Evenepoel, l’apprezzabile arte dell’autocritica

20.06.2022
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Remco Evenepoel si è tolto di dosso i panni di Superman, ma sta lavorando (bene) per indossarli nuovamente. La vittoria della Liegi gli ha ridato fiducia. Il Tour of Norway, con tre tappe vinte su sei, ha confermato che la strada è giusta. Mentre in Svizzera (11° a 4’04” da Thomas) il belga ha conquistato l’ultima crono, ma ha capito che il livello WorldTour in mezzo a quelli che lavorano per la maglia gialla è un’altra cosa. Il suo obiettivo è la Vuelta e sarebbe stato preoccupante essere già al pari di chi fra dieci giorni sarà in lizza per il Tour.

«Tre secondi di vantaggio su Thomas e undici su Kung – ha commentato dopo la vittoria di ieri – sono un bel risultato, l’importante è aver vinto, non il distacco. Tuttavia il più grande avversario è stato il caldo. Terribile. Non sono nemmeno stato in grado di seguire la tabella che ci eravamo dati. Nelle crono, ero già arrivato secondo alla Tirreno e ai Paesi Baschi: vincere è meglio. Soprattutto dopo una settimana faticosa, in cui non ho pedalato al mio massimo livello e ho subìto parecchie lezioni lungo la strada».

A lezione da Thomas

Qualcuno non lo sopportava, perché dopo ogni bel risultato “sbruffoneggiava” da calciatore qual è sempre stato, senza considerare che avesse appena vent’anni. E il belga, che nel frattempo ne ha compiuti 22, ha rimesso i piedi sulla terra.

«Mi riferisco principalmente alla tappa di Novazzano (foto di apertura, ndr) – ha spiegato ai giornalisti il campioncino belga – quando ho perso più di due minuti, su un percorso che ricordava le corse delle Ardenne. Ero troppo rilassato. Pensavo che gli uomini di classifica avrebbero tenuto la corsa e poi Matthews o uno come lui avrebbe vinto lo sprint. Abbiamo sbagliato tutto. Ci siamo concessi un giorno di riposo totale, mentre avremmo dovuto prendere l’iniziativa, così io non avrei perso due minuti e sarei salito sul podio.

«Sotto questo aspetto devo ancora imparare molto da un corridore come Geraint Thomas. Ha sempre la corsa in pugno, è aggressivo e vigile, mentre io quel giorno non ero nemmeno preparato per sopportare il caldo. Ho persino sbagliato a scegliere il casco: dopo l’arrivo ci si poteva friggere sopra un uovo. Non ho nemmeno chiesto di avere del ghiaccio, perché non pensavo fosse necessario. Lo sbaglio più grande della mia carriera. Fortunatamente, imparo velocemente. Non commetterò più gli stessi errori».

Geraint Thomas è sempre stato fra i primi 4 dello Svizzera e nella crono ha conquistato la vittoria
Geraint Thomas è sempre stato fra i primi 4 dello Svizzera e nella crono ha conquistato la vittoria

Le energie sprecate

Zero scuse. Qualcuno avrebbe potuto intervenire, ma il ragazzo si è preso tutte le responsabilità e guarda avanti. Pagina voltata, il giusto atteggiamento. Lucido anche nel commentare il distacco sui traguardi in salita di Mosaalp e Malbun: rispettivamente 3’06” da Denz e 2’30” da Pinot.

«Quei tre minuti – ha spiegato – non mi preoccupano molto. Era la prima volta che salivo sopra i 2.000 metri in gara dopo il ritiro in altura. Questa volta sono stato anche abbastanza intelligente da portare impacchi di ghiaccio (ridendo, ndr). Mi sono accorto però che sopra i 1.800 metri non ho avuto l’accelerazione di corridori come Thomas e Higuita. Forse dopo il Giro di Norvegia sono arrivato al Giro di Svizzera un po’ stanco. Ho recuperato completamente solo alla fine della settimana ed è un’altra lezione. Se mai vorrò vincere queste corse, dovrò gestirmi diversamente

Dopo il Tour of Norway, Evenepoel ha fatto show alla Gullegem Koerse, buttando via un bel po’ di energie
Dopo il Tour of Norway, Evenepoel ha fatto show alla Gullegem Koerse, buttando via un bel po’ di energie

«Devo risparmiare quanta più energia possibile. Sempre e ovunque. Per Thomas è automatico, io devo impararlo. Dopo la Norvegia ho vinto la Gullegem Koerse. Ho esagerato. Ho fatto una cronometro di 170 chilometri e solo dopo mi sono reso conto di aver corso per ore a wattaggi folli. E’ stato stupido, uno spreco di energia. Per questo, visto il passaggio a vuoto di Novazzano, abbiamo deciso di togliere la Vuelta a Burgos dal programma. Voglio essere il più fresco possibile per la Vuelta».

Obiettivo Vuelta

Ora lo aspettano il campionato belga a cronometro, in cui l’anno scorso fu bruciato da Lampaert nonostante pochi giorni prima avesse vinto lui la crono al Giro del Belgio. Poi verrà il campionato belga su strada, quindi Remco tirerà i remi in barca, per preparare l’assalto alla Vuelta.

«Stacco per una settimana – ha riso – nulla di troppo. Starò accanto a “Oumi” (Oumaima Rayane, la sua compagna, ndr) durante gli esami. Durante l’ultimo stage in altura, lei ha cucinato per me, temo che ora sia arrivato il mio turno. Poi farò un altro ritiro in quota, quindi San Sebastian, un altro breve ritiro, e poi finalmente sarà tempo della Vuelta».

Si rivede Bagioli: prima l’italiano, poi forse il Tour

09.06.2022
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Quasi due mesi di assenza dalle gare, conditi anche da un pizzico di curiosità e mistero. Non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che il nome in questione è di quelli importanti. Andrea Bagioli, dopo la Freccia del Brabante (il 13 aprile) è rientrato solo il 5 giugno al Criterium del Delfinato.

