La Covatilla ha acceso il fuoco e alla fine lo spettacolo c’è stato. Carapaz, l’ecuadoriano del Giro 2019, ha attaccato come era lecito aspettarsi, Roglic si è difeso con la squadra e con i denti e la tappa l’ha vinta David Gaudu, giovane francese della Groupama-Fdj che merita un approfondimento.
Falso modesto
«Non credo di essere un grande campione – ha detto – ma ho vinto due tappe in questa Vuelta come Wellens, che invece è un grandissimo corridore. Oggi il meteo era a mio vantaggio, c’era il freddo e anche la pioggia, che a me non danno fastidio, sono stato fortunato».
La prima l’ha vinta alla vigilia dell’Angliru ai Lagos de Somiedo. Questo fatto di ribadire di non essere campione David ce l’ha un po’ come un vezzo. Ma se gli ricordi che quattro anni fa ha vinto il Tour de l’Avenir, allora gli occhi scintillano.
«E’ stata anche una stagione difficile – dice aggiustando il tiro – abbiamo lavorato bene per tre mesi e abbiamo perso malamente il Tour. Siamo arrivati a questa Vuelta come cacciatori e anche se Pinot si è arreso, siamo rimasti uniti».
Ha vinto in quella che Daniel Martin ha definito la corsa più dura che abbia mai fatto e se ne torna a casa con due tappe e un piazzamento nei dieci. Non ci stupiremmo se dal prossimo anno Marc Madiot iniziasse a considerarlo il successore naturale di Pinot. Thibaut ha ancora due anni di contratto, ma pare che i rapporti con il suo mentore di sempre non siano più così idilliaci.
Carapaz va
Carapaz ci ha provato, ma non poteva essere forse un attacco ai 3 chilometri dall’arrivo a disarcionare Roglic, che non sembrava aver tradito grosse difficoltà.
«Oggi mi è piaciuta molto la tappa – ha detto dopo l’arrivo l’ecuadoriano – ed è un grande piacere finire secondo alla Vuelta. La squadra ha lavorato molto per me, hanno sempre cercato di rimanere davanti per me. Hanno mostrato grinta e coraggio e abbiamo provato tutto il possibile.
«Personalmente, sono molto soddisfatto della mia stagione e penso che anche la squadra possa esserlo».
Difficile dire se in queste ultime due parole ci sia un pizzico di rivalsa. Vale la pena ricordare infatti che l’ecuadoriano faceva parte del gruppo Giro del team Ineos-Grenadiers e che all’ultimo momento, di fronte alla condizione precaria di Froome e quella ancora acerba di Thomas, era stato dirottato sulla Francia, affinché lavorasse per Bernal. E poi, venuto meno l’apporto del colombiano, si era ritrovato ad andare in fuga e lottare, ottenendo de secondi posti a La Roche sur Foron e a Villard de Lans. Il ragazzo è educato, ma che nessuno provi a lamentarsi.
Quasi fatta
E così sul traguardo Roglic ha alzato il pungo come se la tappa l’avesse vinta lui. In realtà ha vinto la Vuelta, dopo il secondo posto del Tour e la vittoria di Liegi. E se anche il fantasma della sconfitta per qualche giorno fosse passato a fargli visita, questa volta lo ha scacciato stringendo i denti e sfruttando, secondo alcuni, la tattica della Movistar, che di certo non ha reso la vittoria e ha impedito attacchi davvero efficaci.
«E’ diventato molto emozionante negli ultimi chilometri – ha detto Roglic – sapevo che per mantenere il primato sarebbe stato sufficiente salire al mio ritmo. Alla fine è andato tutto bene. Carapaz ha dimostrato di essere molto forte. Non ho sempre avuto tutto sotto controllo, ma non ho mai avuto la sensazione che avrei perso la maglia. Sono rimasto concentrato e ho gestito la mia scalata e questo si è rivelato sufficiente per mantenere il primo posto. I miei compagni hanno fatto davvero un ottimo lavoro, come per tutta la Vuelta. Fino ad ora, siamo stati concentrati ogni giorno. Dobbiamo rimanerlo per un altro ancora e poi sarà finita».