Parla Artuso: pronto il piano della Bora per Sobrero

18.11.2023
6 min
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L’arrivo di Roglic ha trasformato la Bora-Hansgrohe in un cantiere. Il progetto tocca quasi tutti, dato che il gruppo di lavoro che si va formando attorno allo sloveno sarà ampio e necessariamente di prima qualità. Lo stesso Sobrero, che aveva scelto la squadra tedesca prima che si sapesse di Primoz, potrebbe farne parte. Così si intuisce parlando con Paolo Artuso, che del piemontese sarà il preparatore. Ce ne aveva parlato proprio Matteo, raccontando la sua scelta.

Nel team dei tanti capitani, Artuso segue la preparazione di sette corridori. Bob Jungels, Marco Haller, Dani Martinez appena arrivato dalla Ineos Grenadiers, l’iridato juniores 2022 Herzog, Adria in arrivo dalla Kern Pharma, Aleotti e Sobrero.

«Herzog l’anno scorso – dice l’allenatore veneto, arrivato alla Bora nel 2023 – ha avuto mille problemi, forse legati al Covid. Aleotti è andato forte, ma sempre nei momenti sbagliati. Poi dipende anche dal calendario, perché se vai a fare la Tirreno con Hindley, devi tirare: c’è poco da fare. Per cui da un lato hai la percezione delle buone prestazioni e gli fai i complimenti, dall’altro guardi i risultati e vedi che non ha portato a casa poi molto. Il prossimo anno vogliamo migliorare…».

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Veniamo a Sobrero, che idea ti sei fatto dopo averlo incontrato?

L’ho visto due volte, devo ancora farmi un’idea precisa. Ho parlato con Pinotti che lo allenava, perché abbiamo una buona relazione, quindi ci sentiamo abbastanza di frequente. Mi ha dato un po’ di indicazioni. Lo abbiamo preso per dargli un po’ di spazio, ovviamente, ma anche per supporto ai capitani. Stiamo completando tutti i calendari. Vorremmo che Matteo avesse le sue occasioni prima della Tirreno o della Parigi-Nizza e poi potremmo metterlo al fianco di Primoz. L’idea è di bilanciare le due parti.

Se questo è il piano, va da sé che Sobrero dovrà fare un inverno piuttosto impegnativo…

Un inverno allegro, ma non troppo pesante, perché altrimenti è lunga arrivare alle Ardenne. Ormai si è capito che la differenza nel ciclismo e negli sport di endurance la fai con la consistenza degli allenamenti. Devi lavorare bene per durare tanti mesi. Matteo viene da un bel break invernale, anche più lungo del solito, perché esce da un 2023 con 83 giorni di gara. Tranne uno stacco a maggio, ha gareggiato ogni mese a partire da febbraio. A giugno ha fatto lo Svizzera, poi i campionati nazionali, quindi secondo me doveva fare il Tour. Invece lo hanno mandato in Austria, dove ha vinto, segno che per il Tour sarebbe stato pronto. Poi Polonia e Vuelta, fino alle ultime corse di stagione. A quel punto era stanco mentalmente e per questo gli abbiamo accordato uno stacco più lungo.

Anche Aleotti è fra gli atleti di Artuso: nel 2023 è andato forte, concretizzando però poco
Anche Aleotti è fra gli atleti di Artuso: nel 2023 è andato forte, concretizzando però poco
Però è già andato in galleria del vento.

Sì, a Morgan Hill, per fare tutta la parte di aerodinamica. A breve andremo in pista in Germania per trasformare in qualcosa di concreto tutto quello che abbiamo raccolto in California e ottimizzeremo il tutto nel ritiro di Palma de Mallorca, dove magari faremo ancora un salto in pista. Fra le cose da provare c’è anche il materiale Sportful, con cui torniamo a collaborare. Sono capi molto veloci, per cui si sta lavorando anche su questo.

Che informazioni ti ha girato Pinotti?

Mi ha detto che a livello numerico Matteo ha ottimi valori. La cosa buona è che lui, essendo molto intelligente a livello tattico, fa meno fatica di altri. Questo si vede anche dai file, paragonando la stessa gara fatta da due corridori simili. E si vede che Sobrero risparmia più di altri. Poi Pinotti mi ha spiegato come hanno lavorato e ho notato che abbiamo uno stile di allenamento abbastanza simile, per cui Sobrero continuerà a lavorare in modo coerente.

Il punto più alto della collaborazione fra Pinotti e Sobrero si è avuto a Verona, vincendo l’ultima crono del Giro 2022
Il punto più alto della collaborazione fra Pinotti e Sobrero si è avuto a Verona, vincendo l’ultima crono del Giro 2022
Sobrero ha avuto negli ultimi anni due diverse letture: prima uomo da corse a tappe, poi per le classiche. Voi cosa pensate?

Ho già detto anche a lui che dovremo dividere la stagione in due. Una prima parte fino alla Liegi, in cui la preparazione sarà più improntata su lavori più brevi, anche dal punto di vista della palestra, pur non trascurando il fondo. Dopo le Ardenne si farà un break e nella seconda parte andremo a lavorare maggiormente sull’endurance. Se sarà nel gruppo del Tour, perché io sono sempre un po’ contrario a fare il Giro con uno che ha corso le Ardenne, bisognerà fare delle scelte. Io sto spingendo in questa direzione.

Come arriverà alle Ardenne?

Ci sarà da studiare l’avvicinamento giusto. Possono esserci due corse a tappe, che possono essere Parigi-Nizza o Tirreno, poi Catalunya o Baschi. Sicuramente a febbraio lo porterei a fare un bel blocco di altura con cui saremmo coperti sino a fine aprile. Poi, se i capi accettano il programma, tornerà in altura per preparare il Delfinato e prima del Tour farà il Top Up Camp. Infine, nella terza parte di stagione potrà avere i suoi spazi. C’è il Canada, insomma, ci sono le corse in Italia. Sarà una pedina preziosa per Primoz, ma è anche giusto dargli il suo spazio. E’ giovane e ha dimostrato che può vincere le corse, quindi avrà il mio massimo supporto.

Come nel 2023, Sobrero dovrebbe chiudere la prima parte di stagione a Liegi. Poi stacco, altura, Delfinato e Tour
Come nel 2023, Sobrero dovrebbe chiudere la prima parte di stagione a Liegi. Poi stacco, altura, Delfinato e Tour
Dove farete le vostre alture?

A febbraio sul Teide. Per maggio abbiamo due opzioni, Tignes o Sierra Nevada. Mentre sicuramente a giugno, tra Delfinato e Tour, andremo a Tignes, dove è possibile fare anche qualche ricognizione sulle tappe. Chi invece andrà alla Vuelta, probabilmente farà altura a Soelden, che è sponsor della squadra.

Nelle Ardenne, Sobrero andrà per tirare?

Quella è una questione che compete ai direttori. Se alla Liegi ci saranno Roglic, Hindley e Vlasov, avranno bisogno di appoggio. Mentre forse l’Amstel è un po’ più tecnica, quindi più adatta alle sue capacità tecniche di limatore. La Liegi è la corsa più onesta, se non hai gambe non la vinci.

Hai parlato di palestra: ci sarà per tutto l’anno o sarò soltanto una fase invernale?

In realtà vorrei portarla avanti il più possibile. Quando saremo a ridosso delle corse, la diminuiremo, però l’idea è di fare sempre dei richiami. La palestra ti dà una grossa mano, perché fai i lavori che in bicicletta non sono possibili. Ovviamente però c’è una linea sottile, fra la palestra per migliorare la prestazione o farsi del male. 

Sobrero è volato nella galleria del vento Specialized per lavorare sulla posizione da crono, che è già buona
Sobrero è volato nella galleria del vento Specialized per lavorare sulla posizione da crono, che è già buona
Squadra nuova, preparatore nuovo: cosa si fa invece con la nutrizione?

