Kampioenschap van Vlaanderen 2025, Elia Viviani sul podio vittorioso

Le riflessioni (mature) di Viviani a pochi giorni dal ritiro

14.10.2025
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Dice di aver capito di essere arrivato al capolinea dopo la reazione a suo dire eccessiva per il secondo posto della Vuelta e l’impossibilità di sprintare a Madrid ha fatto il resto. Dice di aver colto come un segno l’aver visto il Giro del Veneto concludersi nella sua Verona. Poi dice anche che passata la buriana legata all’annuncio di ritirarsi, è tornato a lavorare sodo in pista per i mondiali che lo attendono. E aggiunge che fra le persone cui vorrebbe dire grazie c’è Fabrizio Borra, fisio e consigliere, venuto a mancare troppo presto. Nulla di diverso da quello che ti aspetteresti da Elia Viviani, faro dei velodromi azzurri e velocista da 90 vittorie su strada, un oro e altre due medaglie olimpiche su pista.

Ma piuttosto che mettersi a fare l’elenco dei giorni belli, ci piace concentrarci sulle riflessioni più mature di Elia nel momento del ritiro. Quello che sicuramente lascia al ciclismo e che continuerà a dare. Un’intelligenza così vivace non si spegne staccando il numero.

Domani Viviani correrà il Giro del Veneto, da Vicenza a Verona, poi volerà in Cile per i mondiali su pista
Domani Viviani correrà il Giro del Veneto, da Vicenza a Verona, poi volerà in Cile per i mondiali su pista

Sui Grandi Giri

«Non fare grandi Giri negli ultimi tre anni – conferma Viviani – mi ha danneggiato al 100 per cento. La mia scelta di tornare in Ineos è stata dovuta alla medaglia di bronzo a Tokyo, nel momento in cui la mia carriera su strada non era all’apice. Il CONI guidato da Malagò, mi diede l’opportunità di essere portabandiera. Quel ruolo mi ha responsabilizzato e ho visto che qualcuno credeva in me. Quella medaglia mi ha fatto capire quanto siano importanti per me le Olimpiadi. Ineos mi ha dato la possibilità di tornare con un programma per arrivare fino a Parigi. Non avevano un leader per le corse a tappe e sarebbero andati nei Giri per le tappe. Invece non sono mai riuscito a entrare nel team né del Giro né del Tour né della Vuelta. Non per preparare le Olimpiadi, ma per restare nel mondo del grande ciclismo.

«Quest’anno alla Vuelta ho capito quanto mi fosse mancato quel tipo di esperienza. Il grande ciclismo sono i Grand Tour e le grandi classiche e se non fai quelle e sei un grande ciclista, ti manca qualcosa. Tre anni che sicuramente mi hanno tolto qualcosa nella carriera, ma non mi hanno impedito su pista di raggiungere quello che volevo, dato che comunque a Parigi la medaglia è stata raggiunta».

Viviani portabandiera a Tokyo. L’Olimpiade gli ha lasciato nuovo spirito e una grande condizione fisica
Viviani portabandiera a Tokyo. L’Olimpiade gli ha lasciato nuovo spirito e una grande condizione fisica

Su Elia bambino

«All’Elia bambino – sorride Viviani – direi di non cambiare niente. Sono stato fortunato perché ho trovato le persone giuste nella categoria di giovanissimi, che mi hanno portato fino agli juniores. Ho trovato un ambiente che mi ha fatto crescere bene, continuando a studiare. Le cose cominciavano ad essere serie, ma era ancora un divertimento. Poi ho trovato la devo della Liquigas e in Paolo Slongo la figura che mi ha cresciuto e mi ha dato l’opportunità di fare gli under 23 tranquillo, sapendo già di avere un contratto in tasca.

«Quindi la Liquigas, una squadra italiana piena di campioni che mi sono stati d’esempio e direttori sportivi come una volta. Passare al Team Sky è sempre stato il mio sogno da pistard, ovviamente guardando gli inglesi. Mi hanno portato alla prima vittoria a un Grande Giro. Davvero, al piccolo Elia consiglierei di non cambiare nulla».

Elia Viviani, Marchiol-Pasta Montegrappa, 2008
Viviani ha corso gli U23 nella Marchiol-Pasta Montegrappa vivaio della Liquigas, seguito da Paolo Slongo
Elia Viviani, Marchiol-Pasta Montegrappa, 2008
Viviani ha corso gli U23 nella Marchiol-Pasta Montegrappa vivaio della Liquigas, seguito da Paolo Slongo

Sui ragazzi di ora

«E’ molto complicato – riflette Viviani – dare consigli a un giovane di adesso. Mi verrebbe da dirgli: «Prenditi i tuoi tempi. Quando passi professionista datti il tempo di trovare i tuoi valori, trovare la tua dimensione, raggiungere i tuoi risultati». Ma la realtà del ciclismo moderno è diversa, quindi non so neanche se possa essere un consiglio valido. E’ un ciclismo dominato da fenomeni ed è inevitabile che per alcuni sarebbe il consiglio sbagliato. Sarebbe troppo prudente e quindi in questo mi trovo un po’ in difficoltà. Le nuove generazioni sono cambiate e non saremo noi a riportarli indietro». 

Giro d'Italia 2015, Elia Viviani vince la sua prima tappa al Giro d'Italia sul traguardo di Genova con la maglia del Team Sky
L’aprodo al Team Sky era il sogno di pistard di Viviani e nel 2015 arriva la tappa di Genova al Giro: la prima
Giro d'Italia 2015, Elia Viviani vince la sua prima tappa al Giro d'Italia sul traguardo di Genova con la maglia del Team Sky
L’aprodo al Team Sky era il sogno di pistard di Viviani e nel 2015 arriva la tappa di Genova al Giro: la prima

Sul ciclismo italiano

«Mi piace guardare il bicchiere mezzo pieno – dice Viviani – abbiamo Milan che potenzialmente è il velocista più forte al mondo. Abbiamo i giovani che stanno arrivando anche nei Grandi Giri. Tiberi ha avuto un anno storto, ma penso che sia il presente per le classifiche generali. Pellizzari ha fatto una crescita progressiva con Reverberi. Ora è alla Red Bull: gli hanno permesso di fare il salto di qualità e ha già dimostrato in due Grandi Giri nello stesso anno di essere uno dei prossimi corridori che possano ambire a vincerne uno. Finn è il nuovo fenomeno del ciclismo italiano e prego il Signore che abbia il giusto percorso di crescita. Ganna ha fatto delle grandi classiche quest’anno. Ha avuto quel brutto incidente al Tour che gli ha compromesso la seconda parte di stagione, però Pippo è il nostro uomo per le classiche, insieme ai veterani che possono essere Trentin e Ballerini.

«Secondo me il ciclismo italiano sta bene, ma se andiamo a confrontarci con Pogacar, dobbiamo arrenderci a uno che da solo fa i risultati di una squadra WorldTour di vertice. Scaroni ha fatto un’annata da top rider. Fortunato è da anni uno dei migliori scalatori che abbiamo. Bettiol dà i suoi squilli. Quindi ci siamo, però sicuramente c’è del lavoro da fare. Quello che preoccupa è il ciclismo giovanile. Le categorie juniores e U23, ma anche gli allievi, perché la ricerca del talento va sempre più in giù. Penso che fare qualcosa sia dovere della federazione e responsabilità di chiunque ha in mano questi ragazzini».

Un peccato non concludere la Vuelta con lo sprint di Madrid, ma Viviani ha condiviso i motivi della protesta
Un peccato non concludere la Vuelta con lo sprint di Madrid, ma Viviani ha condiviso i motivi della protesta

Sulla Vuelta

«La Vuelta è stata un’esperienza difficile. Non abbiamo mai messo in discussione le ragioni della protesta – spiega Viviani – era giusto protestare per quello che stava succedendo. D’altra parte mi è dispiaciuto tantissimo non aver sprintato a Madrid. Lo stesso per tre giovani della squadra che non avevano mai concluso un Grande Giro. Sai che al traguardo ti aspettano famiglie e fidanzate e invece ti ritrovi a chiamarli sperando che stiano bene perché all’arrivo ci sono delle rivolte.

«In quei 21 giorni ho provato a mettermi nei panni dei ragazzi della Israel-Premier Tech. La verità è che se due o tre anni fa avessi firmato un triennale con loro, sarei stato in quella squadra e nella loro stessa situazione. Non dovevamo essere noi ciclisti a cacciare via i nostri colleghi. Per cui, da ciclista mi sarebbe piaciuto fare una Vuelta senza nessun intoppo, dall’altra dico che era giusto protestare per una ragione del genere. Adesso se Dio vuole, pare si sia trovato un accordo e speriamo che la squadra possa avere un futuro».

I social hanno cambiato il rapporto fra corridori e media, ma Viviani spiega di avere sempre lui il controllo su quello che pubblica
I social hanno cambiato il rapporto fra corridori e media, ma Viviani spiega di avere sempre lui il controllo su quello che pubblica

Sui media

«I social hanno portato un canale di comunicazione che prima non c’era. Qualche anno fa, per dare l’annuncio del mio ritiro, avremmo dovuto organizzare una conferenza stampa da qualche parte. Con l’arrivo dei social, basta un clic. Sicuramente quindi il rapporto con i media è diminuito, ma dall’altra parte la verità è che le cose belle vengono fuori solo parlandone faccia a faccia. Sono ancora uno dei corridori vecchio stile.

«Dai social c’è da prendere il bello e il brutto, purtroppo o per fortuna, perché alla fine sono diventati un vero e proprio lavoro. E poi dipende da come vengono gestiti dagli atleti. Alcuni se li fanno gestire, a me invece è sempre piaciuto avere il controllo. Mi aiutano a livello grafico, però mi è sempre piaciuto avere il controllo di quello che dico e quello che faccio vedere ai miei tifosi o ai media che ci seguono».

