mettere un paio di copertoni nuovi sulla bici? Vuoi non fare un salto dal meccanico per revisionare un po’ il mezzo? Insomma, oltre alla benzina per andare sul campo di gara, motivi più che buoni per rompere di tanto in tantoil porcellino riempito con fatica ce n’erano…
Ancora corridore
Mario Valentini gli offre una nuova prospettiva. Quel braccio inutile che lo ha sempre limitato nel gareggiare contro gli altri, può diventare il suo biglietto d’ingresso in un mondo nuovo dove i sogni, anche i più arditi, possono realizzarsi.
Potrebbe non essere facile per un ex-ragazzo di ormai quasi 40 anni continuare a sudare per inseguire quel sogno da bambino, ma in fondo, nell’accezione più nobile del termine, Fabio Triboli un bambino lo è ancora. Per ognuno di noi, cavalcare gli eventi per trasformare ciò che accade in un’opportunità dovrebbe essere una regola. Nelle avversità, pochi ci riescono. Eppure alcuni lo fanno, quindi un modo esiste… Un modo che potrebbe portarti a dire: «Se non fosse accaduto quel che è accaduto, non sarei stato qui!».
La medaglia d’oro non è più un sogno, Triboli è campione paralimpicoLa medaglia d’oro non è più un sogno, Triboli è campione paralimpico
Pechino 2008
Tornando alla nostra storia, QUI è Pechino, Giochi Paralimpici del 2008. Sono serviti impegno e sudore, è servita molta pazienza ma Fabio è diventato un Corridore che indossa alle Paralimpiadi la maglia più bella, la Maglia Azzurra.
E visto che favola deve essere, nella prima delle tre gare per le quali si è qualificato, quella dell’inseguimento su pista, vince la medaglia d’Argento. E poi Bronzo, sette giorni dopo, nella prova a cronometro su strada.
A casa la festa è già partita, Antonella al telefono felice e commossa gli racconta di come la famiglia ha vissuto i suoi successi. Delle figlie che a scuola si vantano orgogliose delle imprese del padre e del sindaco, che sta già organizzando una festa in paese per il suo ritorno. E ancora del signor Carcano, il proprietario dell’azienda dove Fabio lavora, che ha già detto che la prima festa la si farà in fabbrica, con tutte le persone che gli vogliono bene e che sono orgogliose di lui.
Poi, siccome le donne sono più pratiche e pragmatiche, gli parla anche di tutte le cose che potranno fare con i premi delle medaglie. Soldi veri per una famiglia che, pur facendolo con assoluta dignità, s’è sempre dovuta fare bastare uno stipendio per fare tutto.
Il giorno più bello
Ancora ubriaco di tutto questo, arriva per Fabio il giorno dell’ultima gara, la corsa in linea. Teoricamente, per le sue buone doti di velocista, anche quella che alla vigilia rappresentava l’opportunità migliore per vincere una medaglia. Ma vada come vada, perché giusto tre anni fa ti facevi i conti in tasca per cambiare un copertone alla bici e ora sei un doppio medagliato paralimpico. Un professionista ormai, nel vero senso del termine, ovvero uno di quelli che dalla propria attività ci ha finalmente tirato fuori anche di che vivere.
Con l’animo sereno Fabio attacca da subito trovando la collaborazione di altri due atleti molto forti. Arriva un’occasione e vanno in fuga. Prendono un vantaggio notevole, quasi due minuti e sembrano imprendibili. Poi però accade quello che non ti aspetti. A un’Olimpiade, si dice infatti: «ho vinto l’Argento, o il Bronzo». Non si dice «sono arrivato secondo o terzo…». Perché, al contrario che a un Mondiale lì ogni medaglia conta. Ed è per questo che normalmente, quando sei in fuga assieme ad altri due soli atleti, ti aspetti collaborazione. Ma questa non arriva.
Alex Zanardi è stato invocato da tutti gli azzurri di Tokyo 2020 che a lui hanno dedicato la loro faticaAlex Zanardi è stato invocato da tutti gli azzurri di Tokyo 2020 che a lui hanno dedicato la loro fatica
Brividi di freddo
Fabio dà l’anima per non fare rientrare il gruppo, ma il gruppo arriva e, a meno di un solo giro dal traguardo, li riprende. Quando accade, Fabio sente di aver speso ormai tutto. Fa un caldo pazzesco a Pechino, ma lui ha i brividi di freddo. Tutta l’energia spesa, tutta la fatica già fatta inseguendo un sogno ormai svanito impone al suo corpo un dazio severo e piano piano perde terreno. Prima la ruota di un compagno, poi anche i ritardatari di quel gruppo lo staccano.
Il sapore della resa
Conosco quel momento. Quando sei intossicato di fatica e il fisico non risponde più, beh lo fa ancor meno la mente. E’ un attimo: una distrazione, una difficoltà aggiuntiva come una mezza scivolata, un salto di catena o un banalissimo colpo di vento e ti fermi. Poi un attimo dopo ti riprendi e ti maledici per avere mollato e se ormai è tardi, puoi anche arrivare a convincerti che doveva andare così, che non si poteva fare di più.
Come detto, capita. E se non ci siete passati, forse vuol dire che non avete mai spinto abbastanza per conoscere quella sensazione. O non ne avete mai avuto l’occasione, perché quando conta davvero, non lo decide il prestigio dell’evento nel quale ti stai cimentando, ma la fame che hai o che t’è rimasta. Fabio aveva fatto un’abbuffata fuori programma nei giorni precedenti. Due medaglie già vinte… e cosa poteva importare a questo punto? «Me ne vado a casa comunque contento!», aveva pensato.
Con Bianchetto, campione olimpico a Roma 1960 e tecnico federaleCon Bianchetto, campione olimpico a Roma 1960 e tecnico federale
Mai arrendersi
Poi però può anche accadere dell’altro. Che ti tornino in mente i sacrifici che hai fatto, quelli che hai imposto alla tua famiglia con il tempo che le hai negato. Non al mare o in montagna assieme, ma tu a sudare in bici e loro ad andare avanti facendo dell’altro senza di te. Che anche se i sei mesi di aspettativa che hai ottenuto per preparare quella gara sono un diritto tutelato per legge, mentre tu eri in giro in bici ad allenarti c’erano altri in fabbrica a spostare le casse per te e l’hanno fatto con gioia, perché ti stimano. Ti vogliono bene e adesso sono là, dopo le gioie che gli hai regalato si aspettano che tu possa dargliene ancora nell’ultima gara in programma… E tu poi cosa gli racconterai: «Eh, ero un po’ stanco e alla fine ho mollato…!». Ma accade che tu non lo faccia solo per gli altri. Quando pensi che hai aspettato quarant’anni per avere una chance che probabilmente non si ripresenterà più. Perché anche se hai già vinto, oggi è il giorno in cui potevi far accadere dell’altro e ti sei arreso.
