Magagnotti, sguardo al 2025 rivivendo una stagione d’oro

08.11.2024
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Novembre è tempo di bilanci e, nel caso di Alessio Magagnotti, anche di bilancia per misurare il peso di vittorie e medaglie conquistate. La sua prima stagione da juniores con le maglie della Autozai-Contri e della nazionale ha avuto un crescendo strepitoso.

Il trentino di Avio – che farà diciotto anni il prossimo 27 gennaio – non sembra patire quasi mai il salto di categoria, mantenendo una media “realizzativa” molto alta. Da esordiente ad oggi, con le otto di quest’anno, sono 51 le vittorie totali ottenute su strada. Numeri importanti da prendere sempre con le pinze quando si parla di giovani, soprattutto per non creare aspettative spropositate, però è conclamato l’interesse già piombato su Magagnotti da parte di formazioni pro’. Con lui ci eravamo lasciati prima che iniziasse ad inanellare ori continentali e mondiali in pista col quartetto con tanto di record del mondo, conditi dal bronzo nell’inseguimento individuale.

Giusto il tempo di riprendere il ritmo di casa dopo le vacanze a Tenerife con la fidanzata Linda Sanarini – altra junior azzurra plurimedagliata – dove hanno incontrato tanti amici-colleghi, che Alessio è pronto a guardare al 2025. Poche parole, pragmatiche e spazio ai fatti.

Magagnotti è rientrato dai mondiali in pista a Luoyang in Cina con un bel bottino e il record del mondo col quartetto (foto Autozai)
Magagnotti è rientrato dai mondiali in pista a Luoyang in Cina con un bel bottino e il record del mondo col quartetto (foto Autozai)
Alessio riavvolgendo il nastro, che annata è stata in generale?

Sono partito in sordina, anzi direi non benissimo. Mi sentivo gli occhi puntati addosso per le stagioni precedenti, però col passare del tempo non ci ho fatto più caso. Sono caduto in qualche gara, poi ad inizio aprile al GP del Perdono mi sono sbloccato cogliendo il secondo posto. Da lì in avanti è andata sempre meglio su strada, lavorando anche per i compagni. Anche in pista è andata bene. All’europeo di Cottbus abbiamo vinto l’oro col quartetto, ci siamo ripetuti ai mondiali in Cina dopo un bel lavoro in altura a Livigno. Alla fine direi che è stata una stagione buona, a parte qualche passaggio a vuoto e che non l’ho finita al meglio.

Per quale motivo?

Sicuramente ho del rammarico per alcune gare. Al campionato italiano a crono speravo di fare meglio dell’ottavo tempo, ma arrivavo da un periodo di stop per recuperare dopo essermi ammalato al Saarland con la nazionale. Anche all’europeo su strada in Limburgo avremmo potuto fare di più. Personalmente la condizione era buona, ma non abbiamo corso al meglio delle nostre possibilità. Infine ho dovuto chiudere la stagione forzatamente a metà settembre dopo una gara nel mantovano in cui si è riacutizzato forte un dolore alla schiena. In pratica ho la zona lombare scalibrata.

A cosa è dovuto?

In una delle prime gare dell’anno nella zona di Vicenza, sono caduto male picchiando la faccia. Da quel giorno in avanti ho sentito subito di non essere più a posto e forse non mi sono mai ripreso del tutto. Forse non ci ho dato troppa importanza perché non tutti i giorni mi faceva male, ho sempre corso sopportando il dolore. Verso la fine della stagione però era troppo forte e non riuscivo più ad esprimermi come volevo. Nei giorni scorsi sono stato in uno studio dentistico per prendere l’impronta per un bite. Portando quello dovrei sistemarmi e ritrovare il giusto bilanciamento.

Come ti sei trovato con gruppo azzurro?

Molto bene. Abbiamo ottenuti grandi risultati, ma altrettanti ci sono sfuggiti. In pista l’anno prossimo praticamente cambierà tutto il gruppo perché ero l’unico del primo anno. Su strada spero che sapremo correre meglio di squadra ed essere quindi più forti. Quando ci ritroveremo vedremo chi ci sarà, ma sono certo che non ci saranno problemi a trovare la giusta amalgama.

L’anno scorso avevi vinto l’argento al Festival Olimpico della Gioventù Europea, ma quest’anno com’è stato l’impatto con una vera esperienza internazionale?

Mi è servita per prendere ancora meglio le misure alla categoria. Tra gli juniores all’estero corrono davvero col coltello fra i denti come dicono tutti. Ho capito subito che gli avversari ti fanno la volata anche per il trentesimo posto.

Da questo primo anno da junior hai tratto altri insegnamenti?

Assolutamente sì. Ho capito che la gara non finisce finché non si taglia il traguardo. Prima davo certe cose per scontate, ma l’ho capito in prima persona. A fine aprile alla gara di San Leolino in Toscana ho ribaltato il risultato. In un tratto di sterrato mi ero staccato, pagando la mia ancora poca destrezza su quel fondo stradale. Ero demoralizzato e forse rassegnato ad un piazzamento, ma grazie agli incitamenti dei miei tecnici e anche un po’ a me stesso, sono riuscito a recuperare le posizioni e vincere la corsa.

Le voci di mercato parlato di te già in orbita WorldTour. Come gestisci questa situazione?

Ho imparato anche a controllare meglio certe pressioni, come ad inizio anno che avevo foga di fare e farmi vedere. E’ vero che ho avuto tante proposte da devo team dei WorldTour, ma non ho ancora firmato nulla e soprattutto devo ancora dimostrare tanto. Quindi sto con i piedi per terra.

Che obiettivi ha Alessio Magagnotti per il 2025?

La speranza è sempre quella di continuare a crescere e vincere. Mi piacerebbe mettere il sigillo alle corse più importanti, ma vorrei anche correre meglio sia individualmente che con la squadra, Autozai e nazionale. Ad oggi sono un passista-veloce che si trova a suo agio su falsopiani o strappi di un chilometro, però vorrei andare più forte su pendenze più dure. La mia volontà è anche quella di andare bene nelle gare del Nord.

Con Bragato nel 3’59″153 di Milan: record del mondo

25.10.2024
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Tre minuti, 59 secondi e 153 millesimi: è il tempo che vale il record del mondo fatto segnare da Jonathan Milan agli ultimi campionati iridati nell’inseguimento individuale a Ballerup, in Danimarca. Quattro chilometri filati via ad oltre 60 chilometri orari di media oraria: 60,260 per la precisione… con partenza da fermo! 

Di questo record parliamo con Diego Bragato, responsabile del Gruppo Performance della Federciclismo. Bragato è una delle colonne portanti dei successi della pista azzurra. Conosce i motori degli atleti forse meglio degli atleti stessi. E per questo possiamo anticiparvi che questo record non è stato poi così inaspettato.

Diego Bragato è il responsabile del gruppo perfomance della FCI
Diego Bragato è il responsabile del gruppo perfomance della FCI
Partiamo proprio da questo punto, Diego: ve lo aspettavate il record del mondo?

Diciamo che a Montichiari abbiamo lavorato con l’obiettivo della maglia iridata, in primis. Credevamo che il nostro primo rivale fosse Daniel Bigham e che il record potesse uscirci da questa sfida, tanto è vero che ci siamo allenati su quei tempi. Avevamo scelto di non far fare il quartetto a Milan proprio per concentrare tutte le energie sull’inseguimento individuale. E invece il ragazzino, Josh Charlton, al mattino ha un po’ stupito e spiazzato tutti abbassando lui il record di Filippo Ganna.

Una sorpresa che poteva anche destabilizzare voi e Milan soprattutto…

Infatti devo dire che Jonathan è stato bravo a non farsi influenzare dalla sua prestazione, sia per la sua prova, restando in tabella, sia nel resto della giornata. Non si è fatto ingannare da quel record in semifinale. Noi poi per la finale abbiamo ricalcolato la tabella.