Bredene Koksijde Classic 2025, Elia Viviani in curva
Dare un freno alla riduzione dei manubri può avere un senso, dice Viviani, limitare i rapporti non ne ha. Ma la sicurezza è un problema
Bredene Koksijde Classic 2025, Elia Viviani in curva
Dare un freno alla riduzione dei manubri può avere un senso, dice Viviani, limitare i rapporti non ne ha. Ma la sicurezza è un problema

Sulla sicurezza

«C’è tantissimo lavoro da fare – si lancia Viviani – ma non è collegato ai materiali. Standardizzare la misura dei manubri ha senso per impedire gli estremismi. Nel gruppo WorldTour non vedo cose stranissime sotto questo aspetto. Però è ovvio che devi mettere una regola perché chi ad esempio monta manubri sotto i 30 centimetri, che rendono la bici inguidabile nelle situazioni di gruppo compatto. Gli altri limiti non so chi li inventa, anche quello dei rapporti. Se tu limiti i rapporti, ci saranno gli allenatori che faranno fare lavori di cadenza ai corridori e le velocità saranno sempre quelle. Grandi cadute in discesa avvengono nelle curve non sul dritto, perché qualcuno perde il controllo della bici. Le tappe velocissime in pianura sono sempre meno, quindi gli sprinter devono allenarsi a vincere tappe da 2.000, 2.200, 2.500 metri di livello. Quindi la regola dei manubri ci sta, bisogna mettere dei limiti. La regola dei rapporti è una cosa buttata là e infatti non si farà neanche il test.

«Sulla sicurezza c’è tanto da fare, se ne parla tanto e alla fine non si fa niente. Parliamo di transenne, imbottiture sugli ostacoli, queste cose qui. Ci sono gare in cui ti chiedi come sia possibile che un gruppo di professionisti dell’elite del ciclismo corra su percorsi del genere e con delle transenne così».

Bragato, la performance e la pista donne: Los Angeles nel mirino

01.03.2025
7 min
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Fra le novità di maggior rilievo nei nuovi incarichi della nazionale, accanto a Salvoldi che torna nel giro olimpico con la pista degli uomini, c’è la promozione di Diego Bragato alla guida del settore femminile. Il trevigiano, che da qualche anno è il responsabile del Team Performance della Federazione, sale un gradino importante della sua progressione personale. Riceve in eredità il gruppo protagonista di europei, mondiali e Olimpiadi e dovrà portarlo fino a Los Angeles 2028.

«Era già da un po’ che parlavo con Amadio – racconta all’indomani di una giornata di test a Montichiari – e un giorno mi chiese, qualora la struttura tecnica fosse stata confermata, se me la sentissi di fare un salto in avanti. Gli ho sempre risposto di sì, ma chiedevo anche chi si sarebbe fatto carico di quello che stavo già facendo. C’è tutto il gruppo performance da gestire e io ci tenevo che il lavoro proseguisse bene».

Il nuovo disegno della nazionali porta la firma di Amadio: sua l’intuizione di investire su Bragato
Il nuovo disegno della nazionali porta la firma di Amadio: sua l’intuizione di investire su Bragato
E lui?

Mi ha detto che avrei potuto continuare a farlo. Mi ha permesso di rinforzare la parte performance, quindi posso delegare ancora di più. I ragazzi sono cresciuti e quindi potremo affrontarlo. Io terrò il ruolo di coordinamento, perché ho l’esperienza trasversale che gli altri ancora devono crearsi. Sono molto bravi nei vari settori, ma l’esperienza trasversale e il rapporto con i commissari tecnici l’ho costruito io negli anni

Cosa cambia invece per te in quanto commissario tecnico?

La responsabilità, perché è un gruppo da cui ci si aspetta tanto. Nelle dinamiche cambia poco, perché con loro c’erano già rapporti consolidati. Daremo continuità a quello che già c’era. Sono certo che per la gestione del budget, l’organizzazione delle trasferte e le scelte tecniche continuerò a confrontarmi con Marco (Villa, ndr). Sono cose che prima gestiva lui, adesso devo pensarci anch’io e quindi sono dinamiche su cui mi devo inserire.

La pista delle donne è passata dalla gestione rigida di Salvoldi a quella più libera, ma non meno ferma di Villa. Quale sarà la mano di Bragato?

Come stile, io sono più vicino a Marco, perché ho collaborato con lui per più di dieci anni e condivido la sua filosofia e io suoi metodi. Conosco bene anche il lavoro di Dino, perché ho lavorato al suo fianco. Probabilmente sono a metà strada tra l’uno e l’altro. Quindi parecchio dialogo e disciplina, ma nessuna imposizione.

Anche perché si tratta di un gruppo che già funziona…

Esatto. Mi piace puntare sul dialogo, sulla crescita della persona anche sul piano professionale. Quindi mi aspetto che le ragazze, quelle che ci sono già e quelle che cresceranno, si prendano la responsabilità del loro percorso. Io vigilerò, ma non sarò di sicuro il capo che le comanda.

La collaborazione fra Villa e Bragato prosegue: Marco sarà il supervisore della pista donne, Diego il cittì
La collaborazione fra Villa e Bragato prosegue: Marco sarà il supervisore della pista donne, Diego il cittì
Abbiamo un gruppo forte e ancora giovane. Pensi che i prossimi quattro anni saranno nel segno del gruppo che c’è già o si dovrà ragionare di ricambio?

No, il gruppo è quello di Parigi. Sarà un quadriennio di consapevolezza e di realizzazione di quello che si meritano, perché valgono molto. A Parigi abbiamo preso l’oro nella madison e siamo andati vicini alla medaglia del quartetto e la meritavano. Secondo me in questo quadriennio è giusto che possano fare il salto di qualità, perché sono certo che a Los Angeles andremo da protagonisti. Inseriremo eventualmente qualche junior fortissima, però parto da questo gruppo.

Insomma non è un caso che siano venute tutte agli europei?

Non so quali siano le parole giuste per dirlo. Una delle cose belle che Villa mi lascia in eredità, pur restando per fortuna al mio fianco, è la creazione del gruppo. Quello che è riuscito a fare con gli uomini, si sta verificando con le donne. Un gruppo che crede nel progetto e se ne prende la responsabilità. Soprattutto le ragazze che hanno vinto la medaglia, parlo di Consonni e Guazzini, hanno fatto un salto di qualità mentale e di responsabilità che ha motivato tutte le altre. Sono state loro le prime a spingere perché si andasse agli europei a prenderci qualche rivincita.

Sono cose di cui avete parlato?

Abbiamo condiviso questo ragionamento con loro, ne abbiamo parlato anche agli europei. Partiamo da questo entusiasmo, dal credere nel progetto perché è ciò che ci terrà sul pezzo per quattro anni. Sono loro le prime a voler arrivare competitive a Los Angeles e noi alimenteremo questo fuoco.

Del gruppo fa parte anche Federica Venturelli?

Federica è giovane, ma la consideriamo già dentro il gruppo. Ne faceva parte anche prima di Parigi. C’era per il Mondiale, ha lavorato con le altre. All’europeo sarebbe dovuta venire, ma si è fatta male. E’ parte del gruppo al 100 per cento.

Gli europei di Zolder non possono cancellare Parigi, ma lanciano la rincorsa verso Los Angeles
Gli europei di Zolder non possono cancellare Parigi, ma lanciano la rincorsa verso Los Angeles
Villa passava giornate intere in velodromo, tu abiti lontano da Montichiari. Come imposterai il lavoro?

In questi giorni stiamo parlando del budget per impostare poi l’attività. Già prima ero molto a Montichiari, almeno due o tre giorni a settimana. Continuerò ad esserci, ma programmerò di più gli interventi. Non abito lì, devo spostarmi, per cui avrò un programma ben strutturato. Marco mi darà una mano, i collaboratori come Masotti sono sul pezzo. La mia intenzione è quella di inserire anche le professionalità del gruppo performance, per portare ancora di più il lato scientifico. Avremo una squadra per coprire molto bene l’attività e programmare gli appuntamenti.

Ci sarà da recuperare l’entusiasmo di Elisa Balsamo per la pista, dopo l’uscita malinconica dalle Olimpiadi?

Con le ragazze ho sempre avuto un buon dialogo e ci tengo che rimanga. Elisa fa parte del gruppo e sa di esserlo. Era programmato e dichiarato che agli europei non sarebbe venuta. Ha una primavera importante che l’aspetta., è giusto che si concentri su questo.

Fra le novità, oltre al budget e i programmi, ci sono i rapporti da tenere con le squadre. Hai già pensato a come fare?

Sia a livello elite che juniores vorrei una connessione stretta con i manager. Con i preparatori l’avevo già, perché ogni volta che Villa andava in giro a parlare di programmi, io andavo con lui ed entravo nel tecnico con i miei colleghi. Per le squadre giovanili siamo in fase di costruzione. Abbiamo cominciato facendo i test nei giorni scorsi, ma vorrei che la nazionale diventasse un riferimento per le squadre. Io sono convinto che la Federazione e il gruppo performance diventeranno un valore aggiunto per le società italiane e anche per le squadre di livello WorldTour che faranno riferimento a noi.

Parliamo di te adesso: quanto è bello essere arrivato a questo incarico, come coronamento di un percorso?

Sicuramente è molto bello. Negli anni avevo quasi messo da parte l’idea, perché il discorso performance mi piace e mi vedevo più in quella direzione. Quando però è tornata fuori questa possibilità, ho accettato subito. Sono contento e mi motiva. Devo riprendere in mano tutta una parte di formazione su me stesso, cose nuove che devo fare e su cui devo crescere. Devo imparare a gestire un nuovo ruolo.