Rispetto allo scorso anno, abbiamo implementato anche l’attenzione sulla nutrizione. Adesso i nutrizionisti sono tre, perché dal 2024 si aggiungerà Giacomo Garabello che arriva dall’Astana. Così i corridori hanno un riferimento fra tutte le figure dello staff e Sobrero lavorerà proprio con Giacomo e come lui anche Aleotti.

Dove avverrà il debutto di Sobrero in maglia Bora-Hansgrohe?

Ci sono due opzioni. Una è il Saudi Tour, l’altra la Valenciana, una delle due, tra fine gennaio e i primi di febbraio. E da lì in avanti per lui sarà aperta la stagione della caccia.

Artuso: «Al Tour abbiamo visto il miglior Hindley»

26.07.2023
4 min
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Uno dei corridori sui quali si era posta maggiore attenzione, per quanto riguarda l’ultimo Tour de France, era Jai Hindley. L’australiano della Bora-Hansgrohe, vincitore del Giro d’Italia 2022, era atteso a questo importante banco di prova. Con Paolo Artuso, preparatore del team tedesco, avevamo parlato del tema legato ai giorni di corsa. Così, guardando la classifica del Tour, che ha visto Hindley piazzarsi in settima posizione finale, abbiamo contato i giorni di corsa fatti. L’australiano ha messo in cascina, prima della Grande Boucle, 40 giorni di gara, rispetto a numeri più contenuti degli altri corridori. 

Nella tappa numero cinque Hindley ha centrato la fuga, ha vinto la tappa e preso la maglia gialla, persa il giorno dopo a Cambasque
Nella quinta tappa Hindley ha centrato la fuga, ha vinto la tappa e preso la maglia gialla, persa il giorno dopo a Cambasque

Partenza dall’Australia

Il calendario di Hindley si è aperto nel mese di gennaio, dall’Australia, casa sua. Debutto alla Schwalbe Classic e poi ritorno al Tour Down Under, dopo due anni di assenza. Fin dopo la conquista della maglia rosa, Hindley, si era lasciato andare dicendo che sentiva parecchio la mancanza di casa. Normale per un corridore che da anni non tornava in Australia, così a gennaio, appena è stato possibile, ha preso un aereo in direzione Perth. 

«Ci aveva manifestato questa volontà fin da subito – dice Artuso – d’altronde era da prima del Covid che non vedeva la sua famiglia. Abbiamo così deciso di improntare la stagione partendo proprio dall’Australia e “modificando” la sua preparazione».

Hindley ha iniziato la sua stagione al Tour Down Under dopo due anni di assenza
Hindley ha iniziato la sua stagione al Tour Down Under dopo due anni di assenza
In che modo?

Niente training camp con la squadra a gennaio, ma le cinque tappe del Tour Down Under (più la Schwalbe Classic e la Cadel Evans Great Ocean Road Race, ndr). A febbraio si è fermato, ha fatto tanti giorni di allenamento, ed è tornato in gara all’Algarve.

Partendo così presto però Hindley è arrivato al Tour de France con 40 giorni di corsa, il doppio rispetto a Vingegaard, Pogacar e Rodriguez…

Premetto che nella preparazione di Hidley non cambieremmo nulla. Era chiaro che la sua presenza al Tour non poteva essere legata ad un tentativo di vittoria, i primi due sono di un altro livello. Il primo in particolare (Vingegaard, ndr). L’obiettivo era quello di lottare per il podio e fino alla caduta era in gioco. 

Rodriguez, diretto rivale per il podio, è stato quello che ha corso di meno, 20 giorni.

Il suo caso è interessante, fino a giugno aveva messo insieme solo 11 giorni di corsa. Poi sul podio ci è finito Adam Yates, che ha corso più di Rodriguez. Se devo dire un nome che mi ha sorpreso, dico proprio lui. Ma da questo punto di vista a livello tecnico si è capita una cosa importante.

Il passaggio al Catalunya è stato ritenuto più adatto, per tipo di percorso e salite
Il passaggio al Catalunya è stato ritenuto più adatto, per tipo di percorso e salite
Quale?

Che per performare al meglio serve arrivare freschi sia a livello fisico sia a livello mentale. Il futuro va sempre più verso un corridore che corre meno e si allena molto, soprattutto in altura. In allenamento sei tu che gestisci i tuoi impegni, come e quanto spingere e tutte le altre variabili. In gara sei più preda degli eventi. 

Il fatto di aver iniziato così presto, quindi, non ha influenzato negativamente Hindley?

Secondo me no, anzi. L’essere tornato a casa gli ha fatto bene, sicuramente ha potuto smorzare lo stress e riposare. Dal punto di vista fisico nemmeno, perché i numeri di Jai erano gli stessi del Giro dello scorso anno. Il livello di gare che c’era in Australia non era di certo elevato, e lui non è arrivato al massimo. Abbiamo usato la corsa di casa proprio come un allenamento. 

Hindley al Tour ha replicato i numeri che gli hanno permesso di conquistare la maglia rosa nel 2022
Hindley al Tour ha replicato i numeri che gli hanno permesso di conquistare la maglia rosa nel 2022
Poi però è andato alla Vuelta Algarve, alla Tirreno e al Catalunya, mettendo più fatica nelle gambe rispetto agli avversari. 

L’unica cosa che si potrebbe fare, forse, è ricalibrare leggermente gli appuntamenti. Inizialmente doveva fare i Baschi, ma il percorso del Catalunya era più adatto e con lui abbiamo deciso di correre lì. 

Al Giro lo scorso anno arrivava con 26 giorni di corsa, sicuramente più fresco e riposato…

Giro e Tour sono totalmente diversi. I mesi che precedono la corsa rosa sono pochi ed il percorso di avvicinamento è pressoché unico. Al Tour no, nei primi dieci abbiamo visto altrettanti metodi di approccio. Hindley al Tour è arrivato pronto, i numeri lo dicono, tutto si corre al limite e gli imprevisti ci sono. La caduta lo ha sicuramente influenzato, anche Rodriguez ha subito una brutta caduta perdendo la possibilità di lottare per il podio.

Due picchi di forma nella stessa stagione: come si fa?

15.07.2023
5 min
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«Ad aprile e maggio ho fatto terzo al Romandia e poi quarto al Giro. Ora lavoriamo per avere un secondo picco di forma e andremo alla Vuelta». Questa frase detta da Damiano Caruso durante la nostra ultima intervista merita un approfondimento. Il ragusano ha incentrato la sua stagione su due picchi di forma: il primo al Giro ed il secondo alla Vuelta. Ma come si lavora per arrivare pronti a due momenti così diversi della stagione?

Come il corridore della Bahrain Victorious, anche Remco Evenepoel si presenterà alla Vuelta, dopo il ritiro dalla corsa rosa per Covid. Il campione del mondo è stato terzo al Tour de Suisse (foto di apertura), ha poi conquistato il campionato belga su strada e ora si preparerà a difendere la maglia rossa.

I corridori di punta delle varie squadre tendono ad avere due picchi di forma durante la stagione (foto Instagram Hindley)
I corridori di punta delle varie squadre tendono ad avere due picchi di forma durante la stagione (foto Instagram Hindley)

Parola ad Artuso

Il caso specifico di Caruso è interessante ed apre spiragli e ragionamento che prendono il mondo della preparazione a 360 gradi. Abbiamo chiamato in causa Paolo Artuso, che con Caruso ha lavorato molto negli anni passati, prima di andare a seguire i corridori della Bora Hansgrohe

«Di base – spiega Artuso – un corridore può decidere tre modi diversi di affrontare la stagione. Il primo è quello di avere un solo picco di forma, di solito in corrispondenza del Tour. E’ un metodo che ha usato per anni Froome, ma è diventato sempre più raro nel ciclismo moderno. Il secondo, è quello deciso da Caruso (ma anche da Thomas, ndr), con due grandi picchi di forma. Questi possono essere in corrispondenza di Giro e Vuelta o di Classiche e Tour. L’ultimo è avere tre macro momenti di forma durante la stagione, in questo caso non si arriverà mai al 100%. Questa scelta di solito la si fa con dei gregari forti che si vogliono portare a più corse possibili».

