Gasparotto: «Su Pellizzari non ci poniamo limiti, ma serve tempo»

29.10.2024
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Il finale di stagione di Enrico Gasparotto e della Red Bull-Bora-Hansgrohe coincide con la programmazione del 2025. Nel quartier generale austriaco è andato in scena il primo raduno che proietta la squadra verso gli impegni del prossimo anno. Una settimana insieme per conoscere i membri dello staff, i preparatori, i direttori sportivi, il reparto manageriale. Insomma, per i nuovi una prima infarinatura su come funziona un team destinato a pensare in grande e che da poco ha annunciato la nascita della formazione development.

Gasparotto risponde al telefono da Lugano, domani (oggi per chi legge) volerà a Parigi per la presentazione del Tour de France.

«Questi due mesi, ottobre e novembre – dice il Gaspa – saranno i più importanti dell’anno per me. Da ora svolgo il ruolo di Head of Sport Directors e la programmazione è diventata il momento cruciale dell’anno. Andrò in vacanza a febbraio, quando le corse partiranno ufficialmente e il meccanismo sarà avviato. Ora ci sono da coordinare tante cose: dal team professionisti a quello under 23. Non opero direttamente in tutti e due, quello dei giovani ha il suo staff dirigenziale, ma un occhio di riguardo ci va. D’altronde qualche ragazzo verrà a correre con i grandi, per iniziare a fare esperienza».

Con il nuovo ruolo di Head of Sport Directors Gasparotto passerà meno tempo in ammiraglia rispetto alle scorse stagioni
Con il nuovo ruolo di Head of Sport Directors Gasparotto passerà meno tempo in ammiraglia rispetto alle scorse stagioni

Il giovane Pellizzari

Tanta curiosità gira intorno al nome di Giulio Pellizzari, il giovane corridore che ha salutato la Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè ed è pronto a spiccare il volo con lo squadrone austriaco. Come entrerà nel progetto uno dei giovani più interessanti del nostro movimento? Riuscirà a preservare il suo cammino di crescita?

«Va detto, prima di tutto – ci spiega Gasparotto – che per Pellizzari questo è uno step importante, come lo è per noi della Red Bull-Bora-Hansgrohe. Rispetto all’inverno 2023 tutto è più grande e fatto in maniera differente, più metodologica. Abbiamo tante figure esterne da inserire e imparare a conoscere: ingegneri, nutrizionisti, uno staff performance profondo. Quella di Pellizzari è un’esperienza fondamentale, rivedo il cammino fatto da me in Intermarché. Il rischio di uno “shock” è alto, da una realtà familiare passa a un team strutturato e con 170 persone che ci lavorano, se consideriamo anche le squadre U23 e U19».

Stimolo a imparare                              

Il passo in un team WorldTour può spaventare, ma in un certo modo lo stimolo a cui si è sottoposti è enorme. Serve la testa giusta per goderselo e per portare a casa un insegnamento nuovo ogni giorno. Arrivare qui a 21 anni per Pellizzari può essere importante, ma tutto va calibrato nel modo giusto.

«Lo stimolo nel correre accanto a campioni del calibro di Roglic, Hindley, Vlasov e Martinez non è da sottovalutare (continua Gasparotto, ndr). Gli investimenti negli anni sono stati importanti e vogliono portarci a vincere il Tour de France, perché no anche con ragazzi cresciuti, o comunque modellati, da noi. Pellizzari può essere tranquillamente questo profilo, ma l’inserimento va fatto in maniera graduale e logica. Ha tutto da scoprire: dalla ricerca dei materiali al loro sviluppo.

«Ci sono tanti dettagli che nella sua carriera non ha curato – prosegue – e quindi di lui non si conoscono i limiti di crescita perché è tutto da scoprire. Pellizzari ha fatto vedere tanto con i Reverberi e con lui si può fare molto, sicuramente non è un giovane “spremuto”.

Futuro da scrivere

La crescita di Pellizzari passerà tanto dalle sue qualità, vero, ma anche dalle occasioni che potrà avere con la Red Bull-Bora- Hansgrohe. Come si garantisce la maturazione di un giovane così promettente?

«Penso che sia talmente grande quello che lui può scoprire di se stesso e noi di lui – analizza Gasparotto – che dire cosa farà è fin troppo limitato. E’ ancora molto giovane, quindi penso che affiancare un corridore come Roglic o Vlasov in una grande corsa a tappe possa essere d’insegnamento per capire e imparare cosa serve per essere un capitano. Avere la percezione di cosa serve per diventare un grande corridore. Correre ancora in una professional non gli avrebbe dato questa dimensione, che invece penso sia importante avere.

«Sono situazioni – dice – che ho vissuto anche io per primo quando correvo. Affiancare un grande corridore in un Giro d’Italia e vincere ti dà sempre qualcosa. Noi Pellizzari lo aspettiamo, è anche vero che ha bisogno di step, con l’iniziare ad essere protagonista in corse di una settimana nel WorldTour. Poi il fatto che io ricoprirò questo ruolo può essere un fattore importante perché sarò la figura di riferimento e con me potrà parlare in italiano. Il suo preparatore invece sarà Paolo Artuso. La prima cosa da fare quando un corridore arriva in un contesto del genere è tutelarlo e mettergli accanto persone che possano comunicare facilmente con lui».  

Stagione alle spalle: il riposo invernale (e quello estivo)

17.10.2024
6 min
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Ancora un paio di gare poi si potrà davvero dire che anche questa stagione è finita. E come di consueto, al termine di un’annata scatta il periodo del riposo. Riposo che però non è più come un tempo e che va ben distinto da quello (o quelli) nel corso dell’anno.

Il riposo è parte integrante della preparazione, pertanto ci siamo rivolti ad un esperto per parlarne. Stavolta abbiamo bussato alla porta di Paolo Artuso, uno dei coach della Red Bull-Bora Hansgrohe (in apertura foto @friesooooo).

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe la scorsa stagione
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe la scorsa stagione
Paolo, parlaci della differenza tra il riposo di fine stagione e quello durante l’anno.

I due tipi di riposo sono differenti non solamente per la durata. A metà stagione puoi fare 7-8 giorni di riposo tra prima parte e seconda parte, mentre fra una stagione e l’altra puoi fare tre settimane. C’è chi preferisce andare più vicino al mese e chi preferisce fare leggermente meno. Io di solito consiglio le tre settimane.

Una via di mezzo, nella quale si è certi di recuperare…

Ed è anche uno dei motivi per cui dico sempre ai corridori di tenere duro fino a metà ottobre anche se hanno finito di correre prima.

“Cosa si va a riposare” in quelle tre settimane e in quei 6-8 giorni?

In base alla lunghezza del periodo di riposo ci sono differenti risposte. Più la pausa è corta e meno va ad inficiare la forma fisica. Se sto fermo una settimana, si è solo un po’ meno brillanti. Il cuore è un po’ meno efficiente. Dopo i sette giorni invece c’è un cambiamento metabolico. I muscoli iniziano a diventare meno efficienti e consumano di più. Consumano soprattutto il glucosio, si “disallenano”. Ciò significa che nel caso si dovesse riprendere immediatamente forte si avrebbe meno benzina da sfruttare.

Secondo Artuso il corridore dovrebbe arrivare almeno alla seconda metà di ottobre e non mollare troppo a lungo
Secondo Artuso il corridore dovrebbe arrivare almeno alla seconda metà di ottobre e non mollare troppo a lungo
Al cuore cosa succede? E cosa significa meno efficiente?

Anche il cuore è un muscolo, pertanto diventa meno efficiente anche questo. La differenza è che per gli stessi sforzi deve pompare più velocemente perché è un po’ meno forte di prima. Questo è quello che succede in una settimana circa, il break di metà stagione. Ma si fa presto a ripristinare il tutto.

Mentre dopo le tre settimane?