Cosa intendi di preciso? Come si ricalcola una tabella?

Abbiamo rimesso tutto insieme: le sensazioni che ci aveva detto di aver avuto Jony, la temperatura e la conseguente scorrevolezza della pista, e soprattuto le pedalate che voleva avere Milan nel corso della prova. Così abbiamo individuato la cadenza ottimale dalla partenza in poi. Più che altro abbiamo lavorato, in base alle richieste di Milan, perché arrivasse il prima possibile alla cadenza desiderata. Tra qualifica e finale non abbiamo cambiato il rapporto. E poi chiaramente abbiamo impostato una tabella per il record del mondo. Visto quanto accaduto al mattino per vincere, quasi sicuramente, sarebbe servito il record.

Una volta capito come partire e individuata la cadenza: Villa e Bragato hanno messo giù una tabella di marcia da record del mondo
Una volta capito come partire e individuata la cadenza: Villa e Bragato hanno messo giù una tabella di marcia da record del mondo
Diego, parlaci meglio della cadenza. E’ molto interessante. Come s’imposta?

Noi siamo abituati con Pippo (Ganna, ndr) che va in progressione. Lui magari usa anche rapporti più lunghi rispetto a Milan e poi chiude forte. Pippo fa quel chilometro finale incredibile, va a prendere chiunque. In teoria, una volta lanciato potrebbe continuare per un’ora! Jonathan invece, essendo più esplosivo, preferisce partire forte, mettersi subito sul passo e poi resistere fino alla fine. Per questo motivo per lui è importantissimo trovare subito la cadenza giusta. Come detto si è trattato di farlo arrivare il più velocemente possibile alle pedalate desiderate.

Due record in un giorno: te lo aspettavi? Come è stato possibile?

Non conoscevo quel velodromo. Era un bel po’ di tempo che non vi si teneva un evento importante. Pertanto non sapevamo quanti watt servissero, se fosse una pista scorrevole o meno… Quando nei primi giorni abbiamo visto che invece era veloce, abbiamo capito che si poteva fare. Da parte mia ero quasi certo che Charlton non avrebbe fatto due temponi simili nello stesso giorno. Non aveva quei margini di miglioramento, senza la base e il fondo della strada che invece aveva Jonathan. Ed è proprio questa base che ti permette di fare due sforzi tanto estremi in così poco tempo.

Tanto lavoro sulle partenze per Milan. L’obiettivo era arrivare alla cadenza ottimale nel più breve tempo possibile. Cosa non facile quando si spinge un 63×14
Tanto lavoro sulle partenze per Milan. L’obiettivo era arrivare alla cadenza ottimale nel più breve tempo possibile. Cosa non facile quando si spinge un 63×14
Certo Diego che i record vanno giù velocemente. Quanto contano i materiali? E avevate qualche novità tecnica?

I materiali ovviamente contano tantissimo. Noi non abbiamo portato novità rispetto alle Olimpiadi, il pacchetto era lo stesso. Certo che sul fronte della bici, ma non solo, siamo messi molto bene. Anche Bigham che è un ottimo tester ha usato la stessa bici che usiamo noi, la Pinarello.

Milan ha fatto segnare un 3’59” basso: ha ancora dei margini?

Secondo me sì. Se se lo mette in testa può scendere ancora, ma questo vale anche per noi del gruppo affinché gli si possa dare il supporto migliore sotto ogni punto di vista. Io credo che con un adeguato tipo di lavoro Milan possa migliorare ancora. Poi quando si ha un gruppo con atleti che hanno motori come quello di Pippo o di Johnny è un piacere lavorare.

L’ultima gara di Milan su strada è stato l’europeo a metà settembre: da allora tutta pista? E come avete lavorato?

Da agosto in poi Jonathan ha fatto tanta strada per fare da base anche per questo mondiale. A questa ha associato anche tanti lavori di frequenza anche mentre era impegnato nella strada. Ma è stato da ottobre e in particolare nella settimana prima di quella iridata, che ha fatto dei lavori specifici a Montichiari in pista. 

Il record di Milan: 151 millesimi meno di Charlton, 483 millesimi meno di Ganna (immagine da video)
Il record di Milan: 151 millesimi meno di Charlton, 483 millesimi meno di Ganna (immagine da video)
Che tipo di lavori?

Abbiamo lavorato molto sulle partenze e sul ritmo. E ha continuato a fare dei richiami in palestra, come del resto ha fatto per tutto l’anno.

In quella settimana quante ore di lavoro si facevano in pista?

Facevamo due sedute al giorno: una di due ore e mezzo al mattino e una di tre ore al pomeriggio. E’ stato così dal martedì al venerdì. Il sabato ha fatto circa 4 ore di volume su strada e la domenica siamo partiti per la Danimarca.

Dai, raccontaci come hai vissuto il giro finale di quei (quasi) 4′. A quel punto eri sicuro del record?

In realtà no, proprio perché come vi dicevo Jonathan ha un’impostazione tattica diversa rispetto a Ganna. Per lui si tratta di tenere duro, di calare il meno possibile. Avevo capito che avrebbe vinto perché teneva bene a bada il suo avversario, ma per il record abbiamo dovuto attendere fino alla fine. Comunque si trattava di centesimi, bastava una sola pedalata un filo meno potente e tutto sarebbe svanito. Poi quando ha tagliato quella linea e abbiamo visto il tabellone… è scoppiata la festa.

Il Consonni di Alice Algisi, una moglie da medaglia olimpica

25.10.2024
6 min
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Una famosa frase attribuita alla scrittrice britannica Virginia Woolf recita che “dietro ad ogni grande uomo c’è una grande donna”. Ed anche ex ciclista nel caso specifico di Alice Algisi che vive in primissima battuta da tanti anni la professione di suo marito Simone Consonni.

Lo scorso 20 ottobre – il giorno dopo l’argento iridato nell’omnium di Simone – hanno festeggiato il primo anniversario di matrimonio, uno dei tanti traguardi importanti che hanno tagliato assieme in quindici anni di relazione. E assieme sono cresciuti sia in bici che nella vita quotidiana, col ruolo di Algisi, a tratti gregaria, a tratti capitana, che è diventato fondamentale per equilibrare tutto. Nella loro vita di coppia non c’è solo la spesa da fare o scegliere un mobile per la casa o un film da vedere, ma anche saper gestire vittorie e sconfitte sportive con i relativi umori. Alice sa il fatto suo e ne abbiamo parlato proprio con lei, per capire come affronta le stagioni sempre più intense di suo marito.

Algisi è stata elite dal 2012 al 2015. Il suo passato da ciclista la avvantaggia nel capire Simone, ma sa avere anche una visione esterna (foto Selva)
Algisi è stata elite dal 2012 al 2015. Il suo passato da ciclista la avvantaggia nel capire Simone, ma sa avere anche una visione esterna (foto Selva)
Com’è stata l’annata di Simone vista da sua moglie?

C’erano almeno cinque macro obiettivi a cui puntava. Europei in pista, Giro d’Italia, Olimpiade, europei su strada ed infine i mondiali in pista. Diciamo che è stata soprattutto una lunga estate, molto tosta. Dopo il Giro non ha staccato molto perché è partito per il ritiro in altura per Parigi. Non ci siamo visti molto a casa come altri anni, però lo sapevamo già e non è stato un grande problema. Adesso finalmente possiamo pensare alle vacanze. Faremo New York, Florida e poi un soggiorno mare ai Caraibi. Partiremo il 29 ottobre, appena Simone rientrerà dalla Tre Giorni di Londra in pista che farà con Elia (Viviani, ndr) da stasera a domenica.