Mentre è impegnato nella corsa dell’antica provincia francese al confine con l’Italia, abbiamo sentito il 23enne valtellinese della Quick Step-Alpha Vinyl (che oggi ha chiuso al settimo posto la quinta frazione vinta da Van Aert) per capire come sono cambiati i suoi programmi dopo lo stop.

Andrea dove eravamo rimasti?

All’Amstel e al Brabante in cui non stavo bene. La seconda non l’ho nemmeno finita. Dopo il Catalunya ero partito subito per il ritiro a Sierra Nevada ma dopo tre giorni lassù mi sono ammalato. Sono stato fermo qualche giorno, ma quando ho ripreso ad allenarmi mi sentivo sempre stanco. Infatti quelle due gare le ho fatte male. A quel punto abbiamo deciso che era meglio che mi fermassi per capire. Ho fatto due settimane senza toccare la bici e nel frattempo ho fatto un po’ di controlli.

Cosa è emerso?

Tutti gli esiti erano negativi. Non era il covid che già avevo preso a febbraio. Non era mononucleosi, i cui sintomi potevano farlo pensare. In pratica era solo tanta stanchezza. Mi portavo dietro gli strascichi della bronchite che hanno preso in tanti del gruppo dopo il Catalunya. Probabilmente non avevo smaltito a dovere quei residui.

Come li hai vissuti questi due mesi?

Dal punto di vista psicologico inizialmente ero preoccupato, specie dopo la Freccia del Brabante. Poi mi sono tranquillizzato dopo che ho fatto cinque giorni a casa di assoluto riposo. Vedevo che mi sentivo meglio, non mi svegliavo più spossato. Per il resto, oltre che per allenarmi, li ho sfruttati anche per stare con la famiglia e gli amici che in pratica vedo pochissimo.

Considerando la vita intensa che fate voi corridori, questi stop forzati possono fare bene?

Direi di sì, ammesso che non ci siano motivi più seri dietro. Queste pause ti possono aiutare a ricaricare le batterie, soprattutto a livello mentale. Siamo sempre lontano da casa, facciamo viaggi e trasferimenti lunghi. Ad inizio stagione corriamo al caldo, in Arabia o negli Emirati, con diversi fusi orari di differenza. Poi torniamo in Europa per preparare le classiche del Nord con climi decisamente più freddi. Tutto influisce. E poi, almeno nel mio caso, meglio fermarsi subito per non trascinarsi i problemi e risolverli in fretta.

Adesso invece a che punto sei?

Ho ripreso a correre qui al Delfinato, la gara nella quale tutti ritengono si va più forte durante la stagione. Insomma, un bel ritorno di fuoco (ride, ndr). Battute a parte, la condizione è buona. Avverto buone sensazioni in corsa. Significa che il lavoro fatto in altura al Passo del Bernina, vicino a casa, è andato bene.

Cosa ti aspetti dal Delfinato?

Innanzitutto devo ritrovare il ritmo. Sento che manca, anche se pensavo peggio. L’idea di questi giorni è quella di cercare una fuga giusta nelle prossime tappe e magari andare a caccia di una vittoria.

Ti vedremo quindi al Tour de France o direttamente alla Vuelta, che era già in programma?

Ho dovuto rivedere il mio calendario dopo la sosta. Le Ardenne e il Giro d’Italia erano obiettivi che sono saltati. Ovviamente il Tour mi piacerebbe farlo, ma ancora non abbiamo preventivato nulla. Vediamo come esco dal Delfinato. In ogni caso anche se dovessi correre solo la Vuelta prima ci sono tante gare a luglio e agosto in cui fare bene e trovare risultati.

A proposito di obiettivi, immaginiamo che il campionato italiano lo sia. D’altronde con il successo di Barcellona hai rotto il ghiaccio con le corse importanti…

Quella vittoria (settima ed ultima tappa della Volta a Catalunya, ndr) è stata una bella soddisfazione quanto inaspettata. Mi ha dato qualche consapevolezza in più nei miei mezzi. Ho visto l’altimetria del percorso degli italiani in Puglia e si addice molto alle mie caratteristiche. Ripeto, vediamo come esco dal Delfinato ma un pensierino ce lo sto facendo, eccome.

Alaphilippe, via all’operazione Tour con qualche domanda

07.06.2022
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Sono passati 47 giorni dalla caduta di Julian Alaphilippe alla Liegi-Bastogne-Liegi e dal suo ricovero all’ospedale di Herentals, la città di Van Aert. Era il 24 aprile e il colpo fu violentissimo. Il campione del mondo finì contro un albero a circa 70 all’ora e il colpo fu così violento che il francese riportò la frattura di una clavicola e di due costole, oltre a un emopneumotorace (un versamento di sangue tra il polmone e la parete del torace). La sua compagna Marion e il figlio Nino furono costretti a raggiungerlo in Belgio, dato che Julian non era ancora in grado di viaggiare. Poi le cose hanno iniziato a risolversi con la velocità tipica dei corridori.

E’ il 24 aprile, Romain Bardet scende nella scarpata per soccorrere Alaphilippe (immagini televisive)
E’ il 24 aprile, Romain Bardet scende nella scarpata per soccorrere Alaphilippe (immagini televisive)

Dai rulli all’altura

Il 12 maggio infatti, leggendo le cronache de L’Equipe, Alaphilippe ha fatto sapere che il pneumotorace si era completamente risolto e che avrebbe potuto riprendere ad allenarsi in modo blando sui rulli. Questa fase è durata il minimo indispensabile. Infatti dopo pochissimo tempo, Alaphilippe è sceso dai rulli ed è tornato su strada. Al punto che i medici della Quick Step hanno dato il via libera per la partecipazione dell’iridato al training camp in altura di Sierra Nevada di fine maggio (foto Instagram di apertura).