Il terzo posto al Romandia è servito a Caruso per avere le prime risposte sulla preparazione in vista del Giro
Il terzo posto al Romandia è servito a Caruso per avere le prime risposte sulla preparazione in vista del Giro
Quando si opta per due picchi di forma come si lavora?

Solitamente si fa un performance plan, partendo dal determinare gli obiettivi durante la stagione. In questo caso Giro e Vuelta. Poi all’interno della stagione ci possono essere dei sotto obiettivi, le classiche “tappe di avvicinamento”. Queste consistono in corse dove arrivare pronti ma non al massimo (Caruso quest’anno ha optato per il Romandia, chiuso terzo, ndr). 

E poi?

Da qui si individuano i processi per raggiungere gli obiettivi, come i volumi di allenamento ed il peso. Per esempio: si decide che a dicembre si arriveranno a fare 90 ore di bici e che il peso sarà uno o due chili sopra quello ideale. Le tappe di preparazione variano a seconda dei periodi, più ci si avvicina alla corsa più si entra nello specifico. Magari verso marzo e aprile inserisci dei lavori ad alta intensità, come ripetute sui 30 minuti. 

Una volta portato a casa il risultato come si lavora per preparare il secondo obiettivo?

E’ come se si fosse ad ottobre, praticamente diventano due stagioni in una, così da arrivare freschi alla Vuelta, nel caso di Caruso. Diventa fondamentale fare del recupero attivo, per non perdere tonicità muscolare. Damiano ha un motore rodato e questo gioca a suo favore, ha tante stagioni alle spalle e ciò è un punto a favore. 

Andare ad allenarsi in altura permette agli atleti di essere monitorati e di aver maggior supporto tecnico
Andare ad allenarsi in altura permette agli atleti di essere monitorati e di aver maggior supporto tecnico
Anche se forte delle sue qualità lo stesso Caruso ha detto che ha fatto un recupero attivo, per non arrivare troppo riposato al ritiro in altura, che vuol dire?

Semplice. Se arrivi troppo riposato, passi da zero a cento in breve tempo e il fisico ne risente. In altura per forza di cose si fa fatica, si accumulano chilometri e tanti metri di dislivello, se sei troppo fresco rischi di non lavorare bene. C’è la possibilità di dover rivedere i carichi di lavoro e cambiare i programmi e questo non va bene.

Quando si è a casa come si lavora per arrivare pronti al ritiro?

Si attuano dei protocolli dedicati. Noi avevamo tre fasi, gestite sia per allenamento, che per nutrizione e monitoraggio. La prima fase riguarda l’adattamento: per arrivare pronti in ritiro non bisogna stare fermi ma nemmeno accumulare troppa fatica, solitamente si sta sulle 20 ore di allenamento settimanali. Un paio di settimane prima del ritiro si fanno gli esami del sangue, per capire i livelli di: transferrina, ferro, ematocrito ed emoglobina. Si fa anche un check dei profili ormonali. Da questi dati si decide la strategia alimentare. 

Per quali motivi si va in altura?

Per tre motivi: il primo è avere una risposta ematica, quindi rinnovare i globuli rossi. Quando hai la squadra al seguito si è monitorati al meglio, si tengono sotto controllo tutti i valori: frequenza cardiaca, saturazione, qualità del sonno, peso e idratazione. 

In altura si dorme in quota e ci si allena più in basso (foto Instagram Hotel Spol Livigno)
In altura si dorme in quota e ci si allena più in basso (foto Instagram Hotel Spol Livigno)
Una volta saliti in ritiro?

Per i primi giorni, dai due ai quattro, si riduce il volume di allenamento del 25% più o meno, in funzione dell’adattamento. Va detto che se non è il primo ritiro in altura dell’anno, l’atleta si adatta più velocemente. Nei giorni successivi si lavora, con l’obiettivo di dormire in alto e allenarsi in basso, così si può tenere alta l’intensità. 

E nell’ultima fase?

Si valuta quanto ridurre i carichi in base agli obiettivi. Solitamente chi va alla Vuelta corre prima alla Vuelta Burgos e al Tour de Pologne (questo è anche il programma di Caruso, ndr). Solitamente si riducono i carichi di lavoro anche del 50% rispetto a quando si era in altura. Al termine del periodo di adattamento, a casa, si fanno tre o quattro giorni con allenamenti ad alta intensità, come dietro motore o simili. 

Poi si va a correre…

Le corse di avvicinamento funzionano allo stesso modo della prima parte di stagione. Si va alle gare per vedere lo stato di preparazione e per fare qualche buon risultato in vista dell’obiettivo principale. 

Poche gare alla vigilia, si punta su allenamento e altura

20.02.2023
4 min
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Poche gare prima dei grandi appuntamenti, la tendenza è questa. Ma perché? L’argomento è piuttosto attuale visto che molti corridori, specie quelli che hanno cerchiato di rosso il Giro d’Italia, passeranno più tempo in altura e in allenamento che in gara.

E questo, a quanto pare, vale anche per i preparatori. Paolo Artuso, coach della Bora-Hansgrohe, quando ci risponde sta giusto per partire verso il Teide.

«Andrò lassù per dare il cambio agli altri preparatori che sono lassù già da un po’. Poi andrò alla Parigi-Nizza e tornerò ancora sul vulcano atlantico». Da queste parole già si può capire molto.

Paolo Artuso
Paolo Artuso (classe 1984) da quest’anno è un coach della Bora-Hansgrohe
Paolo Artuso
Paolo Artuso (classe 1984) da quest’anno è un coach della Bora-Hansgrohe
Paolo, ma cosa succede?

Alla fine ciò che serve è avere più ossigeno a disposizione e l’altura è quel che ci vuole per ossigenare ogni distretto muscolare al meglio. Si sapeva anche prima chiaramente, ma l’obiettivo è avere dei buoni valori del sangue. Valori più alti possibile, in modo legale.

Quindi torna a gran voce l’altura…

C’è poi da considerare che l’allenamento è un processo controllato. Posso lavorare laddove ho più bisogno. Potrei fare cento esempi. Per esempio devo perdere un chilo e mi alleno in un certo modo. Devo migliorare la prestazione dopo le 4 ore di gara e allora farò dei test dopo i 3.000 KJ e lavorerò su questo aspetto. L’allenamento è un continuo aggiustamento: oggi, più domani… più un mese.

Però si è sempre detto che la gara serve. Che l’allenamento che si fa in corsa non si fa a casa o in ritiro.

Ovvio che c’è bisogno degli stimoli della gara. Però è anche vero – ed è questo un passaggio chiave – che se oggi non sei al 100% in gara fai fatica e basta. Ti ritrovi a fare sforzi su sforzi, fuorigiri frequenti e alla fine vai in acidosi.

Anche in quota sul Teide, Roglic ha usato la bici da crono… sui rulli (foto Instagram)
Anche in quota sul Teide, Roglic ha usato la bici da crono… sui rulli (foto Instagram)
Acidosi?

I muscoli diventano acidi e ciò contribuisce alla fatica anche in allenamento. In pratica non sei più costruttivo. I mitocondri, queste famose centraline dei muscoli, non amano un ambiente acido e se questo è addirittura troppo acido si distruggono. Ed è quello che succede se vai in corsa senza essere pronto. Sei sempre a tutta, sempre ad inseguire, sempre in acido lattico. Una volta invece non era così. Andavi alle corse per rifinire la preparazione. Andavi in Oman, per esempio, anche se non eri al top e miglioravi. Adesso invece in Oman ho visto numeri da Giro e da Tour e come fai?

