L’addio di Van Vleuten, un gigante nonostante tutto

18.09.2023
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Verrà il momento che Annemiek Van Vleuten si siederà davanti a un bel paesaggio e inizierà a pensare, a ripercorrere quella lunga strada che l’ha portata fino a lì, magari vedendo passare una ragazzina in bici. Quella bici che le ha regalato delusioni e soprattutto gioie, considerando la messe di vittorie portate a casa dal 2007 a oggi.

Forse penserà che quella bambina ha più diritto di lei di pedalare, correre, sognare. Lei alla bici non ci aveva proprio pensato fino a quando aveva 24 anni. Prima si era dedicata a tutt’altro: calcio, equitazione, ma soprattutto lo studio.

La laurea all’università, il master in epidemiologia, un lavoro già trovato ed avviato. La bici le serviva solo per spostarsi in città, andare a lezione, ma poi, dopo aver subìto due operazioni al menisco, le suggerirono di usarla anche per la ripresa, magari facendo anche un po’ di sport. Approdò al WV Ede, il suo primo team. E lì fece una scoperta che le avrebbe cambiato la vita.

L’ultima vittoria di Annemiek, al Giro di Scandinavia. Chiude con 104 successi tra cui 4 Giri e un Tour
L’ultima vittoria di Annemiek, al Giro di Scandinavia. Chiude con 104 successi tra cui 4 Giri e un Tour

Valori sconcertanti, è nata per pedalare

«Andai a fare dei test a Papendal – ha raccontato – e lì mi dissero che i miei valori di VO2max e di potenza erano inusuali per una ragazza. Non avevo un gran rapporto watt per chilo, ma ci si poteva lavorare. Insomma, mi convinsero a prendere quella cosa più seriamente».

Nel 2007 Annemiek inizia così a competere e si vede subito che ci sa fare. Il fatto che sia così grande d’età per essere una principiante non è inusuale al tempo, ma certo capitano occasioni dove paga dazio: cadute, errori… La gavetta è dura e lunga, anche perché al contempo continua a lavorare e così sarà fino al 2010, quando decide d’investire con tutta se stessa nel ciclismo.

Il suo primo contratto da ciclista le vale 800 euro al mese, molto meno di quel che guadagnava in ufficio, ma va bene così.

La vittoria al Fiandre 2011 che rivincerà 10 anni dopo. Per lei anche 2 Liegi e 4 ori mondiali (foto Getty Images)
La vittoria al Fiandre 2011 che rivincerà 10 anni dopo. Per lei anche 2 Liegi e 4 ori mondiali (foto Getty Images)

Il sogno (e il tarlo) dei Giochi

I risultati si vedono subito: prima vittoria (a fine anno saranno 5) e l’anno successivo porta a casa una classica come il Fiandre. La sua storia di “quasi amatore” fa subito strada fra gli addetti ai lavori, ma Jeroen Blijlevens, il suo diesse è categorico: «Questa è solo la prima, vincerai altre gare». A fine anno conquista tre gare di Coppa del mondo su nove. Il trofeo è suo.

L’anno dopo vince il suo primo titolo nazionale in linea, nel 2014 a cronometro, una specialità che le piace sempre di più e dove fa ancora più la differenza. Inizia a covare un sogno: vincere le Olimpiadi, il massimo traguardo per uno sportivo.

Al tempo l’Olanda non è ancora la sportiva macchina da guerra attuale, uno dei Paesi con il maggior numero di pretendenti all’oro dei Giochi, le reali carte da podio erano limitate e una di esse era questa ragazza di 33 anni, molto più giovane però di tante coetanee cicliste.

Si prepara pensando a “quella” gara. Il giorno prima, guardando la prova maschile rimane impressionata dalla caduta di Nibali lanciato verso una medaglia. Resta colpita dalla sua sfortuna, senza sapere quel che accadrà di lì a poco.

L’attacco decisivo a Rio 2016. L’oro era ormai suo, ma una caduta ha infranto il sogno (foto Getty Images)
L’attacco decisivo a Rio 2016. L’oro era ormai suo, ma una caduta ha infranto il sogno (foto Getty Images)

La paura e l’insegnamento

A Rio de Janeiro, su un percorso che esalta le sue capacità in salita, Van Vleuten fa la differenza, va in fuga e sembra inarrestabile. Sembra. Una curva particolarmente scivolosa, una caduta rovinosa di quel che ti fanno salire il cuore in gola. Sbatte la testa contro il cordolo della strada.

La ricoverano in ospedale, i primi responsi sono drammatici: grave commozione cerebrale e tre fratture spinali. Più approfonditi esami limiteranno poi la portata degli infortuni, dopo tre giorni Annemiek può già ripartire verso casa: «Col tempo – racconterà poi la campionessa olandese – ho imparato a guardare, più che alla caduta, a quel che era successo prima, al fatto che in salita avevo fatto la differenza. Non posso negare che quella giornata abbia comunque segnato la mia carriera, non necessariamente in negativo».

Dal 2017 infatti Van Vleuten inizia a collezionare vittorie e a Bergen, in Norvegia, coglie il suo primo titolo iridato, nella prova a cronometro, iniziando una collezione di medaglie e maglie portata avanti fino a quest’anno (ed è molto probabile che la mancata conquista di un podio abbia contribuito a rafforzare la sua scelta d’inizio stagione).

Si pone altri obiettivi: competere ad ogni occasione con Anna Van Der Breggen, l’altro grande nome arancione e mondiale, con la quale condivide una fiera rivalità, senza amicizia ma con rispetto reciproco. Ha un appuntamento con quell’oro sfuggitole nel 2016, ma il Covid la fa aspettare ancora e un po’ incrina la sua superiorità, almeno psicologicamente.

A Tokyo, Van Vleuten conquista finalmente l’oro che cercava, nella cronometro
A Tokyo, Van Vleuten conquista finalmente l’oro che cercava, nella cronometro

Quanto è amaro l’oro altrui…

A Tokyo nel 2021 anche lei commette l’errore di sottovalutare la fuga dell’austriaca Kiesenhofer, quando parte è ormai tardi e non può che accontentarsi di un argento amarissimo, parzialmente mitigato dal successivo oro nella gara a cronometro. Ma intanto si profila un’altra possibilità per imprimere il suo marchio nella storia del ciclismo.

Nel 2022 viene lanciato in grande stile il Tour de France Femmes e Van Vleuten, approdata alla Movistar, si mette in testa un progetto ambizioso: vincere tutti e tre i grandi Giri. E’ vero, la Vuelta è solo una prova in tre giorni come ce ne sono tante, Giro e Tour sono solo lontani parenti di quelli maschili, ma non è certo colpa sua: «Noi saremmo in grado anche di correre gare di tre settimane» afferma interrogata al riguardo e le sue dichiarazioni fanno scalpore.

In gara però la sua superiorità è evidente: quando la strada si rizza sotto le ruote, Annemiek saluta tutte e se ne va. Domina al Giro e al Tour neanche il mal di stomaco che la mette in crisi all’inizio riesce a fiaccarla, rimonta tutte e va a vincere tappe a ripetizione, soprattutto quella a La Planche des Belles Filles in maglia gialla, come si era ripromessa.

Con l’impresa a La Super Planche des Belles Filles, il sigillo definitivo di Van Vleuten sul Tour 2022
Con l’impresa a La Super Planche des Belles Filles, il sigillo definitivo di Van Vleuten sul Tour 2022

La libertà di fare altro

Il resto è storia di questi giorni: un 2023 ricco di soddisfazioni ma nel quale si è vista qualche increspatura nel suo dominio, soprattutto al Tour: «Ma non sono le sconfitte che mi hanno portato a questo – ha spiegato in un’intervista a Velo Outsideonline – è il fatto che sento essere venuta meno la voglia di spingermi oltre i miei limiti, ogni giorno.