Ecco il gruppo
In questi momenti può accadere la cosa più bella. Che tu scopra che non serve una ragione particolare per rialzarsi sui pedali a spingere. Basta qualcosa che ti faccia ricordare la stessa intatta passione che ti faceva rompere il maialino per andare a fare le gare in mountain bike contro dei signor nessuno quando tu eri l’ultimo fra loro. E che vuoi farlo per te stesso, perché puoi. E non sarà tra un giorno, un’ora o un attimo, ma è adesso che devi farlo. Così Fabio si rialza sui pedali, ritrova un ritmo, riprende la migliore andatura possibile e, stavolta sorridendo davvero in modo convinto si dice: «Oh Triboli: metti mai che la vita voglia farti un altro regalo che fai, non ti presenti?».
Quasi come se qualcuno da lassù avesse apprezzato il suo cambio di ritmo, emotivo ancor più che fisico, fuori da una collina a tre chilometri dal traguardo, nel campo visivo più ampio che gli si apre davanti, Fabio scorge il gruppo là davanti. Appallottolati come si dice in gergo, a non più di 500 metri.
Rimonta completa
Ormai vicini al traguardo tutti gli atleti avevano iniziato a studiarsi, a risparmiare energie per la volata che si sarebbe certamente sviluppata di lì a poco e facendo questo stavano rallentando. Ritrovando speranza più che vera e propria fiducia, Fabio ignora i dolori, la fatica, il sudore gelato che avvolge il suo corpo. Pensando solo a proseguire per chiudere quel divario che, peraltro, vede di metro in metro ridursi. Ora non serve chissà quale allungo per vedere i corridori davanti. E spinge, spinge ancora, quasi ridendo di quello sforzo stupido che sta facendo contro ogni pronostico. Perché anche se li raggiungesse, da cosa potrebbe estrarre ancora energia per una ipotetica volata con loro. Chissenefrega, la vita è una, la vita è adesso si ripete: «Triboli, vai avanti!» si intima…
Triboli è volato a Tokyo come collaboratore di Mario ValentiniTriboli è volato a Tokyo come collaboratore di Mario Valentini
Come on sta cippa!
Incredibile! Quando ha quasi raggiunto il gruppo che procede ad andatura tattica, il corridore Brasiliano, uno dei più forti negli ultimi metri, scatta per anticipare tutti. E come se fosse tutto a posto nei muscoli e nel fisico, Fabio intuisce l’opportunità. Arrivando lanciato, gli basta un piccolo scatto per agganciare la ruota del Brasiliano. Alla compagnia si aggiungono altri quattro corridori che anticipano tutti gli altri tra cui il Belga, sulla carta il più forte dei velocisti. Proprio mentre tutto questo accade, dai rumori terrificanti di metalli che sfregano sull’asfalto, Fabio intuisce che il gruppo dietro di loro è stato rallentato da una caduta.
E’ una finale Olimpica, non un concorso di fairplay e i sei corridori iniziano a dare l’anima per tenere quei metri di vantaggio che la fortuna ha loro regalato. Fabio sente il corridore inglese chiedergli collaborazione urlandogli: «Fabio, come on! Come on mate!». E Fabio pensa: “Sì, come on sta cippa! Non ne ho più cavolo, buona grazia se non mi staccate subito!”.
Valentini a braccia alzate
Si vede l’arrivo 500 metri più avanti. E mentre decide solennemente che sarebbe bello avere ancora qualcosa da spendere in quell’attimo, perché il momento per scattare è arrivato, riesce a vedere Mario Valentini sotto la linea a braccia alzate. Quell’uomo che aveva incontrato a un appuntamento casuale organizzato dal destino, ma che, per culo o per classe incomprensibile, a certi appuntamenti arriva sempre puntuale. Quasi sapesse che poteva andare così. Oppure pensasse che doveva andare così. Quasi fosse certo che sarebbe andata così. E d’un tratto, lo pensa anche Fabio. Lo sfinimento, gli sforzi fatti, il dolore… non c’è più nulla. Solo la voglia di tagliare per primo quel traguardo perché è lì, perché si può fare.
Ancora oggi, Fabio Triboli è ispirazione per gli atleti che decidono di avvicinarsi al paraciclismoAncora oggi, Fabio Triboli è ispirazione per gli atleti che decidono di avvicinarsi al paraciclismo
L’Oro è per sempre
Fabio si alza sui pedali e il corpo risponde, cazzo come risponde! Le gambe spingono sui pedali, butta giù i rapporti con la catena che resta tesa come la cima che tiene una petroliera in porto investita dal vento. Risale il gruppetto e infine passa anche l’ultimo dei suoi avversari. Il corridore Belga, il più forte, che, conscio della sua forza, era partito lunghissimo convinto della sua tattica. Fabio è sulla linea e, servisse mai a fargli capire chi ha tagliato per primo il traguardo, riaprendo gli occhi dopo lo sforzo ritrova il tipo coi baffi e la maglia dell’Italia a braccia alzate.
Servirà un altro minuto al vecchio Mario, fermo sul traguardo, per raggiungere Fabio che s’è ormai fermato cento metri più avanti. Ma adesso un minuto può passare. Adesso di minuti ne possono passare e ne passeranno tanti perché quell’Oro è e sarà per sempre di Fabio Triboli.
Cogliere l’attimo
Io l’ho un po’ romanzata, ma credetemi, è andata così davvero. Ve l’ho voluta raccontare perché ogni volta che sento questa storia mi vengono in mente le parole di mio Padre. Quando mi diceva: «Sandrino bisogna sempre dare il massimo anche quando sembra ci sia poi solo bonaccia. Perché se poi il vento arriva, tu sei già lì a prenderlo!».
Fabio Triboli è uno che metaforicamente ha sempre provato a prendere il mare. E quando finalmente è arrivato il vento a gonfiare la sua vela, ha mostrato a chi aveva occhi per vedere come accadono le cose. Che devi volerlo, non per soldi, fama o per migliorare la tua vita, ma perché l’unico modo per vivere al meglio è cogliere l’attimo. Facendo le cose che ami al meglio delle tue possibilità sempre, che si tratti di Giochi Olimpici o della gara del quartiere.
Alex con tutti noi
Il mondo Paralimpico è difficile da capire. Capita anche che arrivino nuovi atleti che meritano una classificazione, ma il cui inserimento in una categoria stravolga i valori e le forze in gioco nella stessa. Oggi, nella C5, la categoria dove correva Fabio, senza due braccia che tengano saldamente il manubrio in volata non puoi più essere competitivo. Così, alla vigilia dei Giochi di Londra, Mario Valentini ha chiesto a Fabio di passare la mano, di agganciare il gruppo come suo Collaboratore e oggi si occupa di noi.