«Sono super felice di essere qui – ha detto dopo il primo allenamento con Senechal e Jakobsen – fa bene al morale tornare in mischia. Il mio programma è piuttosto leggero rispetto agli altri, i carichi di lavoro sono completamente diversi. Devo attenermi a questo, è importante non esagerare. Faccio principalmente uscite di resistenza. Non posso fare sprint e sforzi violenti. Bisognerà vedere come si evolverà la situazione. Per ora non so quando tornerò in gruppo, ma sono felice».

I medici della Quick Step hanno dato via libera ad Alaphilippe, visti i suoi miglioramenti (foto Instagram)
I medici della Quick Step hanno dato via libera ad Alaphilippe, visti i suoi miglioramenti (foto Instagram)

Porte aperte al Tour

La pagina Tour de France va aperta con cautela. Se il recupero proseguirà senza intoppi, il francese potrebbe essere in tabella per arrivare al primo luglio nelle condizioni giuste. Ma come è facile intuire, ogni cosa dovrà procedere senza il minimo intoppo.

«Non si può escludere che ci siano complicazioni – dice Lefevere, consapevole delle differenze di un Tour con o senza la maglia iridata in gruppo – ma deve rimanere cauto. Terremo aperte le porte del Tour fino all’ultimo momento, ma Julian non può fare miracoli. Anche se tutto va bene, sarà limitato».

Motivazioni a mille

I corridori allontanano i limiti e alzano l’asticella. L’esempio di Bernal è ancora davanti agli occhi e anche se non è sempre rose e fiori, abbiamo imparato che la giusta mentalità permette di spianare anche gli ostacoli più alti.

«Mi sto allenando tranquillamente – dice Alaphilippe – e senza stress, ma sempre con l’idea di partecipare al Tour. Se ci riuscirò, la mia condizione non sarà certamente ottimale e la preparazione diversa dal solito, ma non è questa la cosa più importante. Ho recuperato velocemente e bene, ho ripreso abbastanza presto a pedalare e fare il Tour è un obiettivo che mi motiva molto. Questo è essenziale».

Al Tour 2021 un giorno in maglia gialla, poi presa da Van der Poel
Al Tour 2021 un giorno in maglia gialla, poi presa da Van der Poel

Punto a fine giugno

Non ci sono date previste per il recupero. Inizialmente Julian aveva previsto di rientrare al Delfinato e poi sarebbe andato in ricognizione su alcune tappe del Tour, prima di partecipare ai campionati nazionali.

«Ma giugno è arrivato troppo in fretta – ha detto Lefevere – Julian ha un grande morale, le sue ferite si sono rimarginate in fretta, ma nessuno è in grado di dire quando tornerà in gara».

Il Delfinato intanto è partito senza di lui, il campionato nazionale sarà un’importante verifica. Se dovesse saltarlo, anche il Tour sarebbe necessariamente a rischio. In caso contrario, lo vivrà come importante verifica, prima di prendere la decisione definitiva.

Svrcek ai box. La sfortuna rallenta il passaggio alla Quick Step

07.06.2022
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Nella ormai annosa diatriba di vedere passare professionisti troppo presto tanti giovani, a metà del guado c’è anche Martin Svrcek (in apertura, foto facebook Biesse-Carrera) che l’anno scorso ha dominato la categoria juniores in Italia col Team Franco Ballerini. Per lui si erano spalancate subito le porte dei big con un rapido passaggio intermedio tra gli U23.

Lo slovacco classe 2003 ha già in tasca un contratto con la Quick Step-Alpha Vinyl fino al 2024 e dal prossimo 1° luglio dovrebbe passare con la formazione belga e finora ha corso con la Biesse-Carrera, la squadra in cui è stato “parcheggiato”. Non un’operazione però come quella del Team UAE Emirates con Ayuso alla Colpack-Ballan l’anno scorso. A differenza dello spagnolo, per Svrcek oltretutto non è stato un periodo semplice, specie se di mezzo ci si mette anche la malasorte.

Caduta e clavicola rotta

Nemmeno il tempo di festeggiare l’unico squillo messo a segno lo scorso 14 maggio a Cerreto Guidi – un incoraggiante terzo posto ne “La Medicea” dietro Parisini del Team Qhubeka e Busatto della General Store – che una settimana dopo, al termine della prima prova della Due Giorni Marchigiana (vinta dal suo compagno Belleri), si rompe la clavicola cadendo mentre stava raggiungendo l’hotel.

Infortunio a parte, sulla prima parte di stagione del talento nativo di Neslusa c’erano diverse aspettative e noi abbiamo voluto sentire Marco Milesi, il suo diesse ed uno che ha le idee ben chiare sul come far crescere i giovani.

Marco, partiamo dalla fine. Come sta Martin?

E’ stato operato, aveva una frattura scomposta. Tutto l’intervento è stato seguito dallo staff medico della Quick Step, che ha portato il ragazzo in Belgio. Ora dovrà fare 4 settimane di recupero anche se si sta già allenando sui rulli. E’ stata una caduta stupida, a traffico ancora chiuso, dovuta ad una sua distrazione. Peccato perché stava iniziando a far intravedere le sue qualità.

Com’era andato fino ad ora?

Ha risentito del salto di categoria. Anche lui aveva la maturità però con qualche difficoltà in più perché è iscritto in un liceo in Slovacchia e praticamente sosteneva corsi e verifiche on line, attraverso le piattaforme attuali. Sin dai primi nostri ritiri in Spagna a gennaio, doveva studiare e collegarsi. Dal punto di vista mentale non era libero completamente, ma ci sta. Ne ho visti tanti, i primi anni vanno aspettati anche se arrivano con l’etichetta del campione.

In cosa deve migliorare e in cosa è già pronto?