Abbiamo visto che Conci dopo queste prime gare farà molta altura, poi Catalunya e poi altura. Roglic idem e non ha neanche corso. Magari Primoz lo fa perché spesso ha tentennato nella terza settimana e vuol preservarsi?

Ma alla fine se ci pensiamo è lo stesso discorso. Vuole arrivare meglio alla terza settimana. Poi è anche una questione mentale.

Cioè?

Al netto di Roglic, oggi ad ogni rotonda c’è una guerra. Tutti i diesse per radio dicono agli atleti di stare davanti e per ogni minima cosa c’è una lotta. Quindi se corri un po’ meno anche dal punto di vista dello stress ci arrivi un po’ meglio.

Abbiamo nominato Conci e Roglic, in Bora-Hansgrohe avete corridori che puntano al Giro e che correranno poco?

Penso a Vlasov. Dopo la Valenciana è tornato in altura. Poi farà Tirreno, di nuovo altura e Tour of the Alps.

Oggi più che mai il rischio di essere sempre a tutta in gara, spinge gli atleti a ponderare bene le gare da fare
Oggi più che mai il rischio di essere sempre a tutta in gara, spinge gli atleti a ponderare bene le gare da fare
Quindi niente Liegi, niente Ardenne?

Vediamo, ma oggi la differenza la fa la durata dell’altura. Prima si facevano due settimane, adesso se ne fanno tre o quasi tre. Soprattutto nel primo ritiro dell’anno. Anche l’adattamento è diverso. Prima tre giorni, adesso magari sono anche cinque e poi s’inizia con i blocchi di lavoro.

Ecco, hai parlato di lavori in altura. Si diceva che in quota non si facevano specifici e adesso tu parli di blocchi di lavoro e Rota ci dice che fa le volate a 2.500 metri di altitudine…

Quelle di Rota però sono volate di 15”-20” e non sono quelli i lavori che ti “finiscono”. Ciò che ti consuma sono i lavori submassimali di un’ora. Anzi, in altura quel tipo di stimoli di Rota sono ottimi. Ma resta il fatto che oggi devi andare in corsa pronto.

Perché?

Perché si va più forte. Noi lo vediamo con i test. Con certi valori una volta vincevi i Giri, oggi arrivi tra i primi venti. C’è sempre una maggior precisione del lavoro. Io dico sempre ai miei atleti che la prestazione è un insieme di palline. Quella più grande è l’allenamento, perché è la base e se non ti alleni non vai. Poi ci sono le palline più piccole della nutrizione, del riposo, dei materiali… cosa è cambiato: che rispetto ad una volta queste altre palline sono diventate più grandi. Hanno più peso…

Artuso alla Bora, alla guida di una “all star”

07.01.2023
5 min
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L’avventura di Paolo Artuso fra i diesse della Bora Hansgrohe è iniziata ormai già da oltre un paio di mesi. Il tecnico veneto si è già perfettamente integrato nei meccanismi del team tedesco. Team che parte per il 2023 con grandi obiettivi dopo aver portato a casa uno dei tre grandi Giri della scorsa stagione, la corsa rosa con la splendida cavalcata di Jai Hindley.

Artuso è entrato subito nel cuore del team: a lui sono stati affidati 6 componenti della squadra da seguire direttamente, poi si alternerà con gli altri diesse per le varie corse del calendario: «Abbiamo iniziato la preparazione già a ottobre con un primo ritiro sul ghiacciaio austriaco di Soelden, quello abitualmente teatro della prima gara di Coppa del Mondo di sci alpino. Quella è stata soprattutto un’occasione per conoscersi e gettare le basi della nuova stagione. Poi a dicembre abbiamo fatto due settimane di stage a Maiorca, fino al 21 dicembre (foto di apertura, ndr) e lì si è lavorato molto, sia su strada con lavori di fondo ma anche curando la tecnica su pista e svolgendo test di laboratorio».

Artuso insieme a Schachmann: il rilancio del tedesco è una delle sfide del tecnico italiano
Artuso insieme a Schachmann: il rilancio del tedesco è una delle sfide del tecnico italiano
Come vi siete regolati nella programmazione della stagione di ogni singolo atleta?

Questo è un aspetto che mi ha interessato molto. Sin dal primo ritiro abbiamo cercato di responsabilizzare al massimo ogni singolo componente del team, dicendogli di stilare un proprio calendario. Poi li abbiamo comparati cercando di accontentarli nella misura resa possibile anche dalle esigenze della squadra, In questo modo abbiamo stilato il 90 per cento del calendario 2023, poi naturalmente tutto andrà verificato in corso d’opera, ma ognuno ha una base su cui lavorare e ha visto molte delle sue aspettative accontentate.

Come mai una scelta così anticipata?

Questa programmazione è un aspetto molto importante perché ci consente di programmare i periodi di altura in relazione agli impegni di ognuno, posizionandoli nella maniera più conveniente e strutturando la preparazione in modo da portarli nella forma migliore quando serve.

Hindley si è convinto a puntare tutto sul Tour. Obiettivo un bel piazzamento nella corsa più prestigiosa
Hindley si è convinto a puntare tutto sul Tour. Obiettivo un bel piazzamento nella corsa più prestigiosa
Parliamo della programmazione di Hindley: l’australiano voleva difendere la sua maglia rosa al Giro, ma le caratteristiche del Tour sono più adatte a lui e quindi verrà indirizzato verso la Grande Boucle. L’australiano è convinto della decisione?

Non ci sono stati attriti. Anche Jai sa bene che il suo punto debole sono le cronometro e in tal senso la differenza fra i due percorsi è notevole. Capiamo il corridore, è normale voler provare a difendere il simbolo del primato, ma sappiamo che su quel percorso ci saranno corridori più forti e attrezzati. Hindley andrà al Tour sapendo di non essere il favorito e di correre per la prima volta in una gara che è diversa da tutte le altre. Dovrà fare esperienza e magari puntare a un obiettivo plausibile: arrivare nei primi 5 sarebbe per lui un grande risultato considerando la sua costanza nell’arco delle tre settimane.

La Bora Hansgrohe mantiene quindi una conformazione specifica per le corse a tappe, sulla falsariga della Ineos…

Il team aveva fatto questa scelta un paio d’anni fa ponendosi come obiettivo vincere un grande Giro nell’arco di un quadriennio. Ha raggiunto già al primo anno e questo dimostra come la strada intrapresa all’indomani dell’addio al team di Sagan sia quella giusta. La stagione scorsa è stata davvero ottima, ma la fame di successi è aumentata.

Il trionfo mondiale di Herzog: il giovane tedesco è stato affidato ad Artuso per la preparazione
Il trionfo mondiale di Herzog: il giovane tedesco è stato affidato ad Artuso per la preparazione
La sensazione però è che questo progetto sia profondamente radicato. Anche nella filiera giovanile ci sono corridori che sembrano costruiti per le prove a tappe, come lo stesso campione del mondo junior Herzog.

Tra l’altro curerò io il tedesco. E’ un ragazzo fortissimo fisicamente ma ha profondi margini di miglioramento. Essendo naturalmente acerbo, deve arrivare al top senza fretta. Con i giovani bisogna lavorare con calma, senza esasperazioni. Questo per lui sarà il primo anno da U23, molto cambierà rispetto alla sua passata stagione e non deve avere l’ansia di strafare. Ha tutto il tempo per crescere.

Quali sono i corridori che ti sono stati affidati?