E lo fa bene, in modo unico, per le sue competenze tecniche e la sua grande capacità di motivare le persone. Forse sono un romantico, però sentire questa e altre storie dal suo vocione mi carica sempre e immancabilmente il pensiero vola alle cose da fare che mi stanno già portando a Tokyo. Non so dove potreste trovare il vostro Fabio Triboli dal quale estrarre quelle energie che possono farvi fare le cose. Eppure sono certo che a saper vedere ci siano persone in giro capaci di ispirarci. Che si possa imparare da tutti, se non siamo troppo concentrati su noi stessi. Io questo sbaglio, a quasi 53 anni non posso permettermelo. D’altronde, sono le armi che mi restano: consapevolezza, misura e testardaggine più che determinazione. Perché indipendentemente da quello che è accaduto ieri, la vita è adesso e viverla davvero significa scorgere un nuovo spazio per fare solo un altro dei nostri tentativi migliori.
La Slovenia aspetta la fine del Tour per dare i nomi per Tokyo. Nella crono nazionale, Tratnik scalza Pogacar. Roglic ancora nascosto, finora ha solo 17 giorni di corsa
Marco Villa ha sistemato tutte le carte sul tavolo di Tokyo, ma ce ne sono ancora due da definire. Aspetterà sino all'ultimo, ma vorrebbe gratificare tutti
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Per loro e per Alex Zanardi. Così Paolo Cecchetto, Luca Mazzone e Diego Colombari dominano la staffetta olimpica e conquistano il gradino più alto del podio nella terza giornata di gare dedicate al ciclismo. Una prova di spessore per l'Italia, che si conferma regina di questa disciplina con una formazione - la stessa che a giugno vinse il titolo iridato ai Mondiali di Cascais - che non fa rimpiangere le assenze degli assenti, ma dedica l'oro ad Alex Zanardi, il fratello maggiore...
Nel nome di Alex. Paolo Cecchetto, Luca Mazzone e Diego Colombari hanno confezionato l’impresa al circuito Fuji Speedway di Tokyo, conquistando l’oro nel team relay, la staffetta dell’handbike, ovvero la disciplina di cui l’Italia era campionessa paralimpica in carica in virtù del successo di cinque anni fa a Rio.
Con l’incidente di Zanardi e il ritiro di Podestà, Cecchetto e Colombari sono stati le piacevoli novità rispetto alla vittoria in terra carioca, non lasciando nessuno scampo alle nazioni rivali, facendo una gara di testa sin dall’inizio. L’unico dei tre a essere già presente in occasione dell’ultimo trionfo eraLuca Mazzone, uscito dal box del circuito giapponese con l’occhio della tigre.
Il personale in festa: il cittì Valentini portato in trionfoIl personale in festa: il cittì Valentini portato in trionfo
Medaglia per Alex
Già alla vigilia ci aveva rivelato il suo sogno. Con la voce rotta dalla commozione: «Se vinciamo l’oro nel team relay, vado a portarglielo da Alex». Non si sarebbe accontentato di nessun altro metallo, soprattutto dopo i due argenti individuali, in particolare quello nella cronometro sfuggitogli per l’inezia di 26 centesimi.
«Ci manca l’oro», continuava a ripetere Mario Valentini aggirandosi avanti indietro nel box azzurro sia martedì sia mercoledì. Finalmente, la settima medaglia del paraciclismo ai Giochi di Tokyo è quella del metallo più prezioso. Va ad aggiungersi ai cinque argenti e al bronzo di Katia Aere).
Cecchetto ha sbrogliato la partenza, lanciando la staffetta verso l’oro
Luca Mazzone, oro finalmente, dopo due argenti
Diego Colombari ha chiuso con una terza frazione belliossima
Cecchetto ha sbrogliato la partenza, lanciando la staffetta verso l’oro
Luca Mazzone, oro finalmente, dopo due argenti
Diego Colombari ha chiuso con una terza frazione belliossima
L’oro più bello
E’ l’oro più bello, più pregnante di significati e più voluto da tutti. Ma, soprattutto, è per te Alex, come hanno cantato tutti, non solo gli italiani, al termine della cerimonia di premiazione.
Sotto la pioggia scrosciante, gli azzurri di Mario Valentini sono stati pressoché perfetti sin dalla partenza, prendendo il comando della gara con Cecchetto, che il giorno prima si era ritirato anzitempo dalla prova in linea, troppo dura per lui, proprio per preservare più energie possibili in vista della staffetta odierna. «Avete capito perché mi sono ritirato presto», dirà poi più tardi al rientro nei box, facendo un’occhiolino.
«Questo è il premio che abbiamo sognato per cinque anni. È stata dura, perché le altre squadre di certo non ce l’hanno regalato. Siamo strafelici e vogliamo ringraziare tutti i tecnici, meccanici, fisioterapisti che ci sono stati vicini».
Da Cecchetto a Mazzone
ll lombardo passava il testimone a Luca Mazzone che a sua volta aumentava il vantaggio sui rivali, che per ampi tratti ha superato il minuto, approfittando anche di una caduta per la Francia. Il cinquantenne di Terlizzi non era mai andato così forte: «Oggi avevo quella cattiveria agonistica che non ho mai avuto prima, era come se corressi con Alex al mio fianco. Lo sentivo vicino, che mi avrebbe portato bene. Così ho dato la soddisfazione anche a loro, i miei due amici, con cui abbiamo conquistato questo bell’oro.
Che poi aggiunge: «Le due ruote posteriori erano quelle di Alex, le avevo tenute proprio per il team relay. Ho messo le ruote Ghibli Campagnolo che mi aveva promesso poco più di un anno fa perché sentivo la vicinanza di Alex e questa gara la volevo vincere anche per cancellare i due argenti che mi stavano sul groppone. Volevo vendetta».
Sul podio, con l’oro finalmente al collo, la ricompensa per i sacrificiSul podio, con l’oro finalmente al collo, la ricompensa per i sacrifici
Finale per Colombari
Impeccabile poi l’apporto di Diego Colombari, il sostituto designato di Zanardi, che continuava a tenere gli azzurri saldamente in testa. Dopo tre frazioni da un giro per ciascuno, toccava proprio al cuneese il compito di chiudere in bellezza e tagliare il traguardo de Fuji Speedway col pugno destro alzato al cielo, prima di abbracciare i compagni e poi scattare a festeggiare il ct Valentini, portato in trionfo da tutto lo staff. «Sicuramente è stato un grande onore di partire ultimo con la speranza di festeggiare. Poter chiudere in bellezza così, tranquillamente, è stata una grande emozione».
E’ l’oro più bello, più pregnante di significati e più voluto da tutti ma, soprattutto, è per te Alex, come hanno gridato tutti, non solo gli italiani, al termine della cerimonia di premiazione, in cui le medaglie sono state consegnate dal presidente Renato Di Rocco. L’oro sta arrivando Alex, proprio quello che sognavi quando sei venuto a provare il circuito due anni fa.
