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Poche gare alla vigilia, si punta su allenamento e altura

20.02.2023
4 min
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Poche gare prima dei grandi appuntamenti, la tendenza è questa. Ma perché? L’argomento è piuttosto attuale visto che molti corridori, specie quelli che hanno cerchiato di rosso il Giro d’Italia, passeranno più tempo in altura e in allenamento che in gara.

E questo, a quanto pare, vale anche per i preparatori. Paolo Artuso, coach della Bora-Hansgrohe, quando ci risponde sta giusto per partire verso il Teide.

«Andrò lassù per dare il cambio agli altri preparatori che sono lassù già da un po’. Poi andrò alla Parigi-Nizza e tornerò ancora sul vulcano atlantico». Da queste parole già si può capire molto.

Paolo Artuso
Paolo Artuso (classe 1984) da quest’anno è un coach della Bora-Hansgrohe
Paolo Artuso
Paolo Artuso (classe 1984) da quest’anno è un coach della Bora-Hansgrohe
Paolo, ma cosa succede?

Alla fine ciò che serve è avere più ossigeno a disposizione e l’altura è quel che ci vuole per ossigenare ogni distretto muscolare al meglio. Si sapeva anche prima chiaramente, ma l’obiettivo è avere dei buoni valori del sangue. Valori più alti possibile, in modo legale.

Quindi torna a gran voce l’altura…

C’è poi da considerare che l’allenamento è un processo controllato. Posso lavorare laddove ho più bisogno. Potrei fare cento esempi. Per esempio devo perdere un chilo e mi alleno in un certo modo. Devo migliorare la prestazione dopo le 4 ore di gara e allora farò dei test dopo i 3.000 KJ e lavorerò su questo aspetto. L’allenamento è un continuo aggiustamento: oggi, più domani… più un mese.

Però si è sempre detto che la gara serve. Che l’allenamento che si fa in corsa non si fa a casa o in ritiro.

Ovvio che c’è bisogno degli stimoli della gara. Però è anche vero – ed è questo un passaggio chiave – che se oggi non sei al 100% in gara fai fatica e basta. Ti ritrovi a fare sforzi su sforzi, fuorigiri frequenti e alla fine vai in acidosi.

Anche in quota sul Teide, Roglic ha usato la bici da crono… sui rulli (foto Instagram)
Anche in quota sul Teide, Roglic ha usato la bici da crono… sui rulli (foto Instagram)
Acidosi?

I muscoli diventano acidi e ciò contribuisce alla fatica anche in allenamento. In pratica non sei più costruttivo. I mitocondri, queste famose centraline dei muscoli, non amano un ambiente acido e se questo è addirittura troppo acido si distruggono. Ed è quello che succede se vai in corsa senza essere pronto. Sei sempre a tutta, sempre ad inseguire, sempre in acido lattico. Una volta invece non era così. Andavi alle corse per rifinire la preparazione. Andavi in Oman, per esempio, anche se non eri al top e miglioravi. Adesso invece in Oman ho visto numeri da Giro e da Tour e come fai?

Abbiamo visto che Conci dopo queste prime gare farà molta altura, poi Catalunya e poi altura. Roglic idem e non ha neanche corso. Magari Primoz lo fa perché spesso ha tentennato nella terza settimana e vuol preservarsi?

Ma alla fine se ci pensiamo è lo stesso discorso. Vuole arrivare meglio alla terza settimana. Poi è anche una questione mentale.

Cioè?

Al netto di Roglic, oggi ad ogni rotonda c’è una guerra. Tutti i diesse per radio dicono agli atleti di stare davanti e per ogni minima cosa c’è una lotta. Quindi se corri un po’ meno anche dal punto di vista dello stress ci arrivi un po’ meglio.

Abbiamo nominato Conci e Roglic, in Bora-Hansgrohe avete corridori che puntano al Giro e che correranno poco?

Penso a Vlasov. Dopo la Valenciana è tornato in altura. Poi farà Tirreno, di nuovo altura e Tour of the Alps.

Oggi più che mai il rischio di essere sempre a tutta in gara, spinge gli atleti a ponderare bene le gare da fare
Oggi più che mai il rischio di essere sempre a tutta in gara, spinge gli atleti a ponderare bene le gare da fare
Quindi niente Liegi, niente Ardenne?

Vediamo, ma oggi la differenza la fa la durata dell’altura. Prima si facevano due settimane, adesso se ne fanno tre o quasi tre. Soprattutto nel primo ritiro dell’anno. Anche l’adattamento è diverso. Prima tre giorni, adesso magari sono anche cinque e poi s’inizia con i blocchi di lavoro.

Ecco, hai parlato di lavori in altura. Si diceva che in quota non si facevano specifici e adesso tu parli di blocchi di lavoro e Rota ci dice che fa le volate a 2.500 metri di altitudine…

Quelle di Rota però sono volate di 15”-20” e non sono quelli i lavori che ti “finiscono”. Ciò che ti consuma sono i lavori submassimali di un’ora. Anzi, in altura quel tipo di stimoli di Rota sono ottimi. Ma resta il fatto che oggi devi andare in corsa pronto.

Perché?

Perché si va più forte. Noi lo vediamo con i test. Con certi valori una volta vincevi i Giri, oggi arrivi tra i primi venti. C’è sempre una maggior precisione del lavoro. Io dico sempre ai miei atleti che la prestazione è un insieme di palline. Quella più grande è l’allenamento, perché è la base e se non ti alleni non vai. Poi ci sono le palline più piccole della nutrizione, del riposo, dei materiali… cosa è cambiato: che rispetto ad una volta queste altre palline sono diventate più grandi. Hanno più peso…

Artuso alla Bora, alla guida di una “all star”

07.01.2023
5 min
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L’avventura di Paolo Artuso fra i diesse della Bora Hansgrohe è iniziata ormai già da oltre un paio di mesi. Il tecnico veneto si è già perfettamente integrato nei meccanismi del team tedesco. Team che parte per il 2023 con grandi obiettivi dopo aver portato a casa uno dei tre grandi Giri della scorsa stagione, la corsa rosa con la splendida cavalcata di Jai Hindley.

Artuso è entrato subito nel cuore del team: a lui sono stati affidati 6 componenti della squadra da seguire direttamente, poi si alternerà con gli altri diesse per le varie corse del calendario: «Abbiamo iniziato la preparazione già a ottobre con un primo ritiro sul ghiacciaio austriaco di Soelden, quello abitualmente teatro della prima gara di Coppa del Mondo di sci alpino. Quella è stata soprattutto un’occasione per conoscersi e gettare le basi della nuova stagione. Poi a dicembre abbiamo fatto due settimane di stage a Maiorca, fino al 21 dicembre (foto di apertura, ndr) e lì si è lavorato molto, sia su strada con lavori di fondo ma anche curando la tecnica su pista e svolgendo test di laboratorio».

Artuso insieme a Schachmann: il rilancio del tedesco è una delle sfide del tecnico italiano
Artuso insieme a Schachmann: il rilancio del tedesco è una delle sfide del tecnico italiano
Come vi siete regolati nella programmazione della stagione di ogni singolo atleta?

Questo è un aspetto che mi ha interessato molto. Sin dal primo ritiro abbiamo cercato di responsabilizzare al massimo ogni singolo componente del team, dicendogli di stilare un proprio calendario. Poi li abbiamo comparati cercando di accontentarli nella misura resa possibile anche dalle esigenze della squadra, In questo modo abbiamo stilato il 90 per cento del calendario 2023, poi naturalmente tutto andrà verificato in corso d’opera, ma ognuno ha una base su cui lavorare e ha visto molte delle sue aspettative accontentate.

Come mai una scelta così anticipata?

Questa programmazione è un aspetto molto importante perché ci consente di programmare i periodi di altura in relazione agli impegni di ognuno, posizionandoli nella maniera più conveniente e strutturando la preparazione in modo da portarli nella forma migliore quando serve.