Innanzitutto Jungels, che arriva nel team e che ho subito visto essere un fenomeno. Ha avuto molti problemi fisici che ha finalmente risolto, io dico che deve solo ritrovare l’abitudine alla vittoria. Lui è l’uomo giusto per centrare grandi successi in linea. Poi c’è Buchmann, corridore che dopo un 2022 opaco va recuperato perché ha grandi potenzialità nelle corse a tappe. Anche Schachmann viene da una stagione fisicamente complicata, io voglio riportarlo ai suoi livelli, quelli che gli hanno permesso di lottare per grandi vittorie. Ho poi Konrad, austriaco che ha vinto poco ma ha grandi mezzi: lui è abituato a lavorare per gli altri, si sacrifica molto ma io dico che è un jolly e può anche sorprendere in prima persona. Infine ci sono Bennett, che alla Vuelta è tornato a svettare, e Koretzky, il giovane biker francese anche lui nuovo acquisto. E poi come detto Herzog come “aggiunta”.

Su Konrad Artuso ha le idee chiare: l’austriaco dovrebbe mirare più in alto
Su Konrad Artuso ha le idee chiare: l’austriaco dovrebbe mirare più in alto
Sembra veramente una “all star” per le corse a tappe quella che hai in mano, ma non si può non notare che non ci sono italiani…

I giovani interessanti ci sono anche in Italia, devono solo trovare il giusto spazio. Da noi ad esempio Aleotti ha davvero bei numeri, al Giro la sua presenza è stata fondamentale e sta crescendo nella maniera giusta. Anche Fabbro in salita è uno che dice la sua. I giovani ci sono: io vengo dalla Bahrain Victorious e lì ho potuto vedere di persona gente come Milan e Zambanini siano due ragazzi dalle potenzialità enormi. Bisogna solo stare attenti a non guardare sempre e solo i risultati, che non dicono tutto. Ogni anno è a sé. Magari questo sarà un anno ciclisticamente più azzurro.

Polga, l’amico di Zana riparte dalla Novo Nordisk

03.01.2023
5 min
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Tra i tanti italiani che entrano (o rientrano) nel giro agonistico internazionale c’è una storia che merita di essere conosciuta, anche perché coinvolge il team Novo Nordisk, la squadra americana che per statuto assume solamente corridori con diabete di tipo 1 (quello congenito) con lo scopo di dimostrare che si può avere una vita completamente normale anche in presenza di questa patologia, basta seguire le giuste indicazioni. La storia è quella di Antonio Polga.

Corridore di 23 anni, nato a Fara Vicentino, Polga per gran parte della sua vita ha condiviso la sua passione sportiva con un vicino di casa piuttosto speciale: Filippo Zana, il campione italiano approdato a fine stagione nel WorldTour. «Siamo sempre stati molto legati e ognuno ha goduto dei successi dell’altro. O meglio: io ho festeggiato i suoi, ma so che lui è contento per il fatto che sono tornato nel giro».

Polga insieme al campione italiano Filippo Zana: spesso si allenano insieme
Polga insieme al campione italiano Filippo Zana: spesso si allenano insieme

Diabete diagnosticato nel 2014

Polga infatti ha trovato spazio nelle file del team Devo affiliato alla formazione a stelle e strisce. Riallacciando così un filo che si era spezzato anni fa: «Io ho iniziato da G2 alla Sandrigo Sport, poi le categorie esordienti e allievi le ho svolte a Schio e da junior ho corso nella Campana Imballaggi. Nel 2016 Paolo Artuso che mi allenava mi spinse a fare un casting con la Novo Nordisk, perché da due anni avevo scoperto di avere il diabete».

Se ci fate caso, nell’ultima frase sono condensati due momenti importanti, di quelli che possono caratterizzare una vita intera. Il primo riguarda la scoperta del diabete in età adolescenziale: «Non ne sapevo nulla, quando me lo diagnosticarono non conoscevo altre persone, neanche nella mia famiglia con la stessa patologia. Bisogna considerare che una decina di anni fa non c’erano le stesse conoscenze di adesso, i microdiffusori di insulina stavano iniziando a essere sperimentati, le informazioni scarseggiavano e il diabete veniva visto come un ostacolo alla vita quotidiana».

Il secondo, l’approdo al team Usa è strettamente legato al primo: «E’ stato grazie a loro che ho capito che è qualcosa con cui si può convivere facilmente, che si può competere con chiunque. L’unica differenza rispetto a ogni altro corridore è che bisogna tenere sotto controllo i valori glicemici, non scendere o salire sotto certe soglie. Influisce sulle prestazioni? Forse leggermente, ma si affronta e siate pur sicuri che ogni risultato, anche la sola presenza in gara ha un sapore particolare».

La passione di Antonio nasce già da piccolo. Ha iniziato come G2 alla Sandrigo Sport
La passione di Antonio nasce già da piccolo. Ha iniziato come G2 alla Sandrigo Sport

La scelta dello studio

L’esperienza alla Novo Nordisk comportava però anche un profondo cambio di vita: «Dovetti trasferirmi ad Atlanta per il ritiro prestagionale: si correva un po’ dappertutto, in Italia dove mio padre mi accompagnava nelle gare del Triveneto, ma ero solo. Poi si stava un mese in Belgio per le classiche e a luglio un mese negli Usa per l’attività sul posto. Nel 2018 però mi trovai di fronte a un bivio: era l’anno della maturità e tutti questi spostamenti penalizzavano lo studio. Privilegiai la scuola e non me ne pento, ma la mia esperienza con il team si chiuse lì».

Di fatto anche la sua attività ciclistica passò in secondo piano: «Dopo il diploma iniziai l’università, Ingegneria Gestionale. Sono appassionato di analisi statistiche da applicare al ciclismo, è una strada che voglio percorrere fino in fondo. Ma questo comportava il fatto che avevo poco tempo per allenarmi. Tutto è cambiato con il Covid».

Nelle Granfondo 2022 Polga ha colto il 6° posto alla GF Liotto e il 9° alla GF Segafredo
Nelle Granfondo 2022 Polga ha colto il 6° posto alla GF Liotto e il 9° alla GF Segafredo

La ripresa con gli amatori

Nel periodo del lockdown si studiava in casa, con le lezioni online e questo comportava avere molto più tempo a disposizione: «Mi sono organizzato in modo da poter uscire in bici quasi ogni giorno. Ho ripreso ad allenarmi seriamente e i miglioramenti erano evidenti. Non lo facevo con spirito agonistico, ma pian piano ho ritrovato il gusto della bici e anche delle gare grazie a un gruppo amatoriale che mi ha voluto con sé per le granfondo, l’Uc San Vito di Leguzzano. Non potrò mai dire abbastanza grazie al suo patron Matteo Stefani che mi ha restituito l’ambizione…».

Da lì curiosamente la strada è ripresa quasi in parallelo con quanto era avvenuto anni prima: «Un ragazzo del team era allenato da Paolo Artuso. Siamo così tornati in contatto e da lui ho saputo che c’era un altro camp del team americano, questa volta in Italia. Ho passato le selezioni e la squadra mi ha inserito nel team development. Riparto praticamente da dove mi ero fermato, ma con molta maturità e consapevolezza in più».

Il veneto con la maglia della Novo Nordisk insieme a suo padre Alessandro
Il veneto con la maglia della Novo Nordisk: un ritorno inaspettato ma voluto

Il momento di riprovarci…

Artuso, oggi nello staff dirigenziale della Bora-Hansgrohe, è molto legato a Polga. Vivono vicini e lo ha seguito nella sua evoluzione, lo ha sempre monitorato soprattutto negli ultimi tempi dopo il suo ritorno all’attività. Conferma che nel primo tentativo non era ancora maturo, fisicamente e mentalmente, ma che il ragazzo di allora è profondamente diverso dall’uomo di oggi, che merita una chance per la passione che nutre per la bici.