Elisa Balsamo fa parte del gruppo pista di Bragato, anche se ora la sua priorità è la strada
Elisa Balsamo fa parte del gruppo pista di Bragato, anche se ora la sua priorità è la strada
E’ prevista la tua presenza a qualche gara anche su strada come osservatore?

Mi è stato chiesto e comunque è nel mio stile quello di cercare di fare da collante. Un po’ per il mio ruolo nel gruppo performance e un po’ perché intendo far gruppo con gli altri tecnici. Sono già in contatto con Velo, l’ho invitato a seguire i test a Montichiari. Ci siamo già detti che andremo a vedere delle gare assieme, anche qualcosa di gare giovanili. L’obiettivo è trasmettere il messaggio reale che strada, crono e pista si muovono assieme e le società hanno un riferimento nella Federazione.

L’ultima e poi ti lasciamo in pace. Da amico, sei contento che Elia Viviani abbia trovato posto alla Lotto e non sia stato inserito nei quadri federali?

Elia lo vedo a pieno nei quadri federali, sarebbe una persona importante e azzeccata nelle dinamiche. Ma essendo soprattutto suo amico, sapevo quanto ci tenesse a continuare, quindi sono stato contentissimo per lui. Gli darò supporto per la preparazione, perché l’ho seguito in tutti questi anni e mi ha chiesto di dare continuità al lavoro. Sono contento di essere ancora al suo fianco, perché un campione come lui merita di scrivere la sua carriera.

Ha ancora qualcosa da dare?

Ne sono certo. Deve avere la mentalità che ha avuto a Parigi, cioè quella che Marco Villa ha definito di un 18enne che non aveva paura di lavorare sodo. Con questo approccio che gli appartiene, c’è ancora da dare. E soprattutto è in una squadra che ha capito cosa può fare e quindi secondo me si divertirà e darà un bel senso a questa stagione.

Caschi Rudy Project alla FCI: una storia di orgoglio italiano

16.02.2025
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Da Kask a Rudy Project, il cambiamento non è passato inosservato. Per il nuovo quadriennio, come avevamo anticipato nei giorni scorsi, la Federazione italiana si servirà di materiale Rudy Project, già sponsor tecnico del Team Bahrain Victorious: basta guardare le immagini degli europei su pista di Zolder per rendersene conto.

Come avvengono certi cambiamenti? In base a cosa viene fatta la scelta? Alla fine dell’anno, la Federazione ha coinvolto una decina di aziende, precedentemente individuate, perché portassero i loro modelli al fine di farne una valutazione. Abbiamo chiesto pertanto a Massimo Perozzo (marketing & communication manager presso Rudy Project) di spiegarci i vari passaggi dell’approdo dell’azienda veneta alla nazionale. Fra quelle aziende infatti c’erano anche loro.

«La Federazione – spiega – ha chiesto la possibilità, soprattutto per la parte relativa alla pista, di testare dei caschi per valutare i marginal gain. Sono stati fatti dei test con più atleti in diverse situazioni. Il quartetto come pure il singolo atleta. L’uomo e la donna. Le posizioni più disparate e per ciascuna di queste è stata valutata tutta una serie di aspetti. E alla fine il Wingdream è risultato in assoluto il casco più performante, con una buona valutazione anche per il The Wing e il Nytron».

Firmato il contratto, gli uomini di Rudy Project sono corsi a Montichiari: qui con Diego Bragato
Firmato il contratto, gli uomini di Rudy Project sono corsi a Montichiari: qui con Diego Bragato
Quando si è svolta questa fase di selezione?

Alla fine dello scorso anno, intorno a fine novembre, inizio di dicembre. Visti i risultati dei test, la Federazione tramite Infront ha cominciato a prendere contatti con noi per capire se da parte nostra ci fosse la volontà di collaborare, dato che a loro interessava avere il nostro miglior prodotto.

E voi?

Lo dico proprio in maniera molto sincera: per noi è orgoglio puro. Siamo un’azienda italiana, composta da 50 persone che stanno sul mercato da 40 anni e ogni anno cercano di fare qualcosa in più. Sappiamo che da qualche stagione stiamo lavorando bene sull’aerodinamica e arrivare a questo traguardo è stato il coronamento di un percorso. Un regalo per i nostri 40 anni. Così, quando abbiamo capito che la Federazione era contenta dei caschi e voleva usare il nostro Wingdream, abbiamo cominciato a parlare con Infront. Abbiamo iniziato a definire il rapporto con la Federazione con cui collaboreremo fino alle Olimpiadi di Los Angeles.

E’ stato un percorso complesso?

Passo dopo passo, giorno dopo giorno, telefonata dopo telefonata, siamo arrivati a chiudere i dettagli del contratto che è stato firmato, come sapete, la settimana scorsa. A quel punto abbiamo dovuto portare in tutta fretta i caschi a Montichiari in previsione degli europei. I ragazzi avevano già testato il nostro casco, ma c’era ancora da fare il lavoro di settaggio. C’è da valutare per ogni singolo atleta le necessità di taglia o se ci siano da fare delle modifiche strutturali a livello di comfort. Siamo stati una giornata con loro a Montichiari e li abbiamo messi tutti a posto. Mentre in questi giorni degli europei c’è sempre stato uno dei nostri che li ha seguiti passo dopo passo, per fare eventuali correzioni.

Sono tre i modelli di casco a disposizione della FCI, in base alla specialità: Wingdream, The Wing, Nytron
Sono tre i modelli di casco a disposizione della FCI, in base alla specialità: Wingdream, The Wing, Nytron
Ed è andata bene, dato che sono arrivati alcuni ori e altre medaglie…

Gli ori di Martina Fidanza e del quartetto femminile, ma anche quello di Matteo Bianchi nel chilometro da fermo. La distribuzione dei caschi e quando usarli invece ha un regolamento a parte. Se si parla di una specialità che coinvolge più corridori, come il quartetto o la velocità a squadre, gli atleti sono tenuti a utilizzare il nostro casco anche per ragioni di aerodinamicità. Se l’atleta invece fa parte di una squadra in particolare o di un gruppo sportivo che ha un altro sponsor, nelle specialità individuali potrà usare il casco del suo sponsor. Per questo ci ha fatto piacere che Matteo Bianchi abbia usato il nostro casco e anche Viviani che però al momento è senza squadra.

Avete già avuto dei riscontri?

Stiamo parlando come sempre dei famosi marginal gain, che in queste specialità sono essenziali. Per cui un casco come il Wingdream, che ha dimostrato così tanto guadagno o risparmio di watt, risulta essenziale. E poi siamo contenti che i ragazzi lo usino volentieri.

Ha parlato di settaggio: quanto c’è di personalizzabile su un casco come questo?

Sul suo interno, sulle imbottiture. La struttura infatti non deve essere toccata per motivi di sicurezza. Per cui una volta che il casco viene battezzato e certificato dall’UCI, la parte strutturale interna non deve essere toccata per meri motivi di sicurezza. L’unica parte su cui possiamo intervenire e di cui si occupa Ivan Parolin quando è alle gare con loro, è inserire degli inserti ad hoc, con materiale di diversi spessori. Si fa un lavoro personalizzato con l’atleta per capire quale spessore e quale materiale usare. Quando l’atleta indossa il casco, deve sentirlo fermo, comodo e capace di garantire sempre la sicurezza necessaria. Se un atleta è nel suo momento di comfort e quindi non ha disagio, riesce a performare al massimo.

Nel quartetto, intesa come specialità multipla, i corridori sono tenuti a utilizzare i caschi Wingdream
Nel quartetto, intesa come specialità multipla, i corridori sono tenuti a utilizzare i caschi Wingdream
E’ previsto anche un lavoro di sviluppo accanto alla Federazione?

Hanno già cominciato a darci dei consigli, su piccole modifiche che si potrebbero apportare per alcune discipline. Sono cose che facciamo regolarmente anche col Team Bahrain, che anzi ha uno staff proprio dedicato per questo. Durante l’anno c’è una sorta di lavoro a ciclo continuo. Riceviamo le loro informazioni e vengono passate sul prodotto, per sviluppare ad esempio l’altezza della visiera o la parte tecnica del rotore posteriore per il fissaggio. Ci sono mille particolari che vanno poi a incidere sullo sviluppo di un casco. Diciamo che il nuovo modello nasce già in modo abbastanza avanzato e poi viene calibrato sulle esigenze del team o, in questo caso, della Federazione.

La vostra sarà una fornitura standard?

La fornitura è già stata battezzata da oggi fino al 2028. E’ logico che in questo tipo di rapporto le quantità siano contrattualizzate, ma poi quelle reali sono sempre variabili e difficilmente minori di quelle che sono a contratto. Spesso sono di più, per dare diverse opportunità e possibilità di scelta. Se c’è una modifica da fare, si fanno delle prove e queste implicano un aumento della quantità da dover sviluppare e consegnare.

Se da qui al 2028 Rudy Project tira fuori un nuovo modello chiaramente lo propone anche alla Federazione?

Diciamo che il Team Bahrain ha una sorta di prelazione, perché il grosso del lavoro di sviluppo lo facciamo quasi sempre con la squadra. Il Wingdream nasce dal lavoro fatto con loro, ma la Federazione è comunque il primo soggetto che verrebbe interpellato e a cui verrebbe presentato un nuovo prodotto.

Viviani ha usato caschi Rudy Project, modello Wing, non avendo ancora una squadra
Viviani ha usato caschi Rudy Project, modello Wing, non avendo ancora una squadra
Il Wingdream è uno dei caschi che l’UCI voleva vietare?