Riprendendo il discorso dell'acclimatazione degli azzurri in Giappone, parliamo con Mirko Sut, cuoco dei nostri alle Olimpiadi. Ecco cosa mangiano e perché
Sei medaglie in due giorni al Fuji Speedway. L’Italia di paraciclismo ormai è un habitué del podio alla Paralimpiade di Tokyo, grazie all’argento e al bronzo odierni che si sono aggiunti ai quattro argenti di ieri.
«La medaglia di Katia Aere splende tantissimo, anche se è di bronzo – comincia a raccontare il ct Mario Valentini – mentre quella di Luca Mazzone è d’argento. Per tutto il movimento e per la sua promozione, è fondamentale perché si tratta di una ragazza nuova e giovane. Una bella realtà. Mi dispiace per Ana Vitelaru perché era davanti e poi ha rotto una manopola. Purtroppo sono cose che possono capitare. Però ora basta con questi secondi e terzi posti, cerchiamo di prendercela questa medaglia d’oro. Mancano due giorni».
Fase di riscaldamenteo prima del via per Vitelaru, POrcellato e AereFase di riscaldamenteo prima del via per Porcellato e Aere
Sorpresa francese
Nel frattempo, Luca Mazzone ha raddoppiato in tema di argenti nel giro di 24 ore, chiudendo secondo nella prova in linea vinta dal francese Florian Jouanny, con lo spagnolo Sergio Garrote Muñoz, che si è dovuto accontentare del bronzo dopo essere stato staccato.
«Sentire il tifo di casa in questi giorni mi ha caricato tantissimo – racconta il cinquantenne di Terlizzi – purtroppo però non è bastato, nonostante mi sia allenato duramente, immaginando salite sul 5 per cento. Non mi aspettavo di trovare questi strappi al 10 per cento che per noi H2 è davvero troppo, non aveva senso. Poi senza riposo dopo lo sforzo della cronometro… bisognerebbe fare almeno un giorno di stop per permettere ai muscoli di recuperare. Nell’ultima salita, c’era il rischio di saltare e buttare la medaglia se non la gestivi bene, cosa che io non volevo fare. In Italia, gli H2 non sarebbero nemmeno partiti su un tracciato così duro».
Oltre 200 watt
Bicchiere mezzo pieno però, è la settima meraviglia ai Giochi Paralimpici: 2 nel nuoto e 5 nell’handbike, di cui tre a Rio 2016 e due alle pendici del Monte Fuji.
«Sono contento, ringrazio il Circolo Canottieri Aniene – commenta Mazzone – lo staff della nazionale e chi mi aiuta in questo percorso. La gara era dura e non l’ho capita, perché ero convinto che avremmo ripreso il francese in salita. Invece lui è andato fortissimo e non si è fatto più raggiungere. Ho battuto lo spagnolo, quello che tre mesi fa ha dimostrato di essere il più forte ai mondiali, mentre il francese proprio non me l’aspettavo perché gli avevamo dato tre minuti nella rassegna iridata in Portogallo. Abbiamo provato a collaborare per rientrare. Andavamo a 200 watt, ma non è bastato. Comunque, sto pensando già a domani, le medaglie che sono arrivate le mettiamo in valigia. A questo punto, dovremmo stare attenti alla Francia».
Grandi saluti tra Porcellato e Masters, già amiche nello sci di fondo. Per l’americana due medaglie d’oro in due giorniGrandi saluti tra Porcellato e Masters, già amiche nello sci di fondo. Per l’americana due medaglie d’oro in due giorni
Rivincita team relay?
Il riferimento è al team relay di domani, disciplina di cui l’Italia è campionessa paralimpica e mondiale in carica, in cui sarà impegnato insieme a Diego Colombari e Paolo Cecchetto. Al solo pensiero dell’idea che gli frulla per la testa, si commuove mentre lo dice.
«Se vinciamo la medaglia d’oro – dice – il primo pensiero è andare da Alex a portargliela. Voglio far la dedica a lui, speriamo che vada bene e che Alex ci dia una mano».
Aere di bronzo
Qualche ora più tardi, un’altra gioia è arrivata con Katia Aere, vincitrice del bronzo nella prova in linea della categoria H5 di handbike femminile. La friuliana di Spilimbergo (in provincia di Pordenone), che sabato scorso (28 agosto) ha festeggiato i suoi 50 anni.
«E’ stata una gara molto varia. Nel primo giro e mezzo eravamo tutte insieme con le prime, nel secondo ho visto che le altre nella salita più tosta di rientro verso l’arrivo avevano una marcia diversa rispetto alla mia e ho capito che dovevo fare tenere il mio ritmo fino alla fine della gara», racconta rivivendo la gara che le ha regalato la gioia del podio nella gara vinta dalla strepitosa Oksana Masters, la stella statunitense nata in Ucraina e abbandonata in un orfanotrofio, che deve la sua disabilità alle radiazioni assorbite dalla madre naturale.
«Quando ho visto che Oksana e la cinese sono partite, ho notato che nessuno le andava dietro, così ho pensato che non fosse il caso di strappare al secondo giro per non saltare. Nella salita tra il secondo e il terzo giro, ho capito di averne di più e quello sforzo ha pagato».
L’abbraccio della “rossa volante” alla Aere debuttante col bronzoL’abbraccio della “rossa volante” alla Aere debuttante col bronzo
L’abbraccio col ct Valentini, le lacrime e poi la foto con la bandiera italiana per cominciare a realizzare l’impresa: «Non oso immaginare cosa possa essere successo a casa tra mia sorella, mio marito, gli amici, faccio ancora fatica io a crederci, quindi penso che la realizzerò sul serio solo quando la indosserò al collo e la toccherò con mano. Ci credevo, perché il mio coach mi ha insegnato a crederci, come ha detto lui, fino al giorno dopo. Però tra il crederci e il realizzarlo ne passa un po’ di acqua sotto i ponti. E’ incredibile, sono felice, anche perché ho iniziato a fare handbike soltanto a ottobre dell’anno scorso con il mio primo ritiro in nazionale, ma sono stata subito accolta alla grande».
Altre due medaglie messe in tasca, ma il ct Valentini rilancia già l’appuntamento per domani: «Team relay, Fabio Anobile e c’è Giorgio Farroni. Per la prima volta, lottiamo su tutti i campi e ci proviamo. Speriamo dai, la notte porta consiglio e speriamo porti fortuna». Tutti per Alex, come sempre.
Nibali saluta il Tour con una buona fuga. Lo Squalo ha battuto un colpo, pur staccandosi nel finale. Grinta e voglia non sono mancati. Ora ha 13 giorni per trovare la gamba migliore
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Nel nome di Alex Zanardi. Ci teneva la squadra di paraciclismo a lasciare il segno nella prima giornata al Fuji Speedway e ha cominciato la Paralimpiade di Tokyo con quattro medaglie d’argento a cronometro, di cui tre nell’handbike con Luca Mazzone, Francesca Porcellato, Fabrizio Cornegliani e poi l’ultima nel triciclo con Giorgio Farroni.