Hindley si è convinto a puntare tutto sul Tour. Obiettivo un bel piazzamento nella corsa più prestigiosa
Hindley si è convinto a puntare tutto sul Tour. Obiettivo un bel piazzamento nella corsa più prestigiosa
Parliamo della programmazione di Hindley: l’australiano voleva difendere la sua maglia rosa al Giro, ma le caratteristiche del Tour sono più adatte a lui e quindi verrà indirizzato verso la Grande Boucle. L’australiano è convinto della decisione?

Non ci sono stati attriti. Anche Jai sa bene che il suo punto debole sono le cronometro e in tal senso la differenza fra i due percorsi è notevole. Capiamo il corridore, è normale voler provare a difendere il simbolo del primato, ma sappiamo che su quel percorso ci saranno corridori più forti e attrezzati. Hindley andrà al Tour sapendo di non essere il favorito e di correre per la prima volta in una gara che è diversa da tutte le altre. Dovrà fare esperienza e magari puntare a un obiettivo plausibile: arrivare nei primi 5 sarebbe per lui un grande risultato considerando la sua costanza nell’arco delle tre settimane.

La Bora Hansgrohe mantiene quindi una conformazione specifica per le corse a tappe, sulla falsariga della Ineos…

Il team aveva fatto questa scelta un paio d’anni fa ponendosi come obiettivo vincere un grande Giro nell’arco di un quadriennio. Ha raggiunto già al primo anno e questo dimostra come la strada intrapresa all’indomani dell’addio al team di Sagan sia quella giusta. La stagione scorsa è stata davvero ottima, ma la fame di successi è aumentata.

Il trionfo mondiale di Herzog: il giovane tedesco è stato affidato ad Artuso per la preparazione
Il trionfo mondiale di Herzog: il giovane tedesco è stato affidato ad Artuso per la preparazione
La sensazione però è che questo progetto sia profondamente radicato. Anche nella filiera giovanile ci sono corridori che sembrano costruiti per le prove a tappe, come lo stesso campione del mondo junior Herzog.

Tra l’altro curerò io il tedesco. E’ un ragazzo fortissimo fisicamente ma ha profondi margini di miglioramento. Essendo naturalmente acerbo, deve arrivare al top senza fretta. Con i giovani bisogna lavorare con calma, senza esasperazioni. Questo per lui sarà il primo anno da U23, molto cambierà rispetto alla sua passata stagione e non deve avere l’ansia di strafare. Ha tutto il tempo per crescere.

Quali sono i corridori che ti sono stati affidati?

Innanzitutto Jungels, che arriva nel team e che ho subito visto essere un fenomeno. Ha avuto molti problemi fisici che ha finalmente risolto, io dico che deve solo ritrovare l’abitudine alla vittoria. Lui è l’uomo giusto per centrare grandi successi in linea. Poi c’è Buchmann, corridore che dopo un 2022 opaco va recuperato perché ha grandi potenzialità nelle corse a tappe. Anche Schachmann viene da una stagione fisicamente complicata, io voglio riportarlo ai suoi livelli, quelli che gli hanno permesso di lottare per grandi vittorie. Ho poi Konrad, austriaco che ha vinto poco ma ha grandi mezzi: lui è abituato a lavorare per gli altri, si sacrifica molto ma io dico che è un jolly e può anche sorprendere in prima persona. Infine ci sono Bennett, che alla Vuelta è tornato a svettare, e Koretzky, il giovane biker francese anche lui nuovo acquisto. E poi come detto Herzog come “aggiunta”.

Su Konrad Artuso ha le idee chiare: l’austriaco dovrebbe mirare più in alto
Su Konrad Artuso ha le idee chiare: l’austriaco dovrebbe mirare più in alto
Sembra veramente una “all star” per le corse a tappe quella che hai in mano, ma non si può non notare che non ci sono italiani…

I giovani interessanti ci sono anche in Italia, devono solo trovare il giusto spazio. Da noi ad esempio Aleotti ha davvero bei numeri, al Giro la sua presenza è stata fondamentale e sta crescendo nella maniera giusta. Anche Fabbro in salita è uno che dice la sua. I giovani ci sono: io vengo dalla Bahrain Victorious e lì ho potuto vedere di persona gente come Milan e Zambanini siano due ragazzi dalle potenzialità enormi. Bisogna solo stare attenti a non guardare sempre e solo i risultati, che non dicono tutto. Ogni anno è a sé. Magari questo sarà un anno ciclisticamente più azzurro.

Polga, l’amico di Zana riparte dalla Novo Nordisk

03.01.2023
5 min
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Tra i tanti italiani che entrano (o rientrano) nel giro agonistico internazionale c’è una storia che merita di essere conosciuta, anche perché coinvolge il team Novo Nordisk, la squadra americana che per statuto assume solamente corridori con diabete di tipo 1 (quello congenito) con lo scopo di dimostrare che si può avere una vita completamente normale anche in presenza di questa patologia, basta seguire le giuste indicazioni. La storia è quella di Antonio Polga.

Corridore di 23 anni, nato a Fara Vicentino, Polga per gran parte della sua vita ha condiviso la sua passione sportiva con un vicino di casa piuttosto speciale: Filippo Zana, il campione italiano approdato a fine stagione nel WorldTour. «Siamo sempre stati molto legati e ognuno ha goduto dei successi dell’altro. O meglio: io ho festeggiato i suoi, ma so che lui è contento per il fatto che sono tornato nel giro».

Polga insieme al campione italiano Filippo Zana: spesso si allenano insieme
Polga insieme al campione italiano Filippo Zana: spesso si allenano insieme

Diabete diagnosticato nel 2014

Polga infatti ha trovato spazio nelle file del team Devo affiliato alla formazione a stelle e strisce. Riallacciando così un filo che si era spezzato anni fa: «Io ho iniziato da G2 alla Sandrigo Sport, poi le categorie esordienti e allievi le ho svolte a Schio e da junior ho corso nella Campana Imballaggi. Nel 2016 Paolo Artuso che mi allenava mi spinse a fare un casting con la Novo Nordisk, perché da due anni avevo scoperto di avere il diabete».

Se ci fate caso, nell’ultima frase sono condensati due momenti importanti, di quelli che possono caratterizzare una vita intera. Il primo riguarda la scoperta del diabete in età adolescenziale: «Non ne sapevo nulla, quando me lo diagnosticarono non conoscevo altre persone, neanche nella mia famiglia con la stessa patologia. Bisogna considerare che una decina di anni fa non c’erano le stesse conoscenze di adesso, i microdiffusori di insulina stavano iniziando a essere sperimentati, le informazioni scarseggiavano e il diabete veniva visto come un ostacolo alla vita quotidiana».

Il secondo, l’approdo al team Usa è strettamente legato al primo: «E’ stato grazie a loro che ho capito che è qualcosa con cui si può convivere facilmente, che si può competere con chiunque. L’unica differenza rispetto a ogni altro corridore è che bisogna tenere sotto controllo i valori glicemici, non scendere o salire sotto certe soglie. Influisce sulle prestazioni? Forse leggermente, ma si affronta e siate pur sicuri che ogni risultato, anche la sola presenza in gara ha un sapore particolare».

La passione di Antonio nasce già da piccolo. Ha iniziato come G2 alla Sandrigo Sport
La passione di Antonio nasce già da piccolo. Ha iniziato come G2 alla Sandrigo Sport

La scelta dello studio

L’esperienza alla Novo Nordisk comportava però anche un profondo cambio di vita: «Dovetti trasferirmi ad Atlanta per il ritiro prestagionale: si correva un po’ dappertutto, in Italia dove mio padre mi accompagnava nelle gare del Triveneto, ma ero solo. Poi si stava un mese in Belgio per le classiche e a luglio un mese negli Usa per l’attività sul posto. Nel 2018 però mi trovai di fronte a un bivio: era l’anno della maturità e tutti questi spostamenti penalizzavano lo studio. Privilegiai la scuola e non me ne pento, ma la mia esperienza con il team si chiuse lì».