Martin è un corridore forte, dotato di una grande fisicità ed esplosività. Ha caratteristiche da uomo da classiche perché è decisamente veloce e tiene bene su strappi e salite corte. E’ ancora ben strutturato, ma sono certo che con lo sviluppo fra qualche anno perderà qualche chilo e si definirà, magari puntando a gare più dure. Gli manca l’esperienza, chiaramente, in questi 5 mesi non siamo riusciti a capire pregi e difetti. Non lo abbiamo inquadrato del tutto…

Come mai?

Perché a dire il vero è stato prevalentemente seguito dai tecnici della Quick Step. Con noi ha fatto periodi corti e in pratica veniva solo a correre, mettendosi a disposizione dei compagni.

Certo che così diventa difficile far crescere un ragazzo…

Un po’ sì. Infatti anche a Bramati, che mi chiede sempre un parere su di lui, rispondo che posso dargli pochi riscontri. Anzi, forse sono loro che ne devono dare a noi (sorride, ndr). A parte questo, ci piacerebbe se potesse rimanere alla Biesse Carrera fino alla fine della stagione. Però so che ci sono equilibri contrattuali e non che devono essere rispettati. Vedremo quando rientrerà dall’infortunio.

Martin Svrcek impegnato al Giro di Sicilia, corsa a tappe in cui si è confrontato con i professionisti (foto instagram)
Martin Svrcek impegnato al Giro di Sicilia, corsa a tappe in cui si è confrontato con i professionisti (foto instagram)
Secondo te è una forzatura voler far passare tutti questi giovani?

Onestamente sì. Ritengo che ogni ragazzo abbia la sua crescita graduale, come ha detto Alfio Locatelli, che ho avuto come corridore alla Trevigiani, nella sua intervista di qualche giorno fa. Per me almeno tre anni nei dilettanti vanno fatti e poi puoi vedere cosa si ha in mano. Gente come Sagan, Pogacar ed Evenepoel sono eccezioni. Ci vuole un passaggio progressivo, come è stato per Colleoni, Cattaneo, Ballerini o Almeida. Tutti ragazzi che ho allenato, che avevano grande talento ma ciascuno con la sua maturazione. Ed ora sono grandi corridori.

C’è il rischio che queste generazioni corrano poco e in modo troppo intenso?

Per me sì. Dico da un po’ che i ragazzi di adesso difficilmente avranno carriere da 15 anni nei professionisti come ho fatto io o i miei ex compagni. Io avevo fatto 4 anni da dilettante passando a 24, con un bagaglio di esperienza piuttosto completo. Invece ora sono sotto stress da allievi, corrono troppo. Figuriamoci poi da junior e U23. Arrivano pro’ che sono già sfiniti o quasi. Questa è una tendenza pericolosa anche sotto il punto di vista psicologico. D’accordo volere il campione, ma saremmo contenti di avere tanti corridori che magari smettono a 28 anni? Non so, spero di sbagliarmi ma dobbiamo fare attenzione.

Leoncini pronti, Tour in vista. Da domani via al Delfinato

04.06.2022
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Neanche il tempo di archiviare il Giro d’Italia che in qualche modo ecco profilarsi il Tour de France. Da domani infatti scatta il Criterium du Dauphiné, il Delfinato, storico antipasto della Grande Boucle. Cambiano quindi i peluches: dai ghiri ai leoncini! Via la maglia rosa ecco quelle gialle.

Al via ci sono gran parte dei campioni che vedremo al Tour. A cominciare da Primoz Roglic, ma ci sono anche dodici italiani. E tra loro c’è Mattia Cattaneo, che mancava un po’ dalle corse e eravamo curiosi di sentire.

Otto tappe

Prima però una panoramica del percorso.

Saranno otto, come di consueto, le frazioni del Delfinato. E saranno anche piuttosto impegnative. Mosse le prime tappe, una crono, che di questi tempi si potrebbe definire “maxi”, nel mezzo e due tapponi con tanto di Col du Galibier (anche se ad inizio tappa).

In tutto ci saranno da affrontare 1.194,4 chilometri, pari ad una media di 149,3 chilometri a tappa.

Di pianura però non ce ne sarà quasi mai. Avere una buona gamba è vitale, anche per continuare “a fare gamba”, altrimenti il Delfinato rischia di diventare un boomerang tremendo. Visti i ritmi e visto che per molti corridori si tratta dell’ultimo banco di prova per poter essere schierati poi al Tour, tutti hanno il coltello tra i denti.

Mattia Cattaneo in azione nella crono del Romandia. Il lombardo aspetta la quarta tappa di questo Delfinato
Mattia Cattaneo in azione nella crono del Romandia. Il lombardo aspetta la quarta tappa di questo Delfinato

Cattaneo presente

Come detto ci sarà Mattia Cattaneo. Il corridore della Quick Step-Alpha Vinyl sarà una delle nostre punte per la classifica. Si dividerà questo ruolo con Damiano Caruso. Chissà come interpreterà la corsa il siciliano? Di certo Cattaneo avrà le sue possibilità.

«In questo Delfinato – dice Cattaneo – abbiamo più o meno tutti carta bianca in squadra. Da parte mia nei primi tre giorni cercherò di stare attento e di non perdere terreno, poi dopo la crono vedremo.

«Vediamo se fare classifica. Nel caso fossi andato bene sino a quel punto… okay, altrimenti non avrebbe senso tenere duro. Fare classifica per me significa puntare ad una top dieci. Intanto partiamo, poi vediamo. E’ un mese abbondante che non corro.

«Nella crono però vorrei fare bene. Ci tengo davvero, ci ho lavorato molto, la squadra anche ci ha investito parecchio e ha creduto in me».

Cattaneo ci racconta che è soddisfatto comunque della sua condizione, si sente bene. E’ stato un mese in altura, sul Passo Bernina luogo da veri eremiti!

«Sinceramente le sensazioni sono buone e io mi sento fiducioso. Certo, rientrare al Delfinato non è facile. A detta di tutti è una delle corse più dure dell’anno, il livello è molto alto. Io sono qui per fare bene, per puntare poi a fare un bell’italiano e per guadagnarmi un posto per il Tour.