«Una gallina vecchia fa buon brodo». Sorride Francesca Porcellato, prima di scoppiare in lacrime al momento di videochiamare il suo compagno in Italia che, come tanti appassionati, si è svegliato nel cuore della notte per vedere sfrecciare la Rossa Volante, seconda nella categoria H1-H3: «Questo argento vale oro, all’undicesima Paralimpiade e nella terza disciplina, a 51 anni che compirò il giorno della Cerimonia di chiusura, ovvero tra pochi giorni, non è poco».
Quota 14
Sono quattordici le medaglie conquistate alle Paralimpiadi, tredici nelle edizioni estive e una invernale nel fondo a Vancouver 2010. «Ho iniziato a Seul 1988, è cambiato secolo e sono ancora qui. Era un percorso impegnativo e poi in questi anni sono successe tante cose, per cui non era facile confermarsi. Adesso abbiamo un grandissimo seguito e mi auguro che raccontino tutte le nostre storie, non soltanto quelle degli atleti più seguiti sui social. Perché tutti noi atleti presenti qui abbiamo delle storie da raccontare. Tutti e quanti meritiamo di essere raccontati e valorizzati, con tante persone che hanno vinto nella vita».
Videochiamata con il compagno per Porcellato alla 14ª medaglia paralimpicaVideochiamata con il compagno per Porcellato alla 14ª medaglia paralimpica
Fra gioie e dolori
La fuoriclasse di Castelfranco Veneto è una di queste: «Non ricordo l’incidente che mi è occorso da piccola, però ero una bambina che a sei anni ha deciso di fare l’atleta. Ora ne ho 51 e guardate dove sono arrivata, per cui dico che bisogna crederci sempre e mollare mai. Ci sono dei momenti bui, ma anche dei momenti con la luce e bisogna lottare per questi ultimi, io l’ho dimostrato. La mia vita non è stata facile, ho avuto grandi dolori, ma anche grande gioie».
Amici della “stampa”
Poi un pensiero per Alex Zanardi, nel cuore di tutti gli azzurri in gara oggi: «Alex portava grande lustro al nostro movimento, ma senza di lui le luci si sono un po’ spente. I mass media si sono un po’ dimenticati di noi da quando lui non è più qui a sfrecciare con noi. Lui non vorrebbe questo. Ci manca Alex, ci mancano le sue barzellette, i suoi consigli, così come ci mancano tutti i ragazzi che non sono potuti venire qui perché i posti erano veramente pochi. Siamo una famiglia alla fine perché lottiamo, ci sacrifichiamo e lottiamo insieme. Domani sarà dura nella prova in linea, ma ci proviamo». Poi comincia a rispondere alle centinaia di messaggi che intasano il suo cellulare».
Riscaldamento in partenza per Giorgio Farroni, marchigiano, che correrà la Paralimpiade sul tricicloRiscaldamento in partenza per Giorgio Farroni, marchigiano, che correrà la Paralimpiade sul triciclo
L’oro sfumato
Dolceamara la medaglia di Luca Mazzone, argento nella cronometro categoria H2. Il cinquantenne di Terlizzi ha visto sfumare l’oro per l’inezia di 26 centesimi. Ecco le parole dell’azzurro alla quarta medaglia paralimpica dopo le tre di Rio (2 ori e 1 argento). «A cinquant’anni – dice – essere a una Paralimpiade è già una vittoria. Poi prendere la medaglia è sempre splendido, anche se stavolta poteva essere d’oro. Purtroppo, questo è il bello del ciclismo, può succedere di tutto, è uno sport imprevedibile e si è visto oggi. Io esco nel finale, come nel nuoto. L’esperienza da nuotatore, mi ha insegnato di uscire nella parte conclusiva della gara, però purtroppo sono rimasto “tappato” in una strettoia dai ragazzi della categoria sotto la mia. E purtroppo non ci ho potuto fare niente, perdendo quei due secondi che mi sono costati l’oro».
Argento alla fine per Farroni, che lo dedica a Michele Scarponi, suo amicoArgento alla fine per Farroni, che lo dedica a Michele Scarponi, suo amico
Rischio e medaglia
Prima medaglia in carriera ai Giochi tra gli H1 per Fabrizio Cornegliani: «Ho rischiato e sono caduto, ma era giusto provarci per arrivare più avanti possibile. Fa parte del gioco. Per fortuna, visto il volo che ho fatto, sono tutto intero e ho l’argento al collo». Grande l’emozione appena pochi istanti di salire sul podio grandi emozioni per il cinquantaduenne di Miradolo Terme.
Orgoglio marchigiano
Sgorgano le lacrime dal volto di Giorgio Farroni, secondo nella cronometro della categoria T1-T2. Il marchigiano ha chiuso la sua fatica in 27:49.78, alle spalle del cinese Chen 25:00.32.
«La sognavo, perché ho lavorato tantissimo lontano da casa mia a Fabriano e ce l’ho messa tutta. Durante il lockdown, ho cercato di allenarmi sui rulli, altrimenti uscivo di nascosto», racconta il quarantaquattrenne di Fabriano. «Sono contento e la dedico a me stesso perché l’ho voluta, l’ho cercata ed è arrivata. Alla Paralimpiade, l’importante è arrivare nei tre e io ce l’ho fatta». Si tratta della terza medaglia ai Giochi per Farroni, che era stato secondo a Londra 2012 e terzo ancora prima a Pechino 2008, ma sempre nelle gare in linea. Stavolta, la sua testa ha vinto contro le lancette.
A guidare gli azzurri c’è sempre Mario ValentiniA guidare gli azzurri c’è sempre Mario Valentini
Alex nel cuore
Domani è un altro giorno per il ct del paraciclismo Mario Valentini: «Sono quattro belle medaglie, ma c’è un po’ di rammarico per l’argento di Luca Mazzone. Se non ci fosse stato l’ingorgo nel finale, avrebbe potuto essere di un altro colore. Cornegliani anche senza caduta non avrebbe vinto, la cosa importante è che non si sia fatto nulla. La Porcellato ha dimostrato la solita, fantastica grinta. Farroni è un ragazzo che sta con me da 20 anni, raccogliendo successi, maglie iridate, medaglie. E’ un ragazzo serio e si è rifatto a Rio dove non era andata bene. Peccato perché è andato forte tutto l’anno poi è come nel nuoto. E’ arrivato questo cinese che non conoscevamo e l’ha battuto. Comunque, la medaglia è importantissima per lui che ha tre bambini, anche dal lato economico. Adesso però basta coi secondi posti. Puntiamo a vincere e continuiamo a correre con Alex nel cuore per fare ancora meglio».