Di fatto anche la sua attività ciclistica passò in secondo piano: «Dopo il diploma iniziai l’università, Ingegneria Gestionale. Sono appassionato di analisi statistiche da applicare al ciclismo, è una strada che voglio percorrere fino in fondo. Ma questo comportava il fatto che avevo poco tempo per allenarmi. Tutto è cambiato con il Covid».

Nelle Granfondo 2022 Polga ha colto il 6° posto alla GF Liotto e il 9° alla GF Segafredo
Nelle Granfondo 2022 Polga ha colto il 6° posto alla GF Liotto e il 9° alla GF Segafredo

La ripresa con gli amatori

Nel periodo del lockdown si studiava in casa, con le lezioni online e questo comportava avere molto più tempo a disposizione: «Mi sono organizzato in modo da poter uscire in bici quasi ogni giorno. Ho ripreso ad allenarmi seriamente e i miglioramenti erano evidenti. Non lo facevo con spirito agonistico, ma pian piano ho ritrovato il gusto della bici e anche delle gare grazie a un gruppo amatoriale che mi ha voluto con sé per le granfondo, l’Uc San Vito di Leguzzano. Non potrò mai dire abbastanza grazie al suo patron Matteo Stefani che mi ha restituito l’ambizione…».

Da lì curiosamente la strada è ripresa quasi in parallelo con quanto era avvenuto anni prima: «Un ragazzo del team era allenato da Paolo Artuso. Siamo così tornati in contatto e da lui ho saputo che c’era un altro camp del team americano, questa volta in Italia. Ho passato le selezioni e la squadra mi ha inserito nel team development. Riparto praticamente da dove mi ero fermato, ma con molta maturità e consapevolezza in più».

Il veneto con la maglia della Novo Nordisk insieme a suo padre Alessandro
Il veneto con la maglia della Novo Nordisk: un ritorno inaspettato ma voluto

Il momento di riprovarci…

Artuso, oggi nello staff dirigenziale della Bora-Hansgrohe, è molto legato a Polga. Vivono vicini e lo ha seguito nella sua evoluzione, lo ha sempre monitorato soprattutto negli ultimi tempi dopo il suo ritorno all’attività. Conferma che nel primo tentativo non era ancora maturo, fisicamente e mentalmente, ma che il ragazzo di allora è profondamente diverso dall’uomo di oggi, che merita una chance per la passione che nutre per la bici.

Polga oggi è un ragazzo voglioso di provarci: «Dalla mia ho la consapevolezza di essere un’altra persona, non solo caratterialmente. Non solo riesco a gestirmi meglio, ma fisicamente sono molto più cresciuto, sono maturato tardi rispetto a molti miei coetanei. Il corpo ora risponde molto di più. So che mi attende un’attività molto qualificata, è un team continental che affronterà gare di tipo 1.1 e 2.1. Inizieremo in Grecia a marzo, sia con gare a tappe che in linea. Poi si girerà l’Europa: Polonia, Croazia, Slovacchia, anche alcune gare tra Francia e Belgio. Magari in giro ritroverò Filippo: se sono qui è anche grazie a lui».

Artuso, il futuro alla Bora, il cuore con Colbrelli e Milan

02.11.2022
6 min
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Paolo Artuso ha cambiato numero. Ha restituito quello della Bahrain Victorious e in attesa di riceverne uno dalla Bora-Hansgrohe terrà buono quello di sempre. Il passaggio è avvenuto sotto traccia, perché di solito fa più notizia il mercato dei corridori, tuttavia non è passato inosservato il contratto triennale offerto al preparatore dal team tedesco, che si è già riunito fra Germania e Austria, per visite mediche e un team building a Soelden.

Paolo Artuso (classe 1984) è stato nel gruppo Bahrain sin dalla fondazione, quando c’era il gruppo Nibali
Paolo Artuso (classe 1984) è stato nel gruppo Bahrain sin dalla fondazione, quando c’era il gruppo Nibali

«Ogni tot anni è anche giusto cambiare – sorride Artuso – per avere stimoli diversi e crescere ancora. Ero in Bahrain da sei, praticamente dall’inizio e ho visto cambiare la filosofia della squadra. I primi tre anni c’era il gruppo di Nibali. Poi dal quarto anno è arrivato Rod Ellingworth con la McLaren e ha stravolto la squadra a livello di protocolli. Ha portato l’esperienza di Sky, però è rimasto solamente un anno. Per cui negli ultimi due abbiamo fatto una via di mezzo tra la filosofia iniziale della squadra e quella di Rod, prendendo quello che ci sembrava migliore».

E Bora?

Abbiamo fatto una chiacchierata e quello che mi hanno detto mi è piaciuto tanto. Il progetto che hanno soprattutto per le corse a tappe è importante. Hanno dei giovani molto forti. C’è Hindley, poi Konrad, Schachmann, Buchmann, Higuita, Cjan Uijtdebroeks che non so ancora come pronunciarlo. Poi c’è Vlasov, cioè… La squadra è veramente competitiva e c’è anche Aleotti, che non sappiamo ancora fin dove possa arrivare.

Fra i corridori di Artuso c’è anche Schachmann, reduce da un 2022 a corrente alternata
Fra i corridori di Artuso c’è anche Schachmann, reduce da un 2022 a corrente alternata
Perché hai deciso di accettare?

Mi hanno voluto fortemente e quando vai in un posto in cui ti vogliono così tanto, parti con il piede giusto. Il progetto è a lungo termine, il contratto triennale per un membro dello staff vuol dire fiducia e che a livello economico la squadra è stabile. Così ho deciso di fare il salto, passando dal Bahrain che ha una forte impronta italiana a un team totalmente tedesco. Ci sono degli italiani, ma la base non è latina e mi incuriosisce. 

Ti hanno già assegnato degli atleti da seguire?

Ne ho cinque. Buchmann, che ha fatto quarto al Tour del 2019. Poi Patrick Konrad, che secondo me è un corridore vincente perché tiene in salita ed è anche veloce (i due sono insieme nella foto di apertura, ndr). Schachmann, che arriva da un anno sfortunato, ma ha comunque vinto due volte la Parigi-Nizza. Quindi Sam Bennett, che vince le volate perché ci arriva più fresco e non è solo un velocista. Infine Jungels, che si è operato all’arteria iliaca e ha fatto una bella seconda parte di 2022 dopo la vittoria al Tour e nel palmares ha la Liegi.

Inizia dalla vittoria di Amilly alla Parigi-Nizza 2017 la scalata di Colbrelli al successo. Artuso c’era già
Inizia dalla vittoria di Amilly alla Parigi-Nizza 2017 la scalata di Colbrelli al successo. Artuso c’era già
Colbrelli smette e tu con Sonny hai lavorato tanto…

Abbiamo lavorato insieme sin da quando arrivò al Bahrain. Con lui ho dei bei ricordi, come la prima vittoria alla Parigi-Nizza nel 2017, la prima gara WorldTour della squadra. Ogni anno è cresciuto un po’, fino alla grande stagione 2021. Mi dispiace anche aver lasciato Matej Mohoric, che venne da noi al secondo anno di Bahrain e abbiamo subito instaurato un ottimo rapporto. Tra alti e bassi, insomma, anche con lui siamo riusciti ad azzeccarne qualcuna di buona. E poi c’è Caruso, che mi mancherà a livello umano. Mi mancheranno in tanti, anche Jonathan Milan che è un altro fenomeno.

Proprio Milan: secondo te può diventare un velocista fortissimo come ha detto Caruso?