E’ stata quindi una stagione pesante anche per te?

Questa è una stagione che non finisce mai (risponde ridendo, ndr), ma il ciclismo mi piace e mi piace stare al fianco di Simone mentre prepara i suoi appuntamenti oppure guardare le gare assieme a casa. Quest’anno ha cominciato presto a correre, già ad inizio gennaio, con risultati importanti. Bronzo col quartetto agli europei in pista. Uguale a Parigi oltre all’argento nella madison. Ed infine l’argento di Ballerup la settimana scorsa. Sono medaglie che valgono tanto contestualizzando il momento in cui le ha conquistate. Senza contare le vittorie ottenute guidando Jonny (Milan, ndr). Insomma, stagione lunga, ma piacevole da vivere anche per me.

Alice era presente ai mondiali in pista di Ballerup. Ha gioito da vicino per l’argento di Simone e il record di Milan
Il tuo trascorso da ciclista ti aiuta a comprendere meglio le complessità del lavoro di Simone?

Non so se sono più preparata rispetto ad un’altra moglie che non ha mai corso in bici. Come esempio noi vediamo Elia ed Elena (Viviani e Cecchini, ndr) che si capiscono tanto. Sicuramente parto avvantaggiata perché riesco ad immedesimarmi prima o meglio, anche se io ho smesso nel 2015, ormai tanto tempo fa. Tuttavia secondo me non c’è tanta differenza. Per me dipende sempre dal rapporto che hai con tuo marito o compagno. Ci sono pro e contro in una relazione come la nostra.

Quali sono?

Simone ed io ci conosciamo fin da quando correvamo nelle categorie giovanile e stiamo insieme dal 2010, ormai tanto tempo anche in questo caso (sorride, ndr). Fra di noi c’è complicità e intesa. Si può anche non parlare sempre di bici, basta avere regole. E’ vero che stiamo tanto tempo lontani, ma penso comunque che ci siano più aspetti positivi che negativi.

Consonni è l’ultimo uomo di Milan. Tante vittorie quest’anno assieme, ma dietro c’è un grande lavoro psico-fisico
Consonni è l’ultimo uomo di Milan. Tante vittorie quest’anno assieme, ma dietro c’è un grande lavoro psico-fisico
Immaginiamo che tu soffra o gioisca con lui. Come ti regoli in queste circostanze?

Come dicevo prima, siamo una coppia nella vita di tutti i giorni e so quando devo motivare Simone o lasciarlo fare da solo nei momenti più difficili. Oppure prima di un grande evento. Lui è una macchina da guerra quando si prepara per un appuntamento. Ci arriva pronto, ma un mese prima tende a non essere più tale e inizia ad agitarsi. Ad esempio prima del Giro, in cui si sentiva responsabile delle volate di Milan, è stato così. Dopo le prime volate vinte non ci ha più pensato ed è tornato ad essere consapevole di sé. Uguale per le Olimpiadi. Appena inizia la gara Simone si trasforma, per fortuna.

E tu cosa gli dici in quei momenti?

Partiamo dal presupposto che anche a me viene l’ansia seguendo i suoi avvicinamenti, ma avendo già vissuto quelle situazioni in passato adesso lo lascio sfogare da solo. Può sembrare che non mi interessi, mentre invece so che a Simone basta poco per rendersi conto dei suoi mezzi. E’ vero anche però che ogni tanto ha bisogno di una spinta morale, se non addirittura di una piccola sfuriata da parte mia (ride, ndr). A Bergamo si dice “rampare fuori dalla crisi” ed io cerco di supportarlo e sopportarlo in questo. Lui si fida delle persone che reputa i suoi pilastri come posso essere io, il suo allenatore o il suo procuratore e quindi capisce il nostro intento.

Lo hai visto cambiato in questi anni sotto questo punto di vista?

Assolutamente sì e tanto. Nelle interviste lo vedo più sicuro. Oppure come per l’omnium al mondiale. Anni fa avrebbe detto “vediamo come va”, invece stavolta era convinto di poter andare a medaglia. Non voglio prendermi meriti, ma gli avevo consigliato di iniziare un percorso con un mental coach per avere quella maggiore consapevolezza di cui parlavo prima. Io gli ho sempre detto e glielo dico ancora ciò che penso rispettando i suoi tempi e i suoi stati d’animo, ma era giusto che avesse i pareri di un professionista esterno.

Simone e Alice si conoscono fin dalle categorie giovanili. Intesa e complicità sono sempre stati alla base del loro rapporto
Simone e Alice si conoscono fin dalle categorie giovanili. Intesa e complicità sono sempre stati alla base del loro rapporto
Dopo l’europeo su strada in Limburgo, come ha vissuto quel momento Alice Algisi con suo marito?

Quello è stato il punto più basso della stagione. Simone era molto deluso e ne ha sofferto quando è tornato a casa. Era sconfortato più per Jonny che per sé. Avendo accumulato tanta pressione durante la stagione, si sentiva responsabile per lui. Come lo pensava per il quartetto a Parigi. In molti sono stati poco teneri nei suoi confronti e di Milan tra giornalisti e commenti sui social. Personalmente ho imparato a non leggere più certe cose o quanto meno a leggere e considerare solo ciò che ritengo detto con cognizione di causa da gente per me credibile. Per Simone però ero preoccupata per il contraccolpo psicologico visto che c’erano ancora tante gare in cui fare bene.

Eri riuscita a parlargli subito?

No, ho dovuto aspettare che non fosse di fretta. Gli ho detto che doveva fregarsene di quello che diceva la gente e che doveva azzerare tutto. Gli ho ricordato che non era certo quella volata non riuscita che abbassava il suo valore. Sono cose che capitano. Rispetto ad altri sport, il ciclismo è bello perché ti dà subito una possibilità per rimediare anche se hai fallito un obiettivo importante. E infatti sia lui che Milan sono andati ai mondiali in pista in Danimarca riscattandosi alla grande. Ero presente anch’io ed è stato bellissimo vedere l’oro con record del mondo di Jonny e l’argento di Simone nell’omnium. Perché da moglie ed ex ciclista so perfettamente tutto quello che c’è dietro.

Viviani, la pista, la Ineos, l’editoriale: diciamocela tutta

21.10.2024
7 min
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Viviani sta viaggiando dalla Danimarca verso casa. I mondiali della pista si sono conclusi ieri e volevamo sottoporgli gli spunti da cui abbiamo tratto l’editoriale di oggi. La medaglia d’argento dell’eliminazione è un bel trofeo, anche se il veronese aveva lasciato casa per puntare all’oro. Per cui è ripartito con il senso della conquista, ma la consapevolezza di non avere la pancia del tutto piena.

«Sicuramente la medaglia conferma il fatto che se punto a qualcosa ci arrivo – dice – anche se soddisfazioni su strada non sono arrivate. Speravo dopo l’Olimpiade di riuscire a raccogliere qualcosa, ma non aver staccato dopo Parigi non ha funzionato. E’ palese che ne siamo usciti provati. Le pressioni sono alte, la preparazione è stata intensa. E quando tutto è finito, le squadre hanno chiamato. Probabilmente la cosa migliore da fare era fermarsi e ripartire per il finale di stagione, però non avevamo tanta scelta. Quindi siamo arrivati in fondo con le energie misurate. Questo era l’anno della pista e le medaglie sono arrivate, quindi non posso essere scontento né recriminare niente».

La medaglia d’argento di ieri nell’eliminazione è un oro sfumato, nella volata finale contro Hansen
La medaglia d’argento di ieri nell’eliminazione è un oro sfumato, nella volata finale contro Hansen
Secondo te Ineos è stata contenta di aver avuto per tutto l’anno a mezzo servizio te, Ganna ed Hayter?