Dopo tre settimane, oltre ad ampliarsi questo effetto di minor efficienza, iniziano a diminuire anche la capillarizzazione muscolare, la vascolarizzazione. Di conseguenza va a diminuire il massimo consumo di ossigeno. Si perde un po’ la solida base aerobica. Il muscolo s’impigrisce.

Una volta, Paolo, si diceva di fare le analisi a fine stagione e poi dopo il riposo per vedere come erano state ripristinate le scorte. E’ così? E soprattutto, cosa significa rimpinguare le scorte?

Significa riempire l’omeostasi, cioè il bilanciamento generale dei valori (ferro, emoglobina, vitamine…). Ma questo valeva prima, adesso i corridori hanno un’alimentazione talmente precisa e associata alla preparazione che non sono mai in deficit. Se c’è un deficit è perché c’è qualcosa che non va. Non so un virus, dei problemi familiari. Piuttosto per il recupero c’è anche un’altra cosa da non sottovalutare.

Quale?

La parte psicologica. Gli atleti arrivano a questo periodo dell’anno che sono stanchi morti, che hanno bisogno di staccare. Di pensare ad altro. La freschezza mentale conta moltissimo.

Tra Tour e Quebec c’erano 43 giorni. Così Pogacar ha ricaricato le batterie, prima del finale di stagione (foto Instagram)
Tra Tour e Quebec c’erano 43 giorni. Così Pogacar ha ricaricato le batterie, prima del finale di stagione (foto Instagram)
Ed è quantificabile il recupero mentale?

Direi di no. Poi molto dipende dalla stagione che hai fatto e come è andata: due grandi Giri o uno? Ottanta giorni di corsa o 30? Una buona stagione o una stagione travagliata? Ai miei ragazzi dico di ritornare avendo voglia di fare, di pedalare.

Prendiamo un corridore a caso: Pogacar! Tra la fine del Tour e la successiva gara, il Gp Quebec, è stato lontano dalle gare per 43 giorni. Tadej ha detto di essersi riposato per arrivare fresco e con voglia al finale di stagione. Cosa ne pensi? E quello stacco è diverso da quello che farà in questi giorni?

Fondamentalmente quando ti alleni riesci a controllare il carico di lavoro: fai quello di cui hai bisogno. In gara no. In gara dipende da mille fattori esterni: caldo, freddo, pioggia, ritmi imposti, salite fatte a blocco… Insomma non sei tu che decidi. Probabilmente dopo la fine del Tour, Pogacar ha preso la sua pausa di una settimana, dieci giorni al massimo, e poi ha ripreso ad allenarsi appunto come voleva e secondo le sue esigenze del momento. Ricordate quello che dicevamo tempo fa?

Ripetiamolo…

Quando fai tante gare vai anche a regredire su determinati aspetti, mi riferisco alla densità mitocondriale. Quando vai per lungo tempo ad una acidosi elevata, cosa che succede solamente in gara, vai ad “ammazzare” a livello numerico i mitocondri che produci allenandoti. Pogacar ha gestito bene questa fase. Al contrario, parlo in generale, durante il riposo invernale bisogna stare attenti a non eccedere…

Almeida in questi giorni è in vacanza alle Canarie: relax e qualche concessione gustosa (foto Instagram)
Almeida in questi giorni è in vacanza alle Canarie: relax e qualche concessione gustosa (foto Instagram)
Perché poi quei mitocondri li devi “rifare da capo”?

Ci sono i corridori che dicono: “Voglio fare un mese di riposo”. Okay, però in un mese tutti quei cambiamenti che s’innescano (consumo di ossigeno, capillarizzazione, efficienza cardiaca, consumo del glucosio, aumento del peso…), te li ritrovi in uno stato più avanzato e oggi non te lo puoi più permettere. Alla prima corsa devi essere pronto, altrimenti è solo un rincorrere. Se si sta troppo fermi, i muscoli che di solito sono abituati a utilizzare anche i grassi come energia, perdono questa attitudine. Altra cosa: si perde tono muscolare. Pertanto un mese potrebbe essere troppo, al giorno d’oggi.

In queste tre settimane, Paolo, tu sei dell’idea che sia meglio il riposo totale, oppure che bisogna fare delle attività alternative?

Lascio piena libertà ai ragazzi, purché non si affatichino troppo. Vogliono andare a giocare a pallone? Bene, ma senza esagerare e possibilmente senza rompersi una gamba! Chiaramente nello stacco durante la stagione, non si fa niente di tutto ciò. Quello è riposo e basta. Piuttosto nel periodo di stacco a fine stagione, consiglio agli atleti di sfruttare lo stop per sistemare quelle piccole cose che nel corso dell’anno diventerebbero dei problemi. Non so, un controllo dal dentista, il setto nasale, una visita specifica…

Nelle tre settimane di stacco invernale lasci abbastanza libertà, ma nella pausa di mezza stagione, quella di 6-8 giorni, si molla proprio del tutto? Parliamo anche dal punto di vista alimentare…

No, non si molla del tutto. Se vuoi farti due cene va bene, ma basta così. Già mettere su un chilo e mezzo non è poco in piena stagione. Pensiamo poi che oggi gli atleti mangiano più e meglio che in passato e che certi atteggiamenti di rilassamento totale sono meno necessari di un tempo, quando c’erano restrizioni importanti e sbagliate anche dal punto di vista scientifico. In tal senso il ciclismo è cambiato, per fortuna.

Sforzi lattacidi, cosa sono e come si migliora?

08.10.2024
5 min
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Uno degli aspetti sul quale si deve migliorare per essere performanti nelle corse di un giorno è riuscire a esserlo quando la fatica ti morde le gambe. La differenza si fa nel momento in cui gli altri mollano, mentre i migliori riescono a tirare fuori ancora qualche sprazzo di energia. Ce ne siamo accorti al mondiale di Zurigo, quando Pogacar ha attaccato a 100 chilometri dal traguardo con un allungo che sembrava innocuo e poi si è trasformato nel capolavoro che tutti abbiamo ammirato. In quel frangente l’unico che ha avuto il coraggio di prendere le sue ruote è stato Andrea Bagioli. L’azione del corridore della Lidl-Trek, che vi abbiamo raccontato ha aperto in noi uno spiraglio di curiosità. Come si migliorano le proprie prestazioni nel momento in cui è richiesto quel qualcosa in più per fare la differenza? In allenamento si tratta di fare dei lavori lattacidi. Per capire in che modo si migliorano queste prestazioni ci viene in soccorso un preparatore: Paolo Artuso

«Si tratta di un discorso più ampio – esordisce il preparatore della Red Bull-Bora Hansgrohe – perché la prestazione nel ciclismo è data da due variabili: la fase aerobica e quella anaerobica. La seconda riguarda il nostro sforzo massimale, ed è rappresentata dalla VlaMax, cioè la massima potenza anaerobica o potenza glicolitica (la massima energia che un ciclista o atleta può esprimere attraverso il sistema energetico anaerobico lattacido). Per capire le le qualità anaerobiche bisogna fare dei test, uno degli ultimi visti è quello del VLA Max».

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
A cosa serve?

Si capisce che tipo di corridore si ha davanti. Innanzitutto ci sono due modi per calcolarlo: in laboratorio o su strada. In laboratorio si controlla il lattato basale prima di iniziare a pedalare, si fanno degli sforzi brevi massimali da 15-30 secondi e poi si misura di nuovo il lattato ogni minuto per un po’. Da questi valori si guarda il delta tra il valore basale e quello più elevato misurato per poi dividerlo per la lunghezza del test. Su strada è sicuramente più veloce e semplice e si utilizzano dei software di analisi.

Una volta terminato?

Si effettuano dei prelievi all’atleta ogni minuto. Per avere un valore si calcola il delta tra il lattato basale e quello massimale e si divide per il tempo. Da qui esce un numero compreso tra 0 e 1. Se il valore è vicino allo zero vuol dire che abbiamo davanti un corridore da corse a tappe. Viceversa, se il numero si appresta sopra lo 0,5 allora l’atleta che si ha davanti è adatto alle Classiche o alle volate.