«Mi sono sposata con la bici per tanti anni, ora voglio la mia libertà di fare altre cose. Voglio rimanere a casa se fuori il tempo fa schifo o concedermi qualche peccato di gola senza l’ansia di perdere la forma.

«Non so che cosa farò, d’altro canto ho la fortuna di avere sempre coltivato altri interessi oltre al ciclismo. Nel 2024 mi prenderò un anno sabbatico, dedicandomi magari a qualche piccolo progetto in attesa di capire che cosa voglio fare da grande. Parteciperò ai corsi del Comitato Olimpico per chi chiude con lo sport agonistico, per capire che cosa ho imparato e come trasmetterlo, perché non mi dispiacerebbe lavorare con le cicliste del futuro. Insegnando loro a non stressarsi sempre con misuratori di potenza e simili, ma imparando a valutare le proprie sensazioni, che contano sempre di più dei freddi numeri. Se una pesante come me ha domato così tante salite, dipende tutto dalla testa e dal cuore, siatene certi…».

Ricordate Kiesenhofer? Da Tokyo alla Israel per capire chi è

20.02.2023
5 min
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Il suo cambio di casacca è arrivato quasi in extremis, ma rappresenta un fattore importante in questa nuova stagione femminile. La Israel Premier Tech Roland ha deciso d’investire risorse ma anche aspettative sulla campionessa olimpica di Tokyo 2020: Anna Kiesenhofer. Diciamo la verità, la sua vittoria in terra giapponese resta una delle più grandi sorprese sportive a 5 cerchi: quella fuga iniziale da tutte interpretata come la solita azione senza costrutto, il vantaggio che assumeva contorni d’altri tempi, l’affannosa e tardiva rincorsa delle grandi, Van Vleuten in testa, senza che l’austriaca venisse raggiunta.

Da allora spesso ci si è chiesto che fine avesse fatto la Kiesenhofer, ciclista quasi a tempo perso, vista la sua importante carriera accademica nel settore della matematica. Per questo l’approdo in un team WorldTour, ufficializzato solo a inizio febbraio, è un passaggio importante e con tante implicazioni. Una scelta che Kiesenhofer ha fatto dopo molti ragionamenti (fra i team che l’avevano seguita c’è stato per un po’ anche il UAE Adq Team).

«Ho scelto di fare questo passo – afferma l’austriaca – perché mi permette di partecipare a gare più grandi e questo è un grande vantaggio per la mia carriera. Ci tenevo molto a fare questo passaggio, ma non è stato facile trovare la destinazione migliore. Credo che con l’approdo all’Israel Premier Tech Roland posso finalmente fare quel salto di qualità fondamentale per il mio futuro».

La Kiesenhofer ha fatto il suo esordio con la nuova maglia alla Volta Comunitat Valenciana
La Kiesenhofer ha fatto il suo esordio con la nuova maglia alla Volta Comunitat Valenciana
Eri già stata in un team di alto livello nel 2017, alla Lotto. Che esperienza fu quella?

E’ stato quello un periodo molto difficile. Avevo diversi problemi, sia mentali che fisici, era stato un passaggio un po’ troppo veloce. Mi sono ritrovata in un contesto che non avevo programmato come si doveva, quindi non sono andata bene nelle prime gare. Ho un po’ ceduto di testa, mi sono guardata dentro accorgendomi che avevo perso la spinta che mi aveva portato verso il massimo livello. Decisi quindi di fare un passo indietro, mettere per un po’ da parte l’attività ciclistica e concentrarmi di più sulla mia carriera accademica.

A tal proposito hai sempre accompagnato l’attività ciclistica a quella lavorativa. Ora che sei in un team professionistico come ti dividerai?

Anche per questo penso che il mio sia un passo importante. Dopo aver vinto l’oro a Tokyo ho deciso di smettere di lavorare e ridarmi una possibilità nel ciclismo e garantisco che non è stata una decisione presa a cuor leggero. Ma essere un’atleta professionista è anche una grande opportunità alla quale bisogna dedicarsi completamente, quindi io voglio concentrarmi esclusivamente su di esso in questa fase della mia vita.

Il momento forse più clamoroso di Tokyo 2020: il trionfo solitario della Kiesenhofer
Kiesenhofer Tokyo 2021
Il momento forse più clamoroso di Tokyo 2020: il trionfo solitario della Kiesenhofer
La vittoria olimpica che cosa ha cambiato nella tua vita?

Molto, è stato il fattore scatenante per una rivoluzione della mia esistenza. Non potevo affrontare il ciclismo come un’attività part-time, ma al contempo dovevo trovare anche le giuste sinergie per affrontare il ciclismo che conta davvero, quello che avevo affrontato nella sfida giapponese. Dopo quella vittoria (l’unica per l’Austria a Tokyo 2020, ndr) sono molto più conosciuta in patria, è chiaro che la gente si aspetta sempre qualcosa da me, prima la mia attività passava sotto silenzio. Le responsabilità sono aumentate, per questo ho dovuto fare una scelta drastica.

Qual è la situazione del ciclismo femminile in Austria, è cambiato qualcosa dopo la tua vittoria?

Penso che il trionfo olimpico abbia ispirato altre cicliste. Non posso certo dire che ora ci siano più finanziamenti per il nostro settore, non è certo una disciplina di primo piano nel quadro sportivo austriaco, ma penso che qualcosa sia cambiato nello spirito, nell’approccio generale verso la nostra realtà. C’è molta curiosità su quello che si potrà fare nel futuro, me ne sono accorta anche dal riscontro mediatico che ha avuto il mio cambio di squadra.

Per la 32enne di Kreuzstetten buone prestazioni alla Vuelta, chiusa al 20° posto
Per la 32enne di Kreuzstetten buone prestazioni alla Vuelta, chiusa al 20° posto
Sai che c’è molta curiosità anche all’estero per capire chi sia davvero Anna Kiesenhofer come ciclista, quale sia il suo livello. Temi di avere tanta pressione addosso?

Sì, è una strana sensazione. Come ho detto, prima di Tokyo nessuno si aspettava nulla. Alla partenza ero solo una ciclista dilettante che si confrontava con le campionesse assolute, all’arrivo ero la campionessa olimpica… Penso che allora sia stata sottovalutata, ma ora è il contrario, tutti guardano a me per capire che cosa posso fare perché ho una medaglia d’oro. All’improvviso la gente si aspettava che vincessi ogni gara. Una cosa che non ha senso, in fin dei conti ho vinto solo una gara, anche se è “la” gara. Ma io sono la stessa di prima, lo stesso corpo, la stessa genetica, le stesse capacità. Quindi a volte può essere difficile affrontare queste aspettative.

Come giudichi la tua ultima stagione?

Ho imparato molte cose. Forse, guardando il mio ruolino di marcia può sembrare marginale perché non ho fatto così tante gare. Il mio piano era di esibirmi bene in pochissime prove, come i campionati nazionali, i mondiali, la Vuelta, la Chrono des Nations. Io credo che in ognuno di questi appuntamenti sono riuscita a lasciare un segno, a volte piccolo a volte meno. Tutte mi hanno lasciato qualcosa, anche l’allenamento, l’avvicinamento a questi eventi mi ha fatto capire molte cose. Poi, se andiamo a guardare i freddi numeri, ho migliorato le mie prestazioni.

A cronometro l’austriaca è stata quinta agli europei e decima ai mondiali
A cronometro l’austriaca è stata quinta agli europei e decima ai mondiali
In quali gare punti ad emergere?