Proprio lui. Quando produciamo un casco che poi viene dato a una squadra WorldTour, deve essere approvato dall’UCI. Noi non possiamo dare un casco a una squadra senza che l’UCI sappia o lo certifichi, allo stesso modo di quanto accade per le biciclette. Lo scorso anno il nostro casco, come il casco di Giro della Visma-Lease a Bike, ha avuto una grande risonanza. Non per la pericolosità, come qualcuno ha voluto dire, ma perché è un casco molto originale. Tutto quel parlare derivava soltanto da un fattore estetico. In questo momento non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dall’UCI. Le squadre stanno usando i nostri caschi su strada e lo hanno usato anche in pista. Ai corridori non importa tanto della forma quanto del fatto che il casco ti permetta di essere veloce. Tutto il resto, avendo le autorizzazioni a posto, è solo fumo.

Nazionale BMX, il CT Lupi se ne va. Le ragioni dell’addio

03.01.2025
8 min
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La prima volta che parlammo con Tommaso Lupi, CT della nazionale di BMX, fu a febbraio 2021 nel velodromo di Montichiari. Dato che i giganti mondiali della velocità hanno trascorsi nella BMX, si era pensato di prendere le misure ai nostri azzurri. Alla fine infatti Matteo Tugnolo saltò il fosso e passò alla pista, conquistando il Team Sprint agli europei di Anadia del 2023. Erano anche i giorni della rincorsa alle Olimpiadi di Tokyo, cui l’Italia arrivò grazie al crescendo di Manuel Fantoni.

Oggi, dopo aver guidato la nazionale anche alle Olimpiadi di Parigi, Tommaso Lupi ha deciso di dare le dimissioni (in apertura foto @navadanet). Una scelta personale e non di rottura, come egli stesso tiene a precisare. Tuttavia lo abbiamo sentito per capirne le ragioni.

Il risultato di Bertagnoli alle Olimpiadi di Parigi è storico per l’Italia: finale mancata di un soffio
Il risultato di Bertagnoli alle Olimpiadi di Parigi è storico per l’Italia: finale mancata di un soffio
Iniziamo da un bilancio della tua gestione?

Per il mio carattere è positivo, ma non come volevo. Abbiamo fatto tante cose, vissuto una bella crescita, ricostruito la struttura di lavoro e di questo sono molto contento. Nel 2017-2018 ero collaboratore tecnico del CT Francesco Gargaglia. Avevo un mio team privato, con solo due atleti, totalmente supportati da noi. Il team viveva di sponsorizzazioni come le realtà più grandi. Tutto nasceva dalla mia grande passione per MotoGP e la Formula 1. Mi dissi: perché non proviamo a portare qualcosa di simile nel BMX italiano?

La nazionale quando arriva?

Dopo la formazione federale del 2017 e 2018, fondamentale per capire come funzioni la macchina, nei primissimi giorni del 2019 mi hanno chiesto di prendere in mano il settore. Da un lato ero preoccupato della responsabilità, dall’altro piacevolmente sorpreso dalla fiducia. La prima riunione si è fatta a Verona. Abbiamo presentato il progetto che in parte era già stato impostato dal CT precedente. Da quello siamo partiti e abbiamo costruito la stagione partendo dai training camp invernali.

Se non ci fosse stato il Covid e le Olimpiadi si fossero fatte nel 2020, avresti avuto un anno e mezzo per prepararle?

Ricordo di aver perso qualche chilo. Ero più giovane e inesperto, in un mondo dove l’età media era molto più alta. Un conto era fare il collaboratore, ben altro decidere, muoversi tra gli uffici, le autorizzazioni, le richieste e ovviamente seguire il budget. La pressione cresce, ma è stata una scuola sul campo, come piace a me. Una gestione in cui ti devi scontrare con mentalità differente dalla tua, renderti conto che una decisione deve passare per dieci uffici differenti. Non ti puoi aspettare le tempistiche di un team privato, devi adattarti e muoverti con mesi di anticipo.

Febbraio 2021, il gruppo della BMX a Montichiari provando le discipline veloci della pista
Febbraio 2021, il gruppo della BMX a Montichiari provando le discipline veloci della pista
Che cosa rimane del progetto BMX/velocità?

Si è arenato, credo che in pochissimi ci abbiano creduto. Non è stato percepito come qualcosa di interessante, io al contrario sono spesso in pista perché continuo a crederci. Probabilmente ad alcuni non piaceva, ci può stare che un atleta sia indirizzato esclusivamente sulla BMX o su altre discipline. Sarà una coincidenza, però all’estero vedo diversi atleti che in questo inverno post Olimpiadi si stanno approcciando al velodromo. Qui non ha preso piede come pensavo. Quando ci vedemmo la prima volta in velodromo, c’era ancora un bel gruppo. Ero io che convocavo, quello era il progetto: dentro o fuori. 

Detta così non suona benissimo…

Ovviamente non abbiamo obbligato nessuno. Se uno aveva i propri programmi e non ci credeva, okay. Ma chi iniziava, avrebbe dovuto seguire i vari step. Ecco perché avevamo ipotizzato una tipologia di allenamento in base ai giorni della settimana e ai programmi personali. Quando poi Ivan Quaranta ha avuto la delega, abbiamo alzato il ritmo. All’inizio mi ero rapportato con Villa, che però chiaramente aveva un focus quasi totale sull’endurance. Con Quaranta e la collaborazione con Bragato, siamo riusciti a impostare un’idea di lavoro e poi l’operatività.

Il primo ciclo olimpico è durato un anno e mezzo, il secondo tre: si poteva fare diversamente oppure è andato tutto come doveva andare?

Il 2019-2021 con il Covid di mezzo è stato veramente una corsa contro il tempo. C’era da prendere in mano un progetto avviato, una squadra da bilanciare fra atleti molto esperti e altri che erano appena entrati. A livello di punteggio i veterani hanno combattuto sino alla fine, quando grazie a Fantoni e le due finali di Coppa del mondo a Bogotà abbiamo confermato la qualifica per Tokyo. In quel biennio siamo andati a cercare punti anche a una singola gara C1 in Thailandia. Abbiamo grattato tutto quello che si poteva, è stato un periodo tosto, ma anche elettrizzante. Forse sono stati fatti degli errori di valutazione, magari era meglio puntare su altre tipologie di gare e rinunciare a una World Cup, che però ha punti più pesanti. Ci abbiamo sempre creduto e rientrando dalla Colombia avevamo addosso la sensazione di esserci qualificati.

Dopo le ottime prove in Colombia, Fantoni conquistò un posto per Tokyo
Dopo le ottime prove in Colombia, Fantoni conquistò un posto per Tokyo
Sono stati cinque anni di risultati in crescendo?

Già nel 2020 abbiamo cominciato a fare podi e vittorie in Coppa Europa con gli juniores e podi sfiorati con gli elite, dove comunque abbiamo sempre faticato di più perché è la top class. Risultati arrivati anche grazie alla collaborazione con il Team Performance di Bragato. Ricordo un giorno d’estate che ci sedemmo su una panchina a Padova e gli chiesi di fare una fotografia scientifica di questo modello di prestazione, perché partendo da quello, avremmo potuto dare una linea di lavoro. Gli atleti hanno sempre avuto libertà di lavorare con i propri preparatori, ma l’idea era almeno di dare un’impronta. Credo che questa collaborazione abbia portato i suoi frutti. Per esempio con Tugnolo, che per noi era un top rider giovane, che ha dato il suo contributo anche per i risultati della pista.

Poi ci sono state le prestazioni di Fantoni che hanno aperto la porta ai più giovani…

Due settimane dopo Tokyo eravamo già a Papendal e abbiamo vinto il mondiale juniores con Radaelli negli juniores, con Tugnolo al quarto posto, ma poteva essere tranquillamente un podio. Nel 2022 abbiamo preso un bronzo juniores con Fendoni agli europei di Dessel, nello stesso posto dell’argento di Gargaglia, Sciortino e Fantoni del Team Time Trial. Poi mi piace anche sottolineare le prove di Francesca Cingolani fra le U23, atleta argentina con passaporto italiano che abbiamo accolto in maglia azzurra. Ci è sfuggita di un soffio la qualifica olimpica, ma lei ha continuato a fare podi nelle World Cup. E poi è venuto il bronzo di Frizzarin ai mondiali di Glasgow 2023. Tra l’altro mi ricordo la scena…

Quale scena?

C’erano anche Dagnoni, Amadio e il segretario generale. Le tribune erano sulla linea di arrivo e si sono visti il colpo di reni al fotofinish con cui Frizzarin ha preso il bronzo. Quel giorno era passato a salutarci anche Ganna e si era messo sui rulli a pedalare con la BMX. Nel 2024, abbiamo avuto una semifinale nella World Cup Elite in Nuova Zelanda, quindi le prestazioni di Martti Sciortino, attuale campione italiano e riserva olimpica a Parigi. Un altro argento del Team Time Trial elite a Verona con Gargaglia, Sciortino e Fantoni. E poi ovviamente la ciliegina delle Olimpiadi di Parigi.

Agli europei di Verona del 2024, argento azzurro nel Team Relay con Fantoni, Sciortino e Bertagnoli (foto Matteo Gerolimon)
Agli europei di Verona del 2024, argento azzurro nel Team Relay con Fantoni, Sciortino e Bertagnoli (foto Matteo Gerolimon)
Un gran risultato?