Zurigo 2024: Bagioli ha provato a reggere l’accelerazione di Pogacar, ma l’ha pagato a caro prezzo
Zurigo 2024: Bagioli ha provato a reggere l’accelerazione di Pogacar, ma l’ha pagato a caro prezzo
Per un far sì che un corridore sia completo cosa bisogna fare?

Cercare di lavorare su tutti i parametri, ma serve attenzione, bisogna bilanciare le cose. Per esempio un ciclista con una VLA Max troppo bassa, potrebbe trovarsi in difficoltà in gara in determinate condizioni. Ad esempio: una tappa con brevi salite, una partenza a tutta o un prologo. Viceversa un ciclista con un valore più alto sarà in difficoltà su tappe con salite lunghe.

In che senso?

Partiamo dal presupposto che un atleta ha due picchi di forma durante la stagione. Facciamo un esempio: se l’obiettivo della prima parte dell’anno sono le Classiche allora si lavorerà sulla parte anaerobica. Al contrario, se nella seconda metà della stagione si vuol performare in un grande Giro si lavora sulla parte aerobica. 

Per Tiberi questo tipo di sforzi devono essere allenati, ma serve programmare la stagione in maniera diversa
Per Tiberi questo tipo di sforzi devono essere allenati, ma serve programmare la stagione in maniera diversa
Mettiamo il caso che un corridore voglia essere performante nelle corse di un giorno.

Si deve abituare il suo fisico a lavorare con alte scorte di glicogeno. Quindi dovrà fare degli sprint a tutta. Un esercizio che faccio fare spesso ai miei atleti è: tre sprint massimali di 30 secondi con un recupero di 8 minuti tra l’uno e l’altro. Il recupero è una fase fondamentale, perché il corridore deve essere il più fresco possibile tra una ripetuta e l’altra. In questo modo aumenta la glicolisi, quindi l’energia nella parte anaerobica. 

Cambia qualcosa quando ci si avvicina alle gare?

Il tempo di recupero si accorcia, in modo da tollerare al meglio il lattato. Il tempo tra una ripetuta e l’altra diventa di 30 secondi, così da abituare il fisico a lavorare in fase lattacida. 

I test del VLA Max e del VO2 Max si possono effettuare sia in laboratorio che in strada (foto Iens’Art content&agency)
I test del VLA Max e del VO2 Max si possono effettuare sia in laboratorio che in strada (foto Iens’Art content&agency)
Lo sforzo fatto da Bagioli dietro Pogacar quindi cos’è?

Un mix tra fase aerobica e anaerobica. In quel caso Bagioli ha fatto uno sforzo massimale di cinque minuti. Quindi servono sia la fase aerobica e anaerobica. Serve avere un alto valore del VO2 Max, che si allena nella fase di preparazione. Poi quando ci si avvicina alle gare sistemi il VLA Max. 

E’ possibile allenare uno sforzo del genere in allenamento?

Io sono un preparatore che crede nel processo di crescita, ma allo stesso modo penso che nulla sia paragonabile alla gara. Servono mesi di lavoro e un insieme di fattori. Puoi perfezionare le diverse fasi ma nulla sarà mai paragonabile allo sforzo della gara. I numeri fatti da Pogacar sono talmente alti che non è detto che siano replicabili, nonostante ci si alleni al meglio.

Come si sceglie la sede dell’altura? Ci dice tutto Artuso

08.08.2024
6 min
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L’altura è un elemento sempre più importante nell’insieme della preparazione. E si cerca di effettuarla in modo sempre più specifico e dettagliato. Per primo conta la location. Già, ma come si sceglie? E perché?

Paolo Artuso, uno dei coach della Red Bull-Bora, ci accompagna in questo viaggio tecnico, relativo appunto all’allenamento in quota. Solo qualche giorno fa Franco Pellizotti ci aveva spiegato perché aveva preferito portare Tiberi e gli altri ragazzi in rotta verso la Vuelta al Pordoi anziché a Livigno o magari a Sierra Nevada. 

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe nel 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe nel 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Paolo, dunque, come si sceglie il luogo dell’altura?

La discriminante principale resta la quota e quella ottimale è intorno ai 2.200-2.300 metri. Il secondo aspetto di cui si tiene conto è logistico: quanto è pratico quel luogo da raggiungere per lavorare e in che periodo della stagione si è. E per questo, d’inverno si tende ad andare sul Teide e d’estate si va a Tignes, sul Pordoi, Isola 2000, Sestriere… Mentre se devo fare scarico tra Tour e Vuelta, Livigno va benissimo. Il terzo aspetto è la metodologia che s’intende intraprendere, che a sua volta si basa su tre filosofie.

Quali?

Uno: vivo e dormo in alto e mi alleno in basso. Due: vivo e mi alleno in alto. Tre: mi alleno in alto e vivo in basso. Quest’ultima opzione, con gli anni, almeno nel ciclismo si è visto che funziona meno di tutte. Personalmente invece preferisco la prima di queste tre filosofie.

Perché? Anche Pellizotti più o meno era sua tua stessa linea…

Perché allenandosi in basso si riesce a lavorare meglio sulla soglia e sui volumi, mentre da quota 1.500-1.600 inizia a diminuire la potenza espressa e tutto diventa più complicato da gestire: i consumi… il logorio degli atleti… il recupero…

E per questo spesso in questa fase della stagione viene scartata la location di Livigno: non si può lavorare a quote troppo basse…

Poi è chiaro, se magari devi preparare anche qualche tappa che prevede salite altissime tipo lo Stelvio, magari fai anche qualche lavoro in quota.

Quando si è in quota il monitoraggio degli atleti è molto importante. Qui un saturimetro
Quando si è in quota il monitoraggio degli atleti è molto importante. Qui un saturimetro
Però proprio perché è più difficoltoso, se si spinge forte alle alte quote non si migliora di più?

Faccio fare qualche lavoro in quota, ma parliamo di cose corte: al massimo di 15″-20″. Quando si effettua un allenamento ci sono due carichi: quello interno, quindi soglia, battiti, fatica, e quello esterno, in pratica ciò che produci. Se lavori in quota guadagni da una parte, il carico interno, ma perdi dall’altra, il carico esterno. E allora qui ci si chiede: qual è l’obiettivo dell’altura? E’ aumentare la massa emoglobinica e da qui di conseguenza il Vo2Max e l’aumento della prestazione. Ma in tal senso è importante anche la preparazione del camp stesso.

Cioè?

Il camp in quota si prepara già la settimana prima facendo scarico. Al ritiro in altura si deve arrivare freschi altrimenti il rischio è quello di ammalarsi. Se si è stanchi e le difese immunitarie sono basse cambiando sede e andando in quota si aggiunge altro stress al fisico. Per questo che so, dopo un Catalunya, non li mandiamo subito in quota ma ai ragazzi facciamo fare scarico per almeno due o tre giorni. Semmai  gli faccio fare un testa a casa, così da avere i parametri di riferimento per zone d’intensità e lavori.

Quale test?

Un classico incrementale. E da qui s’intensifica anche il contatto con lo staff medico e il nutrizionista per eventuali supplementazioni, visto che si consuma di più. Non mi riferisco solo all’alimentazione ma anche ad un supplemento di ferro, vitamine del gruppo B e vitamina D. E dopo si va in quota.

Per Artuso i ritmi non dovrebbero mai essere eccessivi in altura. Meglio effettuare un buon volume. Qui Roglic in allenamento verso la Vuelta (foto @redbullborahansgrohe)
Per Artuso i ritmi non dovrebbero mai essere eccessivi in altura. Meglio effettuare un buon volume. Qui Roglic in allenamento verso la Vuelta (foto @redbullborahansgrohe)
E lì cosa si fa?