Dobbiamo ancora definire un preciso calendario insieme alla squadra e al mio allenatore, ma in generale voglio concentrarmi sui grandi Giri, almeno uno tra Giro e Tour.

Ti ritieni più portata per le corse a tappe o le gare in linea?

Viste le mie caratteristiche penso di essere davvero un corridore per gare di più giorni perché mi piacciono la salita, ma anche le prove a cronometro. Riesco a combinare bene le due cose e la decima piazza dello scorso anno alla Vuelta mi dice che quella è la strada giusta da percorrere.

Kung, questa volta il cronometro è stato dalla sua parte

21.09.2022
5 min
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Ci sono giorni buoni e meno buoni. Stefan Kung lo sa, la sua carriera è sempre stata un andare su e giù. Fino all’inizio dell’estate tutto bene, molto, poi duri colpi al morale, medaglie che hanno l’amaro sapore della sconfitta. Ecco perché l’oro nella staffetta a Wollongong ha un sapore speciale. 3″ sull’Italia, difesi con i denti dalle ragazze che hanno fatto tesoro del gruzzoletto consegnato da lui, Bissegger e Schmid. 3 secondi, soli 3 secondi. Il tempo della caduta di una foglia, ma in quel lasso passa una carriera. Per lui è sempre stato così.

Salendo sul podio ha un mezzo sorriso. Si vede che nella mente si affollano tante sensazioni. Rivive passo dopo passo emozioni ancora fresche. Quest’oro aiuta, sì, ma ci vorrà tempo per digerire quanto avvenuto domenica, quella crono breve e interminabile, dolcissima e amara nel suo ultimo boccone. 3 secondi, anche lì, dietro i quali si cela una storia…

Kung in mezzo, con lui Bissegger e Schmid. Primo oro per la Svizzera, grazie anche alle ragazze Reusser, Koller e Chabbey
Kung in mezzo, con lui Bissegger e Schmid. Primo oro per la Svizzera, grazie anche alle ragazze Reusser, Koller e Chabbey

Viaggio nella beffa del tempo

Corre veloce, la bici di Stefan. Sempre più veloce, verso quel traguardo che sembra non voler arrivare mai. I rilevamenti lo danno in testa, forse è la volta buona, forse è il giorno della conquista del titolo mondiale a cronometro così a lungo inseguito. Nella sua ancor giovane carriera (in fin dei conti lo svizzero di Wilen, con il doppio passaporto elvetico e del Liechtenstein) di vittorie ne ha collezionate tante, quasi tutte in prove contro il tempo, ma questa rappresenta qualcosa di speciale.

Il tempo ha un valore particolare e quando sei solo sulla bici, concentrato sì sul movimento ma anche determinato a cogliere un obiettivo, la mente è come uno specchio, qualcuno con cui confrontarsi attraverso il pensiero. Di pensieri, nella mente di Kung lungo quei 34 chilometri così delicati da affrontare, tra salite all’8 per cento e curve da affrontare alla Valentino Rossi o Marc Marquez, ne passano tanti.

Kung ha vinto 2 titoli europei a cronometro e 2 medaglie mondiali, ma l’iride resta un tabù
Kung ha vinto 2 titoli europei a cronometro e 2 medaglie mondiali, ma l’iride resta un tabù

Una beffa come il mese prima (e a Tokyo)

Stefan, spingi a tutta perché il tempo corre sempre più veloce e sa anche essere beffardo. Ricordi quel che è successo poche settimane fa? Sentivi che la vittoria agli europei di Monaco era in tasca, te la stavi giocando, ma per un secondo, un solo secondo Bissegger ti ha beffato. Potevi fare tripletta consecutiva di successi ma quel grido di vittoria ti è rimasto in gola.

Ha fatto male? Sì, ma non come lo scorso anno a Tokyo, quando in palio c’era il podio olimpico. Quattro corridori in lotta per due medaglie, a giocarsi tutto su quel rettilineo finale che non finiva mai. Kung era il terz’ultimo a finire, con quel cronometro che sembrava andare veloce, troppo veloce. Alla fine il verdetto: secondo Dumoulin per 3”, terzo Dennis per 1” e poi lì, con quei secondi che gli erano scivolati tra le dita come sabbia.

Quest’anno lo svizzero ha ottenuto grandi risultati nelle classiche: qui 3° alla Roubaix
Quest’anno lo svizzero ha ottenuto grandi risultati nelle classiche: qui 3° alla Roubaix

Non più solo un cronoman

Sei lì e pedali, e spingi, e ci pensi. Questa volta no, questa volta finirà diversamente. Questo è l’anno tuo, Stefan, quello nel quale hai dimostrato di non essere solo un grande cronoman. Alla Groupama non credevano di avere per le mani un simile gioiello, capace di collezionare grandi piazzamenti nelle classiche: 5° al Giro delle Fiandre, 3° alla Parigi-Roubaix, 8° all’Amstel come a dire: «Ehi, ci so fare anche nell’1 contro 1, non solo con il cronometro in mano…».

A proposito di Fiandre, ti ricordi quell’enorme sagoma che ti raffigurava e che campeggiava lungo il percorso? Quelli del fans club l’avevano commissionata in Italia, enorme, un gigante che guardava tutto il tracciato e che sembrava pronto sul punto di dire «Ragazzi, è all’orizzonte…». Sarebbe stato bello averlo anche qui, ma come fai a portare una cosa simile fino in Australia?

L’ormai famoso pupazzo raffigurante l’elvetico, posto dai suoi tifosi a margine del Giro delle Fiandre
L’ormai famoso pupazzo raffigurante l’elvetico, posto dai suoi tifosi a margine del Giro delle Fiandre

Quei 3 maledetti secondi…

Il tempo scorre insieme ai pensieri e forse niente come il tempo sa far male. Fino all’ultimo rilevamento, eri in testa, gli altri a inseguire e tutti a dire che in bici eri il più bello, il più ergonomico, il più redditizio. Ma era un rilevamento, non il traguardo. Spingi a tutta, sullo schermo c’è impresso il tempo di Foss, il norvegese che è già arrivato, era nettamente dietro prima, ma nel finale ha volato. C’è da spingere, c’è da sbrigarsi. Ma non basta: 3”, i soliti 3” che si tramutano in un groppo in gola che non riesce ad andar giù.

Stavolta è difficile nascondere la delusione: «Oggi pensavo davvero che ce l’avrei fatta – sono le sue parole ai microfoni della Tv svizzera – 4 anni fa magari sarei stato anche contento, ma questa volta no, ci sono andato vicino troppe volte. Stavolta non mi basta. Mi sento frustrato. Quando ho visto l’elenco dei partenti mi sono detto che in fin dei conti, una volta o l’altra, li avevo battuti tutti, quindi potevo farcela. Qualcuno però non era d’accordo». Chissà, forse alludeva al tempo, ma quello non lo batti mai, ha sempre ragione…

La delusione in camper, ancora una volta per questione di secondi
La delusione in camper, ancora una volta per questione di secondi

Il responso dei parziali

Tornando verso il camper, sente dentro di sé una grande voglia di piangere, ma la gente non capirebbe. Come lo spieghi che sei comunque medaglia d’argento ma che se finisce così non è una vittoria, non è una conquista? Riguardi i parziali e così scopri che tutto è nato nei 10 chilometri finali. Lì Foss ha volato mentre tu hai ottenuto solo il quinto parziale (Ganna non è neanche nei primi 10, preceduto anche da Sobrero e questo dice molto della sua prestazione). A questo punto però una spiegazione c’è e quel dolore resta sì dentro, ma è più facile mitigarlo. Sul podio magari un timido sorriso si riuscirà anche a tirarlo fuori e a chi chiederà riuscirai a dare una delle risposte meno di pancia, più di prammatica: «Un epilogo simile è quel che rende il nostro sport così interessante, ma anche spietato».