Che sia forte, è forte. Di fatto è veloce, perché ha numeri fuori dal normale. Però c’è anche una base aerobica buona, come si è visto in Croazia. Quindi secondo me può fare il velocista e l’uomo da classiche. E’ ancora giovane, ha 22 anni ed è ancora tutto da scoprire. Ha già ottenuto tanti risultati. E’ campione del mondo e anche Olimpionico su pista. Su strada si è allenato poco eppure vince già. Dovrebbe lavorare di più e con maggiore continuità, rispetto a quella che ha avuto per vari problemi fisici.

Jonathan Milan non si allena ancora a pieno regime, eppure vince su pista e anche su strada
Jonathan Milan non si allena ancora a pieno regime, eppure vince su pista e anche su strada
Secondo te Colbrelli avrebbe fatto un altro anno alla grande?

Di sicuro ne aveva altri 2-3 al top. L’inverno scorso non è stato perfetto, fra i mille impegni. Però uno che ti vince così e che ha fatto una stagione del genere vuol dire che si era sbloccato e correva con un obiettivo chiaro, anche da parte della squadra. Non doveva più guadagnarsi il ruolo di capitano, avrebbe avuto un approccio completamente differente.

E Caruso?

Secondo me ha ancora i mezzi per andar forte. In ogni corsa cui ha partecipato è stato competitivo. Dall’Andalusia dove ha lavorato per Poels che ha vinto, alla Tirreno in cui ha fatto settimo in classifica, con il quinto posto nel tappone del Carpegna. Alla Sanremo ha lavorato e al Giro di Sicilia ha vinto due tappe e la classifica. Il Romandia era un obiettivo, ma ha avuto problemi con la catena nell’arrivo in salita, ha perso tempo e alla fine è arrivato sesto a 50″ dal podio. Al Delfinato ha fatto quarto e dal Tour se ne è andato con il Covid. Secondo me ha fatto una signora stagione.

Il 2022 di Caruso è partito bene, ma il Tour non è stato il suo miglior passaggio anche per problemi di salute
Il 2022 di Caruso è partito bene, ma il Tour non è stato il suo miglior passaggio anche per problemi di salute
Quando il preparatore cambia squadra, lascia le consegne a chi rimane?

Al Bahrain, come pure alla Bora, si utilizza la piattaforma Today’s Plan. I file di allenamento sono dei corridori e restano a loro. Per il resto, ci sono due account sullo stesso server. Di conseguenza, nel momento in cui vai via, i file rimangono dove sono, semplicemente io non ho più accesso alla piattaforma. I file di allenamento li ho sempre visti come un veicolo per fare meno errori e programmare la preparazione. Il test vero e proprio andrebbe fatto in laboratorio in ambiente controllato e con lo stesso ergometro. I test che usiamo di solito servono per calibrare i ritmi di allenamento, capire dove l’atleta è più carente, dove lavorare. Mi resta il bagaglio di esperienza. E tutto il lavoro che devo cominciare a fare con i miei nuovi atleti.

Quei 4′ finali su strada che tanto piacciono al pistard

05.10.2022
6 min
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Tre chilometri all’arrivo. Il gruppo è lanciato sul filo dei 60 all’ora. C’è tensione. Si gomita per prendere la posizione che si reputa migliore: chi deve fare il treno, chi l’apripista, chi la volata, chi magari deve proteggere un compagno davanti. E in quei frangenti il dispendio energetico è massimo. Ma è lì che il pistard è avvantaggiato.

Jonathan Milan, l’altro giorno raccontandoci con lucidità i finali delle sue vittorie in volata alla CRO Race, disse che c’era molto della sua attività in pista. «Quei 4′ oltre il limite sul parquet te li ritrovi tantissimo su strada».

E qualche mese prima Paolo Alberati parlando di Fiorelli ci disse come il dispendio energetico massimale incidesse sulla prestazione. Lo stare a ruota. Il limare. E, sempre parlando di Fiorelli, ci disse come il suo atleta di volate negli ultimi due chilometri ne “facesse tre”. Troppe. Per dire che basta un spendere un po’ di più e tutto va a monte.

Paolo Artuso, è uno dei preparatori della Bahrain Victorious
Paolo Artuso, è uno dei preparatori della Bahrain Victorious

Base aerobica…

Paolo Artuso, che di Milan è il coach alla Bahrain-Victorious, ci aiuta a comprendere meglio cosa volesse dire Jonathan e perché avesse ragione.

«Tutto vero – spiega Artuso – ma prima ancora del finale di corsa farei un passo indietro. Per fare quei wattaggi massimali nel finale devi arrivarci fresco. E ci si arriva con due punti primari: l’efficienza di pedalata e l’efficienza lipidica. Devi avere una base aerobica super. Prendendo l’esempio di Milan lui ha vinto dopo 5 ore e mezza di corsa (prima tappa) e dopo 4 ore e passa (la seconda)».

Quando Artuso parla di efficienza di pedalata non si riferisce tanto allo stare ben messi in sella, quanto alla pedalata vera e propria, al rendimento e al dispendio energetico. C’è chi per fare cento pedalate spende “cinque” e chi spende “due”. 

«E per questo ci si lavora, tanto più per un corridore alto (1,94 metri, ndr) come Milan. Una volta si faceva la ruota fissa. Jonathan raggiunge questa efficienza con il lavoro in pista».

«Quando invece parlo di efficienza lipidica, intendo la capacità di utilizzare la benzina dei grassi. Noi abbiamo il serbatoio lipidico che è enorme e quello degli zuccheri che molto più piccolo. Più abituo il fisico ad utilizzare il serbatoio dei grassi e più zuccheri avrò a disposizione nel finale.

«E come mi abituo a bruciare i grassi? Facendo parecchia base aerobica anche “intensa”, quindi Z2 e Z3».

Grazie anche all’agilità un pistard come Milan se l’è cavata in salita
Grazie anche all’agilità un pistard come Milan se l’è cavata in salita

Quell’agilità

«C’è un terzo elemento – continua Artuso – ed è l’agilità. Milan non è arrivato là davanti su percorsi del tutto piatti, ma superando anche delle asperità. Tra l’altro, faccio un inciso, nel giorno in cui ha perso la maglia mi hanno detto che sulla salita di 17 chilometri hanno fatto fatica a staccarlo. E le ha superate bene, senza spendere troppo, grazie all’agilità».

«A 60 rpm una pedalata dura un secondo, a 90 rpm dura 0,66”. La contrazione muscolare quindi più breve e ciò consente maggior ossigenazione ai muscoli. Questa resistenza alle alte cadenza sulle salite di 8′-12′ (oltre all’efficienza lipidica e di pedalata) ha fatto sì che Milan potesse arrivare fresco nel finale e sfruttare le sue doti di pistard».

Gli allenamenti in pista permettono di lavorare meglio sulla forza e le alte intensità
Gli allenamenti in pista permettono di lavorare meglio sulla forza e le alte intensità

Pista e lattato

Ed è qui, che emerge appunto il pistard. Quando lo sforzo è massimo e si va in asfissia.

«A questo punto – va avanti Artuso – subentrano i lavori lattacidi e la pista in tal senso dà una grossa mano, in quanto si fa un lavoro di forza ad elevatissima intensità.

«Nello specifico, prima della CRO Race, in pista Milan ha lavorato su ogni tipo di forza e di resistenza lattacida: partenze da fermo da 125 metri, 250 metri… E lavori da 2.500 metri e fino ai 4.000 metri. Nel complesso un volume “piccolo” ma ad alta intensità. E se si fa un buon recupero succede che vince anche su strada».

«In questo modo per me è più facile allenare un Milan: devo fargli fare “solo” la base aerobica e poi in pista fa i lavori intensi. Ma quando si ha sottomano un atleta così potente e di una certa stazza bisogna stare attenti anche alla parte aerobica. Sapete cosa vuol dire far fare un’ora di medio a Milan? Significa che per 60′ deve fare 430-450 watt. Lì fa, ma fisiologicamente è devastante. Di conseguenza certi carichi devi ridurli un po’. Altrimenti il giorno dopo è stanco e salta tutto. 