«La squadra non è ancora stata fatta e spero di esserci. Se dovessi andare alla Grande Boucle la interpreterei come lo scorso anno. E la prima cosa sarebbe quella di aiutare la squadra. Poi se dopo metà Tour dovessi trovarmi in buona posizione cercherei di tenere duro per la classifica. Però non ci partirei apposta. Non vorrei precludermi neanche le possibilità di lottare per una tappa».

Superato il problema al ginocchio, Roglic è pronto a dare battaglia
Superato il problema al ginocchio, Roglic è pronto a dare battaglia

Roglic già in fuga

E poi c’è una lunga, lunghissima fila di corridori molto agguerriti. Partiamo da Roglic e dalla sua Jumbo-Visma che schiera anche Jonas Vingegaard, secondo a Parigi lo scorso anno. Roglic ha saltato la Liegi per un problema al ginocchio. Voci a lui vicine ci avevano detto, già prima del Giro, che tutto era rientrato e che lo sloveno si stesse allenando alla grande.

E lo sloveno è il favorito anche per Cattaneo: «Sicuramente è lui il numero uno. E poi basta vedere la Jumbo che squadra ha portato per capire che non sono venuti a fare una passeggiata. Più o meno è la squadra del Tour. Ma in generale il livello è alto. Tolto Pogacar ci sono praticamente tutti».

Ben O’Connor sarà il capitano dell’Ag2R-Citroen al Delfinato
Ben O’Connor sarà il capitano dell’Ag2R-Citroen al Delfinato

Outsider di lusso

Così come Enric Mas, atteso al definitivo salto di qualità. Discorso simile per David Gaudu e se vogliamo anche per O’Connor dell’Ag2R-Citroen, lo scorso anno vincitore della tappa di Tignes e corridore sul quale puntano molto.

Ci sono poi i cacciatori di tappa. Lo scorso anno il Delfinato aprì definitivamente le porte dell’Olimpo a Sonny Colbrelli che raccolse molto meno di quel che fece e poteva: una tappa, ma potevano essere tre… tranquillamente.

Si rivede anche Mark Padun. L’ucraino sin qui ha inanellato appena 12 giorni di corsa, però cogliendo una vittoria a crono.

E parlando di crono, come non pensare a Filippo Ganna. Pippo sarà al via da La Voulte-sur-Rhone, le grand depart del Delfinato. La quarta tappa è un invito a nozze per lui. Un test in vista della crono di Copenaghen dove in ballo ci sarà la maglia gialla, obiettivo dichiarato da tempo.

Non dimentichiamo anche Antonio Tiberi, iridato juniores contro il tempo nel 2019.

Andare forte ovunque (non) va sempre bene, vero “Ballero”?

31.05.2022
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Davide Ballerini è stato uno dei protagonisti “all round” di questo Giro d’Italia. E’ andato forte dappertutto. Dalla pianura al mare. Dall’Ungheria alle Dolomiti. Fu Mark Cavendish stesso a ringraziarlo pubblicamente sulle sponde del Lago Balaton per la quantità e la qualità del lavoro svolto ai fini del suo successo. E nel giorno del Passo Fedaia, era ancora davanti a spingere. 

A spingere anche se di certo quella della Marmolada non era la “sua” tappa. Sembrava quasi fosse un peccato sprecare quella buona condizione. Un peccato non sfruttare tutta quella gamba. E allora tanto valeva provarci, anche se sapeva che non ce l’avrebbe fatta.

Davide Ballerini (classe 1997) è alla terza stagione nella Quick Step-Alpha Vinyl
Davide Ballerini (classe 1997) è alla terza stagione nella Quick Step-Alpha Vinyl
Davide, come archivi il tuo Giro?

Mi dispiace di non aver vinto una tappa, questo è poco ma sicuro. Purtroppo ho passato la prima settimana e mezza con le gambe che non erano delle migliori. Le ho ritrovate verso la fine. Ma verso la fine le tappe erano veramente dure per me. Quindi – allarga le braccia – questo è quanto.

Nel giorno del Fedaia e anche verso Castelmonte hai fatto un super lavoro, col senno del poi sarebbe potuta andare diversamente spendendo meno?

Sì, potrebbe essere andata diversamente, ma io non starei a ripensarci troppo. Come ho detto, erano troppo dure per me tutte quelle salite, soprattutto l’ultima, il Fedaia, con le sue pendenze accentuate. Lì, il mio peso lo sento. Ho cercato di dare il massimo per Vansevenant, ma purtroppo lui non ha avuto una buona giornata. E’ andata così. L’importante è esserci, averci provato e aver avuto la gamba. E la stessa cosa vale con Mauro (Schmid, ndr), purtroppo questo è il ciclismo.

Quando vedi che riesci a fare delle ottime prestazione su percorsi che non sono i tuoi, cambia qualcosa nella tua testa? Si allarga lo spettro delle gare a te congeniali?

Dipende sempre da cosa prepari: una classica, una corsa in salita… Mi ricordo che l’anno scorso ad inizio stagione, quando pensavo alle classiche, ero sugli 80-81 chili, ma vincevo lo stesso. Sì, si può dire che sono aperto a molti tipi di percorso, ma non su quelli più specifici (tipo una tappa super piatta, o una di salita, ndr).

Nelle tappe finali Davide è andato in fuga in appoggio ai compagni, mostrandosi competitivo anche in salita. Alla sua ruota Vansevenant
Nelle tappe finali Davide è andato in fuga in appoggio ai compagni. Alla sua ruota Vansevenant
Appunto, vai bene ovunque…

Magari vado meglio in tappe un po’ mosse, però il problema è proprio questo: che vado forte un po’ ovunque. Per corridori come me, “mezzo e mezzo”, non è mai facile vincere. Se sei un velocista puro, dici: “okay, faccio la volata”. E nell’80-90% dei casi vinci e poi puoi recuperare. Se sei uno scalatore, se hai i watt giusti nelle gambe, prendi la salita, rispetti i tuoi parametri e sei certo di restare davanti. Uno come me invece deve cogliere l’attimo, deve stare bene al momento giusto e tutto è più complicato. Deve avere la giornata perfetta.