Le Olimpiadi di Tokyo si sono chiuse ormai da qualche settimana con il bilancio, per numero di medaglie, più alto di sempre. In attesa di vedere quel che succederà da domani nel comparto ciclistico alle Paralimpiadi (finora eccezionali per i colori azzurri) ripercorrere quelle due settimane abbondanti di gare è un dovere, anche perché il tempo da qui a Parigi 2024 è poco, molto meno che negli altri quadrienni olimpici per le ragioni che ben conosciamo.
Quando un’Olimpiade ha risultati così alti il rischio è che si badi solamente a quel che è andato bene. Questo è un errore da non commettere. Guardando ai risultati di Tokyo, a fronte di un’atletica spettacolare con 5 ori, ci sono state altre discipline che hanno sofferto. Lo stesso ciclismo ha sì vissuto la straordinaria epopea del quartetto e il ritorno sul podio del portabandiera Viviani, ma ha anche confermato le sue difficoltà su strada, con qualche scelta strategica che non ha convinto.
Peccato per l’argento sfumato proprio nel finale, ma il bronzo di Viviani nell’omnium lo rilancia dopo mesi difficiliPeccato per l’argento sfumato proprio nel finale, ma il bronzo di Viviani nell’omnium lo rilancia dopo mesi difficili
Se ampliamo la disamina anche alla lunga fase precedente i Giochi, quella delle qualificazioni, il discorso diventa ancora più complesso. Se è vero che a Tokyo la rappresentativa azzurra era la più ampia nella storia, ci sono state assenze pesantissime. La causa? Spesso condotte da parte di alcune federazioni nella campagna di qualificazione per lo meno discutibili.
L’importanza di analizzare gli errori
Il rischio di guardare “solo” il bicchiere mezzo pieno c’è e sarebbe un clamoroso autogol. Da parte del Coni abbiamo subito registrato una tendenza a nascondere quel che non ha funzionato dietro le bellissime 39 medaglie conquistate. Contattando i vertici del massimo organo sportivo, abbiamo trovato un po’ di reticenza. Alla fine il segretario generale Carlo Mornati (nella foto di apertura al fianco del presidente Malagò nella conferenza stampa conclusiva di Tokyo 2020), argento nel 4 Senza di canottaggio a Sydney 2000, ha accettato di affrontare domande sicuramente spinose, vertenti soprattutto sul ruolo del settore della Preparazione Olimpica.
Da sinistra Nibali, Bettiol, Ciccone e Caruso: la squadra azzurra su strada a Tokyo ha vissuto su scelte che non hanno pagatoDa sinistra Nibali, Bettiol e Ciccone: la squadra azzurra su strada a Tokyo ha vissuto su scelte che non hanno pagato
Il bilancio di un’Olimpiade si presta sempre a diverse interpretazioni. Questa è stata l’Olimpiade del primato di presenze e del primato di medaglie. Intanto che giudizio si può trarre da questa edizione così particolare?
Il mio giudizio non può essere che positivo. Abbiamo fatto qualcosa di più unico che raro, dato che il precedente record di medaglie risaliva a Roma 1960 e Los Angeles 1932. È stato un exploit frutto di un lavoro durato 5 anni e pianificato tra CONI e Federazioni. Le nostre proiezioni iniziali di medaglia erano più ampie. Avevamo calcolato che potessero arrivare 47 podi, ma fare queste previsioni è impossibile perché ci sono tante variabili da considerare.
Il numero dei qualificati avrebbe potuto essere anche molto più alto, ma alcune Federazioni hanno effettuato scelte contrarie all’obiettivo. Per avere un miglior quadro d’insieme, non sarebbe il caso di avere un organismo che sovrintenda i diversi cammini di qualificazione?
I processi di qualificazione sono cambiati molto rispetto al passato. Inoltre, ogni Federazione ha la sua specificità. La Preparazione Olimpica svolge una funzione di supporto e condivide con le Federazioni scelte e programmi, intervenendo laddove vengano riscontrate delle criticità. A Tokyo abbiamo fatto registrare sia il record di atleti partecipanti sia di podi, ma preferisco puntare sulla competitività e sulla qualità anziché sulla quantità.
Simone Consonni e Filippo Ganna, due artefici dello storico oro azzurro nel quartetto a suon di record del mondoSimone Consonni e Filippo Ganna, due artefici dello storico oro azzurro nel quartetto a suon di record del mondo
Quali sono i compiti attuali della Preparazione Olimpica, non solo nella cura della trasferta degli atleti?
La Preparazione Olimpica interviene a vari livelli. Mette a disposizioni strutture e specialisti. Se ci limitiamo a considerare soltanto le medaglie d’oro vinte a Tokyo vediamo che c’è il contributo della Preparazione Olimpica in ogni successo: nell’atletica, ad esempio, abbiamo messo a disposizione di Marcell Jacobs (storico oro nei 100 metri, ndr) e del suo allenatore Paolo Camossi, lo scudo aerodinamico che consente di correre in allenamento riducendo la resistenza.
Un contributo arrivato anche al ciclismo?
Sì, soprattutto con gli azzurri dell’inseguimento su pista. Il nostro ruolo è di sostegno ad atleti e tecnici. Abbiamo l’Istituto di Scienza e quello di Medicina che sono a supporto delle Federazioni e mettiamo a disposizione i nostri tre Centri di Preparazione Olimpica, dov’è nato anche l’oro di Vito Dell’Aquila, nel taekwondo.
Da Elisa Longo Borghini l’unico squillo azzurro nel ciclismo su strada, un bronzo preziosissimoDa Elisa Longo Borghini l’unico squillo azzurro nel ciclismo su strada, un bronzo preziosissimo
Entrando nello specifico del ciclismo su strada, molto si è discusso sulla scelta di effettuare la trasferta a una settimana dalla gara. Anche in questo caso non spetterebbe al Coni dare almeno delle linee guida in base a valutazioni fisiologiche legate alle diverse discipline?
In Giappone, per quanto possibile, abbiamo cercato di replicare il modello adottato in Italia. Penso al ruolo dei Centri di Preparazione Olimpica, che abbiamo riproposto con il campus di Tokorozawa e le altre location che hanno ospitato gli atleti. Poi ogni valutazione è fatta insieme ai settori tecnici delle rispettive Federazioni, perché le esigenze sono differenti. Ma c’è un altro fattore da considerare…
Quale?
L’Olimpiade di Tokyo si è svolta in piena pandemia e ciò ha condizionato scelte che in situazioni “normali” forse non saremmo stati “obbligati” a prendere. È stata una novità assoluta per tutti e ogni Paese ha cercato di fronteggiarla come ha ritenuto più opportuno.
Grandi prospettive, ma il tempo stringe…
Fino a qualche edizione fa, la selezione per i Giochi era, su indicazione delle singole federazioni, decisa dal Coni. In passato ci furono polemiche per alcune scelte federali non accettate dal Coni. È ancora così o le singole Federazioni hanno ora completa libertà di scelta?