L’ha accettato come negli anni scorsi, non hanno fatto una piega. Ci hanno lasciato liberi. Io l’anno scorso ero a correre e ho vinto in Cina, però non hanno detto nulla. Secondo me quello che è cambiato è il valore che hanno avuto queste medaglie. Ho come la sensazione che negli anni precedenti, a Rio come a Tokyo, la mia medaglia olimpica valesse molto di più per il team. Invece adesso è stato come se avessero detto, fra virgolette: “Libertà agli atleti, però non è che di queste medaglie olimpiche ce ne facciamo qualcosa”. Questa è la differenza che ho colto.

E’ così perché è cambiato il management? In fondo Brailsford ed Ellingworth venivano proprio dalla pista…

Penso di sì. L’Olimpiade cambia di persona in persona. Qualcuno ci tiene e per qualcun altro ti porta via dal lavoro vero. Che se poi avessimo vinto 50 corse, il problema neppure si sarebbe posto…

Non hai la sensazione che l’oro olimpico di Martinello sia stato valorizzato dall’ambiente più di quanto sia successo di recente con voi?

Dipende dall’impresa, perché la vittoria individuale fa molto più di quella di squadra. L’ho vissuto su di me. Adesso che non vinco gare importanti su strada, sono ancora Elia Viviani che ha vinto l’oro di Rio, ben più di Elia che ha vinto quattro tappe al Giro, una al Tour, una alla Vuelta. Quindi probabilmente la sua vittoria e anche la mia sono state esaltate perché era tanto che non si vinceva in pista. Sono un po’ il bollino per sempre di Silvio e anche mio. Ho visto però la differenza con i ragazzi, la vittoria del quartetto ha avuto meno impatto. Per chi segue, è stato un boom clamoroso, perché vincere un oro con il quartetto, per quello che significa, è stato immenso. Però è vero che la sensazione di maggior risalto per l’individuale rimane.

Viviani_Oro_omnium_rio2016
Rio 2016. La caduta, la rimonta e l’oro nell’omnium: la svolta nella carriera di Viviani
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Rio 2016. La caduta, la rimonta e l’oro nell’omnium: la svolta nella carriera di Viviani
Non ci si accontenta mai…

Se rimettono nel programma olimpico l’inseguimento individuale, la vittoria di Milan avrebbe grande eco. Jonathan quest’anno ha vinto 11 corse, ma fra poco non basterà più neanche quello e si conterà il numero di tappe che vincerà al Giro. Guarderanno se batterà i record di Petacchi o di Cipollini. Il ciclismo moderno è fatto da dominatori. Nel 2018 e 2019 vinsi 18 e 11 corse. Philipsen l’anno scorso ne ha vinte 19, Pogacar quest’anno 25. E’ un ciclismo che va ad annate.

Tu pensi che dedicarti alla pista ti abbia penalizzato su strada?

Negli ultimi tre anni, sicuro al 100 per cento. Quando sono passato alla Cofidis non le ho dato troppa importanza, ma visto che nel 2020 e 2021 le cose non erano andate, mi sono buttato su Tokyo per far vedere che c’ero ancora. Invece negli ultimi tre anni con la Ineos, ho messo la strada in secondo piano. Sapevo che non mi avrebbero portato al Giro, quindi non avrei potuto pormi dei grandi obiettivi. 

Milan ha vinto l’inseguimento col record del mondo, ha avuto il giusto risalto?

Secondo me, se avesse vinto il mondiale e basta, sarebbe passata quasi sotto silenzio: un’altra medaglia, bravo. Con il record però ha dimostrato di aver battuto anche Pippo, anche se non c’era, e ha fatto un’impresa notevole. Secondo me ha avuto la giusta risonanza. Dall’altra parte la gente non si ricorda neanche quali e quante tappe abbia vinto al Giro. Per questo ai ragazzi dico sempre che il nostro punto forte deve essere scegliere i periodi giusti per fare le cose migliori.

Viviani e Villa, una coppia che nelle ultime tre Olimpiadi ha portato sempre medaglie all’Italia
Viviani e Villa, una coppia che nelle ultime tre Olimpiadi ha portato sempre medaglie all’Italia
Vale a dire?

Nelle nostre chiacchierate, gli dico spesso che devono mettere i mattoncini della loro carriera, per comporre il proprio murales. E’ chiaro a tutti che Milan l’anno prossimo deve andare al Tour. Prima deve provare a vincere la Gand-Wevelgem in cui quest’anno è scattato a 50 dall’arrivo, stando in fuga da solo. Poi il Tour, per vincere anche lì e dimostrare di essere il velocista più forte al mondo. Il mattoncino di Pippo invece è concentrarsi su una classica monumento, la vittoria che gli manca. Anche lui il Tour l’ha provato solo una volta e probabilmente deve tornarci. Per entrambi, ma soprattutto per Pippo visti i suoi 28 anni, i prossimi due anni devono essere quello che per me furono il 2018 e il 2019. Nel frattempo verranno fuori i percorsi delle Olimpiadi e magari, se saranno duri, li vedremo tornare alla pista.

Un ritorno di fiamma?

Riguarda uomini e donne, visto che anche loro hanno un ciclismo professionistico di altissimo livello. Non è escluso che tornino, perché il richiamo per chi ha già vinto una medaglia è fortissimo. In più pare che UCI e CIO siano convinti che il percorso di Parigi fosse morbido, per cui chi può dire come sarà quello di Los Angeles? E questo gruppo potrebbe tornare in pista, dato che già hanno fatto la storia. E’ uno scenario credibile ed è per questo che dobbiamo ricostruire un’ottima base di giovani che arrivano da sotto.

Milan, Ganna, Consonni, Moro, Lamon hanno avuto te come riferimento: chi ci sarà per i giovani che arrivano, ora che questa “band of brothers” sta per sciogliersi?

Toccherà a Marco Villa, comunque alla Federazione, e dovranno lavorare tanto. Intanto per richiamare giovani e spingere ancora sulla multidisciplina, sennò c’è il rischio che si crei un buco. E’ ovvio che non può chiudersi tutto qui. L’altra cosa che dico io, avendo visto l’ottimo materiale che ci arriva dagli juniores, bisogna stare attenti allo scalino juniores-under 23, che è quello che spaventa tutti anche su strada. Non saranno più seguiti e coccolati dal tecnico del paese, diventerà una vita un po’ più individuale e purtroppo capita che qualcuno possa mollare. A mio parere i ragazzi ci sono. So quanto sia duro fare un 3’51” oppure 3’53” nel quartetto e se lo fanno da juniores, vuol dire che con degli step giusti, possono entrare nei nostri quartetti olimpici.

Proprio in questi giorni, Viviani e il suo manager Lombardi stanno definendo la squadra per il 2025
Proprio in questi giorni, Viviani e il suo manager Lombardi stanno definendo la squadra per il 2025
Quale sarà il tassello per completare il murales di Elia Viviani?

Voglio tornare al Giro, questa è la mia priorità. La possibilità che vedo è di restare alla Ineos, dove stiamo vivendo una fase di transizione. Sarebbe difficile cambiare e cominciare un altro progetto a 35 anni, anche perché le squadre stanno prendendo altre direzioni. La cosa più grossa sarà dimostrare che un velocista può darti qualche vittoria più di oggi, visto che quest’anno ne abbiamo fatte 14. E’ stata l’annata peggiore, quindi se dimostro che preparando qualcosa, io ci posso arrivare, al Giro potrei fare delle belle cose. Che sia l’ultimo oppure no.

Quindi Elia si vede ancora a braccia alzate, non diventare l’ultimo uomo di qualcun altro come Morkov?