Il power meter Assioma sulla bici d’oro di Anna Kiesenhofer

20.08.2022
4 min
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Avete mai sentito parlare di Assioma? Noi sì, già da qualche anno e per i meriti ottenuti da questi specifici misuratori di potenza prodotti da Favero Electronics: tutti italiani e caratterizzati da più di un particolare estremamente innovativo

Qualche caratteristica? Intanto la rilevazione, che avviene direttamente dal pedale. La leggerezza (appena 150 grammi). Sono installabili in pochi secondi, sono compatibili sia Bluetooth che ANT+, ed hanno un sistema di calibrazione automatica. Sono impermeabili (per davvero!), essendo il corpo pedale completamente privo di elettronica in quanto racchiusa in un blocco di resina bicomponente. Sempre in tema di compatibilità, possono essere utilizzati sia con tacchette Shimano che Look Keo. E poi la specialità della casa… Molti power meter calcolano difatti la potenza usando la velocità angolare media per rotazione, invece della reale velocità angolare instantanea. Questo aspetto potrebbe introdurre un errore addizionale fino al 4.5% rispetto all’accuratezza dichiarata.
Assioma, invece, grazie al proprio ed esclusivo sistema IAV Power, ed al giroscopio integrato, è in grado di garantire la stessa accuratezza del ±1% con qualsiasi tipo di pedalata: anche con le corone ovali…

Sul podio olimpico di Tokyo, Anna Kiesenhofer davanti a Van Vleuten e Longo Borghini
Sul podio olimpico di Tokyo, Anna Kiesenhofer davanti a Van Vleuten e Longo Borghini

Una garanzia… olimpica

Un’importante testimonianza circa la qualità e l’affidabilità del “power meter” Assioma di Favero Electonics l’abbiamo letteralmente scovata nell’interessante blog – del quale riproponiamo qualche breve passaggio – che la stessa azienda trevigiana propone attraverso il proprio spazio ufficiale sul web. Ci ha difatti molto incuriosito una intervista che lo staff del marketing e della comunicazione di Favero ha realizzato assieme ad Anna Kiesenhofer, l’atleta austriaca che alle olimpiadi di Tokyo 2020 ha vinto inaspettatamente l’oro nella prova in linea. Anna come è ben noto è una matematica, oltre ad essere una utente Assioma di lunga data. E proprio l’approccio di una matematica, sia nella carriera lavorativa quanto in quella ciclistica/agonistica, rende la Kiesenhofer un riferimento importante per poter analizzare ciascun dato e ogni singola variabile, perfezionando i più piccoli dettagli utili al raggiungimento dei propri obiettivi.

«Premetto – ha subito puntualizzato la Kiesenhofer – che si, ho usato Assioma il giorno in cui ha vinto la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020… Quando ho iniziato ad allenarmi con la potenza? Era il 2014, ed ero solamente una ciclista amatoriale. Il motivo per cui ho iniziato è che come matematico volevo avere dati precisi per strutturare e analizzare la mia formazione e i miei progressi. Voglio dire, se non hai numeri, come fai a vedere se stai migliorando o no?».

Eccoli i power meter che la campionessa olimpica monterà sulla sua bicicletta dorata
Eccoli i power meter che la campionessa olimpica monterà sulla sua bicicletta dorata
Perché suggeriresti di allenarti con un misuratore di potenza?

In realtà esistono più ragioni. E’ un modo oggettivo per misurare l’intensità dell’allenamento, e penso che sia anche fondamentale quando si gareggia: si evita di partire troppo forte oppure troppo… facili. Inoltre, se stai seguendo uno specifico piano di allenamento, come fai a sapere se tutto sta funzionando? È fondamentale avere i numeri.

Ti sei allenata con Assioma prima di vincere la medaglia d’oro: perché hai scelto questo specifico brand?

Avevo bisogno di qualcosa di facile da usare. Facile da installare e facile da spostare su più biciclette. Considerazioni pratiche, è vero, ma cercavo anche e soprattutto un misuratore di potenza affidabile. Avevo degli amici che lo avevano già testato e me lo hanno caldamente consigliato.

In che modo Assioma ti aiuta nella tua attività ciclistica quotidiana?

Pianifico il mio allenamento in anticipo, con i numeri, e mi pongo degli obiettivi. Poi lo analizzo alla fine della sessione. Ho centrato il bersaglio? Come mi sono sentita? Sono migliorata? Anche i numeri sono motivanti. Se hai degli obiettivi specifici in termini di numeri senti di volerli raggiungere. Il tuo corpo non è una macchina, però, se non raggiungi i numeri… va bene lo stesso. Oggi non è il giorno, ma domani potrebbe esserlo.

Favero Electronics collabora con la squadra femminile UAE team ADQ
Favero Electronics collabora con la squadra femminile UAE team ADQ
Quali sono i dati più importanti per te?

Per l’allenamento sicuramente i numeri relativi alla potenza. Mi danno subito un feedback sulla mia performance. Quando faccio sforzi duri, l’equilibrio della pedalata gioca un ruolo particolarmente importante perché così so di avere una certa asimmetria nelle gambe e cerco di compensarla.

Cosa preferisci di Assioma?

Ci sono diverse caratteristiche che mi piacciono molto, è difficile scegliere. Come detto è facile da installare e scambiare tra le bici. Per l’analisi del bilanciamento della pedalata che rappresenta un vantaggio rispetto ai misuratori di potenza tradizionali. Infine, anche il prezzo è un punto di forza.

Favero

Storia di Woods, l’uomo forgiato dal dolore

24.06.2022
6 min
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La Route de l’Occitanie, chiusa con la vittoria di Bonifazio nell’ultima tappa, ha premiato Michael Woods, il canadese che a 35 anni ha conquistato così la sua prima corsa a tappe dopo una carriera a essere descritto come uno specialista delle corse in linea, delle classiche nello specifico. Woods sta preparando il Tour de France, nel quale sarà in una compagine di “vecchietti terribili”, da Fuglsang a Froome, alla ricerca di squilli più che mai necessari, perché la Israel Premier Tech è in piena lotta per non retrocedere. Il WorldTour del prossimo anno avrà ugualmente 18 licenze, ma per l’ammissione faranno fede i punteggi. Si potrà perdere il titolo a vantaggio di team professional che ne avranno conseguiti di più, con evidenti ripercussioni su budget e sponsor.

Il canadese in proposito non ha mai perso il suo ottimismo: «Abbiamo gente davvero forte, se siamo in questa situazione è colpa solamente della sfortuna. Ora però il vento sta girando dalla nostra parte, vedi i risultati di Impey in Svizzera o dello stesso Fuglsang. C’è quindi da essere ottimisti, al Tour faremo bene».

Woods Tokyo 2021
Woods a Tokyo, dove perse la volata per il podio contro Van Aert e Pogacar. Ci riproverà a Parigi 2024
Woods Tokyo 2021
Woods a Tokyo, dove perse la volata per il podio contro Van Aert e Pogacar. Ci riproverà a Parigi 2024

In atletica è ancora un nome…

Relegare il successo ottenuto in Francia a una delle tante vittorie che ogni settimana il mondo ciclistico offre agli appassionati è però troppo poco, perché dietro quel successo c’è una storia fatta di sacrifici, di riscatto dai colpi della vita, per alcuni versi anche originale. Perché Michael Woods non è un personaggio come gli altri.