«Serve consistenza nell’allenamento. E per consistenza intendo l’allenarsi oggi, più domani, più dopodomani… Non è solo alternare carico e scarico. E’ dare continuità ai lavori».

Una fase calda che precede la volata tra chi cerca di portare fuori il proprio leader e chi sgomita alla sua ruota
Una fase calda che precede la volata tra chi cerca di portare fuori il proprio leader e chi sgomita alla sua ruota

Quattro minuti

E torniamo al punto iniziale: quanto dà una specialità come quella dell’inseguimento (ma non solo) su pista alla strada. Mediamente un inseguimento dura 4′, un po’ meno se a squadra, un filo di più se individuale. Bisogna “dare del tu” all’acido lattico. Conviverci.

«La tolleranza al lattato – dice Artuso – è la capacità dell’atleta di mantenere una situazione non equilibrata (accumulo di acido, ndr) per il maggior tempo possibile. Lavorare sulla tolleranza fa sì che si migliori quando si è a tutta. Sostanzialmente si smaltisce meglio l’acido lattico.

«Come? Facendo alta intensità. Per esempio: 3 serie da 10′ di 30”-30”. Alla fine porti a casa 15′ di fuori soglia. Oppure 3×3′ a tutta in pianura».

L’iridato Viviani nell’eliminazione: è importante essere lucidi quando l’acido lattico avvolge ogni muscolo del corpo
L’iridato Viviani nell’eliminazione: è importante essere lucidi quando l’acido lattico avvolge ogni muscolo del corpo

Ossigeno al cervello

In più c’è una cosa che Paolo Artuso conferma. Nei finali serve freschezza anche mentale e il pistard, che è abituato a limare o nel caso dell’inseguimento a tenere la linea migliore, ne ha da vendere.

«Di certo il pistard è avvantaggiato anche dal punto mentale e della lucidità. Tante volte vediamo delle cadute in discesa: ma perché? Perché “vedono doppio”. Non sono lucidi. Sono meno abituati alle punte di acido lattico e hanno meno ossigeno al cervello. Ne guadagna la guidabilità.

«Concludendo con Milan, il giorno in cui ha fatto la volata di quasi 400 metri non solo è stato bravo a tenerla, ma è stato bravo a tenere la posizione prima del via e a valutare la situazione (Mohoric, suo compagno era davanti e il gruppo rimontava, ndr)».

Delfinato a denti stretti, la via di Caruso verso il Tour

13.06.2022
6 min
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Quarto in un Delfinato corso alla velocità della luce, subito dietro Roglic, Vingegaard e O’Connor, gente da Tour in rotta sul Tour: quanto vale il risultato di Damiano Caruso? In attesa di scoprire i verdetti del Giro di Svizzera e di quantificare la forza di Pogacar in Slovenia, in che modo procede il cammino del siciliano verso la Francia?

Lo abbiamo chiesto nuovamente a Paolo Artuso, capo dei preparatori al Team Bahrain Victorious, che a breve raggiungerà Caruso sull’Etna per un altro step di preparazione.

«E’ andato bene – spiega – con i numeri che ci aspettavamo. Al Romandia c’era stata una flessione nell’arrivo in salita, quindi non era riuscito a fare la classifica che volevamo. Per cui ci siamo fermati, Damiano ha staccato la spina per un periodo di recupero, poi è andato direttamente al Teide per i consueti 15 giorni di lavoro in altura. Solo che quest’anno abbiamo cambiato metodo…».

Vale a dire?

Abbiamo intrapreso la via del Block Training, l’allenamento diviso in blocchi. Per cui sul Teide si è fatta tanta base, mentre per l’intensità si è scelto il Delfinato, dove Caruso è andato meglio del previsto.

Da quest’anno la preparazione di Caruso è stata rivista, nel senso di una periodizzazone a blocchi
Da quest’anno la preparazione di Caruso è stata rivista, nel senso di una periodizzazone a blocchi

Block training, come funziona

Per capire meglio, l’allenamento a blocchi è suddiviso in una serie di fasi orientate al miglioramento di uno specifico elemento della prestazione. La differenza principale è quindi la composizione di ogni blocco in base a quello che si vuole raggiungere. Le fasi tipiche sono l’accumulo, la trasformazione e la realizzazione.

L’accumulo è un periodo di volume elevato a bassa intensità, in cui l’atleta costruisce la base per il resto del suo allenamento. Nella trasformazione aumenta l’intensità mentre diminuisce il volume e l’atleta si concentra sulle caratteristiche che desidera sviluppare. La realizzazione è la fase di picco, quando l’atleta raggiunge le massime prestazioni. Il volume è basso per consentire al corpo di riprendersi, ma l’intensità è alta per portare l’organismo al massimo livello di forma fisica possibile.

Roglic e Van Aert (e Vingegaard) hanno monopolizzato il Delfinato: Caruso era lì
Roglic e Van Aert (e Vingegaard) hanno monopolizzato il Delfinato: Caruso era lì
Cosa ha fatto dunque Caruso sul Teide?

Prima il solito adattamento, anche se con lui serve meno rispetto alla prima altura dell’anno. Per questo ha iniziato subito a lavorare, senza particolari sessioni specifiche. La prima settimana sono venute fuori 25 ore, nella seconda sono state 28. Niente di esagerato. Di diverso rispetto agli anni scorsi, c’è che anche in allenamento ora diamo il pieno supporto sul piano della nutrizione, come in gara.

Anche Caruso è seguito dal dottor Moschetti?

Esatto, Nicola Moschetti. Anche in allenamento i corridori vengono assistiti sul piano della nutrizione, del recupero, del sonno e della prestazione. Per cui non si tratta solo di mettere insieme una settimana ben fatta, ma si ragiona in termini di consistenza di tutto l’anno. Non andiamo a cercare il peso ideale, perché sarà conseguenza diretta di queste abitudini.

Se il Teide è stato la fase dell’accumulo, il Delfinato è servito per trasformare?

Ha corso sempre al massimo, anche perché parlare di lavori specifici a quelle andature è abbastanza impossibile. Quando conosci le lunghezze delle salite, è anche facile determinare il ritmo giusto per salire, il cosiddetto “pacing”. Per cui nella tappa di ieri, volendo salvare la classifica, a un certo punto Damiano si è lasciato sfilare (è arrivato 6° a 55″ da Vingegaard e Roglic, ndr). Avrebbe potuto tenere duro e per il grande motore che ha, avrebbe fatto un fuorigiri, ma avrebbe compromesso la classifica. Invece così facendo, ha salvato il quarto posto finale. Stesso discorso per la crono.

Ottavo nella crono di La Batie d’Urfé: il Tour si aprirà con una crono, bisognerà gestirla bene
Ottavo nella crono di La Batie d’Urfé: il Tour si aprirà con una crono, bisognerà gestirla bene
Ottavo a 1’25” da Ganna e meno di un minuto da Roglic.

Avevamo stabilito di farla a 390 watt, l’ha fatta a 392. Ci lavoriamo sopra bene da maggio. Era una crono lunga, intorno ai 35-36 minuti, ed era tutta piatta. Uno come lui, che ha nella potenza alla soglia la sua arma migliore, si è trovato avvantaggiato.

Come si passa alla terza fase?

Adesso tre giorni di recupero, fra viaggio e riposo vero e proprio. Poi da sabato, Damiano andrà sull’Etna e lo raggiungerò anche io per fare lavori dietro moto ad alta intensità e arrivare pronti al Tour. Nella prima settimana, oltre alla difficoltà di gara, ci sarà da farsi il segno della croce...