I primi quattro giorni sono di totale adattamento. Quindi tre giorni di endurance tranquilli e uno di riposo. Dal quinto s’inizia a lavorare. In questa fase è importantissima tutta la parte del monitoraggio: saturazione, peso, qualità del sonno… L’altura di può dare vantaggi, ma è anche facile combinare dei “casini”.

Quanto dura l’altura? Una volta si parlava di due settimane…

Vero, se si arriva a 21 giorni è meglio. Lo dimostrano gli studi. Però dipende anche un po’ dalla testa del corridore. Non è facile per tutti restare in quota perché si fa davvero una vita monastica: mangiare, dormire, allenamento, massaggi. Stop. In queste tre settimane si cerca di aumentare il volume complessivo: si fanno anche 30 ore a settimana, ma mantenendo i lavori che si fanno solitamente a casa. La vera differenza, oltre alla quota, tra un camp e l’allenamento a casa è il monitoraggio dell’atleta.

Paolo, ma i lavori massimali non si fanno in altura? In teoria allenandosi forte in ambienti difficili la resa finale dovrebbe essere elevata.

Come detto prima se si fa parliamo di lavori corti, di pochi secondi in cui si resta nella fase anaerobica. Poi magari qualcuno li fa fare, ma personalmente preferisco di no. Non ho mai scritto nel programma dei miei atleti 5′ a blocco. In altura faccio fare gli stessi lavori che si fanno in basso: base, forza, Fat Max, soglia… La densità mitocondriale porta efficienza muscolare ma quando i mitocondri ci sono. Se faccio fare dei lavori a tutta e creo un ambiente acido i mitocondri muoiono. A tutta per davvero ci si va solo in gara. 

Chiaro…

Alla fine si va in quota per avere dei miglioramenti a livello ematico cosa che apporta l’esposizione all’altura. Da qui l’incremento della massa emoglobinica.

La parte a crono non manca mai per gli uomini di classifica. Anche Artuso porta qui i suoi atleti quando è sul Teide (foto Instagram)
La parte a crono non manca mai per gli uomini di classifica. Anche Artuso porta qui i suoi atleti quando è sul Teide (foto Instagram)
Massa emoglobinica?

Stando in quota non solo aumenta la densità del sangue (più globuli rossi, ndr) ma anche la quantità. Faccio un esempio: se tu hai un chilo di emoglobina nel tuo corpo e in altura riesci ad alzarla anche solo dell’1 per cento significa che hai aumentato la tua massa emoglobinica di un grammo, ma questo aumento fa sì che nel consumo di milllimoli al minuto durante l’attività tu hai migliorato il tuo Vo2Max. Hai più trasporto di ossigeno. In pratica con poco hai un miglioramento importante.

Tornando invece alla scelta del luogo, voi preparatori vi basate anche sull’orografia del sito? Cioè su che tipo di strade ci sono?

In parte sì, ma come detto all’inizio conta la quota e in particolare quella dove si vive, si dorme. E conta anche la tipologia di atleta. E’ chiaro che un velocista sul Teide fa fatica. Lì o sali o scendi. In questo caso meglio Livigno, almeno lì ha la possibilità di fare anche un po’ di pianura, per di più in quota. Mentre per lo scalatore ci sono meno problemi riguardo alla location. Il Pordoi mi piace molto in tal senso, però è anche vero che d’estate soprattutto nei weekend c’è davvero troppo traffico per allenarsi. Sierra Nevada la conosco meno però in basso c’è pianura e poco traffico e si può allenare bene. Ma il top, anche per la vita che si fa, per me è il Teide. Anche per questo se è un camp di recupero Livigno va bene: consente anche qualche distrazione.

E se si deve usare la bici da crono?

Quella con gli uomini di classifica si usa sempre e si usa di frequente. Ma la scelta del luogo incide fino ad un certo punto: un tratto di pianura o pianeggiante si trova sempre. Al Teide per esempio si va sulla salita di Chio che ha lunghi rettilinei e tratti pianeggiante o al 2-3 per cento dove poter stare bene in posizione.

Lo zampino di Artuso nel nuovo Aleotti: le origini del cambiamento

18.06.2024
6 min
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Sentire Giovanni Aleotti che all’indomani della vittoria allo Slovenia ha riconosciuto una parte del merito a Paolo Artuso, suo nuovo preparatore, ci ha fatto venire voglia di chiamarlo. La stagione galoppa verso i campionati nazionali e verso il Tour, in cui la Bora-Hansgrohe per giunta cambierà veste e nome. Artuso è atteso dalla call del martedì in cui il team tedesco farà la programmazione per la seconda parte di stagione. Ed è così che veniamo a sapere che Aleotti fa già parte della lunga lista per la Vuelta: la scelta definitiva dipende da come andranno le cose al Tour de France.

Buongiorno Paolo, come mai hai cominciato a lavorare con Aleotti?

In Bora si fa sempre un mini camp ad ottobre a Solden, in cui si va a mixare un po’ di team building con qualche attività extra ciclistica. In mezzo a tutto questo si inserisce qualche riunione di performance e lì avevo iniziato a parlare con lui. E così abbiamo fatto il passaggio da Sylwester Szmyd che lo allenava prima. All’interno di un gruppo come il nostro, ogni tanto facciamo degli spostamenti… tattici. Magari quando uno è con lo stesso allenatore da tre-quattro anni, andiamo alla ricerca di nuovi stimoli. Più a livello mentale che metodologico. In Bora c’è una condivisione di tutto, compreso quel che riguarda gli allenamenti.

Lavorate tutti allo stesso modo?

Non nei dettagli, però lo scheletro dell’allenamento è lo stesso per tutti. Poi si fanno delle modifiche individuali all’interno dello stesso schema. C’è una condivisione totale, di conseguenza tutti sono al corrente di tutto e penso che a livello di performance sia un punto di forza della squadra.

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe dal 2023. In precedenza lavorava alla Bahrain
Quali sono state le modifiche necessarie per Giovanni?

Più che modifiche, abbiamo riflettuto sul fatto che l’anno scorso avesse avuto problemi. Durante l’inverno non era stato costante per vari problemi di salute, per cui abbiamo deciso di dare una progressione del carico molto lieve. Se premi un po’ più forte sull’acceleratore, le difese immunitarie si abbassano ed è più probabile che l’atleta si ammali. Se entri dentro a questo vortice, poi diventa anche difficile essere costanti nella prestazione. Perciò abbiamo iniziato con più calma, con dei carichi di lavoro più bassi a novembre e dicembre, per poi aprire un po’ il gas a gennaio. In più, abbiamo cercato di evitare il freddo al 100 per cento.

Giovanni è più cagionevole di altri atleti?

Secondo me no. Ma quando hai un atleta in scadenza di contratto, che l’anno precedente è andato bene ma non come ci si aspettava, si cerca di essere iper prudenti. Si cerca di fare un bel calendario di gare e un buon piano di altura, come quello che abbiamo fatto. Finora Aleotti ha fatto due blocchi di altura, uno a febbraio e uno ad aprile, quindi un avvicinamento assolutamente tradizionale al Giro d’Italia. Poi siamo stati attenti a un po’ di cose, più nei dettagli.

Ad esempio?

Quest’anno ha fatto la Valenciana, da cui doveva andare diretto in altura. Solo che lo abbiamo fatto dormire per due notti in basso e poi siamo saliti: dopo la corsa, non abbiamo voluto stressare il sistema immunitario. Questi piccoli accorgimenti, abbinati al fatto che a livello di professionalità Giovanni è una macchina da guerra, ha fatto sì che le cose abbiano funzionato.

Aleotti ha preparato il Giro con due ritiri in altura: a febbraio e aprile (foto Matthis Paul)
Aleotti ha preparato il Giro con due ritiri in altura: a febbraio e aprile (foto Matthis Paul)
Ti sei fatto un’idea di cosa possa valere Aleotti in prospettiva di carriera?