Pochi sanno ad esempio che da 17 anni Woods detiene ancora il record nazionale juniores del miglio, ben sotto il famoso muro dei 4 minuti (3’57”48 per la precisione). Già, perché inizialmente il ciclista di Toronto non era… un ciclista.

«L’atletica è sempre stato il mio grande amore», ha raccontato nello scorso inverno a una troupe giunta appositamente dal Canada nella sua residenza ad Andorra. «Nel 2005 quel tempo mi permise di entrare nella Top 50 mondiale dei 1.500 metri, ma soprattutto di guadagnarmi una borsa di studio per l’università dello Utah. Avevo una carriera davanti e sognavo di competere per il Canada a Pechino 2008, ma le cose andarono diversamente».

Woods corsa
2005, Woods trionfa ai Giochi Panamericani junior sui 1.500 metri (foto Tyler Brownbridge)
Woods corsa
2005, Woods trionfa ai Giochi Panamericani junior sui 1.500 metri (foto Tyler Brownbridge)

Un altro sogno in frantumi

La sua carriera infatti ha una brusca interruzione quando Michael si rompe un piede. La sentenza dei medici è implacabile: ben difficilmente riuscirà a riprendere i livelli di prima, troppo stress per il suo arto. Per lui è una doccia fredda, dopo che da bambino aveva già dovuto mettere da parte il suo primo amore sportivo, che per un canadese non potrebbe essere altro che l’hockey su ghiaccio. Troppo gracile avevano detto, ma almeno aveva trovato qualcosa per tirarsi su…

Il destino a volte prende vie tortuose. Nel cammino di rieducazione Woods inizia ad andare in bici, il movimento ciclico della pedalata aiuta l’articolazione e col tempo non solo migliora la situazione fisica, ma sente crescere dentro di sé anche la passione. In fin dei conti – pensa – non sono poi tanti i campioni canadesi in questo sport, c’è stato Bauer, poi Hesjedal, ma potrebbe essere una strada giusta per arrivare dove voglio, ossia alle Olimpiadi

Woods figlio
Michael Woods con il piccolo Willy, nato dopo Tokyo 2021 (foto David Powell/Rouleur)
Woods figlio
Michael Woods con il piccolo Willy, nato dopo Tokyo 2021 (foto David Powell/Rouleur)

La rinascita dal dolore estremo

Woods fa il suo esordio tra i pro’ in una squadra continental nel 2013, a 27 anni e ripensandoci viene da ridere, considerando come nel ciclismo attuale sei considerato “vecchio” neanche passata la soglia degli under 23. Fa subito vedere di che pasta è fatto, tanto che nel 2016 viene ingaggiato dalla Cannondale-Drapac e si dimostra subito corridore molto adatto a certi tipi di corse in linea, quelle mosse dove scompaginare le tattiche altrui oppure nelle tappe. Nel 2017 finisce 7° alla Vuelta, l’anno dopo è secondo a Liegi e terzo ai mondiali, in quello che è l’anno più bello e nel contempo più brutto.

Dopo pochi giorni dalla sua nascita, il primo figlio Hunter muore e la coppia di genitori è attonita. Non c’è tempo per il ciclismo, c’è da condividere un dolore: Michael e sua moglie vivono giorni, settimane in continua altalena, ma parlando, confrontandosi si fanno forza l’un l’altro e pian piano iniziano a ricostruire le fondamenta della famiglia.

Woods Tour 2021
Il 35enne di Toronto ha già vestito la maglia a pois nel 2021, ma ora vuole portarla a Parigi
Woods Tour 2021
Il 35enne di Toronto ha già vestito la maglia a pois nel 2021, ma ora vuole portarla a Parigi

La famiglia prima di tutto

Di fronte a ciò, anche la frattura del femore del 2020 sembra uno scherzo: «In questi anni – dice – attraverso colpi così duri ho accresciuto la mia resilienza e questo si ripercuote anche nella mia attività ciclistica, perché faticare mi fa ancora meno paura».

Anche il lockdown non lo ferma anche perché la famiglia comincia a popolarsi. Nel gennaio 2020 è arrivata Maxine e nel 2021 tocca a Willy. I tempi del suo arrivo avevano messo in pericolo la partecipazione a Tokyo, il coronamento del suo sogno olimpico, ma conoscendolo sua moglie Elly gli aveva dato il permesso di partire. Appena chiusa la corsa, quinto a un passo dal podio, Woods è ripartito e ha rinunciato alla Vuelta per stare vicino a sua moglie.

Oggi Woods è un uomo nuovo, ma non è assolutamente appagato e i suoi risultati dipendono da questo. Intanto vuole con tutte le sue forze correre a Parigi 2024, anzi vuole vincere quella medaglia sfuggitagli un anno fa per imitare Steve Bauer che fu argento a Los Angeles 1984. Poi vuole essere il primo canadese a conquistare una Monumento e magari anche il primo a vincere la maglia a pois al Tour. Tutti obiettivi che ha sfiorato e che sa essere a portata di mano.

Woods attività
Il canadese con la divisa della sua impresa di abbigliamento per il ciclismo (foto David Powell/Rouleur)
Woods attività
Il canadese con la divisa della sua impresa di abbigliamento per il ciclismo (foto David Powell/Rouleur)

Solamente pedalare fa bene?

Ora il ciclismo lo vede in maniera diversa: «Mi ha insegnato un principio fondamentale: quando cadi, devi rialzarti e questo vale per tutto. Nessuno si offenda però se il mio grande amore resta la corsa. Quando posso, metto le scarpette e vado a correre. Al Tour des Alpes Maritimes dello scorso anno ero in stanza con Vanmarcke: piano piano, senza svegliarlo, mi preparai e andai a correre. So che molti non vedono di buon occhio questa mia attività, ma fa parte di me e non ci rinuncio».

Sul tema Woods ha anche dato una sua interpretazione che merita una riflessione: «Se sei sempre in bici, in realtà stai facendo solo un range di movimento davvero ridotto. Così influisci male sul tuo corpo. Alcuni esperti mi hanno detto che molti ciclisti professionisti finiranno con problemi di densità ossea, perché semplicemente non corrono né camminano mai».

Chiusa la carriera, Woods ha già detto che si dedicherà alla sua fondazione Mile2Marathon, per dare un indirizzo di allenamento a chi vorrà, ma produce anche attrezzatura per ciclisti e ha anche un altro intento: quello di promuovere il ciclismo fra i bambini e trasmettere gli insegnamenti che ha appreso grazie a quelle strane due ruote…

Kiebenhofer 2021

Che fine ha fatto l’olimpionica Kiesenhofer?

29.04.2022
6 min
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Certe volte le storie acquisiscono valore e si comprendono meglio a distanza di tempo. Il 25 luglio 2021 assistemmo a una delle più grandi sorprese nella storia dell’intero sport, non solo del ciclismo: nella gara olimpica su strada femminile quattro ragazze andarono in fuga al momento stesso del via e una di loro, l’austriaca Anna Kiesenhofer (in apertura nella foto CorVos), non venne più ripresa, sottovalutata colpevolmente dalle grandi favorite, olandesi in primis. Non la conosceva nessuno, tanto è vero che il sito specializzato in statistiche ciclistiche Procyclingstats fece registrare il primato di visite a una pagina in un singolo giorno, 35.871, 2.320 in più di quelle registrate da Mads Pedersen il giorno del suo trionfo mondiale.