Polga oggi è un ragazzo voglioso di provarci: «Dalla mia ho la consapevolezza di essere un’altra persona, non solo caratterialmente. Non solo riesco a gestirmi meglio, ma fisicamente sono molto più cresciuto, sono maturato tardi rispetto a molti miei coetanei. Il corpo ora risponde molto di più. So che mi attende un’attività molto qualificata, è un team continental che affronterà gare di tipo 1.1 e 2.1. Inizieremo in Grecia a marzo, sia con gare a tappe che in linea. Poi si girerà l’Europa: Polonia, Croazia, Slovacchia, anche alcune gare tra Francia e Belgio. Magari in giro ritroverò Filippo: se sono qui è anche grazie a lui».

Artuso, il futuro alla Bora, il cuore con Colbrelli e Milan

02.11.2022
6 min
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Paolo Artuso ha cambiato numero. Ha restituito quello della Bahrain Victorious e in attesa di riceverne uno dalla Bora-Hansgrohe terrà buono quello di sempre. Il passaggio è avvenuto sotto traccia, perché di solito fa più notizia il mercato dei corridori, tuttavia non è passato inosservato il contratto triennale offerto al preparatore dal team tedesco, che si è già riunito fra Germania e Austria, per visite mediche e un team building a Soelden.

Paolo Artuso (classe 1984) è stato nel gruppo Bahrain sin dalla fondazione, quando c’era il gruppo Nibali
Paolo Artuso (classe 1984) è stato nel gruppo Bahrain sin dalla fondazione, quando c’era il gruppo Nibali

«Ogni tot anni è anche giusto cambiare – sorride Artuso – per avere stimoli diversi e crescere ancora. Ero in Bahrain da sei, praticamente dall’inizio e ho visto cambiare la filosofia della squadra. I primi tre anni c’era il gruppo di Nibali. Poi dal quarto anno è arrivato Rod Ellingworth con la McLaren e ha stravolto la squadra a livello di protocolli. Ha portato l’esperienza di Sky, però è rimasto solamente un anno. Per cui negli ultimi due abbiamo fatto una via di mezzo tra la filosofia iniziale della squadra e quella di Rod, prendendo quello che ci sembrava migliore».

E Bora?

Abbiamo fatto una chiacchierata e quello che mi hanno detto mi è piaciuto tanto. Il progetto che hanno soprattutto per le corse a tappe è importante. Hanno dei giovani molto forti. C’è Hindley, poi Konrad, Schachmann, Buchmann, Higuita, Cjan Uijtdebroeks che non so ancora come pronunciarlo. Poi c’è Vlasov, cioè… La squadra è veramente competitiva e c’è anche Aleotti, che non sappiamo ancora fin dove possa arrivare.

Fra i corridori di Artuso c’è anche Schachmann, reduce da un 2022 a corrente alternata
Fra i corridori di Artuso c’è anche Schachmann, reduce da un 2022 a corrente alternata
Perché hai deciso di accettare?

Mi hanno voluto fortemente e quando vai in un posto in cui ti vogliono così tanto, parti con il piede giusto. Il progetto è a lungo termine, il contratto triennale per un membro dello staff vuol dire fiducia e che a livello economico la squadra è stabile. Così ho deciso di fare il salto, passando dal Bahrain che ha una forte impronta italiana a un team totalmente tedesco. Ci sono degli italiani, ma la base non è latina e mi incuriosisce. 

Ti hanno già assegnato degli atleti da seguire?

Ne ho cinque. Buchmann, che ha fatto quarto al Tour del 2019. Poi Patrick Konrad, che secondo me è un corridore vincente perché tiene in salita ed è anche veloce (i due sono insieme nella foto di apertura, ndr). Schachmann, che arriva da un anno sfortunato, ma ha comunque vinto due volte la Parigi-Nizza. Quindi Sam Bennett, che vince le volate perché ci arriva più fresco e non è solo un velocista. Infine Jungels, che si è operato all’arteria iliaca e ha fatto una bella seconda parte di 2022 dopo la vittoria al Tour e nel palmares ha la Liegi.

Inizia dalla vittoria di Amilly alla Parigi-Nizza 2017 la scalata di Colbrelli al successo. Artuso c’era già
Inizia dalla vittoria di Amilly alla Parigi-Nizza 2017 la scalata di Colbrelli al successo. Artuso c’era già
Colbrelli smette e tu con Sonny hai lavorato tanto…

Abbiamo lavorato insieme sin da quando arrivò al Bahrain. Con lui ho dei bei ricordi, come la prima vittoria alla Parigi-Nizza nel 2017, la prima gara WorldTour della squadra. Ogni anno è cresciuto un po’, fino alla grande stagione 2021. Mi dispiace anche aver lasciato Matej Mohoric, che venne da noi al secondo anno di Bahrain e abbiamo subito instaurato un ottimo rapporto. Tra alti e bassi, insomma, anche con lui siamo riusciti ad azzeccarne qualcuna di buona. E poi c’è Caruso, che mi mancherà a livello umano. Mi mancheranno in tanti, anche Jonathan Milan che è un altro fenomeno.

Proprio Milan: secondo te può diventare un velocista fortissimo come ha detto Caruso?

Che sia forte, è forte. Di fatto è veloce, perché ha numeri fuori dal normale. Però c’è anche una base aerobica buona, come si è visto in Croazia. Quindi secondo me può fare il velocista e l’uomo da classiche. E’ ancora giovane, ha 22 anni ed è ancora tutto da scoprire. Ha già ottenuto tanti risultati. E’ campione del mondo e anche Olimpionico su pista. Su strada si è allenato poco eppure vince già. Dovrebbe lavorare di più e con maggiore continuità, rispetto a quella che ha avuto per vari problemi fisici.

Jonathan Milan non si allena ancora a pieno regime, eppure vince su pista e anche su strada
Jonathan Milan non si allena ancora a pieno regime, eppure vince su pista e anche su strada
Secondo te Colbrelli avrebbe fatto un altro anno alla grande?

Di sicuro ne aveva altri 2-3 al top. L’inverno scorso non è stato perfetto, fra i mille impegni. Però uno che ti vince così e che ha fatto una stagione del genere vuol dire che si era sbloccato e correva con un obiettivo chiaro, anche da parte della squadra. Non doveva più guadagnarsi il ruolo di capitano, avrebbe avuto un approccio completamente differente.

E Caruso?

Secondo me ha ancora i mezzi per andar forte. In ogni corsa cui ha partecipato è stato competitivo. Dall’Andalusia dove ha lavorato per Poels che ha vinto, alla Tirreno in cui ha fatto settimo in classifica, con il quinto posto nel tappone del Carpegna. Alla Sanremo ha lavorato e al Giro di Sicilia ha vinto due tappe e la classifica. Il Romandia era un obiettivo, ma ha avuto problemi con la catena nell’arrivo in salita, ha perso tempo e alla fine è arrivato sesto a 50″ dal podio. Al Delfinato ha fatto quarto e dal Tour se ne è andato con il Covid. Secondo me ha fatto una signora stagione.

Il 2022 di Caruso è partito bene, ma il Tour non è stato il suo miglior passaggio anche per problemi di salute
Il 2022 di Caruso è partito bene, ma il Tour non è stato il suo miglior passaggio anche per problemi di salute
Quando il preparatore cambia squadra, lascia le consegne a chi rimane?

Al Bahrain, come pure alla Bora, si utilizza la piattaforma Today’s Plan. I file di allenamento sono dei corridori e restano a loro. Per il resto, ci sono due account sullo stesso server. Di conseguenza, nel momento in cui vai via, i file rimangono dove sono, semplicemente io non ho più accesso alla piattaforma. I file di allenamento li ho sempre visti come un veicolo per fare meno errori e programmare la preparazione. Il test vero e proprio andrebbe fatto in laboratorio in ambiente controllato e con lo stesso ergometro. I test che usiamo di solito servono per calibrare i ritmi di allenamento, capire dove l’atleta è più carente, dove lavorare. Mi resta il bagaglio di esperienza. E tutto il lavoro che devo cominciare a fare con i miei nuovi atleti.