In effetti…

E anche nella fuga, devi avere la fortuna di trovare gli uomini giusti. Insomma non dipende del tutto da te. Non è facile.

Però in questi casi “ride” il team, che sa di avere l’uomo squadra perfetto…

Eh sì, la squadra ha sempre il jolly da giocarsi, ha la seconda carta, quella di riserva…

A Messina, senza Cav stanco per il forte ritmo sulle salite precedenti, Ballerini ha fatto la volata. Eccolo alla destra di Demare
A Messina, senza Cav stanco per il forte ritmo sulle salite precedenti, Ballerini ha fatto la volata. Eccolo alla destra di Demare

Specializzazione: bene o male?

Non sprizzava gioia il “Ballero” a Verona. Ed è comprensibile. Anche i percorsi, quando sono stati mossi forse restavano duri. Per uno come lui, la sola vera carta buona da spendere poteva essere nel giorno di Jesi, quando ha vinto Girmay. O Napoli, ma ci sta che un giorno non si riesca a prendere la fuga. O che, come ha detto lui stesso, nella prima parte di Giro non era brillante.

In ogni caso, parliamo di una tappa o due su 21. Sono i “problemi” del ciclismo moderno. Super specializzato.

Però è un peccato che un atleta come lui non abbia potuto avere più spazio. Davide si è mostrato generoso come pochi. E’ stato gregario anche nella fuga. E’ successo a Genova, a Castelmonte e sulla Marmolada. E negli altri giorni ha lavorato per Cav. Ha ragione lui, serve la giornata perfetta e soprattutto sapere cosa si sta preparando.

«Chi lo sa – conclude il “Ballero” – la ruota gira… L’importante è esserci… sempre».

Dopo la Liegi, Evenepoel riparte allo stesso modo: vincendo!

28.05.2022
5 min
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Ha metabolizzato la vittoria di Liegi. Si è allenato. E quando ha ripreso a correre, Remco Evenepoel è ripartito allo stesso modo: vincendo. Lo ha fatto nella tappa di apertura del Tour of Norway, che partiva dalla stessa Bergen dei mondiali, e poi nella terza, conquistando la maglia di leader.

«E’ stata una giornata fredda e dura – ha detto dopo la prima vittoria – abbiamo avuto temperature basse, pioggia e persino un po’ di vento. I miei compagni hanno controllato perfettamente la corsa e hanno giocato un ruolo importante per il mio successo. Sono felice di essere tornato alle competizioni con una vittoria e felice di aver avuto le gambe per fare la differenza quando contava. E’ sempre bello iniziare una gara in questo modo, soprattutto se penso che questa è la prima volta che vinco uno sprint in salita».

Uijtdebroeks cresce

Cian Uijtdebroeks è rimasto a guardarlo, chiedendosi se non sia davvero troppo ardito l’accostamento fatto dai media fra lui e il corridore della Quick Step-Alha Vinyl.

«Evenepoel – dice – ha appena fatto a pezzi il gioco. Ide Schelling e Marco Haller mi hanno posizionato bene negli ultimi chilometri verso la salita e il gruppo si è assottigliato rapidamente. Sono stato in grado di seguire i primi attacchi, ma quando Remco ha attaccato ha fatto male. In realtà mi sentivo abbastanza bene e insieme a Chavez sono riuscito a trovare il mio ritmo. Abbiamo recuperato alcuni corridori e alla fine siamo scattati per il quarto posto. A dire il vero, alla fine ho sofferto un po’ e sono arrivato sesto. Ma sono molto contento di questo risultato e di questa prestazione». 

Remco ci riprova

A Remco non poteva bastare. E mentre è parso di rivedere il ragazzino che vince quando decide di farlo, il belga ha fatto sfogare i velocisti sul secondo traguardo (vittoria di Ethan Hayter) e nella terza tappa con l’arrivo in salita a Stavsro ha colpito nuovamente. Ha saputo leggere il vento e si è infilato in un ventaglio a 70 chilometri dall’arrivo. Il gruppo è andato in pezzi. Davanti sono rimasti 30 corridori. E dopo il lavoro di Asgreen, che l’ha portato ai piedi della salita finale, Remco ha attaccato.

«Sono felice – ha detto Evenepoel, che ha conquistato anche la maglia dei GPM e quella dei giovani – è stata una giornata piuttosto lunga, con vento contrario all’inizio, poi trasversale. Fortunatamente avevo Kasper con me e voglio ringraziarlo per il suo lavoro. Quando ho attaccato, non sapevo quanto fossimo lontani dal traguardo, ma stavo bene e ho continuato ad andare avanti.  Mi sono sorpreso di come hanno risposto le gambe. E’ stato uno sforzo lungo, ma alla fine della giornata sono felice per la vittoria e per i distacchi in classifica».

Finale in controllo?

Evenepoel ora ha un vantaggio di 46 secondi su Jay Vine nella classifica generale, un margine solido che gli permetterà di gestirsi nelle due tappe che restano, piene di strappi, ma senza salite significative.

«Vincere con un grande vantaggio a Stavsro – dice – era la mia idea per essere poi capace di controllare la corsa. Durante la salita finale ho cercato di rendere la vita il più dura possibile per i miei avversari, anche se è stata molto dura anche per me. Ho approfittato del vento per spingere al massimo e sono felice di esserne uscito con un tale vantaggio. Sono molto soddisfatto della mia prestazione. Le tappe che restano sono molto difficili, ma ovviamente è più facile partire con la maglia di leader. Dovremo stare svegli, il vento è abbastanza forte e continua a essere l’insidia principale di queste tappe».