Da allora, da una parte su Anna piovvero richieste di interviste, di presenze a feste, un’attenzione mediatica travolgente e frastornante. Dall’altra, salvo qualche sporadica presenza (settima a cronometro agli Europei, seconda alla Chrono des Nations) non si è più vista nel circuito ciclistico. E col passare delle settimane sono cominciate a fioccare le domande su che fine avesse fatto.

Il momento forse più clamoroso di Tokyo 2020: il trionfo solitario della Kiesehofer
Kiesenhofer Tokyo 2021
Il momento forse più clamoroso di Tokyo 2020: il trionfo solitario della Kiesehofer

Tornata all’amata matematica

Per evitare di essere travolta da tanta attenzione, Anna si è rifugiata nella sua vita di tutti i giorni. Quella di dottoranda in matematica a Losanna, quella che è la sua attività principale. Il ciclismo lo ha sempre vissuto come qualcosa di importante sì, ma sempre leggermente in second’ordine rispetto al suo lavoro. Si è difesa da tanta pressione mediatica centellinando interviste e apparizioni nelle quali ha chiarito il valore che dà a quella medaglia (oltretutto tenuta sempre sotto mano, per mostrarla ma soprattutto per rivivere le emozioni attraverso di essa): «Se sei abbastanza intelligente puoi ottenere un dottorato di ricerca, ma una medaglia d’oro puoi volerla quanto vuoi, ma la maggior parte delle persone non la otterrà mai – ha dichiarato a Cyclingtips – Per ora è il momento più orgoglioso della mia vita. Non si tratta solo della medaglia, ma anche del viaggio fatto per raggiungerla, della storia che c’è dietro e di tutte le piccole gare che ho vinto ma che nessuno ha riconosciuto. La medaglia è una ricompensa per tutto questo.

«Non sembrava un giorno speciale – ricorda la Kiesenhofer – Ho dormito bene la notte, cosa non normale prima di una gara per me. Sapevo di aver fatto tutto il possibile, quindi sapevo che anche quando qualcosa fosse andata storta non sarebbe stata colpa mia. Sapevo che c’erano tutti gli ingredienti per fare una bella gara».

La forza di una “perdente”

A distanza di tempo, molti continuano a chiedersi come abbia fatto. Nessuno avrebbe scommesso un centesimo su di lei. Anche quando è andata in fuga, sembrava la classica azione per mostrare la maglia e farsi vedere. E’ come se in una maratona quelli che partono davanti a tutti, con il fisico ben poco atletico e che si sbracciano per salutare e farsi vedere, alla fine arrivino primi…

«Ho pochissima esperienza con le gare professionistiche femminili in generale – ammette – ma il giorno prima avevo visto che nella gara maschile la fuga aveva raggiunto un grande distacco, il che non mi è sembrato insolito. Ma sembra che sia molto insolito nella gara femminile. Considerando che la nostra gara è stata molto più breve, ho pensato che una possibilità ci fosse. Poi con l’andare dei chilometri vedevo che ci davano sempre tanto spazio, eppure eravamo gente, io, la polacca Anna Plichta e l’israeliana Omer Shapira che a cronometro ce la cavavamo bene. È stata una piccola sottovalutazione, diciamo che ho applicato il mio ruolo di perdente facendone la mia forza».

Sul podio al centro del circuito, Anna Kiesenhofer davanti a Van Vleuten e Longo Borghini
Sul podio al centro del circuito, Anna Kiesenhofer davanti a Van Vleuten e Longo Borghini

Convivere con il dolore

Si sa poi com’è andata la gara. In salita la Kiesenhofer se n’è andata, da dietro hanno iniziato a risalire, ma era troppo tardi così Van Vleuten, Longo Borghini e le altre hanno lottato per le piazze d’onore, le altre medaglie. All’arrivo tutti a chiederle chi fosse, quasi rimproverandola per quel che aveva fatto: «Ci ho riflettuto molto. Ovviamente non mi ero preparata per quel tipo di corsa, ma ero mentalmente preparata a soffrire. Pensi in anticipo a come ti comporterai quando il dolore colpisce, perché prima o poi arriverà. Arriva sempre, in gara o in allenamento, devi conviverci. Ho anche diviso la distanza in pezzi, ho pensato a chi mi aveva sostenuto, a tutto il viaggio fatto per arrivare lì, allora. Ho pensato anche agli atleti che ammiro per la loro capacità di soffrire. Nel mio caso si tratta per lo più di ciclisti amatoriali sconosciuti ma sono stata anche una fan di Annemiek van Vleuten o Anna Van der Breggen e sapevo che erano dietro, a inseguirmi, a soffrire come e più di me sapendo che stavano perdendo».

Poi? Poi presto è arrivato il silenzio, rotto ogni tanto dai social che alla fine, componendo i pezzi come in un puzzle hanno dato le risposte cercate. Innanzitutto la Kiesenhofer ha rifiutato le proposte arrivate dai team WorldTour: «L’esperienza di Dumoulin mi ha spaventata. Ho conoscenze nel suo gruppo (ha corso nella squadra femminile della Lotto Soudal nel 2017, ndr) e non voglio sentirmi schiacciata, il ciclismo deve rimanere nel suo alveo nella mia vita, anche se è molto importante».

Kiesenhofer Factor 2022
Il particolare del telaio della sua Factor con le due equazioni
Kiesenhofer Factor 2022
Il particolare del telaio della sua Factor con le due equazioni

La soluzione del caso…

L’austriaca sta costruendo un proprio team, il che significa che non corre gare Uci all’infuori di quelle titolate, ma continua ad allenarsi e anzi ha stretto contatti con sponsor tra cui l’azienda britannici di bici Factor. Su Twitter ha pubblicato i particolari della sua nuova bici, sul telaio ha fatto incidere, oltre a fregi d’oro e la data del trionfo di Tokyo, anche due equazioni: «Per me rappresentano molto: la prima la forma normale di una struttura b-symplettica, la seconda l’equazione delle mappe a semionda, tema del mio dottorato. Mi ricordano i valori della mia vita».

Il suo sogno? Riuscire a coniugare sempre di più le sue due anime: «Ho ispirato tanti dimostrando che studio e sport, entrambi ai massimi livelli possono coesistere. Voglio lavorare nell’allenamento e nell’innovazione del ciclismo applicando quelle che sono le mie peculiarità». La rivedremo quando in palio ci sarà qualcosa come una medaglia, ma questa volta nessuno la riterrà una perdente, questo è certo…

McNulty 2022

McNulty, da una delusione è nato un uomo nuovo

03.03.2022
4 min
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La gara olimpica di Tokyo 2020 è finita da poco. Mentre Carapaz festeggia il suo storico oro, mentre Van Aert e Pogacar guardano le loro medaglie senza nell’intimo capire se sono pienamente contenti di quel che hanno fatto, un americano se ne resta vicino al suo entourage con lo sguardo perso nel vuoto e la bocca che è una fessura. Non c’è una traccia di soddisfazione nello sguardo di Brandon McNulty, eppure sui fogli distribuiti celermente dalla federazione americana le sue dichiarazioni sono improntate all’entusiasmo.

«Wow, è pazzesco – si legge – penso che all’interno del programma Usa Cycling ogni generazione si stia avvicinando all’essere al top di questa disciplina, aver chiuso sesto è un grande onore per me».

Dichiarazioni che chiaramente non sono farina del suo sacco, ma dell’addetto stampa federale chiamato a scrivere qualcosa improntato all’ottimismo. Magari alla vigilia un risultato del genere neanche lo avrebbero sognato, non l’avrebbe fatto nessuno, forse neanche lo stesso Brandon, però… Per come si era messa la gara, Brandon ha accarezzato l’idea di salire sul podio, anche di vincere, di riportare la bandiera “stars ad stripes” sul pennone più alto 37 anni dopo.