Quei 4′ finali su strada che tanto piacciono al pistard

05.10.2022
6 min
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Tre chilometri all’arrivo. Il gruppo è lanciato sul filo dei 60 all’ora. C’è tensione. Si gomita per prendere la posizione che si reputa migliore: chi deve fare il treno, chi l’apripista, chi la volata, chi magari deve proteggere un compagno davanti. E in quei frangenti il dispendio energetico è massimo. Ma è lì che il pistard è avvantaggiato.

Jonathan Milan, l’altro giorno raccontandoci con lucidità i finali delle sue vittorie in volata alla CRO Race, disse che c’era molto della sua attività in pista. «Quei 4′ oltre il limite sul parquet te li ritrovi tantissimo su strada».

E qualche mese prima Paolo Alberati parlando di Fiorelli ci disse come il dispendio energetico massimale incidesse sulla prestazione. Lo stare a ruota. Il limare. E, sempre parlando di Fiorelli, ci disse come il suo atleta di volate negli ultimi due chilometri ne “facesse tre”. Troppe. Per dire che basta un spendere un po’ di più e tutto va a monte.

Paolo Artuso, è uno dei preparatori della Bahrain Victorious
Paolo Artuso, è uno dei preparatori della Bahrain Victorious

Base aerobica…

Paolo Artuso, che di Milan è il coach alla Bahrain-Victorious, ci aiuta a comprendere meglio cosa volesse dire Jonathan e perché avesse ragione.

«Tutto vero – spiega Artuso – ma prima ancora del finale di corsa farei un passo indietro. Per fare quei wattaggi massimali nel finale devi arrivarci fresco. E ci si arriva con due punti primari: l’efficienza di pedalata e l’efficienza lipidica. Devi avere una base aerobica super. Prendendo l’esempio di Milan lui ha vinto dopo 5 ore e mezza di corsa (prima tappa) e dopo 4 ore e passa (la seconda)».

Quando Artuso parla di efficienza di pedalata non si riferisce tanto allo stare ben messi in sella, quanto alla pedalata vera e propria, al rendimento e al dispendio energetico. C’è chi per fare cento pedalate spende “cinque” e chi spende “due”. 

«E per questo ci si lavora, tanto più per un corridore alto (1,94 metri, ndr) come Milan. Una volta si faceva la ruota fissa. Jonathan raggiunge questa efficienza con il lavoro in pista».

«Quando invece parlo di efficienza lipidica, intendo la capacità di utilizzare la benzina dei grassi. Noi abbiamo il serbatoio lipidico che è enorme e quello degli zuccheri che molto più piccolo. Più abituo il fisico ad utilizzare il serbatoio dei grassi e più zuccheri avrò a disposizione nel finale.

«E come mi abituo a bruciare i grassi? Facendo parecchia base aerobica anche “intensa”, quindi Z2 e Z3».

Grazie anche all’agilità un pistard come Milan se l’è cavata in salita
Grazie anche all’agilità un pistard come Milan se l’è cavata in salita

Quell’agilità

«C’è un terzo elemento – continua Artuso – ed è l’agilità. Milan non è arrivato là davanti su percorsi del tutto piatti, ma superando anche delle asperità. Tra l’altro, faccio un inciso, nel giorno in cui ha perso la maglia mi hanno detto che sulla salita di 17 chilometri hanno fatto fatica a staccarlo. E le ha superate bene, senza spendere troppo, grazie all’agilità».

«A 60 rpm una pedalata dura un secondo, a 90 rpm dura 0,66”. La contrazione muscolare quindi più breve e ciò consente maggior ossigenazione ai muscoli. Questa resistenza alle alte cadenza sulle salite di 8′-12′ (oltre all’efficienza lipidica e di pedalata) ha fatto sì che Milan potesse arrivare fresco nel finale e sfruttare le sue doti di pistard».

Gli allenamenti in pista permettono di lavorare meglio sulla forza e le alte intensità
Gli allenamenti in pista permettono di lavorare meglio sulla forza e le alte intensità

Pista e lattato

Ed è qui, che emerge appunto il pistard. Quando lo sforzo è massimo e si va in asfissia.

«A questo punto – va avanti Artuso – subentrano i lavori lattacidi e la pista in tal senso dà una grossa mano, in quanto si fa un lavoro di forza ad elevatissima intensità.

«Nello specifico, prima della CRO Race, in pista Milan ha lavorato su ogni tipo di forza e di resistenza lattacida: partenze da fermo da 125 metri, 250 metri… E lavori da 2.500 metri e fino ai 4.000 metri. Nel complesso un volume “piccolo” ma ad alta intensità. E se si fa un buon recupero succede che vince anche su strada».

«In questo modo per me è più facile allenare un Milan: devo fargli fare “solo” la base aerobica e poi in pista fa i lavori intensi. Ma quando si ha sottomano un atleta così potente e di una certa stazza bisogna stare attenti anche alla parte aerobica. Sapete cosa vuol dire far fare un’ora di medio a Milan? Significa che per 60′ deve fare 430-450 watt. Lì fa, ma fisiologicamente è devastante. Di conseguenza certi carichi devi ridurli un po’. Altrimenti il giorno dopo è stanco e salta tutto. 

«Serve consistenza nell’allenamento. E per consistenza intendo l’allenarsi oggi, più domani, più dopodomani… Non è solo alternare carico e scarico. E’ dare continuità ai lavori».

Una fase calda che precede la volata tra chi cerca di portare fuori il proprio leader e chi sgomita alla sua ruota
Una fase calda che precede la volata tra chi cerca di portare fuori il proprio leader e chi sgomita alla sua ruota

Quattro minuti

E torniamo al punto iniziale: quanto dà una specialità come quella dell’inseguimento (ma non solo) su pista alla strada. Mediamente un inseguimento dura 4′, un po’ meno se a squadra, un filo di più se individuale. Bisogna “dare del tu” all’acido lattico. Conviverci.

«La tolleranza al lattato – dice Artuso – è la capacità dell’atleta di mantenere una situazione non equilibrata (accumulo di acido, ndr) per il maggior tempo possibile. Lavorare sulla tolleranza fa sì che si migliori quando si è a tutta. Sostanzialmente si smaltisce meglio l’acido lattico.

«Come? Facendo alta intensità. Per esempio: 3 serie da 10′ di 30”-30”. Alla fine porti a casa 15′ di fuori soglia. Oppure 3×3′ a tutta in pianura».

L’iridato Viviani nell’eliminazione: è importante essere lucidi quando l’acido lattico avvolge ogni muscolo del corpo
L’iridato Viviani nell’eliminazione: è importante essere lucidi quando l’acido lattico avvolge ogni muscolo del corpo

Ossigeno al cervello

In più c’è una cosa che Paolo Artuso conferma. Nei finali serve freschezza anche mentale e il pistard, che è abituato a limare o nel caso dell’inseguimento a tenere la linea migliore, ne ha da vendere.

«Di certo il pistard è avvantaggiato anche dal punto mentale e della lucidità. Tante volte vediamo delle cadute in discesa: ma perché? Perché “vedono doppio”. Non sono lucidi. Sono meno abituati alle punte di acido lattico e hanno meno ossigeno al cervello. Ne guadagna la guidabilità.

«Concludendo con Milan, il giorno in cui ha fatto la volata di quasi 400 metri non solo è stato bravo a tenerla, ma è stato bravo a tenere la posizione prima del via e a valutare la situazione (Mohoric, suo compagno era davanti e il gruppo rimontava, ndr)».