Il migliore di sempre per il BMX italiano. Un nono posto e la finale olimpica sfiorata per soli due punti da Pietro Bertagnoli, che arrivava da un percorso di grandi infortuni, ma non ha mai mollato. Ha sempre investito anche privatamente per rientrare in squadra e ha chiuso il 2024 con un’Olimpiade che ci ha fatto veramente sognare.

Allora perdona: perché dimettersi e non pensare a Los Angeles?

Ho bisogno di stimoli e la certezza di portare avanti i miei progetti. Non pretendo di fare tutto come voglio, perché nel mondo del lavoro non è così. Però ho bisogno della grinta che mi fa svegliare la mattina sapendo di avere i miei programmi ed essere tranquillo nel lungo termine come posizione lavorativa. Purtroppo sono mancate entrambe le cose. Ho tante idee, sto sviluppando nuovi progetti in ambito sportivo, come consulenza, supporto e organizzazione. Un ruolo che, pur non avendo nessuna esclusiva con la Federazione, non avrei potuto portare avanti.

Perché?

Un po’ per etica professionale e per il tempo che non avrei avuto. Accettando di fare il cittì, ho tagliato le mie collaborazioni private del 90 per cento. Quando vesti quella maglia, è importante non avere alcun tipo di condizionamento. Non sarebbe stato rispettoso nei confronti dei ragazzi continuare con meno energia. E’ importante essere al 100 per cento del focus, della lucidità, dell’energia. E poi non nascondo che a livello anche di posizione lavorativa avrei voluto qualcosa in più.

Francesca Cingolani ha mancato la qualifica olimpica davvero per poco (@navadanet)
Francesca Cingolani ha mancato la qualifica olimpica davvero per poco (@navadanet)
La BMX ti è parsa un settore tenuto in considerazione?

Con la gestione attuale, è stata rivista e rinforzata. C’è stata una maggiore esposizione. Il presidente è venuto con me di fronte a istituzioni o politici di vari Comuni per provare a sviluppare dei progetti. Purtroppo sappiamo che quando lavori con le Istituzioni, non c’è niente di facile. Il mio obiettivo era anche quello di sviluppare degli impianti in Italia. Siamo arrivati molto vicini ad averne uno in Veneto e uno in Toscana, però purtroppo non abbiamo concluso per volontà non nostre. Ovviamente nei miei sogni ci sarebbe una Federazione che investa nella BMX anche sul territorio, a livello di tesseramento e promozione, non solo sulle nazionali. Anche perché in tanto parlare di sicurezza, la BMX e la pista sono fra i pochi posti davvero sicuri.

E’ stato fatto un tentativo di tenerti?

Io ero abbastanza deciso, dico la verità, però nel mondo del lavoro è giusto sedersi a tavolino e parlarne. A Dagnoni ho detto che, a prescindere dalle mie dimissioni da cittì, sono disponibile per altri ruoli in Federazione. Non mi tiro indietro, se ci sono le condizioni parliamone. E nel frattempo vorrei essere libero di muovermi. Sto ricostruendo un gruppo di lavoro privato per quanto riguarda la preparazione, non solo BMX ma anche pista e qualcosa di ciclismo. Sto facendo diversi meeting per consulenze sportive anche all’estero. Vedo un futuro di grande lavoro, come piace a me nel mondo dello sport o nel mondo corporate. Ho parlato per consulenze con persone che hanno aziende di tutt’altro settore, ma per scaramanzia altro non dico. Ma la BMX sarà sempre parte di me.

Salvoldi: il lavoro continua tra pensieri e voglia di cambiare

11.10.2024
7 min
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Il tempo di smaltire e mettersi alle spalle l’euforia del successo iridato di Zurigo e Dino Salvoldi è già tornato al lavoro. A livello di calendario il triennio alla guida della nazionale juniores si è concluso con la prova iridata e la vittoria della maglia arcobaleno di Lorenzo Finn. Tuttavia il cittì non ama rimanere con le mani in mano. Un successo del genere porta felicità, ma non fa di certo terminare gli impegni e il lavoro iniziato ormai tre anni fa

«Il ricordo di Zurigo – dice Salvoldi mentre in sottofondo si sente lo scorrere dell’auto sull’asfalto – è vivo e bello nella mia testa. Ma nel mio lavoro si deve sempre volgere lo sguardo avanti. Ieri e oggi (mercoledì e giovedì, ndr) sono stato a Montichiari a visionare gli allievi 2008. Ovvero coloro che nel 2025 passeranno juniores».

Il lavoro continua

Tre anni passano in fretta, in particolare se al termine di questi c’è un successo grande come la vittoria di un mondiale che mancava da 17 anni. Salvoldi ha capito l’importanza di tale traguardo, ma non si è fatto distrarre. Il lavoro svolto è tanto, ma non manca quello futuro (in apertura una foto del Giro della Lunigiana foto Duz Image / Michele Bertoloni).

«Partiamo con ordine – analizza – perché quando sono arrivato in una fase di cambiamento del ciclismo giovanile. Questa era già in atto tra gli juniores, seppur da poco tempo. Nel frattempo c’è stata una grande evoluzione e un cambiamento radicale della categoria a livello internazionale. Tuttora mi sento di dire che l’Italia fa un po’ fatica nell’attività di vertice. La vittoria di Finn riempie di felicità e orgoglio ma non mancano i passi da fare per adattare tutta la categoria a quello che è il livello internazionale».

Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
A riguardo ci sono delle motivazioni?

Certo, più di una. In primo luogo come Italia siamo molto legati alla nostra storia, alla tradizione e alle strutture presenti. Un po’ di anni fa eravamo il riferimento internazionale, ora però le cose sono cambiate. Il ciclismo è una questione globale, è inutile chiudersi in abitudini e tradizioni. Il rischio è di avere un limite di crescita importante. 

C’è un cambiamento sempre più evidente rispetto al passato. 

In primo luogo credo la prima risposta data dalla mia gestione sia stata quella di riunire l’attività di strada e pista. Questo ha fatto sì che ci fossero maggiori possibilità di crescita e programmazione. Abbiamo preso ragazzi con caratteristiche e potenzialità per fare entrambe le cose. In passato questo non sarebbe stato possibile, con il senno di poi direi che è stata una mossa corretta. 

La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
Le squadre come l’hanno presa all’inizio?

C’è stata comprensione e collaborazione. Quasi oltre alla possibilità di gestire certi numeri. Come tecnico credo che tutti dovrebbero allenarsi su strada e pista, è una cosa che aiuta dal punto di vista formativo. E chiaro che non posso occuparmi personalmente di 800 ragazzi, ma il modello deve essere da esempio. Noi come Federazione abbiamo modo di poterci occupare di 40 atleti e solo sei di questi saranno poi selezionati per le competizioni principali. Quello che deve passare è che i restanti 34 non hanno perso tempo, ma hanno comunque svolto un’attività formativa. 

Serve una programmazione, da parte di tutti. 

Credo che in questo periodo il ciclismo non sia una questione europea ma mondiale. Questo comporta che non si può pensare di sopravvivere grazie alla casualità del super talento. Ora il fuoriclasse può nascere in ogni angolo del mondo e ogni nazionale è in grado di scovarlo. Anni fa il ciclismo era una questione tra 20 Paesi, ora siamo in 50, se non di più. Fino a 15 anni fa gli juniores erano 3.000, ora 800. E’ evidente che la selezione naturale non è più possibile. Si deve essere bravi a programmare per alzare il livello medio ed essere competitivi. 

Il confronto con gli organizzatori e le squadre è costante e volto alla ricerca dell’attività migliore per i ragazzi
Il confronto con gli organizzatori e le squadre è costante e volto alla ricerca dell’attività migliore per i ragazzi
La speranza è che la vittoria di Finn possa fare da traino?

E’ chiaro che avere un campione in casa aiuti a crescere. Guardate il tennis ora, grazie a Sinner aprono scuole e la gente si appassiona. Se voglio guardare il bicchiere mezzo pieno riguardo la vittoria di Finn direi che può essere un esempio. E’ un ragazzo che ha cambiato realtà e calendario andando all’estero, ma ha vissuto la sua quotidianità in Italia andando a scuola e facendo quello che fanno tutti i ragazzi. 

Può essere un insegnamento…

Se fai quel che hai sempre fatto rimani dove sei. Invece bisogna avere il coraggio di cambiare, anche contro le proprie tradizioni. Fare calendari differenti o avere regole diverse per permettere una crescita globale. 

Si parla di aggiungere un anno alla categoria, passando da due a tre.

Negli altri sport, soprattutto quelli di squadra, tutti gareggiano contro i propri pari livello. Nel calcio la Primavera del Milan non gioca contro quella del Montichiari, ad esempio. Nel ciclismo un ragazzo meno preparato compete contro quelli più forti e a fine stagione è destinato a smettere. Penso sia giusto parlarne a tutela dei numeri. Se parliamo di aggiungere un anno alla categoria mi trovate d’accordo. E può anche essere una regola nazionale, solo italiana. D’altronde i francesi hanno sempre corso con il rapporto libero, anche quando a livello internazionale c’era il blocco al 52×14. Perché non possiamo aumentare la categoria di un anno a favore di chi ha ancora bisogno di crescere e maturare?

Bessega e Sambinello nel 2025 passeranno in due devo team entrando nel mondo WorldTour
Bessega e Sambinello nel 2025 passeranno in due devo team entrando nel mondo WorldTour
Modificare il calendario passando da gare di un giorno a gare a tappe è un argomento tanto discusso tra gli addetti ai lavori. 