Siamo vicini alla condizione del Giro 2021?

Credo che al Tour avremo lo stesso Caruso, per potenza e peso, un atleta che quest’anno è stato competitivo in tutte le corse cui è andato.

Damiano Caruso è nato il 12 ottobre 1987, è pro’ dal 2009, è alto 1,79 per 67 chili
Damiano Caruso è nato il 12 ottobre 1987, è pro’ dal 2009, è alto 1,79 per 67 chili
E’ facile ritrovare la forma perfetta? Guardavamo Kruijswijk e non è più sembrato quello del Giro 2016…

Nel suo caso secondo me si dovrebbe parlare di un diverso ruolo in squadra e di qualche infortunio. Lui probabilmente ha gli stessi numeri, ma in una squadra così forte fanno turnover e deve lavorare forte per i suoi leader. Ieri infatti ha fatto un lavoro pazzesco.

Che differenze ci sono fra allenarsi sul Teide e sull’Etna?

L’Etna è leggermente più basso. A livello di strade a Tenerife sono mediamente più dure, mentre in Sicilia ci si può allenare anche in pianura. Il meteo in questa stagione è buono in entrambi i casi, anzi forse l’Etna è più caldo. La logistica degli hotel è buona, forse in Sicilia si mangia troppo bene (sorride, ndr). Per contro, sabato Caruso prenderà la macchina e in un paio d’ore sarà al Rifugio Sapienza, senza tutti i voli che servono per arrivare sul Teide.

Risalite in cima sempre in bici?

Con lui che è scalatore, sempre. Si fanno lavori fino ai 1.200 metri di quota, perché si riesce a replicare l’intensità di gara. Invece sopra i 1.500 comincia a cambiare tutto e il carico esterno inizia a diminuire di un tot ogni 100 metri di quota. Per cui oltre una certa quota, si va senza lavori precisi.

Caruso ha chiuso il Romandia al sesto posto, poi ha staccato la spina
Caruso ha chiuso il Romandia al sesto posto, poi ha staccato la spina
Dall’Etna passaggio ai campionati italiani e poi Tour?

Purtroppo Caruso non farà l’italiano, per una questione logistica. Abbiamo valutato la situazione e il fatto che avremmo due soli corridori su un percorso che non gli si addice. Ci sarebbero Damiano e Zambanini, Milan è ormai prossimo al rientro ma il dottore suggerisce prudenza. E di Colbrelli sappiamo la situazione.

Soddisfatto del Delfinato, allora?

Molto, arriviamo giusti al Tour. Avremo davanti quei 2-3 corridori di un altro pianeta, poi però ci siamo anche noi. Damiano avrebbe potuto fare un grande Giro d’Italia, ho provato fino all’ultimo a convincerlo. Ma vedrete che anche al Tour non sarà affatto male…

Alessio riscopre la bici e va in Germania. L’obiettivo è crescere

12.11.2021
6 min
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«Vi sembrerà strano ma negli ultimi due anni ho scoperto la passione per le bici. Da corsa, mountain bike e anche Bmx. Non intese come sport agonistico, ma come attrezzo».

Non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che a fare un’affermazione del genere un po’ a sorpresa è Camilla Alessio. Lei è ragazza di vent’anni che corre da quando è G4 e che nel suo palmares giovanile vanta già un mondiale dell’inseguimento a squadre, un secondo posto nella crono individuale e due podi tricolori da junior. E che sarà l’ennesima giovane italiana con la valigia pronta per l’estero. Nel 2022 correrà con la Ceratizit-WNT Pro Cycling, formazione tedesca.

Nel 2020, primo anno da elite, corre il tricolore crono a Bassano. Ha sempre avuto feeling con la bici da crono
Nel 2020, primo anno da elite, corre il tricolore crono a Bassano. Ha sempre avuto feeling con la bici da crono

Azzurra a Trento

Quindi, per la padovana di San Martino di Lupari – nata il 23 luglio 2001 a Cittadella e passata elite l’anno scorso con tante aspettative – che stagioni sono state le ultime due?

Certo, la vicenda del Covid le ha complicato la vita più del dovuto e probabilmente il vero risultato è stato proprio quello che diceva in apertura. Forse quel riscoprire la bicicletta sotto un altro punto di vista ha consentito alla Alessio in questa annata di centrare un bel quinto posto al campionato italiano in linea e di indossare ancora la maglia azzurra agli europei di Trento (conclusi al nono posto lavorando per la sua compagna Zanardi).

Camilla parlaci questi ultimi due anni alla BePink. Come li hai vissuti?

Il mio bilancio è positivo. Prima non facevo caso a certi dettagli. Sono stati importanti la nutrizionista Francesca Tonin e il fisioterapista Wais Baron, che continueranno a seguirmi. Sono cresciuta molto a livello tecnico. E anche dal punto di vista tattico grazie alla BePink, a Walter e Sigrid (rispettivamente Zini e Corneo, team manager e direttore sportivo, ndr) che mi hanno insegnato a “vedere” la gara.

Come hai gestito con loro il tuo passaggio alla Ceratizit-WNT?

Ero tra le confermate per il 2022, poi quando è arrivata questa nuova proposta verso fine stagione ne abbiamo parlato. Io ci vedevo una bella opportunità per crescere ancora e loro hanno accolto in modo favorevole le mie ragioni. Siamo rimasti in buoni rapporti. Credo proprio che siano contenti per la mia scelta e perché mi abbiano cercata dall’estero. In fondo è anche merito loro.

Come sei entrata nei radar della squadra tedesca?

Si sono interessati a me dopo il campionato italiano ed hanno continuato a seguirmi. Ma non lo sapevo, l’ho scoperto solo dopo la fine del Giro d’Italia Donne. Ed è stato meglio così, ho corso senza pressioni e tranquilla. Il contatto definitivo ce l’ho avuto tra fine agosto ed inizio settembre.

In azione al Trofeo Binda: le salite lunghe sono il suo pane e ammette di volerci lavorare
In azione al Trofeo Binda: le salite lunghe sono il suo pane e ammette di volerci lavorare
Con te verrà anche Martina Fidanza. Prosegue l’esodo delle giovani azzurre fuori dall’Italia, cosa ne pensi?

Come per tanti settori, lavorativi e non, l’estero non ha eccellenze ma le promuove. Noi facciamo parte di esse. Dobbiamo anche guardare il lato economico, serve un rientro per chi vuole fare questo di mestiere. Purtroppo in Italia non ci sono tante squadre che se lo possono permettere come quelle straniere, che in più hanno anche un calendario più definito. Poi sono aperta a nuove esperienze, anche di vita. 

Farai parte di una folta colonia italiana. Raggiungerai Magnaldi, Confalonieri e Vieceli. Cosa ti aspetti dalla nuova squadra?

Approdo in una società molto buona, con un budget importante e con corridori molto forti. Spero di trovare un ambiente dove possa regnare la stima reciproca e nel quale possa esprimermi con tranquillità. Senz’altro è un bel salto di qualità.

Ed invece cosa ti aspetti da te?

Ho tanti stimoli e molta voglia di cominciare a lavorare. Dall’anno prossimo cambierò il preparatore. Mi seguirà Paolo Artuso (coach della Bahrain Victorius, ndr) e ringrazio Enrico Licini per averlo fatto in questi anni. L’anno prossimo mi auguro di fare bene e avere risultati. Non tanto per me, quanto per la squadra. Ad esempio sapere che dovrò lavorare per un’atleta come la Brennauer o le altre di grosso calibro mi dà tanta carica e mi responsabilizza. 

Hai già un programma per il 2022? Raduni ed eventuale soggiorno in Germania?

Sì, abbiamo già un po’ di date. Ai primi di dicembre faremo due giorni di foto ufficiali e consegna dei materiali in Austria, poi ci sposteremo in Italia fino al 20, anche se ancora non so dove. A gennaio e febbraio faremo altri due ritiri lunghi a Calpe dove la squadra ha una casetta.