E’ ancora giovane, non è ancora arrivato al suo massimo. Ha un consumo d’ossigeno molto alto, quindi vuol dire che il motore c’è. A livello di durabilità, anche dopo 8 ore di allenamento, è ancora performante. Ha dimostrato un bel recupero nell’arco delle corse a tappe. Quello un po’ fa parte del suo DNA, ma anche a livello di preparazione abbiamo cercato di fare una base più ampia.

In che modo?

Abbiamo lavorato in maniera più polarizzata per 7-8 settimane, per poi iniziare successivamente a introdurre la soglia. Abbiamo iniziato a dicembre. Prima fai una base puramente aerobica, con qualche stimolo del consumo d’ossigeno. Fai la base lavorando tanto alla famosa Z2, per aumentare un po’ la densità mitocondriale, ma al contempo vai a dare qualche stimolo del VO2 anche in inverno, però su durate molto brevi. Così aumenti un po’ l’efficienza mitocondriale, cioè praticamente la respirazione. Fatta questa grande base, grazie alla quale devi durare nei 20-30 minuti alla soglia, vai anche a cambiare l’allenamento. Passi ai lavori di soglia e media soglia, ma per farlo c’è bisogno appunto di quella grande base.

Era la prima volta che Giovanni lavorava così?

No, con Szmyd l’ha sempre fatto, perché “Silvestro” è bravo: sa cosa fa. L’unica cosa è che l’anno scorso sono stati entrambi sfortunati per la mancanza di costanza dovuta ai problemi di salute. Sono stati sempre a rincorrere. A volte ti va bene e riesci a riagguantare il gruppo davanti, a volte invece ti ammali ancora. Bisognerebbe la possibilità di fermarsi e ripartire come se si fosse a dicembre, ma non sempre è possibile. E poi ha preso anche il Covid, c’era poco da fare.

Aleotti ha un alto consumo di ossigeno che lo rende potenzialmente adatto ai Giri
Aleotti ha un alto consumo di ossigeno che lo rende potenzialmente adatto ai Giri
Fra i grossi passi avanti, Aleotti ha parlato anche di fiducia nel lavoro.

La testa va dietro al fisico. Noi ci sentiamo praticamente tutti i giorni, con un messaggio o una chiamata. Cerco di dargli dei feedback giornalieri su quello che ha fatto e in base a questo aggiustiamo i giorni successivi. Quindi penso che anche a livello mentale si senta seguito e questo porta fiducia. 

In che modo lo hai fatto allenare fra il Giro e lo Slovenia?

C’erano 14 giorni. E’ arrivato a casa dal Giro gli ho fatto fare 4 giorni di riposo, in cui se voleva era libero di fare una sgambatina di un’oretta. Poi abbiamo lavorato su doppiette e non su triplette, perché dopo il Giro d’Italia di certo hai fatto abbastanza ore. Gli ho dato uno stimolo di fat-max (esercizio utile per l’ottimizzazione del consumo dei grassi, ndr), uno stimolo piccolissimo di VO2. Quindi ha recuperato e poi gli ho fatto fare uno stimolo di soglia alta e una mezza distanza di quattro ore. Poi siamo andati in scarico. Ha fatto quattro allenamenti in due settimane, il resto è stato tutto scarico.

Invece tra lo Slovenia e il campionato italiano di domenica prossima?

Ci sono sei giorni da gestire. Quindi due giorni di scarico post Slovenia. Quindi lavoreremo mercoledì (domani, dnr), magari con tre orette tranquille. Giovedì un po’ di intensità e basta. Dopo il Giro d’Italia, il campionato italiano è sempre un terno al lotto, anche perché lo correrà da solo. Non c’è una tattica di squadra, devi essere al posto giusto nel momento giusto. E poi servono le gambe. Lui magari ci arriva già in calando, ma sta bene. Servirà avere anche un po’ di fortuna.

Il Giro d’Italia ha dato una bella prova di solidità dell’emiliano, uscito in buone condizioni
Il Giro d’Italia ha dato una bella prova di solidità dell’emiliano, uscito in buone condizioni
Poi farà una settimana di stacco prima del finale…

Gli ho raccomandato di fare una settimana di riposo e un’altra settimana tranquillo, quindi verranno fuori 10-12 giorni di scarico che è più che sufficiente. Poi andrà in altura. Per scelta, non facciamo una cosa di squadra, per lasciarli più tranquilli. Gli daremo un supporto, stiamo ragionando di mandarli ad Andorra in 3-4, ma senza allenatore e direttore, altrimenti si sentono intrappolati. Saranno liberi di gestirsi gli orari e questo a livello mentale secondo me funziona di più.

A lui piacerebbe fare la Vuelta.

E’ nella lista. Se dovesse farla, l’avvicinamento perfetto in testa mia sarebbe l’altura, poi scende e va a fare la Vuelta a Burgos e magari anche San Sebastian che c’è subito dopo. E da lì dritto alla Vuelta, con il finale con qualche classica italiana. Ma queste sono scelte che spettano ai direttori sportivi. Ha detto anche che gli piacerebbe tornare in Cina, ma in quel caso non faremmo l’Australia a gennaio. Fare troppi voli intercontinentali ravvicinati non è per lui e finirebbe la stagione troppo aventi per ricominciare a correre così presto. In Giovannino ci credo davvero. Avevo detto a dicembre che avremmo vinto lo Slovenia, ricordate che ne avevamo parlato anche al Giro? Non era matematica, ma lavorando bene sarebbe stato possibile. 

Salute, fiducia e nuovo allenatore: iniziata la svolta di Aleotti

17.06.2024
6 min
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Concluso il lavoro, Giovanni Aleotti ha rimesso le sue cose in macchina e ha preso l’autostrada. Quattro ore e mezza, più o meno, per arrivare da Novo Mesto a casa sua in Emilia. Nel bagagliaio, oltre alla bici, viaggiavano il trofeo del Giro di Slovenia, la sua vittoria più bella, e la maglia gialla di leader. Non è curioso che in questo periodo le maglie di classifica siano tutte gialle come l’oro? Ci eravamo lasciati dopo il Giro d’Italia parlando della ripartenza e indicando la corsa nel Paese di Pogacar e poi i campionati italiani come le prime opportunità raggiungibili e le cose finora sono andate esattamente così. Ora non resta che pedalare verso il campionato italiano, poi si potrà finalmente tirare un po’ il fiato.

La svolta nella giovane carriera dell’emiliano, professionista dal 2021 alla Bora-Hansgrohe, che al Giro ha aiutato Martinez a cogliere il secondo posto finale, c’è stata grazie a un inverno finalmente senza malanni e con l’inizio della collaborazione con Paolo Artuso. Se metti insieme gambe e fiducia, qualcosa di buono arriva di sicuro e così è stato.

«Il Giro al servizio di Dani Martinez – dice mentre l’auto ha da poco superato il confine – il fatto di essere lì presente tutte e tre le settimane in salita mi ha dato sicuramente consapevolezza e fiducia. Venire qua, sapendo di avere libertà e riuscire a dimostrare di saper vincere, mi fa sicuramente molto piacere. Penso di essere uscito bene dal Giro. Con Paolo abbiamo centrato il giusto carico di lavoro. Non distanze da sei ore, che magari mentalmente potevano buttarmi giù, ma quello che serviva per mantenere la freschezza. E alla fine sono arrivato al Giro di Slovenia che stavo bene…».

Sul traguardo di Nova Gorica, Aleotti si è lasciato dietro Narvaez e ha conquistato la maglia gialla
Sul traguardo di Nova Gorica, Aleotti si è lasciato dietro Narvaez e ha conquistato la maglia gialla
Hai passato a casa questo periodo di recupero oppure sei andato da qualche parte al fresco?

Sono stato a casa. Mi sono allenato e poi sono venuto qua in macchina con Paolo.

Quanto è stato importante il cambio di allenatore?