No, è una scelta che ho fatto. Diventare il leadout di qualcuno avrebbe avuto senso se lo avessi fatto dopo gli anni della Cofidis. Farlo per un solo anno con uno sconosciuto non avrebbe senso. Non ho bisogno di allungarmi la carriera. Non perché non abbia l’umiltà di tirare le volate, probabilmente l’unico per cui avrei potuto farlo è Milan perché abbiamo un rapporto di fratellanza in nazionale. Ma ci sono troppi dubbi di natura tecnica su come si affronta quel ruolo e in un anno non lo impari. Lo abbiamo visto con Consonni alla Cofidis: non fu facile, ma cinque anni dopo lui è uno dei più forti al mondo in quel ruolo. Per cui Elia vuole fare le volate per provare a vincerle. E’ questo il mattoncino che ancora mi manca.

Mondiali juniores in pista, le ambizioni delle ragazze azzurre

21.08.2024
5 min
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Siamo dall’altra parte del mondo, a più di ottomila chilometri da noi, nella zona est della pianura centrale della Cina a Luoyang, una delle sette antiche capitali del Paese ed ora metropoli (almeno per noi) di quasi sette milioni di abitanti. Nel velodromo cittadino proprio oggi in questi minuti si stanno aprendo i mondiali juniores in pista che andranno in scena fino al 25 agosto.

Al termine di una serie di voli e coincidenze, il gruppo azzurro è arrivato laggiù il 17 agosto per il necessario ambientamento dovuto alle sei ore avanti di fuso orario. Assieme a Fabio Masotti abbiamo cercato di capire quali possono essere le ambizioni della pattuglia femminile, visti gli europei di Cottbus a luglio (un oro, tre argenti e quattro bronzi) e tenendo conto dei buoni risultati ottenuti nella rassegna iridata un anno fa a Cali in Colombia. Come sempre al tecnico friulano è toccato il lavoro intenso con le giovani durante il periodo delle Olimpiadi, mettendo da parte anche la possibilità di andare a Parigi, ma lui sa che questo appuntamento vale quasi alla stessa maniera, specie in chiave futura.

In Cina il gruppo endurance è formato da Siri, Iaccarino, Giordani, Sgaravato, Baima, Pegolo e Sanarini
In Cina il gruppo endurance è formato da Siri, Iaccarino, Giordani, Sgaravato, Baima, Pegolo e Sanarini
Fabio, partiamo subito dalle convocate. Chi sono?

Abbiamo un bel gruppo di juniores e quindi abbiamo potuto fare scelte molto simili all’anno passato, col solito turnover tra europei e mondiali, guardando anche alla condizione delle ragazze. Ovvio che quelle che si sono distinte maggiormente nella doppia attività vengono prese maggiormente in considerazione. A Luoyang sono in nove. Matilde Cenci e Siria Trevisan faranno la velocità. Asia Sgaravato, Linda Sanarini, Anita Baima, Chantal Pegolo, Irma Siri, Arianna Giordani e Virginia Iaccarino invece faranno le discipline endurance. In ogni caso ci tengo a sottolineare che non ci sono bocciature per chi è rimasto fuori dagli europei o dai mondiali.

Team Sprint d’oro. Fabio Masotti con Napolitano, Minuta e Predomo ai recenti europei U23 in pista a Cottbus
Team Sprint d’oro. Fabio Masotti con Napolitano, Minuta e Predomo ai recenti europei U23 in pista a Cottbus
L’avvicinamento com’è andato?

Ci siamo allenati bene a Montichiari. Compatibilmente con i loro impegni su strada, in totale abbiamo fatto quasi due settimane intere di sessioni, ripetendo lo stesso lavoro fatto l’anno scorso per Cali mentre c’erano i mondiali elite strada e pista a Glasgow. Sulla base di quello che abbiamo visto agli europei, abbiamo fatto diverse prove e combinazioni sia per il quartetto che per le altre gare di gruppo. Secondo me abbiamo un gruppo di atlete molto equilibrato ed omogeneo che può fare molto bene.

Quanto è possibile replicare i titoli vinti nel 2023 in Colombia?

L’anno scorso non nascondo che sia stato facile raccogliere certe vittorie con un’atleta come Venturelli. Avevamo portato a casa tre ori, due argenti e due bronzi. Alcune di queste medaglie erano state una sorpresa. Quest’anno vorremmo riconfermarci, come abbiamo fatto a Cottbus, e sarebbe un bel risultato proprio perché non abbiamo un riferimento come Federica. Gli stimoli non mancano, però allo stesso tempo sappiamo che non sarà semplice perché questa, non mi stancherò mai di dirlo, è una categoria particolare. Poi se volete possiamo fare qualche previsione…

Bianchi, Trevisan e Cenci sono state bronzo europeo nella velocità a squadre. Le ultime due sono state chiamate anche al mondiale
Bianchi, Trevisan e Cenci sono state bronzo europeo nella velocità a squadre. Le ultime due sono state chiamate anche al mondiale
Vai pure.

Ad esempio Baima si potrebbe riconfermare nell’eliminazione. Ha appena vinto l’europeo, lei sta bene e qualcuno può pensare che con un anno in più possa vincere facile un altro oro iridato, ma non sappiamo cosa c’è fuori dall’Italia o dall’Europa. Lei stessa può fare molto bene nella madison con Sanarini, che a sua volta è arrivata seconda al fotofinish all’europeo nell’omnium. Linda e Pegolo sono due ragazze del primo anno e sono state due belle scoperte. Chantal all’europeo è stata argento nello scratch e bronzo nella corsa a punti. C’è anche Sgaravato che sta andando forte da inizio stagione. Ed anche col quartetto (bronzo continentale, ndr) sono fiducioso di una bella prestazione.

Ci sembra di capire che il morale delle juniores è buono alla vigilia di questi mondiali in pista?

Assolutamente sì e non vorremmo il contrario. Tutte le nostre ragazze sono prontissime, pur sapendo che dovranno fare attenzione ad alcune nazionali. Magari nel frattempo hanno trovato la loro Venturelli di turno e fanno saltare il banco. Però non voglio che ci fossilizziamo troppo sui risultati qualora non dovessero arrivare. Personalmente porto sempre l’esempio dei ragazzi del quartetto che hanno vinto l’oro olimpico a Tokyo. Da giovani non avevano raccolto molto in pista, eppure lavorando sodo col passare del tempo sono arrivati al top. Con le juniores bisogna avere pazienza e loro ti ripagheranno.

Il velodromo di Parigi sarà veloce come quello di Tokyo?

06.08.2024
5 min
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Ieri sono iniziate le Olimpiadi di Parigi anche su pista, al velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale, visto che è la sede della Federazione ciclistica francese. La speranza italiana è concentrata soprattutto sui quartetti, ma non solo ovviamente. Certo è che dopo le prestazioni di Tokyo e il primato mondiale, da Ganna e compagni ci si aspetta moltissimo.

Ma stavolta non parliamo tanto dei ragazzi quanto piuttosto del velodromo stesso. Per grandi prestazioni serve anche un “campo gara” che possa proporre condizioni eccellenti. L’equazione sarebbe sin troppo facile: una pista, un posto al chiuso, uguali prestazioni ripetibili. Un po’ come succede in una piscina… per dire. In realtà non è proprio è così. Ci sono molti fattori esterni. Fattori che riguardano la struttura stessa del “campo” di gara.

Pensiamo per esempio alla super pedana dei salti in lungo e triplo agli Europei di atletica di Roma e ora quella “meno performante” di Parigi. Non sempre un campo di gara standard è poi davvero così uguale.

Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014
Il Velodromo di Saint-Quentin-en-Yvelines o Velodromo Nazionale sorge ad Ovest di Parigi. E’ stato costruito nel 2014

Da Tokyo a Parigi

Quindi che prestazione possiamo aspettarci dal Velodromo olimpico? A Tokyo di record ne abbiamo visti molti, uno su tutti: quello del quartetto azzurro con quel memorabile 3’42”032, un primato che in questi anni nessuno ha neanche avvicinato. E’ vero anche che gli studi aerodinamici hanno fatto passi da gigante e oltre alla pista, si è visto quanto il vestiario conti di più, lo stesso vale per i caschi e per le bici. E anche per le preparazioni e alimentazione.

Ma questi sono altri fattori. Concentriamoci sulla pista.  

Quali sono quindi le condizioni che rendono veloce una pista piuttosto che un’altra? Le principali sono quattro: la superficie, l’altitudine, la temperatura interna e, sembra assurdo visto che si è al coperto, anche il meteo esterno, pressione e in parte l’umidità.

E’ noto infatti che quanto più bassa è la pressione atmosferica, tanto minore è la densità dell’aria e migliore è la penetrazione nella stessa da parte dei corridori. Solitamente la pressione dell’atmosfera va di pari passo con l’altitudine (più è alta la quota, minore è la colonna d’aria sulla testa, minore è la pressione), ma anche con l’umidità. Un’aria umida è meno densa di quella secca. E infine conta anche la temperatura. Più è alta e meno è densa, posto che poi oltre un certo limite (solitamente i 21-23 gradi) diventa controproducente per il rendimento del corpo umano.

E infatti di solito i velodromi sono tenuti a questa temperatura. Ricordate quanta ricerca ci fu per il Record dell’Ora di Pippo Ganna?

Queste condizioni ambientali erano tutte presenti a Tokyo nel velodromo di Izu, per quella tempesta tropicale che coinvolse il Giappone in quei giorni. A Parigi nei prossimi giorni sia l’umidità che la pressione sono date in aumento. E’ un bene nel primo caso (anche se poi è costante all’interno del velodromo), un male nel secondo.

Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto
Curve ad ampio raggio e rettilinei corti: ottimo per il quartetto

Rettilinei corti

L’anello di Saint-Quentin-en-Yvelines è da 250 metri, su legno di abete siberiano. E’ stato costruito nel 2014, ma il parquet è stato rifatto a maggio e questo non è un punto a favore di eventuali record. Il legno vecchio infatti risulta più scorrevole, ma per il Giochi tutto doveva essere alla perfezione. 

Dalla Francia assicurano che è comunque velocissimo.

Mentre è un punto a favore la forma dell’anello. I due rettilinei infatti sono relativamente corti e questo consente di mantenere la velocità in modo leggermente più semplice e, nel caso del quartetto, anche la compattezza del treno.

In più nonostante sia un anello “corto” è largo 8 metri, quindi le sponde consentono di salire abbastanza in alto. Tanto per fare un paragone con l’Izu di Tokyo la pista era larga 7,60 metri quindi si poteva salire circa 40 centimetri in meno. Tuttavia è anche vero che l’inclinazione delle curve era di 45°, un grado in più del Saint-Quentin-en-Yvelines che è di 44°. Il raggio di curva è di 23 metri, quindi abbastanza ampio e dovrebbe risultare più fluido per le specialità di endurance e dell’inseguimento a squadre.

Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori
Il velodromo francese ha ospitato i mondiali su pista del 2015 e del 2022. Ospita ben 5.000 spettatori

Pista fluida

Énergies & Services è l’azienda responsabile del velodromo, da anni è a guardia della pista al fine di renderla sempre performante. Ogni mattina vengono controllate la temperatura e l’umidità, prima e dopo ogni corsa. La precisione dello stato del parquet è talmente elevata che la pista viene monitorata costantemente. Inoltre viene eventualmente corretta la regolazione dei cunei tra il terreno e le travi di sostegno, che a seconda dell’essiccazione del legno e delle vibrazioni si muovono, in modo impercettibile, ma si muovono.

Insomma, forse non ci sarà un uragano come a Tokyo a rendere la pressione perfetta, ma gli altri ingredienti ci sono tutti. La pista è scorrevole e gli atleti sono soddisfatti. Chiudiamo con una frase di qualche tempo fa di Gregory Bauge, ex pistard francese e oggi tecnico dei “galletti”, nove volte campione del mondo nella velocità e plurimedagliato olimpico: «Questa pista è un tavolo da biliardo: è ampia e fluida. Su alcuni tracciati si avvertono degli strappi tra i rettilinei e le curve, ma su questo anello niente!».

Salvoldi verso mondiali ed europei: il conto alla rovescia è iniziato

23.07.2024
5 min
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Per la nazionale juniores inizia un conto alla rovescia che porterà i ragazzi, guidati dal cittì Dino Salvoldi, a numerosi impegni. Luglio e agosto saranno mesi intensi in vista del Giro della Lunigiana, dei mondiali su strada e del campionato europeo, sempre su strada. Tre appuntamenti che valgono una stagione, per questo Salvoldi si è rimboccato le maniche e ha iniziato a programmare tutto, cercando di incastrare i pezzi di un puzzle a volte già indirizzato da date stringenti.

«Ora siamo a Livigno – spiega il cittì – con il gruppo pista, ho con me sette ragazzi che sono quelli del mondiale. Staremo qui fino al 3 agosto, poi andremo a Montichiari a perfezionare il lavoro fatto e infine voleremo in Cina. Finita la rassegna iridata su pista si aprirà quella su strada. Torneremo ancora a Livigno per preparare il mondiale di Zurigo e staremo dal 19 al 31 agosto».

Per Salvoldi inizia un periodo ricco di appuntamenti importanti
Per Salvoldi inizia un periodo ricco di appuntamenti importanti

Incastri difficili

Salvoldi nel mese di agosto girerà il mondo, tenendo come base operativa Livigno. Da qui partiranno tutte le spedizioni azzurre. Tra pista e i tre appuntamenti su strada, il cittì non avrà nemmeno tempo di riposare, tutto avverrà in così breve tempo che non saranno ammessi cambiamenti. O intoppi. 

«Torneremo a casa il 31 agosto – prosegue Salvoldi – perché il 4 settembre inizierà il Giro della Lunigiana. Il periodo perfetto per fare un ritiro in ottica mondiale sarebbe stato l’inizio di settembre, ma non sarebbe stato possibile. I ragazzi devono correre quella corsa, che comunque sarà un crocevia importante in ottica del mondiale di Zurigo».

Andrea Bessega (a destra) ha di recente vinto l’appuntamento del Piva Junior Day (foto Bolgan)
Andrea Bessega (a destra) ha di recente vinto l’appuntamento del Piva Junior Day (foto Bolgan)
Finito il Lunigiana ci saranno mondiali ed europei. 

Tra mondiali ed europei c’è una differenza incredibile nei percorsi. Penso adotterò due squadre completamente diverse, forse una o due individualità potranno fare entrambi gli appuntamenti, ma non ne sono così sicuro. Anche perché, come nel 2023, c’è il vincolo, imposto dall’alto, che prevede un gruppo unico tra strada e crono. Quindi chi correrà su strada farà anche la prova contro il tempo e viceversa. Si tratta di una scelta legata al budget. 

L’impegno iridato sarà parecchio esigente.

Noi correremo in cinque. C’è una parte di squadra che per caratteristiche e rendimento nella stagione è già praticamente definita. Nulla è sicuro, il Lunigiana servirà a confermare ciò che mi aspetto da loro. Dovranno farsi trovare in condizione. 

Lorenzo Finn ha conquistato il titolo tricolore juniores e correrà al Lunigiana con la maglia tricolore
Lorenzo Finn ha conquistato il titolo tricolore juniores e correrà al Lunigiana con la maglia tricolore
Stai parlando di Lorenzo Finn e Andrea Bessega?