E il resto?

Non andrò a vivere in Germania, farò sempre avanti e indietro per le gare. Perché se è vero che amo le nuove esperienze, mi piace mantenere una piccola comfort zone a casa in cui posso curare gli altri interessi che ho al di fuori della bici. Come l’Università che proseguirò con corsi privati. Studio Lingue, Società e Scienze del Linguaggio. Mi piacerebbe diventare giornalista sportiva o insegnante.

Sei una scalatrice che va forte a crono, quantomeno nelle categorie giovanili. Del programma degli allenamenti ne hai già parlato con loro e col tuo preparatore?

Sì, assolutamente. Mi trovo a mio agio in salite lunghe e cercherò di migliorare ulteriormente. Un’altra cosa bella è che tornerò a lavorare per la cronometro visto negli ultimi due anni le avevo un po’ trascurate. Per la squadra è una specialità importante, che vogliono curare a fondo. Sanno che mi piace e che andavo bene. Anzi a tal proposito vi posso dire che la Gaerne, appena ha saputo della mia firma alla Ceratizit WNT e del programma-crono, ha studiato proprio per me un prototipo di scarpe che al posto del tradizionale “boa” avrà una cerniera per essere ancora più comode e performanti. Mi arriveranno a breve.

Wout sfinito? Viaggio tra i preparatori per studiare il suo stacco

06.10.2021
6 min
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«Ho bisogno di tre settimane di stacco». Wout Van Aert ha apertamente reclamato il suo riposo al termine della classica delle pietre. L’asso belga tra il mondiale e la Roubaix è sembrato stanco. O quantomeno non brillantissimo.

Anche un fenomeno quindi ha bisogno di riposo? E cosa succede a non fermarsi mai e a tirare costantemente la carretta? E con il ciclocross che lo aspetta come farà? Quanto è importante riposarsi? Tutte queste domande le abbiamo poste a quattro preparatori, anche di generazioni differenti, del panorama italiano ma dal richiamo internazionale: Paolo Slongo, Michele Bartoli, Pino Toni e Paolo Artuso.

Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata
Secondo Slongo, Van Aert ha toccato l’ultimo picco di forma durante la crono iridata

Slongo: il picco contro Ganna

«E’ fondamentale staccare e recuperare – dice il preparatore della Trek Segafredo – Van Aert, per parlare del caso specifico, era uscito dal Tour, ha puntato poi alle Olimpiadi e al mondiale… quindi dopo questo lungo tour de force è giusto che stacchi tre settimane. Ma anche quattro direi. Ci stanno tutte.

«Se stacchi in stagione, può andare bene anche una settimana, ma d’inverno no. Poi lui ha il cross. Riprenderà soffrendo nelle prime corse e visto che il mondiale sarà a fine gennaio, sarà pronto per quel periodo, quindi se si ferma subito è in tabella per farsi trovare pronto. E poi bisogna vedere come stacchi. Stare fermo, fermo è una cosa, se invece si va a camminare, nuotare o in Mtb… è tutt’altra. 

«Van Aert non si ferma mai? Ma alla lunga tutto ciò logora. Logora chiunque, anche un campione come lui. Se tu programmi bene i tuoi impegni puoi fare tutto, ma se non stacchi mai e sei sempre sul pezzo alla fine salti. E soprattutto ti accorci la vita come atleta. Non credo che lui sia andato in overtraining, ma che sia in calando di forma sì. Per me il picco lo ha raggiunto nella crono iridata. Per stare a pochissimi secondi da Ganna ha sviluppato wattaggi enormi. Ha provato a dare il tutto e per tutto, ma da lì in poi il calo è stato evidente».

Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro
Durante la Roubaix Van Aert si è fatto trovare spesso dietro: un chiaro segno di scarsa lucidità per un atleta del suo calibro

Toni: staccherà di meno

«Stacco tre settimane: queste parole dette dopo una Roubaix ci stanno – dice Toni – Una gara del genere ti resta addosso per giorni. Pensiamo solo alle mani. Per un po’ neanche riesci ad appoggiarti al manubrio. Io per esempio temevo per le donne, invece la Bastianelli ne è uscita alla grande.

«L’entità dello stacco dipende anche da che atleta si ha di fronte. C’è chi corre e chi rincorre (o deve lavorare per altri) e non tutti fanno la stessa fatica. Quindi si arriva in certi momenti della stagione con un livello di fatica differente. Poi un campione come lui in teoria ha un’altra capacità di recupero ed ha necessità di staccare meno».

«Lo stacco è importantissimo, ma sinceramente tre settimane mi sembrano tante. Con dieci giorni un atleta del genere torna come nuovo. Se pensiamo che dopo un Tour con 5-6 giorni di riposo vanno fortissimo e vincono le Olimpiadi… Bisognerebbe avere il calendario alla mano per sapere le sue gare. Ci sono due tipi di stop: quello nel bel mezzo della stagione e quello alla fine, in cui è importante staccare anche di testa. Anche perché, non dimentichiamolo, lui ogni volta ha corso per vincere e questo conta tanto». 

Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono
Al Tour de France il belga ha spinto forte: ha vinto in salita, in volata e a crono

Artuso: tanti “sforzoni” al Tour

«Una gara come la Roubaix la senti anche per dieci giorni a livello muscolare – spiega Artuso – magari sul piano metabolico la smaltisci in un giorno o due come un tappone, ma su quello fisico i piccoli danni muscolari che vai a creare non sono pochi, quindi ci sta che fosse molto stanco in quel momento.

«Per dire se 3-4 settimane sia tanto o poco bisognerebbe conoscere i suoi impegni a venire. Di certo lui è a tutta da tanto tempo: la primavera, il Tour, le Olimpiadi, il mondiale… e non ha mai corso al risparmio. Anche al Tour, dopo il ritiro di Roglic soprattutto, la squadra ha corso in modo diverso ed è stato chiamato a dei super “sforzoni”. La fatica si è accumulata nei mesi e la Roubaix è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non so che carichi di lavoro abbia fatto: sarebbe interessante per capire.

«Ci sono due tipi di stacco: quello nella stagione, che serve per assimilare il lavoro fatto (over reaching). E poi c’è quello più profondo, in cui devi perdere la condizione per ritrovare poi altri picchi. E quest’ultimo è importante per ristabilirsi anche a livello ematico e mentale».

Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada
Van Aert (27 anni) da sempre alterna il ciclocross e la strada

Bartoli: deve scegliere

E partendo da quest’ultima frase ci si può collegare a Michele Bartoli, per il quale ripristinare le scorte è fondamentale.

«Vero, Van Aert era stanco e secondo me anno dopo anno si troverà sempre più in difficoltà – dice secco l’ex grande corridore toscano – e come lui anche Van der Poel. Sono due campioni, ma sono due umani, non due macchine e le energie fisiche non sono infinite. Se pensate che io dico ai miei atleti, che non fanno il cross, di staccare 3-4 settimane, figuriamoci lui. Dico ai miei ragazzi di non pensare di essere ciclisti in quel periodo. Certo, un po’ di vita la devono fare, ma devono staccare soprattutto a livello mentale. Se ne dovrebbero andare ai tropici!

«Per Van Aert che ha il cross, staccare è più difficile. Io non credo che lui starà tre settimane senza bici, altrimenti comprometterebbe la sua stagione del ciclocross. Potrebbe aver detto quella frase sulla base di uno sconforto momentaneo».