Venivo da un anno complicato, ci si mette un attimo a perdere un po’ la fiducia. Perciò aver trovato una persona che mi abbia sempre spinto a crederci e a migliorarmi è stato certamente molto importante. Lo devo ringraziare perché penso che in questa stagione, dalla Valenciana alla Tirreno, al Giro e poi qua allo Slovenia, mi abbia veramente fatto fare uno step rispetto agli altri anni. Alla fine direi che sia stata soprattutto una questione di consistenza nel lavoro e il fatto che da dicembre io abbia potuto lavorare bene senza nessun intoppo. Rispetto all’anno scorso, sicuramente questo è stato un fattore. Poi è stato fondamentale anche il lavoro fatto con il nuovo nutrizionista della squadra. Queste cose messe insieme, un anno in più di esperienza e poi ovviamente anche la testa hanno fatto la differenza.

E’ davvero la vittoria più importante della tua carriera come hai detto nelle interviste dopo l’arrivo?

Direi di sì, senza nulla togliere al Tour of Sibiu. Lo Slovenia è una bella corsa e c’era anche una bella start list, tra chi veniva dal Gro e chi invece la faceva come ultima corsa prima del Tour. Penso a Pello Bilbao, come pure a Pellizzari e Mohoric. Quindi questo sicuramente mi dà fiducia.

La vittoria diventa un buon viatico sulla strada dei campionati italiani?

Sicuramente la condizione c’è e a questo punto anche la motivazione. Mi attende l’ultima settimana di allenamento prima di staccare. Cercheremo di fare il massimo, il campionato italiano è sempre una corsa difficile, una lotteria, quindi bisogna essere anche intelligenti e fortunati. Però sicuramente ci arrivo motivato. Il fatto di staccare è una necessità fisica prima che mentale, penso di averne bisogno. Non ho mai avuto veramente un momento di recupero da quest’inverno e poi preparando il Giro. Quindi penso che riposare un po’ serva per essere competitivo nella seconda parte della stagione. Starò fermo per una settimana e poi ricomincerò.

Al Giro d’Italia, Aleotti ha lavorato soprattutto nei finali per il compagno Martinez
Al Giro d’Italia, Aleotti ha lavorato soprattutto nei finali per il compagno Martinez
Ti è mai pesato essere indicato ancora come un incompiuto, anche se i motivi dei tuoi ritardi sono spesso stati problemi fisici?

Sicuramente si vuole sempre fare il massimo. Il livello a cui siamo adesso è talmente alto, che anche una sola settimana storta può condizionare l’esito delle corse successive. Io sapevo quello che mi stava succedendo e credo sia stato importante concentrarmi sul tornare a stare bene e lavorare con consistenza. Come ci eravamo detti a Roma, al Giro avevo un compito un po’ diverso rispetto agli altri anni quando dovevo lavorare nella parte centrale della corsa. Quest’anno, essendo migliorato sulle salite, la squadra aveva bisogno di me nel finale e quindi per me è stato sia il modo di essere d’aiuto a Martinez, ma anche di misurarmi. Standogli vicino il più possibile ho capito qualcosa in più sulle mie capacità. E se quello mi ha dato fiducia, tornare a casa, allenarmi e venire qua per vincere sicuramente mi dà molta consapevolezza. Il prossimo passo sarà farmi trovare pronto per gli obiettivi che avrò nella seconda parte di stagione.

Quanto è stata complicata l’ultima tappa?

Diciamo che è esplosa da lontano e ce lo potevamo aspettare. Però ci siamo concentrati sulla gestione, perché è un attimo farsi prendere dal momento e fare cose sbagliate, sprecare energie. Invece sull’ultima salita abbiamo messo tutto a posto. Lo strappo era duro e io stavo bene e la squadra mi ha messo nelle condizioni di tenere la corsa fino a quell’ultimo momento.

Novo, Mesto, ultima tappa: la vittoria è conquistata
Novo, Mesto, ultima tappa: la vittoria è conquistata
Come ti trovi nei panni del leader?

Avendo fatto il Giro con Martinez, ma anche tante corse con Vlasov, ho imparato a riconoscere quando è il momento di fare la chiamata in radio perché la squadra intervenga. E poi abbiamo anche dei direttori sportivi molto preparati. Qui c’era Eisel che sicuramente ha tanta esperienza: è importante avere una persona che dalla macchina trasmette molta calma anche nei momenti in cui è si rischia di farsi prendere dall’agitazione.

Il viaggio continua, destinazione Emilia e poi il campionato italiano. Aleotti conquistò la maglia tricolore nel 2020 fra gli U23 a Zola Predosa, vicino casa. Quest’anno il traguardo è dall’altra parte dell’Appennino, sulle strade di Alfredo Martini. Sarà una lotteria, ma tenere duro con la vittoria negli occhi e grandi sensazioni nelle gambe questa volta non sarà davvero un problema.

Tour, peso e glicogeno: a parità di salute, il podio è già scritto?

04.06.2024
5 min
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Un concetto appena accennato alla partenza dell’ultima tappa del Giro. Si parlava con Paolo Artuso, uno dei preparatori della Bora-Hansgrohe, quando il discorso ha preso una piega curiosa. A parità di salute e non considerando altri fattori esterni, sarebbe possibile sin d’ora dichiarare il podio del Tour. Infatti nelle tappe più dure, quelle con un dislivello davvero importante, il risultato è già scritto: l’atleta più leggero arriva in finale con una maggiore scorta di glicogeno, mentre chi è più pesante finirà prima la benzina. Si può mangiare di più, studiare le necessarie strategie, ma se nessuno commette errori non c’è modo di uscirne.

«Premetto che non sono un nutrizionista – spiega il veneto – ma il concetto è abbastanza semplice. Teoricamente, l’atleta con il peso corporeo più basso è avvantaggiato rispetto a ciclisti più pesanti. Volendo fare un confronto legato al Giro, fra Martinez e Thomas (secondo e terzo in classifica finale, ndr), gli 8 chili di differenza a favore di Martinez sono stati un muro insormontabile per l’inglese. Se sei più leggero, giorno dopo giorno spendi un po’ meno energia e quindi arrivi in finale con più glicogeno muscolare, più benzina per l’ultima ora di gara».

La differenza di peso ha fatto sì che nelle tappe dure del Giro fra Martinez e Thomas si sia scavato un solco
La differenza di peso ha fatto sì che nelle tappe dure del Giro fra Martinez e Thomas si sia scavato un solco
Così scontato?

Dipende sempre da come vengono fatte le salite precedenti, perché se vengono fatte piano, anche chi pesa di più arriva in finale con maggiore energia.

Questo discorso va bene per le corse molto dure? Abbiamo visto che Van der Poel avrebbe potuto continuare la Roubaix per altri 60 chilometri, semplicemente evitando fuori giri e curandosi di mangiare il giusto…

In salita i wattaggi sono più elevati rispetto alla pianura. Ma in pianura si va più veloci, in termini di velocità pura. Per cui per durare di più, bisogna che anche in pianura non si vada a tutta, come si disse a proposito di Van der Poel. Altrimenti rischi di esprimere un wattaggio esagerato, cui però corrisponde una minima differenza di velocità.

Si può ridurre questa differenza nel consumo di glicogeno intervenendo sull’alimentazione?

E’ ovvio che questo ragionamento inizia dal presupposto che tutti quanti partano a posto, cioè con i serbatoi pieni. Quindi che tutti abbiano fatto il corretto carico di carboidrato e di conseguenza siano al massimo delle scorte di glicogeno. E poi parto dall’altro presupposto che tutti quanti in corsa si alimentino in maniera corretta e senza errori. Fatte queste premesse, chi pesa meno consuma meno. La potenza è espressa in due modi, a livello assoluto e relativo al peso. Per cui l’individuo che pesa di più è avvantaggiato a livello assoluto, quello che pesa di meno è avvantaggiato a livello relativo.