McNulty Tokyo 2021
La volata per il secondo posto olimpico premia Van Aert, a McNulty un amaro 6° posto
McNulty Tokyo 2021
La volata per il secondo posto olimpico premia Van Aert, a McNulty un amaro 6° posto

A ruota di Carapaz, ma per poco..

Quando Carapaz ha attaccato e gli altri si sono messi ad aspettare la reazione di Van Aert (era lui il favorito, a lui stava togliere le castagne dal fuoco), Brandon non ha aspettato e si è messo alle costole dell’ecuadoriano. E’ passato qualche minuto, dietro non si vedeva più nessuno, sembrava tutto pronto per un arrivo in coppia, poi andava come andava, tanto si sa che alle Olimpiadi vincono in tre…

«Avevo le gambe migliori di sempre – ha raccontato in seguito, mandata giù l’amarezza – ma non sono bastate. Alla fine posso dire che essere finito sesto non è male, ma mi resta l’amarezza per non aver ottenuto la medaglia quando c’ero davvero così vicino».

Quella medaglia avrebbe significato tanto, per lui come per tutto il ciclismo americano che ancora cerca campioni in grado di ridestarlo dal post Armstrong, dall’aver toccato la cima per così tanto tempo per poi scoprire che era tutto frutto di un grande bluff. Eppure è proprio da quell’amarezza, da quell’esito negativo che esce fuori il nuovo Brandon McNulty.

McNulti Calvià 2022
Prima gara e prima vittoria, al Trofeo Calvià, con 1’17” sul gruppo regolato dall’elvetico Suter
McNulti Calvià 2022
Prima gara e prima vittoria, al Trofeo Calvià, con 1’17” sul gruppo regolato dall’elvetico Suter

Già due vittorie

Quest’anno è stato subito tra i più forti. Alla sua prima uscita in Spagna al Trofeo Calvià, subito una vittoria, poi quarto due giorni dopo al Trofeo Serra de Tramuntana e secondo al Trofeo Pollença. Si è presentato al via della Volta ao Algarve e all’inizio dell’ultima tappa era in testa alla classifica, per poi inchinarsi a Remco Evenepoel.

«Non c’è niente di cui lamentarsi quando si è battuti da gente del genere – ha raccontato a Velonews – avevamo individuato delle crepe nel lavoro della Quick Step e ci abbiamo provato, ma sanno difendersi bene. E’ stato comunque divertente».

Il secondo posto però aveva un sapore dolce, quasi quello di una vittoria: «Ho lavorato bene durante l’inverno e mi accorgo di andare sempre meglio. Continuo a fare passi avanti e questo mi conforta anche perché il mio obiettivo non è legato alle classiche di un giorno, quanto alle corse a tappe per le quali ritengo di essere più portato. Il mio problema sono le cronometro, lo so e ci ho lavorato, ma so anche che c’è ancora molto da fare».

McNulty Sicilia 2019
McNulty al Giro di Sicilia 2019, vinto a sorpresa con la maglia della Rally UHC battendo Martin e Masnada
McNulty Sicilia 2019
McNulty al Giro di Sicilia 2019, vinto a sorpresa con la maglia della Rally UHC battendo Martin e Masnada

Ora la Parigi-Nizza

Sarà anche vero, ma la stagione per ora dice che il suo massimo lo sta raggiungendo nelle gare d’un giorno: sabato ha conquistato la Faun-Ardèche Classic (foto di apertura) con il piglio del dominatore, attaccando sulle ultime due asperità e vincendo con 45” sul belga Vansevenant prendendosi così una sorta di piccola rivincita sulla Quick Step. Una forma simile ha convinto i suoi dirigenti del Uae Team Emirates a puntare su di lui per la Parigi-Nizza, partendo con le stesse chance di Joao Almeida, poi sarà la strada a decidere le gerarchie.

Intanto però Brandon continua per la sua strada. In fin dei conti ha soli 23 anni, ma quel sogno gli è rimasto dentro. Si ha un bel dire che le Olimpiadi nel ciclismo non hanno lo stesso sapore che in altri sport. Il ragazzo di Phoenix la pensa diversamente, è cresciuto in un Paese dove lo sport è una strada privilegiata per costruirsi la propria vita e concretizzare il sogno americano, ma dove anche le Olimpiadi hanno un valore particolare.

Gli americani le hanno vinte una volta sola, nell’edizione “monca” del 1984 con Grewal e solo 9 volte sono finiti nei primi 10. Brandon lo ha fatto e già pensa a quel che sarà fra due anni. Intanto il prossimo luglio sarà in Francia e magari in quell’arrivo finale agli Champs Elysees, ricomincerà a sognare.

Sulla schiena di Van der Poel, lo sguardo del fisioterapista

07.01.2022
4 min
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Quando c’è di mezzo un fuoriclasse come Mathieu Van der Poel ogni notizia ha un’eco sconfinata. Figuriamoci se poi lui, campione in carica uscente, annuncia che non parteciperà al mondiale di ciclocross di Fayetteville negli Stati Uniti il prossimo 30 gennaio.

Il mal di schiena causato dalla clamorosa caduta all’inizio della prova olimpica di Mtb il 26 luglio non gli dà tregua. Da quel giorno è stato fermo fino al 12 settembre rientrando alla Antwerp Port Epic (vincendo) e disputando, non senza fastidio, altre quattro gare, chiuse il 3 ottobre col secondo posto alla Roubaix dietro Colbrelli. Poi altro lungo periodo di stop (forzato?) e ritorno in gara il 26 dicembre nella prova di coppa del mondo di ciclocross a Dendermonde concludendo secondo dietro Van Aert. Ventiquattro ore dopo, a Zolder nel Superprestige, il ritiro a metà gara e nuovi interrogativi sul suo stato di salute.

Nel finale di stagione Van der Poel è stato protagonista alla Roubaix, ammettendo di aver avuto mal di schiena
Nel finale di stagione Van der Poel è stato protagonista alla Roubaix

In questo lasso di tempo tutti si sono scatenati sulle sue condizioni, sulle relative diagnosi e cure per rivederlo senza più dolori. Noi abbiamo voluto sentire Maurizio Radi, fisioterapista e titolare della FisioRadi Medical Center di Pesaro (in cui è stato sviluppato il programma specifico “Scienza e Salute del ciclista”), che tra cestisti, calciatori e sciatori ha trattato tanti casi di infortuni. Gli abbiamo sottoposto le istantanee della caduta di Van der Poel per provare a capirne di più.

Maurizio, data la tua lunga esperienza ed osservando queste foto, che tipo di trauma potrebbe aver subìto?

A prima vista sembra una problema nella zona dorso-lombare o lombo-sacrale. In una botta così forte però bisogna considerare cosa avviene nella caduta come stress, se per un colpo diretto o in torsione. Il rachide può subire un trauma in compressione o in distorsione. Poi bisogna vedere se la bici ha fatto leva sul suo corpo. Comunque penso che quello che ad oggi gli dia fastidio sia una sofferenza discale, data per un’ernia o una protusione.  

Rivedendo la scena, Van der Poel pensava di trovare la pedana e invece nel salto sembra che finisca nel vuoto a corpo morto. Nelle conseguenze fisiche, può aver inciso essere stato impreparato mentalmente alla caduta?

Sicuramente sì. Se tu pensi di affrontare un tratto di percorso sapendo già cosa ti attende (VdP aveva fatto la ricognizione il giorno prima in cui c’era la passerella, ndr) ed invece ti viene a mancare il terreno sotto i piedi è normale che ti possa fare ancora più male. A lui è successo questo, non era pronto all’impatto. E’ atterrato senza poter fare nulla, anche se era obiettivamente difficile fare qualcosa per restare in piedi o cadere meglio. E’ ovvio che da un campione del genere non ti aspetteresti una distrazione simile ma può capitare anche ai migliori.