Non è di certo un segreto. Loro due hanno avuto una stagione positiva ma allo stesso tempo travagliata. Finn è caduto all’Eroica Juniores e si è ripreso bene, Bessega invece ha avuto qualche infortunio di troppo. Da entrambi mi aspetto una gran voglia di rivalsa e una grinta importante. 

Servono poi gli altri tre nomi. 

In base alle caratteristiche del percorso cercherò i ragazzi migliori. Il mese di agosto prevede tante gare importanti con tracciati simili a quello dell’appuntamento iridato. Già domenica al Gran Premio Sportivi Loria si potrà vedere qualcosa di interessante. Anche se, le gare più rilevanti saranno Paganessi e Buffoni, oltre al Lunigiana chiaramente. 

Avere Finn al Lunigiana quanto è importante?

Era una cosa già programmata a gennaio con la squadra, poi confermata una volta che sono andato a trovarli in ritiro sul lago di Garda. Avevo spiegato al team la particolarità e l’importanza del Giro della Lunigiana e loro avevano accettato di lasciar libero Finn di decidere. Il Lunigiana e il Ruebliland sono simili nel percorso e nelle caratteristiche. Anzi, il primo ha un paio di tappe in più. 

Magagnotti, al primo anno nella categoria, è stato una delle sorprese della stagione (photors.it)
Magagnotti, al primo anno nella categoria, è stato una delle sorprese della stagione (photors.it)
Dopo i mondiali arrivano gli europei.

Non ho visto direttamente il percorso, ma conosco bene la zona. E’ un tracciato adatto a corridori potenti e veloci. Qualche nome potrebbe uscire dal gruppo pista, visto anche il loro percorso di crescita con la nazionale. Tanti ragazzi li ho provati nei vari appuntamenti di Nations’ Cup. 

Quali nomi potrebbero uscire dalla pista?

Mi viene in mente Magagnotti, che ha dimostrato di essere un vincente. E’ un primo anno ed è tutto da scoprire: non è solamente un velocista, ma un corridore completo. L’altro potrebbe essere Montagner, ha fatto bene in stagione anche se è stato discontinuo. Per il resto del team dovrò affidarmi ai cosiddetti passisti. Ragazzi che hanno caratteristiche di fondo e con uno spunto veloce. E’ difficile individuarli perché nelle squadre di appartenenza vengono utilizzati come velocisti, invece devono imparare a correre all’attacco. 

Salvoldi ha provato diversi atleti nelle prove di Nations Cup per trovare i giusti interpreti per i tanti appuntamenti (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Salvoldi ha provato diversi atleti nelle prove di Nations Cup per trovare i giusti interpreti per i tanti appuntamenti (foto Freddy Guérin/DirectVelo)
Insomma gli impegni non mancheranno.

Assolutamente, ora è tutta una tirata fino a fine settembre. 

Allora in bocca al lupo.

Grazie e ci vediamo sulle strade del Lunigiana!

Sierra ha già imparato a vincere grazie alla Tudor U23

28.05.2024
5 min
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Lo spunto per intervistare Juan David Sierra era arrivato settimana scorsa, ancora prima della sua vittoria di domenica 26 maggio al Tour de la Mirabelle (foto di apertura DirectVelo/Alexis Dancerelle). Poi il tempo ci ha fatto un bel regalo e siamo qui a commentare con il giovane, classe 2005, della Tudor Pro Cycling Team U23 il primo successo nella categoria. 

«La prima vittoria – racconta Sierra – ha portato un’emozione molto forte. Nei giorni precedenti avevo perso una volata a causa di un errore di comunicazione. Il morale non era molto alto, anche perché nella seconda tappa ero riuscito a scollinare nei dieci, ma poi ho perso lo sprint. Insomma, quella di ieri (domenica, ndr) è stata una liberazione, era nell’aria. I miei compagni hanno creduto tanto in me e questo mi ha riempito di fiducia e voglia di riscattarmi».

Sierra ha corso molto in Francia in questo inizio di stagione (foto DirectVelo/Alexis Dancerelle)
Sierra ha corso molto in Francia in questo inizio di stagione (foto DirectVelo/Alexis Dancerelle)

Uniti i puntini

Juan David Sierra era partito bene nella sua avventura nel devo team nella professional svizzera. Ci conferma che l’inverno è andato bene ma le prime corse sono quelle che servono per misurare la febbre delle gambe. 

«Se devo essere sincero – continua – non mi aspettavo di essere a questo livello. Vero, durante l’inverno ho fatto tutto alla perfezione, poi io sono uno a cui piace lavorare. Le prime risposte le ho avute alla Ronde de l’Isard, corsa a inizio maggio. Durante le cinque tappe ho avuto sensazioni ottime, arrivando all’ultima con ancora tante energie in corpo. Era una corsa per scalatori, con una sola chance per i velocisti, nella prima tappa. Mi sono comportato bene portando a casa un secondo posto. Per il resto mi sono messo al servizio dei miei compagni».

Dopo l’arrivo dell’ultima tappa del Tour de la Mirabelle l’abbraccio con il massaggiatore (foto DirectVelo/Alexis Dancerelle)
Dopo l’arrivo dell’ultima tappa del Tour de la Mirabelle l’abbraccio con il massaggiatore (foto DirectVelo/Alexis Dancerelle)

Partenza alternativa

Il calendario dell’azzurro ha avuto un inizio differente rispetto a quanto fatto anche da tanti altri compagni di squadra. Nessun appuntamento tra gli under 23, ma subito tra i grandi.

«Da un lato è stato strano – replica Sierra – perché le prime tre gare della stagione le ho fatte con i professionisti. Murcia, poi Almeria e infine Scheldeprijs. La prima corsa under 23 che ho disputato è stata la Parigi-Roubaix, anche quella poco indicativa vista la sua particolarità. Come detto il primo momento di risposta è arrivato proprio alla Ronde de l’Isard. Ad essere sincero le corse under 23 hanno due facce: quando ci sono i devo team e quando non ci sono. Nel primo caso la gara è ordinata, con le squadre che si organizzano per tirare. Nel secondo caso assomigliano più ad una gara di juniores, con tanta confusione. Personalmente mi trovo bene in entrambi i casi, ma preferisco l’ordine».

Sierra ha mantenuto gli allenamenti su pista durante l’inverno e continuerà durante tutta la stagione (foto Instagram)
Sierra ha mantenuto gli allenamenti su pista durante l’inverno e continuerà durante tutta la stagione (foto Instagram)

Tappa ad Hong Kong

Nell’inizio di stagione travagliato di Sierra c’è stato anche spazio per un appuntamento di Coppa del mondo su pista. Con la tappa di Hong Kong, dove il campione europeo in carica con il quartetto under 23. 

«Ho iniziato più tardi – spiega – anche perché con l’appuntamento di Hong Kong ho messo da parte la strada per un paio di settimane, concentrandomi sulla pista. Durante l’inverno ho continuato a tenere attivi gli allenamenti a Montichiari, per una volta ogni due settimane. Comunque la pista fa bene ad un velocista con me. Hong Kong è stato un appuntamento importante, si è trattata della prima gara su pista con gli elite. Ho corso solo nella madison, però è stato un bel banco di prova. Durante l’anno non ho intenzione di abbandonare la pista, anche perché il 9 luglio ci sono gli europei under 23 e voglio farmi trovare pronto». 

Una preparazione diversa

Nel raccontare questi primi mesi con la Tudor Pro Cycling Team U23 il velocista di origine colombiana ha parlato di una condizione ottima. Ma come ha raggiunto un livello del genere?