Le singole Federazioni hanno libertà di scelta, ma in un’ottica di continuo dialogo con il CONI e con la Preparazione Olimpica. Nel 2014 abbiamo rivisitato completamente l’approccio, recuperato l’Istituto di Medicina e l’Istituto di Scienza dello Sport, centralizzandone l’operato. A Rio abbiamo iniziato a calibrare la macchina, ma il vero banco di prova era Tokyo 2020. Il modello operativo adottato è quello del ‘marginal gain’. Non ci vogliamo ascrivere meriti delle Federazioni, ma si è lavorato in sinergia con loro per il perfezionamento dei dettagli.
Questa la posizione ufficiale del Coni. Parigi è alle porte, tanto che in alcune discipline il cammino di qualificazione parte già a settembre. In Francia c’è concretamente la possibilità di ottenere risultati mai neanche sognati, ma a condizione di fare le mosse giuste, sin da ora, in termini di scelte di uomini e di strategie. Il tempo dirà se sarà stato fatto…
Soraya Paladin al Giro d'Italia Donne la trasferta di Tokyo e pesca fra i ricordi. Le Olimpiadi. La cerimonia di apertura. La famiglia. Il viaggio a Malta
In pista, sul magico anello di Tokyo, quel fatidico 4 agosto, Liam Bertazzo non c’era, ma nella foto dell’abbraccio dopo l’oro (foto di apertura), lui è quello con la mascherina che Ganna corre a stringere. L’oro olimpico del quartetto a squadre, soffrendo nel parterre del velodromo giapponese, è un po’ anche suo. Riserva del team, è stato protagonista della sua nascita e crescita fino al grande momento. E’ parte del progetto, del prima, durante e anche dopo. Nessuno come lui quindi ha i titoli per raccontare come si è arrivati a quell’eccezionale risultato e anche a quel che sarà.
Già, perché normalmente quando arriva un’Olimpiade, il resto della stagione è quasi un lento e stanco tran tran verso la sua conclusione. Ma questo non è un anno normale e già dal giorno dopo la chiusura di Tokyo 2020 è cominciata la rincorsa a Parigi 2024, frenetica perché c’è un anno in meno, tanto che per alcune discipline già si parla di qualificazioni e per molti sport arrivano i mondiali. E il ciclismo su pista è fra questi.
Partiamo però da Tokyo e dall’avventura finita in un bagno d’oro. Liam l’ha vissuta da spettatore, ma nessuno di quelli che erano nel velodromo era interessato come lui: «E’ stato un momento speciale, in quei primi attimi, dopo aver guardato il tempo, mi sono tornati alla mente tutti i momenti belli e brutti di quest’avventura durata anni. Le critiche che qualche volta abbiamo dovuto accettare, tutti i gradini di una crescita partita dal basso e, lasciatemelo dire, tutto l’affetto che ci accomuna, con Ganna, Lamon, Consonni, Milan. Ma anche con Scartezzini e chi in questi anni è entrato nel quartetto e poi uscito. Siamo tutti una grande famiglia».
Il quartetto azzurro agli Europei 2015 in Svizzera: finì ottavo, lontano dal podio, ma tutto iniziò alloraIl quartetto azzurro agli Europei 2015 in Svizzera: finì ottavo, lontano dal podio, ma tutto iniziò allora
Quando è nata questa scalata?
Io considero il primo atto gli Europei su pista di Grenchen (SUI) nel 2015: fummo ottavi ma iniziammo ad avvicinare quel fatidico muro dei 4 minuti. Già l’anno dopo, ai mondiali di Londra, abbattemmo più volte il limite e finimmo quarti: eravamo io, Ganna, Consonni e Viviani. Fu il primo legno, ma ci diede la consapevolezza di quel che potevamo fare e lo prendemmo in maniera positiva. Poi sono venuti i terzi posti di Hong Kong 2017 e Apeldoorn 2018, nel 2019 in Polonia cadde Lamon all’inizio e finimmo solo ottavi, nel 2020 a Berlino finimmo terzi, ma in semifinale ottenemmo il 2° posto, lì abbiamo capito che ormai c’eravamo.
C’è una tappa che non hai nominato: le Olimpiadi di Rio 2016. Non eravamo qualificati, ma la squalifica della Russia impose un vostro richiamo dalle ferie e partiste quasi senza allenamento. Un una minima preparazione in più, pensi che il podio fosse possibile già allora?
Con i se e i ma non si fa la storia… Diciamo che finimmo a un decimo dalla Nuova Zelanda che si qualificò per la finale per il bronzo. Nel caso avremmo dovuto affrontare la Danimarca che era già fortissima all’epoca. Magari un bronzo potevamo giocarcelo, ma è anche vero che a Tokyo, nella semifinale, abbiamo vinto di un soffio proprio con la Nuova Zelanda, diciamo che quel credito con la fortuna lo abbiamo riscosso…
Bertazzo con Viviani, nella Madison iridata 2015 chiusa con l’argento. Liam vanta altre 2 medaglie iridate e 2 titoli europeiBertazzo con Viviani, nella Madison iridata 2015 chiusa con l’argento. Liam vanta altre 2 medaglie iridate e 2 titoli europei
Abbiamo parlato degli altri, ma il 2021 di Liam Bertazzo com’è?
Non è stato semplice finora, ma mi sento una persona nuova e non nego che la spinta dell’oro dei ragazzi è notevole anche per me. Io vengo da stagioni molto difficili, mi sono dovuto operare alla schiena per un’ernia che m’impediva di rendere al 100 per cento, diciamo che la mia vera stagione comincia ora.
Rientri nel gruppo a tutti gli effetti?
L’obiettivo è quello, farmi trovare pronto per europei e mondiali che saranno la mia Olimpiade. Io sono convinto che qualcosa arriverà, la fame di risultati non si è placata a Tokyo, sento spesso i ragazzi e so che è così. Quel che mi è mancato per colpa della schiena è la gara: l’ultima è stata la prova di Coppa del Mondo a Glasgow nel 2019, non è solo la gara in sé, è il fare gruppo, tutto quel che comporta una trasferta. Ora voglio mostrare sul campo che sono ancora parte del gruppo.
Non solo per l’inseguimento a squadre: nelle rassegne titolate le gare a disposizione sono molte di più che in un’Olimpiade…
Certo, c’è spazio per tutti e voglio farmi trovare pronto, anche se la preparazione non potrà giocoforza essere completa. Tornando a quel che si diceva prima, effettivamente saranno rassegne particolari. I team hanno dato carta bianca per l’Olimpiade, ma ora impiegano i corridori nelle varie gare e molti verranno dalle prove del WorldTour. Non avremo tanto tempo per oliare i meccanismi del quartetto, ma il problema vale per tutte le nazioni…
Una delle rare uscite su strada nel 2021, alla settimana Coppi e Bartali. La ripresa dall’operazione è stata lentaUna delle rare uscite su strada nel 2021, alla settimana Coppi e Bartali. La ripresa dall’operazione è stata lenta
Passerai anche tu dalla strada?