Se si dovesse passare a più gare a tappe va da sé che una squadra non potrebbe farle tutte, ma sarebbe costretta a scegliere e quindi programmare. In più una gara a tappe vede diversi sforzi al suo interno: salite, volate, cronometro… I ragazzi dovrebbero prepararsi per essere in grado di correre ovunque, altrimenti rischiano di essere tagliati fuori. L’idea è di fare qualcosa che non si fa di solito, altrimenti si coltiva sempre il proprio orticello. Però, se si vuole diventare un corridore professionista è importante sapersi destreggiare su ogni terreno. In più, per concludere, se si fanno 10 corse a tappe durante l’anno si arriva comunque a 40 giorni di gara, il che sarebbe diverso dal correre 40 domeniche. 

A sentir parlare Dino Salvoldi si capisce come la sua voglia sia quella di continuare un cammino che non reputa finito. Per lui, ma come per tutti gli altri commissari tecnici nazionali, un grande spartiacque saranno le prossime elezioni federali. Chiunque dovesse vincere dovrebbe tenere conto di quanto fatto e dei percorsi iniziati. Tutte queste considerazioni fatte dal cittì dovrebbero diventare tema di confronto sui tavoli federali, per evitare che il ciclismo italiano sia costretto a rincorrere. Al contrario si potrebbe provare ad anticipare i tempi. L’arcobaleno di Finn ha brillato nel cielo di Zurigo e del Ghisallo. Il ragazzo però l’anno prossimo passerà under 23 e continuerà la sua crescita con il devo team della Red Bull-Bora hansgrohe. Cosa rimarrà della sua vittoria e della maglia iridata? Speriamo possa essere un insegnamento per tutto il movimento e non solo un ricordo destinato a sbiadire nel tempo.

Consonni e la calma (quasi) olimpica: il quartetto affina l’intesa

29.07.2024
4 min
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Viene definita “calma olimpica” ed è quella caratteristica che contraddistingue uno stato d’animo serafico, misurato, distaccato, a tratti quasi ingenuo. Nell’antica Grecia era il periodo di pace, durante i quali ogni conflitto si fermava. Oggi è l’unica arma per contrastare la tensione di chi è chiamato a vincere una medaglia olimpica. Simone Consonni, uno dei quattro vagoni che comporrà il quartetto per l’inseguimento su pista vincitore della medaglia d’oro a Tokyo 2020+1, la “calma olimpica” la sta maturando in questi giorni. E a giudicare dalle sue parole, è già sulla buona strada.

Il quartetto prosegue con l’affinare tutti i meccanismi prima di partire per Parigi
Il quartetto prosegue con l’affinare tutti i meccanismi prima di partire per Parigi

Azzurri a Montichiari

La nazionale azzurra sta lavorando al velodromo di Montichiari per affinare il treno, per preparare la “gamba”, per oliare ogni meccanismo. Già il fatto che Consonni – 29 anni, bergamasco della Lidl-Trek – risponda al telefono a circa una settimana dalle gare la dice lunga su quanto la sua “calma olimpica” sia a buon punto. Del resto per lui quella di Parigi sarà la terza Olimpiade.

«L’Olimpiade è bella – spiega – ma l’atmosfera è delicata, ti prende, ti avvolge, ti trascina per cui è difficile da placare. Soprattutto lo diventa lontano dalle gare, gestire l’ansia non è sempre facile, ma resta un evento mondiale, che va oltre allo sport».

Parigi sarà la terza Olimpiade di Consonni, dopo Rio e Tokyo
Parigi sarà la terza Olimpiade di Consonni, dopo Rio e Tokyo

Ritorno a Parigi

Questo per l’aspetto emotivo che, aggiungiamo noi, viene accresciuto dal fatto che a Parigi correrà anche la sorella Chiara. Poi però c’è l’aspetto tecnico. Il quartetto partirà il primo giorno di agosto con la tre giorni di gare (se tutto filerà liscio…) in programma il 5-6-7 agosto.

«Dobbiamo riprovare la pista di St. Quentin en Yvelines – spiega Consonni – la conosciamo, l’abbiamo già testata, ma il feeling con ogni velodromo va affinato».

In pista è sempre questione di centesimi e di millimetri, i corridori sono già maniacali quando in ballo ci sono i minuti che si danno sui passi alpini, figuriamoci i pistard come vivono un appuntamento olimpico. Questa però è la vigilia di Consonni contraddistinta dalla maturazione della calma olimpica e allora anche la sua condizione non delle migliori nelle ultime settimane non lo scalfisce.

«Ho avuto una settimana di tosse e mal di gola – racconta – ma è stata provvidenziale, è arrivata nel momento giusto, non ha compromesso il mio avvicinamento a Parigi».

Dopo la crono di Parigi, da oggi Ganna è nuovamente a Montichiari con i ragazzi del quartetto
Dopo la crono di Parigi, da oggi Ganna è nuovamente a Montichiari con i ragazzi del quartetto

L’argento di Ganna

Insomma, Consonni da Brembate Sopra sta bene, ma la gara si fa in quattro e non basta che il singolo stia bene, serve che tutti e quattro siano al top. Ecco, tra questi quattro c’è Filippo Ganna, la locomotiva del quartetto. Colui che – per palmares – porta oneri e onori del più talentuoso. Il Pippo del ciclismo nazionale ha scaldato i motori nella cronometro su strada, con la medaglia d’argento alle spalle di Remco Evenepoel e davanti a Wout Van Aert. A Wout ha sfilato l’argento con un finale mostruoso, da Ganna. Ma quali segnali ha dato la crono al quartetto?

«Lo ha detto Pippo – risponde Consonni – non era la medaglia che si aspettava. Ma ha anche detto che in condizioni meteo complicate, come quelle nelle quali si è svolta la crono, lui non è un “drago”. Detto questo, è una medaglia importante. E’ stato battuto da un grande Remco, è un argento che sono sicuro darà morale a lui e a noi che lo abbiamo seguito dalla pista, con il maxischermo, durante gli allenamenti. Ora Pippo è con noi, in questi giorni lavorerà soprattutto ascoltandosi, sentendo le sensazioni fisiche e morali per calibrare l’avvicinamento alla corsa. La crono è una prova molto dispendiosa e i viaggi sono sempre stressanti. Ma saremo al meglio».

Consonni e Ganna sono stati compagni al Team Colpack ed entrambi (più Ravasi e Troia) passarono alla UAE Emirates
Consonni e Ganna sono stati compagni al Team Colpack ed entrambi (più Ravasi e Troia) passarono alla UAE Emirates

Tra vincere e confermarsi

Eppure, ancora non basta. Essere forti in quattro potrebbe non essere sufficiente perché poi ci sono gli avversari. Quali le nazionali più temibili? 

«La Danimarca senza dubbio – afferma il bergamasco – e poi la Nuova Zelanda che ha Tokyo abbiamo battuto per una manciata di decimi. Infine non dimentichiamoci della Gran Bretagna, di diritto tra le più temibili per tradizione. Noi però saremo lì, pronti per fare qualcosa di importante».

Consonni c’è, lo conferma e la sua “calma olimpica” si definisce anche nella saggezza e nella consapevolezza finale: «Sappiamo che la cosa difficile non è vincere, ma confermarsi». Un ragioniere nello scandire e scegliere le parole, ora occorre essere freddi calcolatori per sbriciolare tempo e avversari sull’ovale che potrebbe diventare un cerchio perfetto, magari dorato.

Le Samyn poi Montichiari: Guazzini va veloce

29.02.2024
6 min
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Martedì Belgio per correre (e vincere) Le Samyn des Dames. Mercoledì mattina casa, a San Marino, per sbrigare le mille cose di quando rientri e poi subito riparti. Mercoledì pomeriggio autostrada, per andare a Montichiari. Oggi e domani pista, con la testa alle Olimpiadi e poi di nuovo l’autostrada verso casa. Prossima corsa il 10 marzo, la Miron Ronde Van Drenthe. Questa l’agenda più immediata di Vittoria Guazzini, che due giorni fa a Dour, nella regione vallone dell’Hainaut, ha centrato la prima vittoria in linea da quando è elite. In più lo ha fatto su strade in pavé scivolose, che certamente nella sua testa hanno riacceso più di qualche allarme, visti gli incidenti delle ultime stagioni sulle strade della Roubaix.

«Cosa è scattato quel mattino nella testa di Vittoria? Quando mi sono svegliata – sorride – ho visto la storia che avevano pubblicato sulla pagina della gara e ho detto: ma dove andiamo? Poi per fortuna è migliorata. E’ giusto prendere la situazione di petto e alla fine è andata bene. Comunque il pavé l’ho fatto sempre con calma e la cautela necessaria nelle curve in cui era messo peggio. Non volevo prendere rischi. Un po’ sarà l’esperienza, ma anche che botta dopo botta, c’è sempre meno voglia di prenderne altre. E’ vero che succede di cadere, però non ho voluto prendere rischi inutili».

La corsa stregata

La Samyn des Dames, molto in breve, si corre dal 2012 e in 12 anni era stata vinta da un’altra italiana solamente: Marta Bastianelli, lo scorso anno. Per il resto e per qualche insolita maledizione, le italiane hanno sempre girato attorno al podio, sin da quando nella prima edizione il secondo posto se lo prese Noemi Cantele. Anche Guazzini c’era già andata vicina, con il terzo posto nelle due edizioni precedenti e questo un po’ iniziava a starle sullo stomaco.

Per questo quando ha messo nel mirino la prima fuga, portando con sé altre due cacciatrici, l’idea era proprio quella di prenderle e lasciarle lì senza aspettare la volata, con il timore che da dietro la DSM-Firmenich arrivasse a tutta birra per la volata di Charlotte Kool.

«E così non è andata – racconta – nel senso che non sono arrivate e io sono riuscita a vincere la prima gara in linea. Non lo so perché non ci sia riuscita prima, forse perché mi impanicavo un po’ nel finale. Ho fatto qualche piazzamento a destra e sinistra, però ne combinavo sempre una. Invece martedì ho detto a me stessa: sarà meglio se questa volta faccio le cose per bene!».