«Avesse 34 anni okay: fai 2-3 anni a tutta, cross e strada, e via… ma è ancora giovane. Cosa succede a non staccare? Che non reintegri mai le riserve della stagione precedente. Chi non riposa bene recupera al 99%. Se ogni anno togli l’1% al tuo motore dopo dieci anni hai perso il 10%. E per ripristinare le scorte e azzerare le fatiche fisiche e mentali c’è solo una cosa: il riposo. Altro che corsa, Mtb, piscina… a cosa serve fare queste cose ai fini della prestazione di tanti mesi più in là per atleti di questo livello? Non si riposano bene e basta. Se Wout dovrà scegliere? Glielo auguro presto. Ho sempre detto che mi piace più di tutti e non vorrei perdesse la sua supremazia».

Colbrelli, un viaggio di 5 anni dalla Bardiani a Roubaix

06.10.2021
6 min
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Cinque anni di Colbrelli. Dal ragazzo di 27 anni arrivato nel WorldTour dopo ben cinque anni alla Bardiani, al campione che nell’ultimo anno è riuscito a conquistare la maglia tricolore, il campionato europeo e da ultima la Parigi-Roubaix. Che cosa ha capito Paolo Artuso, che con Sonny lavora sin dal suo arrivo nell’attuale Team Bahrain Victorious, del bresciano? E quali margini pensa che possa avere? Si riduce tutto al chilo e mezzo messo via negli ultimi mesi?

«In realtà è tutto un insieme – risponde da casa – non è che gli altri anni prima fosse grosso, ma certo ha limato quel chiletto. Abbiamo lavorato di più sui lavori di forza, distribuito diversamente i carichi. Quindi magari carichi molto più grossi, con periodi di recupero più lunghi. Così facendo siamo riusciti ad avere dei picchi elevati. A ciò si aggiunga che è maturato. Il fatto secondo me è che ci siamo abituati a vedere dei fenomeni, tipo Pogacar, Van der Poel e Van Aert stesso, che così giovani hanno raggiunto risultati eccezionali. In realtà loro sono dei fuoriclasse, mentre a tanti altri servono anni di lavoro di maturazione fisica e mentale. E Sonny ci sta arrivando proprio ora».

Un processo lungo, ma evidente?

Provate a guardare la foto di quando ha vinto la Tre Valli Varesine nell’ultimo anno alla Bardiani. E’ maturato tanto a livello muscolare, è molto più asciutto, ma non è più leggero. E’ più atleta, è più maturo.

Testa e corpo in che proporzioni?

Secondo me è un insieme di cose. Sono cinque anni che lavoriamo bene, sia dal punto di vista dell’allenamento, del calendario gare, dell’alimentazione, del recupero stesso. Siamo una squadra WorldTour, abbiamo una struttura che riesce a tirar fuori il meglio. In più si sta lavorando tanto sui materiali… La performance è un insieme di cose, a Sonny lo dico sempre. L’allenamento è la base, se non ti alleni non vai forte. Però per passare da forte a fortissimo, devi aggiungere la nutrizione, l’aerodinamica, il vestiario, la parte mentale… Tutte queste aggiunte sono importanti se alla base hai la voglia di lavorare. In questi cinque anni abbiamo perfezionato tutto l’insieme, che si basa su un fatto da cui non si può prescindere. E cioè che Sonny ha un motore veramente grande. 

Quanto conta la convinzione?

Dopo domenica, adesso c’è la consapevolezza che può vincere qualsiasi classica. Che può lottare per un Fiandre o la Sanremo. E’ maturato. Se prima era solamente un dirsi “secondo me ce la puoi fare, i numeri ci dicono che ce la puoi fare”, adesso abbiamo dimostrato che quello che pensavamo è fattibile.

La Roubaix gli ha dato la convinzione di poter vincere le grandi classiche
La Roubaix gli ha dato la convinzione di poter vincere le grandi classiche
Sonny è di quelli che scende dall’altura e va subito forte…

Non so come lavorino gli altri. Quando in altura ci andiamo noi, abbiamo sempre un un bel periodo di adattamento iniziale. Poi si lavora diversamente rispetto al periodo. A febbraio siamo più prudenti. E’ la prima altura dell’anno, arrivi dallo stacco invernale e dal ritiro di gennaio, meglio essere cauti. Ad aprile-maggio vai a per preparare il Tour e arrivi in montagna dopo uno stacco relativo, una settimana-dieci giorni di riposo. Quindi stai già bene e si può aumentare l’intensità. Poi c’è da valutare la singola esperienza.

Cioè?

Ci sono fisici che vanno subito forte, quelli che ci mettono un po’ di più e quelli che è meglio che in altura non vengano. Con Sonny lavoriamo tanto, ce lo siamo detti anche l’ultima volta. Per essere un corridore di 72-73 chili, fa tanta salita e poi ci mettiamo sempre la palestra. Non la molliamo mai, la facciamo il pomeriggio. La giornata è inquadrata bene. Risveglio muscolare al mattino, poi andiamo a colazione, quindi l’allenamento e il pomeriggio i massaggi oppure la palestra. Si lavora tanto. Quando poi scendi, non vai diretto in corsa. Bisogna recuperare il carico di lavoro in quei 5-6 giorni a casa. E quando arrivi in corsa, sei già prestante.

Al Benelux Tour ha ottenuto i “numeri” migliori, ma con margini minimi rispetto a oggi
Al Benelux Tour ha ottenuto i “numeri” migliori, ma con margini minimi rispetto a oggi
Perché tanta salita?

Quando andiamo al Teide abbiamo due punti fermi. Il primo è che ci alleniamo sempre in basso, quindi riusciamo a simulare e a mantenere velocità veramente elevate. E poi torniamo sempre su in bici. Per cui finiamo sempre la giornata con metri di dislivello fatti forte. 

Hai detto che lavorate in basso, perché?

Di solito li faccio lavorare forte fino a un massimo di 1.000 metri, mai sopra. A meno che non siano lavori veramente brevi. E tutta la salita che fai, per quanto fatta piano, sono stimoli di forza. Vai su sempre con una cadenza anche non elevatissima e quindi la forza che imprimi sui pedali c’è sempre. Senza accorgersene, si fanno sempre lavori di forza. In base alla cadenza, sono stimoli differenti. E lui salendo riesce a ottimizzare i lavori di forza che poi farà in palestra. 

Risale in cima sempre in bici?

In due settimane di Teide, sempre. Ho memoria che una volta sola non l’ho fatto salire, ma perché avevamo allungato sotto. Di solito preferisce tornare in bici, a meno che non abbia una giornata storta.

Il tanto lavoro in salita lo ha aiutato nel tenere testa a Evenepoel agli europei di Trento
Il tanto lavoro in salita lo ha aiutato nel tenere testa a Evenepoel agli europei di Trento
Il Colbrelli di Roubaix ha i numeri del Tour o è cresciuto ancora?

Ha avuto i test power migliori al Benelux, ma parliamo di differenze dell’1-2 per cento. Veramente dettagli minimi che possono essere imputati anche a una differenza di lettura della macchina, perché il potenziometro sulla bici non è sempre perfetto. Al Tour invece aveva fatto quelle due tappe forti in fuga e aveva fatto dei numeri, dei peak power sui 30, 40 e 60 minuti. Comunque nelle ultime corse era sullo stesso livello del Tour. Il vantaggio del Benelux è che arrivava da quattro settimane a Livigno e aveva mezzo chilo meno che al Tour. Quando sei in allenamento puoi anche permetterti di restringere a livello calorico, mentre in corsa devi mangiare. Se si inizia a calare in corsa c’è qualcosa che non va.

Che inverno pensi che farà?

Non andrei a cambiare il lavoro che ha fatto negli anni scorsi. Sicuramente deve recuperare, fare almeno una ventina di giorni di riposo e poi una ripresa graduale. Faremo sicuramente un ritiro a dicembre che però sarà più organizzativo. Poi uno a gennaio più importante, come ogni anno, dove si farà più volume possibile. Insomma, ci diciamo tutti che adesso è il momento di riposare. Ma se guardo l’agenda, mi accorgo che è quasi il momento di ricominciare.