Cavendish sotto scorta… anche nei tapponi

19.05.2022
4 min
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Non solo ieri in pianura, non solo nel vento, Mark Cavendish è supportato dai compagni anche nelle tappe di salita. E questo supporto ha anche una grande valenza psicologica. Il velocista sente la fiducia della squadra.

Ma in questa circostanza non vogliamo tanto parlare della fiducia, quanto del supporto tecnico e se vogliamo fisico, che la Quick Step – Alpha Vinyl offre al suo leader. Ne parliamo direttamente con Davide Bramati, diesse ormai storico alla corte di Lefevere.

Scherzando, si potrebbe dire che Cav sia scortato anche sul palco del foglio firma!
Scherzando, si potrebbe dire che Cav sia scortato anche sul palco del foglio firma!

Due uomini per Cav

Anche l’altro giorno, sull’arrivo del Blockhaus, Cav ha tagliato il traguardo scortato da due compagni. Sono arrivati proprio appaiati. Nessun altro team è stato così compatto nel vero senso della parola.

«Studio queste situazioni nelle quali Mark va in difficoltà o può andare in difficoltà – spiega Bramati – ma per fortuna negli ultimi giorni si è visto che il gruppetto è molto grande e questo semplifica le cose. Di certo Mark non può restare solo. Per questo gli metto sempre a disposizione almeno due uomini. Per adesso sono stati Bert Van Lerberghe e Pieter Serry (nella foto di apertura con l’inglese, ndr), doveva esserci anche Morkov ma lo abbiamo perso da qualche tappa. Ma in generale direi che la squadra si sta muovendo bene».

Verso il Blockhaus velocisti “tranquilli”: erano tanti, tutti insieme e con un ampio tempo massimo a disposizione
Verso il Blockhaus velocisti “tranquilli”: erano tanti, tutti insieme e con un ampio tempo massimo a disposizione

Se c’è subito salita

Portare un velocista all’arrivo in un tappone di montagna non è mai facile, soprattutto se in partenza c’è una salita, come è stata quella del Macerone domenica scorsa. Dare tutto per tenere è pericoloso, si rischia di andare subito in acido lattico e di accumulare minuti su minuti. 

«Cerchiamo di gestirci in base al percorso – spiega Bramati – per esempio, l’altro giorno sul Macerone sapevamo quanto potevamo perdere perché poi ci sarebbe stato dello spazio per rientrare. La squadra si è ben regolata senza spendere poi troppo».

«Ma come ho detto – continua – la fortuna è che non è stato il solo Mark a rimanere indietro. Oltre a lui c’erano anche Nizzolo, Ewan, Demare… tutti con i rispettivi gregari. Era un bel drappello e anche se il gruppo non si fosse “fermato” subito, ma più avanti, come nella tappa di Potenza, quando la fuga ha impiegato 75 chilometri per andare via, ci sarebbe stato tempo per rientrare prima del Passo Lanciano».

«E poi potrà sembrare un paradosso, ma in salita il velocista in linea di massima cerca di risparmiarsi. Anche io quando ero corridore, ricordo che si andava regolari in salita e poi si spingeva forte in discesa e in pianura. In questo modo si restava tutti insieme. E più il gruppetto è grande e più c’è poi la possibilità di fare velocità, girando tutti insieme e restando così nel tempo massimo».

«A proposito… Nelle prime frazioni di montagna – continua Davide – eravamo abbastanza tranquilli visto che era ampio: 45′ una volta e quasi un’ora la seconda. Ci si stava dentro “bene”. Sul Blockhaus potevamo anche andare più piano (quel giorno lo hanno rispettato per 13′, nonostante Cavendish e compagni abbiano incassato 42′, ndr). 

«E poi tutto è sempre sotto controllo. Le nostre macchine che sono a bordo strada prendono i distacchi e noi di continuo facciamo i nostri calcoli. Questo ci consente di regolarci sul ritmo».

L’inglese in verde, scortato da tanti compagni sulle montagne del Tour 2021: operazione riuscita
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Maglia ciclamino?

Durante l’ultimo Tour de France avevamo visto la Quick Step fare quadrato attorno a Cavendish. In quel caso c’era da portare a Parigi la maglia verde della classifica a punti. Un onore, ma anche un “fardello” in più.

«Adesso arrivano tante tappe dure – continua Bramati – il caldo penso si farà sentire e se sarà così anche sulle salite lunghe sarà tosta per tutti. Specie se le temperature, come sembra, dovessero aumentare ancora.

«Per la maglia a punti il gap è ancora ampio. Noi per adesso pensiamo alle tappe che ci possono vedere protagonisti e non ci guardiamo. Mark può vincere ancora. Alla seconda vittoria di Demare c’è stato uno sbandamento nelle posizioni di testa e questo non ha consentito a Bert di fare il suo lavoro e Morkov è dovuto rimontare da dietro. Nonostante ciò Mark ha fatto terzo. Cavendish però, maglia ciclamino o no, è qui per arrivare arrivare a Verona».

E Bramati e la Quick Step Alpha Vinyl faranno di tutto per portarlo nell’Arena.

Balatonfured: Cav esulta, ma il numero lo fa Ballerini

08.05.2022
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«L’uomo del giorno è Davide Ballerini», ha detto Mark Cavendish al microfono di Stefano Rizzato della Rai, appena terminata la corsa. Per l’ex iridato è la vittoria numero sedici al Giro d’Italia, la prima dopo nove anni. Sul velocissimo rettilineo di Balatonfured infila Demare e Gaviria, grazie ad un lavoro da manuale di Davide Ballerini, che spiana lo sprint a Cav stesso e ai suoi compagni del treno.

Giornata strana oggi, la terza ed ultima in Ungheria. La fuga va via subito. Di nuovo Bais e Taliani ad animarla e con loro stavolta c’è Rivi. Non c’è battaglia. Il gruppo ragiona sin troppo, sapendo che si arriverà in volata e li lasciano andare alla prima occasione.