Il momento del drop, in cui Van der Poel si rende conto che la passerella non c’è
Il momento del drop, in cui Van der Poel si rende conto che la passerella non c’è
Dolore a parte e sempre dal punto di vista mentale, il suo recupero può essere rallentato proprio da questo aspetto?

Certo, è proprio un discorso che stavo per fare. Van der Poel è un grande atleta, ha vinto tanto, non gli è mai successo nulla di grave prima ma questo è il suo primo vero problema fisico. Il suo recupero non è più legato solamente all’infortunio, ma anche al lato emotivo. Adesso lui non deve allenarsi per vincere ma per tornare a star bene. Fisiologia e biologia vogliono il loro tempo, che permetta ai tessuti di recuperare, specialmente per un atleta di così alto livello che fa tante discipline.

Appunto, tra gli impegni di strada, Mtb e ciclocross e pressioni di sponsor, squadra o tifosi, immaginiamo che Van der Poel non abbia potuto svolgere un normale recupero…

Intanto va detto che lui ha corso su discipline in cui produce tre sforzi diversi, con sollecitazioni diverse che non gli hanno fatto bene. Senza contare anche le tre posizioni diverse sulle relative bici. Forse poteva evitare di preparare la stagione del cross. Hanno corso un rischio, ma tra i professionisti il rischio fa parte del mestiere. Non c’è una soluzione assoluta, difficile dire se abbiano fatto bene o male a farlo correre. Gli atleti di alto livello hanno tempi di recupero migliori di una persona normale e talvolta te ne accorgi solo quando vanno sul campo di gara sotto sforzo. In tutto questo però vorrei aggiungere una cosa.

La caduta è rovinosa e senza possibilità di proteggersi in alcun modo
La caduta è rovinosa e senza possibilità di proteggersi in alcun modo
Certo, quale?

Nella cassa di risonanza che ha avuto questa notizia, io sono più per sostenere ciò che ha fatto Van der Poel piuttosto che criticarlo come hanno fatto in tanti. Senza entrare nel merito, credo che il suo staff medico abbia seguito le strategie corrette, poi l’intoppo sta sempre dietro l’angolo.

Chiudendo Maurizio, ora lui cosa dovrebbe fare?

Non voglio dare terapie. Da appassionati di ciclismo ci dobbiamo aspettare solo che lui guarisca e che rientri solo quando starà veramente bene. La fretta spesso ti porta ad inseguire e sprecare più tempo del previsto. Van der Poel è ancora giovane, ha davanti a sé ancora dieci anni di attività. Meglio che perda qualche mese adesso piuttosto che compromettere la carriera.

Dalla BMX all’empireo della velocità: il regno di Harrie Lavreysen

29.10.2021
4 min
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Ricordate quando incontrando gli atleti della Bmx nel velodromo di Montichiari e parlando con il loro tecnico Tommasi Lupi venne fuori che in Olanda da quel tipo di base venivano fuori i velocisti su pista? Bene, la conferma è venuta ai recenti mondiali di Roubaix, dove Harrie Lavreysen si è portato a casa tra medaglie d’oro che si sono aggiunte alle due di Tokyo. Impressionando per la guida, l’esplosività e la struttura fisica.

La rivalità fra Lavreysen e Hoogland è uno stimolo per entrambi
La rivalità fra Lavreysen e Hoogland è uno stimolo per entrambi

Star della Bmx

Prima di indossare il body da pista e il casco aerodinamico, infatti, l’olandese di 24 anni si è fatto un nome proprio nella BMX. Tre volte campione europeo juniores tra il 2011 e il 2013, il ragazzo avrebbe avuto certamente davanti una carriera luminosa, anche se praticando una disciplina soggetta a cadute, la sua condizione oscillava spesso tra alti e bassi, entrate e uscite dall’ospedale. Finché nel 2014, ci ha messo un punto.

«Ero tornato al mio miglior livello – ha raccontato – e stavo andando alla grande, ma mi sono lussato entrambe le spalle».

Pare che siano stati gli stessi medici che lo sistemavano da anni a suggerirgli di cambiare sport. E così Harrie ha scelto di allenarsi sulla pista di Papendal, nel centro del Paese.

«E’ stato molto strano passare da professionista della BMX a dilettante su pista – ha raccontato – non sapevo cosa stavo facendo e mi sentivo ridicolo».

Innesco rapido

Eppure, a conferma del fatto che i due percorsi possono essere complementari, i frutti del cambiamento si sono iniziati a vedere quasi subito. Nel 2015, il ragazzo alto 1,81 e arrivato a 92 chili di peso forma, ha vinto subito il campionato nazionale di velocità a squadre. Il primo oro internazionale è arrivato tre anni dopo e da quel momento ha dato il via a un dominio incontrastato nelle discipline veloci.

Detentore del titolo mondiale di velocità a squadre dal 2018, Harrie si è distinto anche individualmente: nella velocità (2019, 2020, 2021) e nel keirin (2020, 2021). A Tokyo, l’olandese ha sfiorato una nuova tripletta, fallendo nel keirin (bronzo), sorpreso da Jason Kenny.

A Roubaix nella velocità ha battuto il compagno di nazionale Hoogland
A Roubaix nella velocità ha battuto il compagno di nazionale Hoogland

Rivalità da fare invidia

Lavreysen non è da solo. Ogni volta, succede infatti la stessa cosa. I due compagni nella squadra olandese di velocità a squadre, Jeffrey Hoogland e Harrie Lavreysen, diventano avversari all’ultimo respiro quando si tratta di eventi individuali. E se al traguardo uno dei due non è primo, ci sono buone probabilità che l’oro sia al collo dell’altro.

Come a Roubaix, dove Lavreysen, vincitore di keirin e velocità, ha avuto ogni volta dietro di sé il compagno più esperto. Ma questa rivalità non è malsana. I due olandesi condividono sempre la stessa stanza d’albergo prima delle grandi gare, si divertono, guardano film insieme e si tirano su.

«Mi alleno con il migliore al mondo – ha spiegato Hoogland prima delle Olimpadi – penso che ogni corridore sarebbe invidioso».

Un duro lavoratore

Quando Lavreysen non è in bicicletta, è in sala pesi e viceversa. Dedicato ormai totalmente alla pista, il sei volte campione del mondo è alla continua ricerca della forza. Nel 2015, infortunato, ha inviato un messaggio molto evocativo al suo preparatore atletico, Christian Bosse.

«Mi sono operato ieri – gli ha scritto – domani lascerò l’ospedale e al massimo entro due giorni voglio allenarmi. Non posso usare le braccia, puoi farmi ugualmente un programma?».

Oltre alle sessioni fisiche, Harrie Lavreysen trascorre lunghe ore davanti allo schermo, analizzando le sue prestazioni e quelle dei suoi futuri avversari. 

«Mi piace anche conoscere le caratteristiche della pista su cui correrò – ha spiegato – curo tutti i dettagli prima di andare da qualsiasi parte».

Per Ivan Quaranta, che a quanto si dice avrà in carico il settore velocità sotto l’occhio di Marco Villa, il riferimento è impressionante, ma in qualche modo l’iter dalla BMX alla pista potrebbe indicare la strada per arrivare a qualcosa di concreto in attesa che crescano dalla base dei giovani talenti. In Olanda l’hanno capito da anni, qui dobbiamo rimboccarci tutti le maniche.