Sul podio di Le Samyn, con Vittoria Guazzini salgono Anniina Ahtosalo (Fin, Uno-X) e Christina Schweinberger (Aut, Fenix)
Sul podio di Le Samyn, con Vittoria Guazzini salgono Anniina Ahtosalo (Fin, Uno-X) e Christina Schweinberger (Aut, Fenix)

Tra la fuga e la Kool

Quando ci sei dentro, la corsa non è semplice come guardarla con il telecomando in mano, che se non capisci mandi indietro e poi la riguardi. Forse è quello che dovrebbero capire quei coach convinti che non serva allenare la mente e l’istinto, ma bastino i dati raccolti alla fine dei test. Quando ci sei dentro devi ragionare alla svelta e prendere la decisione giusta.

«Nel penultimo giro, prima di andar via sul pavé – racconta Guazzini – avevo provato a dare qualche accelerata, più che altro per riavvicinarci un po’ alla fuga. Il vantaggio era bello ampio e insieme volevo provare a stancare un po’ anche le compagne della Kool, perché se c’è una squadra che controlla poi è difficile andare via e per me non aveva senso aspettare la volata. Perciò siamo partite in tre, anche se Wilma Aintila della Lotto-Dstny è caduta quasi subito sul pavé e sono rimasta con Christina Schweinberger. Più che altro il mio pensiero era che non rientrassero da dietro, mentre il vantaggio di quelle davanti calava, quindi l’obiettivo era riprendere le fuggitive e sperare che dietro restassero lontane, come poi è andata».

A Montichari fra una corsa e l’altra, girando dietro la moto guidata questa volta da Ivan Quaranta
A Montichari fra una corsa e l’altra, girando dietro la moto guidata questa volta da Ivan Quaranta

Obiettivo Parigi

Il tempo di godersela è durato per tutto il viaggio di ritorno e l’arrivo a casa, poi è arrivato il momento di voltare la pagina e puntare il fuoco sulla pista e il grande obiettivo olimpico. Tutti gli azzurri, Ganna in testa, sanno che il 2024 potrebbe essere un anno molto importante per la storia personale e per le loro carriere e Vittoria non si discosta.

«Nella mia testa – spiega Guazzini – l’obiettivo principale è Parigi, in particolar modo la pista. E’ da tanto che ci giriamo intorno. Ora dobbiamo cercare di fare il massimo, però prima volevo anche essere in forma in questo periodo per le classiche. Senza puntare a qualcosa in particolare, ma convinta che se ho una buona condizione, qualche cosa arriva.

«E poi c’è anche la crono, che non è affatto marginale e ce l’ho sempre in testa. Mi piace, come può piacere una specialità in cui sei sempre al limite, però anche ieri mattina sono uscita con la bici da crono e cerco di dedicarle più tempo possibile. Spero in un futuro non troppo lontano di potermi togliere delle belle soddisfazioni, anche perché il percorso di Parigi mi piace. A differenza di Tokyo, il prossimo sarà un percorso per specialisti, non ci sono grandi asperità e quindi sicuramente c’è intorno un cerchietto rosso».

Dopo il passo falso di Glasgow, arriva l’oro agli ultimi europei. Da sinistra, Fidanza, Paternoster, Balsamo e Guazzini
Dopo il passo falso di Glasgow, arriva l’oro agli ultimi europei. Da sinistra, Fidanza, Paternoster, Balsamo e Guazzini

Le montagne russe

Il ricordo di Tokyo è ancora fresco e da quei giorni il quartetto azzurro ha vissuto sulle montagne russe: con l’oro ai mondiali del 2022, il blackout di Glasgow e di nuovo l’oro agli ultimi europei. Eppure nella storia personale di Vittoria ci sono anche medaglie nella madison con Elisa Balsamo e chissà se bruci ancora essere stata sostituita agli ultimi Giochi da Letizia Paternoster.

«L’anno scorso – dice – le cose sono andate come sono andate. Non siamo state fortunate, però non possiamo sempre cercare scuse. Potevamo fare le cose diversamente, ma è stata un’esperienza utile. A volte le cose si capiscono meglio con le cattive, per cui la batosta ci ha dato una scossa. Agli europei abbiamo dimostrato di aver fatto un’inversione e ora siamo tutte motivate per l’obiettivo. Abbiamo la fortuna di essere amiche e questo aiuta per lavorare in armonia. E’ ovvio che ognuna di noi vorrebbe far parte del quartetto, ma siamo abbastanza mature per capire che il posto sarà di chi andrà più forte. Quindi fino a quel momento si faranno le cose insieme, perché è importante anche avere la sicurezza di un gruppo con cui si può lavorare bene.

«Quanto a me, ci sarebbe anche la madison. Parlo del quartetto, perché da quando siamo piccoline ci giriamo intorno, però la madison mi piace molto. A Tokyo stavo abbastanza bene e ci speravo. Però sono state fatte altre scelte e qualcuno comunque deve rimanere fuori. Non abbiamo la sfera di cristallo di sapere come sarebbero andate le cose se avessi corso, per cui accettai la scelta e punto».

La pista la richiama. Dopo Le Samyn, per la strada ci sarà tempo la prossima settimana e da lì si farà rotta sul Trofeo Binda. Una risata di spirito toscano e tanti saluti. La sensazione è che il bello debba ancore venire.

Stella “traghettatore” per i nuovi juniores

19.01.2024
5 min
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Dino Salvoldi è stato chiaro: «In questo momento il settore juniores è un grande laboratorio, nel quale passano tantissimi ragazzi, la maggior parte dei quali freschi di cambio di categoria e con tanto, tantissimo da imparare». Del gruppo plurimedagliato del 2023 è praticamente rimasto un solo elemento: Davide Stella (con lui nella foto di apertura), al quale sono affidate un po’ le chiavi del gruppo, soprattutto per quel che riguarda la pista.

Stella è stato lo scorso anno un’autentica rivelazione, con lo straordinario tris di titoli europei ad Anadia nello spazio di due giorni (scratch, eliminazione e chilometro da fermo) e poi un bronzo a Cali nella rassegna mondiale. E’ chiaro che ora l’asticella si alza e in questo 2024 sono tante le aspettative riposte su di lui. Ma quello con cui ci troviamo di fronte è un Davide un po’ diverso.

Nel 2023 Stella ha privilegiato la pista, quest’anno sta lavorando per emergere su strada
Nel 2023 Stella ha privilegiato la pista, quest’anno sta lavorando per emergere su strada

«Capisco se qualche atleta del primo anno si è presentato a Montichiari con un po’ di titubanza, di timore – afferma il giovane friulano – anch’io lo scorso anno ero così e mi accorgo di come le cose siano cambiate in dodici mesi. Oggi mi sento molto più maturo, con un’altra voglia di fare. Se ripenso ad allora non avrei mai creduto che mi attendevano soddisfazioni così grandi. Ora invece sono conscio di quel che valgo e punto a confermarmi».

Salvoldi ha parlato apertamente di te come di un elemento guida, una sorta anche di traghettatore per i nuovi…

Ringrazio Dino per questo che è un attestato di stima. Mi fa piacere, è un bel ruolo, importante. Cercherò di valorizzarlo e di non deluderlo, possiamo formare un altro bel gruppo.

Quest’anno Stella punta a entrare nel quartetto per gli europei e i mondiali di categoria
Quest’anno Stella punta a entrare nel quartetto per gli europei e i mondiali di categoria
La tua stagione ricalcherà quella dello scorso anno?

No, qualcosa cambia. Nel 2023 proprio per puntare alla pista ed emergere ho messo un po’ da parte le mie ambizioni su strada. Quest’anno voglio riequilibrare il tutto, voglio vedere che cosa valgo davvero su strada. Sarà una stagione più articolata, per la quale sto già lavorando sodo con il mio preparatore Nunzio Cucinotta, che è anche il diesse della Gottardo Giochi Caneva. Ormai lo vedo più di mia mamma… Scherzi a parte, so che il mio lavoro è condiviso anche con Salvoldi, quindi vado sul sicuro.

Lo scorso anno avevi detto che in allenamento avevi fatto anche il quartetto, ma poi in gara erano andati altri. Quest’anno ambisci a un posto da titolare?

E’ un mio obiettivo. Mi voglio impegnare per quello, significherebbe che sono migliorato ancora. Perché un posto nel quartetto bisogna meritarselo, come è giusto che sia. In gara vanno sempre quelli che sono più forti. Io comunque ho intenzione di concentrarmi su pista sulle discipline olimpiche. Titoli e medaglie sono stati un bello sprone, ma ora voglio cominciare a guardare alle discipline più importanti, che hanno un approdo a cinque cerchi, quindi quartetto ma non solo, anche omnium e madison.

La Gottardo Giochi Caneva punta molto sul friulano e lo lascia libero per l’attività nei velodromi (foto Messaggero Veneto)
La Gottardo Giochi Caneva punta molto sul friulano e lo lascia libero per l’attività nei velodromi (foto Messaggero Veneto)
Proprio parlando di Olimpiadi, se dico Los Angeles 2028 che cosa pensi?

Ci punto già da ora, lo ammetto. La strada però è lunga, la concorrenza già tantissima e io sarò ancora molto giovane per allora. C’è tanto da lavorare, ma non mi tiro certo indietro.

La tua società è favorevole al doppio impegno?