«Rispetto al 2023 – racconta ancora – sono aumentate le ore in bici. Da junior a novembre e dicembre facevo solo palestra, mentre quest’anno è capitato di fare palestra la mattina e il pomeriggio un allenamento di due o tre ore. Non ho mai fatto tanta intensità, ho lavorato spesso in Z2 con qualche sprint, ma poca roba. Devo ammettere che il lavoro ha ripagato, non era scontato migliorare così tanto. Invece fin da subito ho notato un miglioramento di potenza tra l’uno e i dieci secondi. Ora aspetto di capire se parteciperò al Giro Next Gen e poi andrò ai campionati italiani su strada e a crono. La prima parte di stagione si concluderà con gli europei U23 su pista».

Il battesimo al Nord, la Roubaix, le Olimpiadi: ascoltiamo Moro

19.04.2024
5 min
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Quando Manlio Moro ci parla della Parigi-Roubaix il suo tono cambia completamente. Si distende prima e si accede poi: è passione pura. Ascoltarlo è un piacere se ti piace anche solo un briciolo il ciclismo (in apertura foto Instagram/Movistar Team).

Il corridore del Team Movistar è anche un pistard ed è fresco di ritorno da Milton, Canada, per la prove di Coppa del mondo su pista: crocevia importantissimo verso le Olimpiadi di Parigi di questa estate.

Ma procediamo con ordine. Moro è stato tra coloro che in assoluto hanno fatto più classiche del Nord, in pratica ha saltato solo il Fiandre. Forse solo Michael Matthews, un veterano, ne ha fatte tante quante lui. E questa sua prima Campagna del Nord merita di essere raccontata.

E merita anche sei i risultati non sono stati di grido – e questo Manlio stesso lo sa bene – non capita spesso che un neopro’ prenda parte a tante classiche e anche così importanti.

Manlio Moro (classe 2002) impegnato nella Omloop Het Nieuwsblad, il suo battessimo al Nord da pro’
Manlio Moro (classe 2002) impegnato nella Omloop Het Nieuwsblad, il suo battessimo al Nord da pro’
Manlio, partiamo da questa tua prima Campagna del Nord, quella delle pietre ovviamente…

E’ stata bella, dura e lunga. Infatti certe gare erano previste e altre no, ma le ho fatte praticamente tutte. Sono contento perché sono quelle che mi si addicono di più, che meglio corrispondono alle mie caratteristiche. E sono anche quelle su cui punto a fare bene in futuro.

I risultati come detto non sono stati super però…

Sì, sì, ma sono soddisfatto e contento proprio perché ho fatto esperienza. Era ciò che mi serviva. Ho messo nel sacco già due monumenti. In più ho fatto tutte gare, Sanremo compresa e le altre del Belgio, in cui le squadre portavano i migliori. Per assurdo da inizio anno il livello più basso l’ho incontrato alla prima corsa, il Tour Down Under. Per il resto ho preso parte sempre a corse con qualità al top. Anche per questo mi ritengo soddisfatto e consapevole di aver fatto un’ottima scuola.

Hai detto di alcune corse che non dovevi fare. Quali erano?

Per esempio De Panne e la Roubaix. Il Fiandre invece era in programma. Della Roubaix me lo hanno detto una settimana prima. Ma come potevo dire di no? E’ la mia corsa preferita.

E cosa ti è parso di queste gare del Nord?

Che sono dure, tutte, ma la Roubaix è un’altra cosa. Un altro livello. Un livello sopra le altre. Omloop, Kuurne… sono toste, impegnative, tecniche, ma la classica del pavè come emozione e come durezza è stata diversa. Io poi del Nord avevo fatto solo la Gand da under 23. Basta.

Ecco il friulano nella Foresta di Arenberg durante la ricognizione (foto Instagram/Movistar Team)
Ecco il friulano nella Foresta di Arenberg durante la ricognizione (foto Instagram/Movistar Team)
Perché? Prova a spiegarci meglio.

Perché non è solo uno sforzo di gambe, la Roubaix è uno sforzo totale. Devi imparare a soffrire. Devi soffrire con le braccia, con le gambe ovviamente, con la schiena, con le dita… E c’è uno stress! Negli ultimi settori non riuscivo più a tenere le mani sul manubrio. Ho visto in giro tante foto di mani aperte e piene di vesciche. Io le vesciche non le avevo, ma finivo i settori e mi serviva qualche minuto per riprendere la sensibilità alle mani. E anche alla schiena. 

Bellissimo, ci stai portando dentro la Roubaix. 

Tutti i settori sono duri, ma la Foresta di Arenberg è un’altra cosa. E sì che mi ero preparato a soffrire anche mentalmente. Mi ero detto: “Manlio devi fare fatica. E zitto”. Ma  non credevo così. La TV non rende. L’aggettivo giusto è impressionante. Distruttiva. E dopo averla fatta in gara ti chiedi: “Ma come fa uno ad andarci con la bici corsa?”.  Per fortuna non ho visto mie foto sulla Foresta in corsa, avrei avuto una faccia tremenda! Poi vedo Van der Poel e sembra che vada sull’asfalto. E non capisco…

Tu sei comunque entrato al velodromo, anche se appena fuori tempo massimo. Cosa ti è sembrato?

Bellissimo. Abbiamo tenuto un ritmo altissimo per tutta la gara. La Roubaix è la corsa dei miei sogni e già averla fatta è stato super. Entrare nel velodromo con tutta quella gente è stato emozionante ed era il mio obiettivo di quest’anno. Sono immagini che rimangono dentro per sempre.

Ora qual è il tuo programma?

In questi giorni sto facendo un po’ di scarico. Cinque giorni senza bici. Mi serve per recuperare un po’. Anche dal fuso orario. La mattina faccio un po’ fatica a svegliarmi. Per un mese e mezzo non correrò. Poi farò una gara, la Boucle de la Mayenne (una tre giorni, ndr) e da lì si inizierà a preparare per bene le Olimpiadi su pista. A fine maggio andrò in altura.

A Milton, Moro ha disputato la madison con Viviani. Un esperimento di Villa (foto Shutaro Mochizuki)
A Milton, Moro ha disputato la madison con Viviani. Un esperimento di Villa (foto Shutaro Mochizuki)
Passiamo alla pista e alle Olimpiadi, ma prima ancora una domanda “di mezzo”. Con una Roubaix tanto dura sei subito volato in Canada. La fatica si è fatta sentire?

Di sicuro non ero freschissimo o quantomeno non ero nelle migliori condizioni per un avvicinamento ad una gara su pista. Avevo solo cinque giorni di tempo tra la Roubaix e il viaggio. Se ci mettiamo anche il fuso orario non posso dire di aver recuperato al 100 per cento. Però la Roubaix andava fatta. Okay era rischiosa. Pippo Ganna non l’ha fatta per questo. Però non me la sentivo di dire di no. E per fortuna che non è piovuto. Abbiamo fatto la recon sotto la pioggia e sembrava di pedalare sul ghiaccio.

Ci sei sembrato super motivato per le Olimpiadi. Cosa puoi dirci? Sei dentro allora? 

Questo non si sa. Ma una cosa è certa: io farò di tutto per esserci. La possibilità di andare a Parigi c’è, poi spetta al cittì decidere se sarò in grado oppure no.

E come sei inquadrato? Ovviamente c’è il quartetto, ma in Canada hai fatto anche la madison con Viviani, che tra l’altro è anche caduto proprio alla Roubaix…

Sono inquadrato nel quartetto di sicuro. Poi, è vero, ho fatto anche la madison: così per sicurezza, per fare esperienza. Io so solo che devo lavorare al 100 per cento. Se andrò alle Olimpiadi sarò l’uomo più contento del mondo, altrimenti fra quattro anni avrò un’altra possibilità.

Girano voci, ma non solo voci, che i tuoi tempi siano ottimi. Insomma Milan e Ganna  non sono poi così distanti…

Vediamo. Ripeto: io ce la metterò tutta.