Calma apparente

Però non è una frazione facile. Ed è anche beffarda. Quasi “pianura francese”, si potrebbe dire, con tanti saliscendi, vento in qualche punto e un lungo preludio al caos esplosivo dei venti chilometri finali.

Ma solo l’elicottero, ancor più della linea d’arrivo può descrivere la portata della volata di questo pomeriggio al Giro. Nel chilometro finale c’è stato un continuo rimescolamento delle carte.

In questo rimescolamento che vi dicevamo, la Quick Step – Alpha Vinyl e Cavendish sono stati gli unici a mantenere la barra dritta, merito appunto soprattutto di Davide Ballerini.

Il comasco entra in scena a 1.500 metri dall’arrivo. In quel momento il gruppo è aperto in due. Due treni sui lati della strada. Davide porta fuori al centro quello della Quick Step. Lo fa con una potenza straordinaria. Tanto da farlo sembrare facile.

«Ci voleva per Cavendish e per noi – commenta a caldo Ballerini – Sono stato bravo? Beh, ho fatto quello dovevo fare. Sono davvero felice perché se un compagno come Cav dice queste cose è perché è soddisfatto di come ho lavorato, è consapevole di ciò che ho fatto e ancora di più è consapevole della propria condizione.

«Sì, ci serviva proprio questa vittoria. Serve per il momento e per il resto del Giro. E si vedrà quel che potremmo fare quando rientreremo in Italia».

La grinta di Davide Ballerini, oggi decisivo per Cavendish
La grinta di Davide Ballerini, oggi decisivo per Cavendish

L’uomo del giorno

Ballerini racconta poi di come si sia arrivati ad un lancio pressoché perfetto dello sprint. Uno sprint che Bramati e i suoi ragazzi avevano ben in mente. E che di fatto è partito in modo definitivo prima del Gpm vinto da Eenkhoorn, anche se magari non si vedeva.

«Abbiamo organizzato un grande treno. Eravamo tutti lì nello stesso momento – riprende Ballerini – Per fortuna che ho trovato spazio per passare appena prima della rotonda a un chilometro e mezzo dall’arrivo (fortuna? Aveva un velocità altissima, ndr). Non so a quanto andassi, ma credo oltre i 60 all’ora perché giravo bene il 54×11».

«Però noi quattro (Cavendish, Ballerini, Morkov e Van Lerberghe, ndr) ci tenevamo sott’occhio. Ci vedevamo e sapevamo che saremmo stati noi gli uomini decisivi. E in questo caso l’unione fa la forza. Dopo che mi sono spostato, nel caos, ho cercato di guardare la volata dal tabellone, ma non ho fatto in tempo. Poi quando ero ai 100 metri, per radio ho sentito che hanno iniziato ad esultare e ho capito che Cav aveva vinto. Però un po’ lo vedevo che era davanti».

Ballerini ha davvero finito da poco la tappa. E’ vero, è stato lui l’uomo del giorno. Tornando al discorso dell’elicottero si è vista nettamente la sua progressione e come la sua manovra di fatto abbia disegnato tutta la volata.

«Forse non mi rendo conto. Sto ancora cercando di rivederla. Però come ho detto è stata un bella giornata. E poi stranamente oggi Mark era tranquillo. Di solito quando sta bene e vuol vincere è sempre nervoso. Invece in gruppo nei momenti in cui siamo andati piano, abbiamo chiacchierato, abbiamo riso. Questo vuol dire che è sereno perché non è mai facile sbloccarsi nei grandi Giri».

Mareczko gamba e rimpianti

Ma per un Cavendish che alza le braccia al cielo c’è chi invece si porta dietro qualche rimpianto. Non tanto per non aver vinto, ma per non essere riuscito ad esprimere tutto il proprio potenziale.

Jakub Mareczko e Biniam Girmay ne sanno qualcosa. L’italiano più dell’eritreo. Entrambi infatti, più volte sono stati costretti a smettere di pedalare chiusi com’erano. Girmay anche per sue scelte di traiettoria, Jakub invece perché era stretto alle transenne: risalendo da dietro non aveva spazio. Ciò nonostante ha rimontato in modo feroce.

«Sono contrariato – ammette con tono deluso Mareczko – abbiamo lavorato tutto il giorno con un uomo là davanti, poi anche la Quick Step ci ha dato una mano. E avevamo lavorato bene anche nel finale. Eravamo tutti in testa al gruppo. Van der Poel doveva tirarmi la volata, ma all’ultima rotonda qualcuno mi ha buttato fuori. Così ho perso le ruote di Mathieu e sono stato costretto a risalire».

Un vero peccato per “Kuba”. In effetti la Alpecin-Fenix era la squadra più numerosa. Il  suo treno era composto da ben sette uomini a due chilometri dalla fine e Jakub aveva un apripista d’eccezione, VdP appunto. Uno che quasi avrebbe potuto vincerla questa volata.

«Sì – riprende  Mareczko – i programmi erano che Mathieu mi tirasse lo sprint e così sarà anche nei giorni a venire. Le volate le faccio io. Mi dispiace perché stavo bene. La gamba c’è, ma ritrovarsi indietro ai 900 metri e risalire significa buttare tutto all’aria».

Ancora un bagno di folla per la corsa rosa. Si chiude così una bella tre giorni in Ungheria
Ancora un bagno di folla per la corsa rosa. Si chiude così una bella tre giorni in Ungheria

Ciao Ungheria

Il Giro d’Italia saluta così l’Ungheria. A parte l’interpretazione della corsa di oggi, un po’ troppo razionale e per questo lasciva, nel complesso si riparte con un gran bell’inizio: tre vincitori di spessore, tre gare adrenaliniche e, lo diciamo di nuovo, un super bagno di folla.

Speriamo che da martedì ci sia lo stesso entusiasmo anche sulle nostre strade.

E adesso sotto con l’Etna.