Mi hanno sempre lasciato libero di fare tutti gli allenamenti necessari a Montichiari, anzi devo dire che Nunzio è sempre stato disponibile nell’accompagnarmi al velodromo per le sessioni settimanali e la distanza non è poca, almeno 300 chilometri… E’ chiaro che c’è una certa preferenza per le gare su strada, per gli allenamenti di gruppo ma sanno che per emergere bisogna essere costanti e quindi devo garantire una certa frequenza anche negli allenamenti al centro federale su pista.

Il giovanissimo friulano con Nunzio Cucinotta, suo allenatore e diesse
Il giovanissimo friulano con Nunzio Cucinotta, suo allenatore e diesse
A proposito di pista, ti alleni solo a Montichiari?

No, spesso mi sposto in Slovenia, a Nove Mesto dove c’è un bell’impianto e organizzano anche gare internazionali. Negli ultimi mesi dello scorso anno mi ci sono recato spesso, anche perché la distanza da casa mia è minore di quella di Montichiari, ora però considerando anche la scuola, mi concentro sulla strada e sulle trasferte verso il velodromo bresciano.

Il podio dello scratch agli europei juniores 2023, dove l’azzurro ha vinto anche eliminazione e chilometro da fermo
Il podio dello scratch agli europei juniores 2023, dove l’azzurro ha vinto anche eliminazione e chilometro da fermo
Su strada che cosa ti aspetti?

Il mio obiettivo è togliermi qualche soddisfazione e dedicarmici con maggiore attenzione e costanza. Nel 2023 ho ottenuto qualche buon risultato, ma vorrei fare di più, vorrei convincere Salvoldi a prendermi in considerazione anche per quel tipo di gare. Nello scorso anno sono riuscito a essere convocato in nazionale una volta, vorrei fare più trasferte all’estero perché s’impara tanto.

E’ vero che sei all’inizio del tuo secondo anno, ma pensi già a che cosa fare a fine stagione, hai già contatti con squadre development?

Contatti ci sono sin dallo scorso anno, ma per concretizzarli bisogna confermarsi. Per questo la stagione che sta iniziando è così importante per me, non posso fallire.

Giaimi, 6 anni di contratto: strada, pista, Parigi e i mondiali 2029

05.01.2024
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Seduto da solo a tavola nel giorno in cui la stampa ha preso d’assalto il ritiro del UAE Team Emirates, Luca Giami osservava curioso e forse anche frastornato il movimento attorno a sé. Per questo ci siamo seduti con lui iniziando una chiacchierata che ci ha permesso di aprire la porta sulla sua situazione, più unica che rara, di un lunghissimo contratto di sei anni. Il primo a esserne sorpreso è parso proprio lui. Infine, lo abbiamo risentito anche ieri, durante il ritiro con la nazionale a Montichiari. E Giaimi ha fatto con noi il punto della sua situazione.

«Sicuramente – sorride Giaimi, in apertura in azione agli ultimi europei juniores – un contratto così lungo comporta meno stress legato alla scadenza, ma sento un po’ la pressione di dimostrare che me lo sono meritato. Addirittura me lo avevano offerto di 8 anni, ma ho scelto di firmare per 6. Sono contento e spero nei primi due anni di fare più esperienza possibile per arrivare pronto ai quattro successivi nel WorldTour. Abbiamo iniziato un bel percorso con diversi obiettivi e per arrivare a costruire il corridore che voglio essere: questa è una delle tipiche frasi di Matxin».

Il suo inverno è un continuo viaggiare. Prima il ritiro di Noto con la pista, poi quello spagnolo con la UAE Emirates GenZ (questo il nome del devo team). Due giorni a casa e subito a Montichiari fino a Natale. Tre giorni a casa e di lì nuovamente a Montichiari preparando gli europei che inizieranno mercoledì prossimo.

Luca Giaimi, classe 2005, è con la UAE Emirates da quest’anno con un contratto di 6 stagioni (foto Fizza)
Luca Giaimi, classe 2005, è con la UAE Emirates da quest’anno con un contratto di 6 stagioni (foto Fizza)
Cosa ti intriga di più in questo momento, la pista o la strada?

Non vedo l’ora di iniziare la stagione su strada a Le Samyn con la squadra WorldTour. L’ho sempre sognato. Probabilmente sarà dura, ho un po’ di soggezione, però non vedo l’ora. Immaginavo una situazione come questa, ma credevo che avrei iniziato con il devo team e semmai più avanti avrei provato con i pro’. Invece farò l’esatto contrario.

Come è andato il ritiro?

Purtroppo ho avuto un grosso problema con l’inglese, fortunatamente nel team si parlucchia italiano. Alla fine però riuscivo a capire cosa dicevano e a volte anche ad esprimermi. Non vedo l’ora di tornare in gruppo per imparare ancora. Per il resto, l’esperienza di un ritiro con la squadra WorldTour è nettamente diversa da qualsiasi altra a livello di allenamenti, preparazione e gruppo. La UAE Emirates ricorda molto una squadra italiana a livello di socialità. Al contempo trasmette la serenità e la familiarità dei grandi team.

Hai raccontato di aver dovuto modificare la posizione in bici per il cambiamento delle regole sulle leve dei freni…

Vero, la mia posizione è cambiata abbastanza, perché sul fronte delle leve interne io ero uno di quelli più estremi. Col biomeccanico abbiamo scelto di cambiare il manubrio, mettendone uno molto più stretto. Da 37 nella parte alta e 42 nella parte bassa, come uno da gravel. Hanno fatto così anche altri corridori della WorldTour, con la parte bassa dell’impugnatura più larga rispetto alla parte alta. E’ l’ideale. Quando sei con le mani in alto, spingi in presa più areodinamica e riesci a guadagnare parecchio. Invece nelle fasi di spinta massimale, come nelle volate, hai una presa migliore e guadagni in guidabilità anche in discesa. Facendo così, sono riuscito a mettere le leve in asse rispetto al manubrio. Inoltre ho avuto qualche correzione della posizione, visti la nuova sella e il fondello.

Vista la limitazione UCI nella rotazione delle leve, Giami usa un manbubrio largo 37 sopra, 42 sotto (foto Fizza)
Vista la limitazione UCI nella rotazione delle leve, Giami usa un manubrio largo 37 sopra, 42 sotto (foto Fizza)
In cosa è cambiata?

Mi sono abbassato e col manubrio più stretto, specialmente nelle volate, quando sono in posizione massimale di spinta e quando la velocità è alta, riesco ad essere anche più aerodinamico. Dato che mi hanno abbassato leggermente la sella, riesco a sfruttare meglio la muscolatura posteriore delle gambe e questo è sicuramente un vantaggio.

Il tuo preparatore è Giacomo Notari, cosa te ne pare?

Giacomo segue tutti noi del devo team. E’ un’ottima persona e fin dal primo giorno mi ha seguito al meglio anche per la pista. Inoltre ho scoperto che, oltre a fare gli allenamenti in bici, si intende molto anche di palestra e mi ha organizzato delle sedute specifiche per la pista. Col fatto che si allena parecchio in bici e anche in palestra, unisce le competenze teoriche e quelle sul campo. Sono uscito dal ritiro con una gran bella condizione, che mi è stata molto utile in pista. Infatti mi sono subito buttato con i più grandi e avere una buona gamba ha contribuito a non prendere troppe bastonate. Ora sto cercando di affinare la tecnica e allo stesso tempo di migliorare la condizione fisica in vista degli europei.

Avrai degli obiettivi precisi?

Sarà difficile, però era giusto iniziare il prima possibile, per arrivare pronti agli altri obiettivi che avrò in stagione. Vado agli europei per fare esperienza, ma soprattutto per avere dei punti di riferimento. Capire a che livello sono e da lì costruire le basi per i futuri lavori su pista, che rimarrà nel mio orizzonte ancora a lungo. Uno dei motivi per cui il mio contratto si prolunga così tanto, è che nel 2029 i mondiali su pista si terranno ad Abu Dhabi nel velodromo che stanno costruendo.

Quinto nella crono agli europei juniores di Emmen, Giaimi utilizzava già materiale della UAE Emirates
Quinto nella crono agli europei juniores di Emmen, Giaimi utilizzava già materiale della UAE Emirates
Prima hai parlato di Matxin, i rapporti con la dirigenza della WorldTour ci sono?

La nostra squadra è impostata diversamente dalle altre devo team. Non vogliono definirla team di sviluppo, ci hanno detto che siamo il reparto giovani della WorldTour. Anche il nome è UAE Team Emirates GenZ. Io inizierò il calendario con la WorldTour e lo stesso faranno i miei compagni durante la stagione, ad Almeria o alla Valenciana e Skelderpijs. Poi nella seconda metà di stagione non ci saranno stagisti, ma toccherà a noi fare esperienza.

Quali altre corse farai?

Dopo Le Samyn, andrò in Croazia a fare Porec e l’Istrian Spring Trophy. Poi dovrei tornare in pista per una Coppa del mondo, in modo da avere i punti per un’eventuale partecipazione olimpica. Ad aprile il Giro del Belvedere, il Palio del Recioto e il Trofeo Piva. A giugno il Giro Next Gen e a fine stagione corse con i professionisti, come il Giro della Toscana, la Coppa Sabatini, il Memorial Pantani, la Parigi-Tours e il Gran Piemonte, che magari per la WorldTour non sono corse grandissime, ma per noi sono davvero belle. E poi non so se ci saranno europei o mondiali su strada, perché quelli dipendono dalle convocazioni…

Bè, che dire, un grande calendario…

Di grossa qualità, anche se forse non quantità eccessiva. Tra un appuntamento e l’altro abbiamo anche periodi di stop e di preparazione. Ad esempio, tolto il Val d’Aosta, fra luglio e agosto abbiamo quasi un mese completo per allenarci in vista del finale di stagione. Capito perché non vedo l’ora di cominciare?