Pogacar ha perso peso e aumentato la potenza, mentre Evenepoel sarà l’oggetto misterioso del Tour
Pogacar ha perso peso e aumentato la potenza, mentre Evenepoel sarà l’oggetto misterioso del Tour
Vuoi dire che a parità di condizioni di salute e alimentazione, avendo nel prossimo Tour in gara Pogacar, Vingegaard, Evenepoel e Roglic, potresti già scrivere la classifica finale?

Se non ci sono intoppi, sì! L’unica cosa che sfugge è il confronto fra Evenepoel e gli altri. Remco ha vinto la Vuelta battendo Mas e Ayuso, ma non si è mai misurato coi primi della classe. Lui lo vedo fortissimo nelle corse di un giorno: se a Liegi lo trovi in giornata, è imbattibile. Per cui secondo me, a parità di condizioni (quindi col presupposto niente affatto scontato che il danese arrivi al via nella condizione ideale), la classifica del Tour vede Vingegaard primo, secondo Pogacar e terzo Roglic. Tadej quest’anno sembra dimagrito rispetto all’anno scorso, lo capisci a vista d’occhio.

Ugualmente non potrebbe vincere?

Occhio, ci sono le variabili. Per cui alla fine se quello un po’ più pesante vuole vincere, si deve inventare qualcosa. Ad esempio se c’è tanta crono o se la tappa sullo sterrato diventa più incisiva: ci sono fattori legati all’abilità che non sono misurabili.

Sei spesso con gli atleti, che cosa dicono di queste statistiche così esatte?

Sanno che sono esatte, ma non infallibili. I 20 minuti di crisi possono averli chiunque, anche Vingegaard e Pogacar. L’anno scorso Tadej è saltato a metà della salita finale di Courchevel, perché magari pesando di più, aveva vuotato prima il serbatoio. Oppure c’entrava il fatto che avesse preparato il Tour in un mese, a causa della frattura della Liegi, per cui era rimasto fermo a lungo e probabilmente gli mancava la parte finale della preparazione. Quello che stavolta potrebbe toccare a Vingegaard.

Il Tour 2023 deciso dalle superiori leggerezza ed efficienza di Vingegaard e dalla preparazione frettolosa di Pogacar
Il Tour 2023 deciso dalle superiori leggerezza ed efficienza di Vingegaard e dalla preparazione frettolosa di Pogacar
Sembrano chiacchiere da bar, su cosa ci basiamo per andare avanti?

C’è tutta la parte legata al dispendio energetico: concetti abbastanza ampi, che sembrano teorici, ma sono molto importanti. Quanti grammi di glicogeno ha in corpo uno che pesa 68 chili rispetto a uno che ne pesa 60? Sicuramente ha il serbatoio più grande, però non sappiamo quanti grammi di glicogeno può contenere. Di solito quando abbiamo per avversario un corridore top cerchiamo di studiarlo e poi ci regoliamo su come lavorare con i nostri. Certo, in nome del peso, non si può cominciare una dieta troppo frettolosa. Bene o male sono tutti magri, difficile intervenire da fuori. Per cui nel prossimo Tour ci si dovrà attrezzare, sfruttando la tappa sugli sterrati e ogni altra situazione che possa rendere un vantaggio.

Ma non dimentichiamo Dani Martinez, il primo degli altri

27.05.2024
5 min
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ROMA – Forse la prestazione di Daniel Felipe Martinez è passata sin troppo inosservata. Tadej Pogacar si è preso la scena, è vero, ma il secondo posto dell’atleta della Bora-Hansgrohe ha un grande valore. Ha un grande valore soprattutto per questo ragazzo che a 28 anni si è trovato a fare il leader e ha risposto presente. Ha valore per la squadra che ha enormi ambizioni e si ritrova un atleta di enorme sostanza. E ha valore per i tifosi colombiani, sempre numerosissimi sulle strade del Giro d’Italia.

Quegli stessi tifosi che erano presenti anche a Roma. Il podio all’ombra del Colosseo è un’emozione che Martinez non dimenticherà mai. E lo ha anche ribadito dopo essere sceso da quel palco.

«E’ stato un Giro di sostanza il suo – ha detto Enrico Gasparotto – Dani è stato davvero bravo. E’ andato forte a crono e in salita. E di fatto ha battuto tutti gli altri».

Pogacar che guarda tutti da davanti e Martinez che guida gli altri: è la foto del Giro
Pogacar che guarda tutti da davanti e Martinez che guida gli altri: è la foto del Giro

Il retroscena

Il suo Giro è nato sin da questo inverno, con una programmazione dettagliata. Ma poi ha anche avuto qualche complicazione. Forse perché le cose, per assurdo, stavano andando sin troppo bene.

«Il programma iniziale – racconta Paolo Artuso, il preparatore – era quello di farlo tornare in Colombia subito dopo la Strade Bianche, corsa che avevamo deciso di fargli fare per prendere confidenza con lo sterrato che avrebbe poi trovato qui verso Rapolano. Ma Dani stava così bene che ha insistito per fare anche la Tirreno. Però, proprio alla Strade Bianche è caduto. Ha fatto dei numeri e dei valori pazzeschi per cercare di recuperare, ma il problema è che il giorno dopo aveva un ginocchio gonfio così».

A quel punto è scattato l’allarme. Dani è partito per la Tirreno ma piano. D’accordo col team, Martinez si è fermato dopo quattro frazioni. Prima di ritornare in Colombia per l’altura, Artuso se lo è portato in Veneto. Gli ha fatto fare qualche sopralluogo, degli accertamenti al ginocchio e anche una visita in galleria del vento.

«Poi – continua il coach – abbiamo rivisto qualche dettaglio della sua preparazione e fino all’ultimo ci sono state delle piccole incertezze, degli aggiustamenti. Ha saltato il Romandia che era nel programma iniziale. Una volta tornato in Europa lo abbiamo tenuto in altura ad Andorra fino all’ultimo. Dovete sapere che Martinez è un generoso. Pensate che a dicembre l’ho dovuto richiamare perché andava troppo forte!».

Sul Grappa Martinez ha controllato. Non era a tutta e, sapendo di non poter vincere la tappa, non ha rischiato nulla
Sul Grappa Martinez ha controllato. Non era a tutta e, sapendo di non poter vincere la tappa, non ha rischiato nulla

Parola a Dani

A Roma Martinez è stato raggiunto dalla sua famiglia. Mentre ci parliamo i suoi bimbi girano tra le nostre gambe. Lui è disponibilissimo e contento di raccontare. Di raccontare un secondo posto che magari, chissà, potrebbe anche incidere sul resto della sua carriera.

Dani, primo podio della tua carriera…

Sono veramente contento. Contento del podio, ma anche del lavoro realizzato sin qui. E’ un risultato che mi soddisfa appieno.

Hai trovato un Pogacar gigantesco. Ma hai battuto tutti gli altri.

Eh già! Quando abbiamo cominciato il Giro d’Italia tutti noi all’inizio credevamo che Pogacar si potesse battere. Abbiamo anche provato ad attaccarlo tutte le volte che è stato possibile, ma lui aveva una gamba molto buona. E’ un fenomeno. Alla fine Tadej ha fatto il suo Giro e noi abbiamo fatto l’altro. E in quest’altro Giro eravamo tutti vicini: Thomas, Tiberi, O’Connor… di più non si poteva fare.

Cosa ti ha soddisfatto del tuo Giro? C’è stata una prestazione in particolare?

La mia regolarità. Sono sempre andato forte, tutti i giorni, mentre di solito c’era un giorno in cui pagavo (cosa che ci ha confermato anche Artuso, ndr). Se facciamo i conti c’erano oltre 70 chilometri a crono e questo avvantaggiava appunto Thomas, Tiberi, O’Connor, ma le mie gambe erano buone anche contro il tempo.