Sì, ho in programma alcune prove in Belgio, ma per le gare su strada sarà per me più importante la stagione prossima, iniziandola subito e non dovendo stare a guardare. Ho corso poco quest’anno e sono curioso di vedere come andrà.
Parigi 2024 è dietro l’angolo: secondo te nel vostro gruppo ci sarà qualche nuovo innesto?
Domanda difficile… Se me l’avessi fatta nel 2018 ti avrei risposto di no, poi avete visto tutti la crescita poderosa di Jonathan Milan e quello che ha fatto a Tokyo. Ad ora sarei portato a dire che saremo ancora noi, ma se emergerà qualche grande talento sarà più che bene accetto, il nostro gruppo è aperto…
I Giochi di Tokyo sono in vista e ne parliamo con Martinello, oro in pista nel 1996. Da Ganna a Viviani, da Cipollini a Nibali. Una vera raffica di pensieri
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Saranno 11 gli azzurri in gara agli ordini del ct Mario Valentinie le competizioni di paraciclismo sono previste nelle stesse location olimpiche: dal 25 al 28 agosto al velodromo di Izu e poi dal 31 agosto al 3 settembre all’autodromo Fuji Speedway. L’Italia va a caccia di medaglie soprattutto su strada e tra le sue punte di diamante c’è Luca Mazzone, due ori (cronometro e team relay) e un argento (prova in linea) cinque anni fa ai Giochi di Rio.
Mazzone, classe 1971, deve la disabilità a un tuffo nel 1990 e all’urto contro uno scoglioMazzone, classe 1971, deve la disabilità a un tuffo nel 1990 e all’urto contro uno scoglio
Come vanno gli ultimi giorni di preparazione a Rovere?
Stiamo ultimando la preparazione, questi del weekend sono gli ultimi allenamenti, soprattutto dietro moto, poi martedì si parte. Non mi sto risparmiando per niente, perché a Tokyo voglio fare bella figura, nonostante il percorso non mi si addica.
Troppo dura?
Né la gara in linea né la cronometro scherzano. Per quanto riguarda la prima, dovremo ripetere per quattro volte il circuito da 13,2 chilometri: il tratto finale è lo stesso dei colleghi dell’Olimpiade, con 3,6 chilometri con una media del 5 per cento, che per noi atleti dell’handbike H2 con lesioni cervicali vuol dire una salita bella tosta. Nella prova contro il tempo, invece, la mia categoria farà due giri da 8,2 chilometri ciascuno.
A Rio ha vinto tre medaglie: qual è l’obiettivo per Tokyo?
Ripetersi è dura, ma sarebbe bellissimo. Sono l’unico rimasto del trio delle meraviglie che vinse la gara a squadre visto il ritiro di Vittorio Podestà e l’assenza di Alex Zanardi. Non sarà lo stesso senza Alex, perché lui mi ha sempre infuso una sicurezza interiore. E’ sempre stato come avere un fratello maggiore che ti indica la strada e ti sprona. Ormai quella gara era quasi un rituale e sento questa mancanza forte.
Mazzone, nato a Terlizzi in Puglia, ha vinto 15 titoli mondialiMazzone, nato a Terlizzi in Puglia, ha vinto 15 titoli mondiali
Toccherà a te, dunque, essere il “fratello maggiore” di quest’Italia visto che è tra i più esperti del team. Te la senti?
Sono in squadra dal 2013 e insieme a Paolo Cecchetto sono uno dei “vecchietti”. Abbiamo i numeri per fare bene anche stavolta come squadra. Sono convinto che una come Francesca Porcellato, su di un percorso così duro, saprà farsi valere. Io non sono un peso piuma, ma mi sto allenando tantissimo.
Dove ti sei preparato nello specifico?
Qui in Abruzzo le salite non mancano. Come ad esempio quella che passa da Rocca di Cambio e va su a Campo Felice: dalla rotatoria all’inizio della galleria ho trovato una pendenza e una lunghezza simili a quelle dell’ascesa cruciale della gara in linea della Paralimpiade. Poi ho fatto degli allenamenti salendo per l’altra strada da Rocca di Cambio, percorsa dal Giro d’Italia. Mi sono preparato in maniera estrema, lo staff azzurro era quasi preoccupato, ma le mie sensazioni sono molto positive.
Uno dei tre azzurri, con Zanardi e Podestà, che a Rio hanno vinto il team relay (foto Mauro Ujetto)
Nel 2016 per lui anche l’oro della cronometro e l’argento su strada
Uno dei tre azzurri, con Zanardi e Podestà, che a Rio hanno vinto il team relay (foto Mauro Ujetto)
Nel 2016 per lui anche l’oro della cronometro e l’argento su strada
Sei in forma?
Aver vinto tante medaglie come squadra ai mondiali di paraciclismo è stata una bella iniezione di fiducia per tutti noi. Poi l’Italia ha vinto gli europei di calcio e la delegazione azzurra ha fatto molto bene all’Olimpiade, per cui c’è quest’aurea magica che ci circonda e ci dà la carica.
Ti hanno emozionato le medaglie azzurre nel ciclismo?
Mi hanno gasato davvero tanto, in primis quella del quartetto nell’inseguimento a squadre. Nelle interviste dopo la vittoria mi sono rivisto in quei ragazzi azzurri e in tutti i loro sforzi per allenarsi e cogliere quel trionfo insieme. D’altronde, il sacrificio è il pane del ciclismo. Poi, sarò di parte, ma mi hanno emozionato i tre ori pugliesi, due nella marcia e uno nel taekwondo: i compagni di squadra mi prendevano in giro e mi chiedevano a che posto era la Puglia nel medagliere.
Oggi terminerà il ritiro della nazionale di Valentini a Rovere, in Abruzzo, martedì si parte per TokyoOggi terminerà il ritiro della nazionale di Valentini a Rovere, in Abruzzo, martedì si parte per Tokyo
Ti aspetta un vero tour de force con tre gare in tre giorni: sei pronto?
E’ per quello che ci sto dando dentro per essere al top. Il 31 agosto avrò la cronometro, che finirà attorno alle 13 locali, poi alle 9,30 del giorno dopo c’è già la gara in linea, mentre il 2 settembre si chiude con il team relay. Bisognerà gestire bene le energie. Il caldo, invece, non mi spaventa, anzi. Sono pugliese e ci sono abituato, sarà più un problema per i miei avversari.
L’emozione di vestirsi d’azzurro?
Sempre unica. Quando ho visto la maglia, l’ho toccata e quasi mi ha dato una scossa, perché ho cominciato a immaginarmi quello che mi aspetta a Tokyo. Non vedo l’ora.
Che cosa rende Van Aert più forte su certi percorsi di ogni specialista della crono in circolazione. Si adatta naturalmente alla posizione. Parola di Malori