Delfinato a denti stretti, la via di Caruso verso il Tour

13.06.2022
6 min
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Quarto in un Delfinato corso alla velocità della luce, subito dietro Roglic, Vingegaard e O’Connor, gente da Tour in rotta sul Tour: quanto vale il risultato di Damiano Caruso? In attesa di scoprire i verdetti del Giro di Svizzera e di quantificare la forza di Pogacar in Slovenia, in che modo procede il cammino del siciliano verso la Francia?

Lo abbiamo chiesto nuovamente a Paolo Artuso, capo dei preparatori al Team Bahrain Victorious, che a breve raggiungerà Caruso sull’Etna per un altro step di preparazione.

«E’ andato bene – spiega – con i numeri che ci aspettavamo. Al Romandia c’era stata una flessione nell’arrivo in salita, quindi non era riuscito a fare la classifica che volevamo. Per cui ci siamo fermati, Damiano ha staccato la spina per un periodo di recupero, poi è andato direttamente al Teide per i consueti 15 giorni di lavoro in altura. Solo che quest’anno abbiamo cambiato metodo…».

Vale a dire?

Abbiamo intrapreso la via del Block Training, l’allenamento diviso in blocchi. Per cui sul Teide si è fatta tanta base, mentre per l’intensità si è scelto il Delfinato, dove Caruso è andato meglio del previsto.

Da quest’anno la preparazione di Caruso è stata rivista, nel senso di una periodizzazone a blocchi
Da quest’anno la preparazione di Caruso è stata rivista, nel senso di una periodizzazone a blocchi

Block training, come funziona

Per capire meglio, l’allenamento a blocchi è suddiviso in una serie di fasi orientate al miglioramento di uno specifico elemento della prestazione. La differenza principale è quindi la composizione di ogni blocco in base a quello che si vuole raggiungere. Le fasi tipiche sono l’accumulo, la trasformazione e la realizzazione.

L’accumulo è un periodo di volume elevato a bassa intensità, in cui l’atleta costruisce la base per il resto del suo allenamento. Nella trasformazione aumenta l’intensità mentre diminuisce il volume e l’atleta si concentra sulle caratteristiche che desidera sviluppare. La realizzazione è la fase di picco, quando l’atleta raggiunge le massime prestazioni. Il volume è basso per consentire al corpo di riprendersi, ma l’intensità è alta per portare l’organismo al massimo livello di forma fisica possibile.

Roglic e Van Aert (e Vingegaard) hanno monopolizzato il Delfinato: Caruso era lì
Roglic e Van Aert (e Vingegaard) hanno monopolizzato il Delfinato: Caruso era lì
Cosa ha fatto dunque Caruso sul Teide?

Prima il solito adattamento, anche se con lui serve meno rispetto alla prima altura dell’anno. Per questo ha iniziato subito a lavorare, senza particolari sessioni specifiche. La prima settimana sono venute fuori 25 ore, nella seconda sono state 28. Niente di esagerato. Di diverso rispetto agli anni scorsi, c’è che anche in allenamento ora diamo il pieno supporto sul piano della nutrizione, come in gara.

Anche Caruso è seguito dal dottor Moschetti?

Esatto, Nicola Moschetti. Anche in allenamento i corridori vengono assistiti sul piano della nutrizione, del recupero, del sonno e della prestazione. Per cui non si tratta solo di mettere insieme una settimana ben fatta, ma si ragiona in termini di consistenza di tutto l’anno. Non andiamo a cercare il peso ideale, perché sarà conseguenza diretta di queste abitudini.

Se il Teide è stato la fase dell’accumulo, il Delfinato è servito per trasformare?

Ha corso sempre al massimo, anche perché parlare di lavori specifici a quelle andature è abbastanza impossibile. Quando conosci le lunghezze delle salite, è anche facile determinare il ritmo giusto per salire, il cosiddetto “pacing”. Per cui nella tappa di ieri, volendo salvare la classifica, a un certo punto Damiano si è lasciato sfilare (è arrivato 6° a 55″ da Vingegaard e Roglic, ndr). Avrebbe potuto tenere duro e per il grande motore che ha, avrebbe fatto un fuorigiri, ma avrebbe compromesso la classifica. Invece così facendo, ha salvato il quarto posto finale. Stesso discorso per la crono.

Ottavo nella crono di La Batie d’Urfé: il Tour si aprirà con una crono, bisognerà gestirla bene
Ottavo nella crono di La Batie d’Urfé: il Tour si aprirà con una crono, bisognerà gestirla bene
Ottavo a 1’25” da Ganna e meno di un minuto da Roglic.

Avevamo stabilito di farla a 390 watt, l’ha fatta a 392. Ci lavoriamo sopra bene da maggio. Era una crono lunga, intorno ai 35-36 minuti, ed era tutta piatta. Uno come lui, che ha nella potenza alla soglia la sua arma migliore, si è trovato avvantaggiato.

Come si passa alla terza fase?

Adesso tre giorni di recupero, fra viaggio e riposo vero e proprio. Poi da sabato, Damiano andrà sull’Etna e lo raggiungerò anche io per fare lavori dietro moto ad alta intensità e arrivare pronti al Tour. Nella prima settimana, oltre alla difficoltà di gara, ci sarà da farsi il segno della croce...

Siamo vicini alla condizione del Giro 2021?

Credo che al Tour avremo lo stesso Caruso, per potenza e peso, un atleta che quest’anno è stato competitivo in tutte le corse cui è andato.

Damiano Caruso è nato il 12 ottobre 1987, è pro’ dal 2009, è alto 1,79 per 67 chili
Damiano Caruso è nato il 12 ottobre 1987, è pro’ dal 2009, è alto 1,79 per 67 chili
E’ facile ritrovare la forma perfetta? Guardavamo Kruijswijk e non è più sembrato quello del Giro 2016…

Nel suo caso secondo me si dovrebbe parlare di un diverso ruolo in squadra e di qualche infortunio. Lui probabilmente ha gli stessi numeri, ma in una squadra così forte fanno turnover e deve lavorare forte per i suoi leader. Ieri infatti ha fatto un lavoro pazzesco.

Che differenze ci sono fra allenarsi sul Teide e sull’Etna?

L’Etna è leggermente più basso. A livello di strade a Tenerife sono mediamente più dure, mentre in Sicilia ci si può allenare anche in pianura. Il meteo in questa stagione è buono in entrambi i casi, anzi forse l’Etna è più caldo. La logistica degli hotel è buona, forse in Sicilia si mangia troppo bene (sorride, ndr). Per contro, sabato Caruso prenderà la macchina e in un paio d’ore sarà al Rifugio Sapienza, senza tutti i voli che servono per arrivare sul Teide.

Risalite in cima sempre in bici?

Con lui che è scalatore, sempre. Si fanno lavori fino ai 1.200 metri di quota, perché si riesce a replicare l’intensità di gara. Invece sopra i 1.500 comincia a cambiare tutto e il carico esterno inizia a diminuire di un tot ogni 100 metri di quota. Per cui oltre una certa quota, si va senza lavori precisi.

Caruso ha chiuso il Romandia al sesto posto, poi ha staccato la spina
Caruso ha chiuso il Romandia al sesto posto, poi ha staccato la spina
Dall’Etna passaggio ai campionati italiani e poi Tour?

Purtroppo Caruso non farà l’italiano, per una questione logistica. Abbiamo valutato la situazione e il fatto che avremmo due soli corridori su un percorso che non gli si addice. Ci sarebbero Damiano e Zambanini, Milan è ormai prossimo al rientro ma il dottore suggerisce prudenza. E di Colbrelli sappiamo la situazione.

Soddisfatto del Delfinato, allora?

Molto, arriviamo giusti al Tour. Avremo davanti quei 2-3 corridori di un altro pianeta, poi però ci siamo anche noi. Damiano avrebbe potuto fare un grande Giro d’Italia, ho provato fino all’ultimo a convincerlo. Ma vedrete che anche al Tour non sarà affatto male…