Complice qualche sfortuna, la Bora-Hansgrohe non è stata super. Aleotti il vero supporto grande per Martinez
Complice qualche sfortuna, la Bora-Hansgrohe non è stata super. Aleotti il vero supporto grande per Martinez
Quindi nessun giorno difficile?

ne ho avuti tanti, come quello alla seconda tappa, quando verso Oropa ho avuto un problema meccanico. E poi anche nella quarta tappa sono stato coinvolto in una caduta e ho battuto una spalla. Ma ho saputo recuperare bene da questi giorni.

Dani, hai detto che almeno all’inizio e nelle prime tappe, pensavate che si potesse fare di più contro Pogacar, ebbene dopo Prati di Tivo, quando Pogacar ha fatto “solo” la volata, questa convinzione si è rafforzata? In quei giorni in gruppo si diceva non fosse più al top…

A Prati di Tivo abbiamo pensato di fare qualcosa. Era il giorno dopo la crono e magari qualcosa poteva cambiare per gli avversari. Ci abbiamo provato, ma è anche vero che la squadra era quella che era. Per infortunio abbiamo perso presto Lipowitz e non si poteva fare molto. La corsa era tutta nelle mani di UAE Emirates o Ineos Grenadiers. Poi da quel giorno è stata dura attaccarlo.

Di più non si poteva fare insomma. Qui c’è aria di festa. Ti piace Roma?

Sì, sì… è la terza volta che sono qui. Ma devo dire che mi piace tutta l’Italia. Sono cresciuto qui, le mie prime squadre da professionista sono state qui da voi e ci sono molto legato.

Doppietta crono e arrivo in salita: una gestione delicata

08.05.2024
5 min
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Questo Giro d’Italia propone due doppiette particolari: la crono e la tappa di montagna a seguire. Sarà così dopodomani con la tappa contro il tempo di Perugia e il successivo arrivo a Prati di Tivo, e  fra otto giorni con la crono di Desenzano del Garda e l’arrivo di Livigno a seguire.

Doppiette simili mettono un filo di più in allarme gli uomini di classifica, specialmente gli scalatori. La gestione è importante e va inquadrata nelle due giornate, come ci spiega Paolo Artuso, preparatore in seno alla Bora-Hansgrohe, squadra che tra l’altro ha Daniel Felipe Martinez, un papabile del podio di Roma.

Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe nel 2023
Artuso è approdato alla Bora-Hansgrohe nel 2023
Paolo iniziamo dall’avvicinamento alla crono. Forse dalla tappa precedente, quella di Rapolano in questo caso. Come ci si approccia alla crono e alla doppietta che dicevamo?

Il protocollo di recupero di base è sempre quello che precede una crono, almeno noi in Bora facciamo così. L’obiettivo resta uno: recuperare il più velocemente possibile dalla tappa precedente. La vera differenza più che nella doppietta in sé sta nel tempo fra luna e l’altra. La prima infatti arriva dopo sette tappe, la seconda dopo 14. 

Con gli atleti che saranno più stanchi…

Esatto. Per questo ragioniamo su una doppietta alla volta. Intanto affrontiamo al meglio questa, poi fra sette, otto giorni si vedrà. Si valuteranno i ragazzi e vedremo.

Quanto conta il tipo di percorso della crono?

Noi, come altri, abbiamo già fatto i sopralluoghi. Abbiamo i nostri dati, i filmati. Sono due cronometro lunghe, specie la prima. Verso Perugia ci sono 33 chilometri pressoché piatti che vanno in una direzione, poi c’è questo chilometro e mezzo molto duro, e a seguire un tratto ondulato che porta al traguardo: pertanto abbiamo studiato una strategia “no aggressive”. Cioè non bisogna andare in over pacing…

Cioè fuorigiri nella prima di queste tre parti. E allora come si fa? Si balla attorno alla soglia?

Consideriamo che durerà sui 50′ e quindi non si può andare a tutta dall’inizio alla fine. Quindi nella prima parte si viaggerà tra un 4-6% sotto la soglia. Sullo strappo si guarda il Vo2 Max e non la soglia e nel finale si dà tutto. Poi molto dipenderà dal vento.

Cioè?

Se è contro, per fare un chilometro orario in più si spreca di meno. Se è a favore, con le aerodinamiche che ci sono, per aumentare di un chilometro orario si spende molto di più.

Hai parlato del recupero: a livello d’integrazione come si fa?

Come dicevo prima, tutto resta uguale, poi ogni team ha la sua strategia specifica e il suo protocollo. Adesso prima delle crono si è soliti usare il bicarbonato, che aiuta l’atleta ad andare un po’ più in profondità negli sforzi ad alta intensità (prolunga la resistenza allo sforzo lattacido, ndr). Però il suo utilizzo è molto soggettivo. In più ha l’effetto collaterale, chiamiamolo così, che trattenendo i liquidi, il giorno dopo si pesa quel chiletto in più… non è il massimo per fare una tappa di montagna.

Il bicarbonato di sodio, qui in forma pura ma presente negli integratori, si utilizza in previsione di sforzi massimali
Il bicarbonato di sodio, qui in forma pura ma presente negli integratori, si utilizza in previsione di sforzi massimali
Però è anche vero che il giorno dopo, magari prima della scalata finale quel chiletto in più di liquidi si è perso strada facendo…

Sì, ci sta. Come detto è molto soggettivo l’uso del bicarbonato. E tutto sommato, in una tappa come quella di Prati di Tivo in cui la vera parte dura è quella finale, si ha tempo di “svuotarsi”.

Pozzovivo ci diceva che gestire questa due giorni non è facile, anche a livelli di posizione, di muscoli, di utilizzo di materiali diversi… Cosa ne pensi?

Che ha ragione. Si utilizzano muscoli differenti a partire da alcune parti del quadricipite e del gluteo, tuttavia non credo che le difficoltà derivino, almeno se non hai problemi di base con la bici da crono, dall’utilizzo di materiali e posizioni diverse. Perché comunque oggi i ragazzi escono molto con la bici da crono. Il fisico ci è abituato. Si fanno i lavori. Un accorgimento è che nel defaticamento post gara per le due tappe precedenti, sui rulli si mette la bici da crono, così da riprendere il feeling con la posizione. Insomma, non è tanto un problema di posizione, ma di sforzo della due giorni.

Già dalla prima tappa Pogacar ha iniziato a fare il defaticamento con la bici da crono
Già dalla prima tappa Pogacar ha iniziato a fare il defaticamento con la bici da crono
E come si gestiscono questi sforzo?

Appunto con una buona strategia a partire dalla crono. Magari spendi e spandi per fare 15” in meno nella crono e poi il giorno dopo a causa di quello sforzo ulteriore ne perdi 30”. Poi nella tappa in salita non puoi fare troppe tattiche, devi spingere e basta nella scalata finale.

A livello di massaggi, si fa qualcosa di differente? Magari s’interviene più sulla parte alta…

Non è il mio terreno, ma di base direi no. A meno che non ci siano problematiche specifiche. Come dicevo, gli atleti sono abituati ad utilizzare le due bici. Se ci sono così grandi problemi c’è qualcosa che non va nella preparazione. Noi da mesi abbiamo lo scheletro di quel che si deve fare giorno per giorno.

Paolo, hai parlato di defaticamento: come avviene nelle tappe che precedono questa doppietta?

Non è diverso dagli altri defaticamenti. Di solito si fanno dai 10′ ai 12′ in Z1, con qualche breve passaggio in Z2, in agilità. Almeno noi in Bora facciamo così.

Chi è più a rischio in questa doppietta: lo scalatore o il cronoman?

Se parliamo di scalatori che sono anche uomini di classifica, ormai c’è poca distinzione, visto che gli stessi scalatori vanno forte anche a crono. La doppietta va a sfavore di chi non sta bene. Per esempio crono così lunghe piacciono a Dani Martinez. E’ uno che la bici da crono la usa spesso, riesce a restare concentrato a lungo, cosa affatto banale, e in salita va bene.