Giacomo Fantoni sarà l’unico atleta italiano della Bmx a Tokyo, poi si ritirerà. Di lui avevamo parlato con il cittì Tommaso Lupi, traendo la sensazione (già provata quando li incontrammo in pista a Montichiari) che della specialità importi soltanto a chi la pratica e pochi altri. Non è bello allenarsi ogni santo giorno e approdare alle Olimpiadi, pensando che là fuori nessuno sa che esisti. Perché poi alla fine le Olimpiadi sono le stesse per tutti e l’oro delle medaglie viene fuso nello stesso crogiolo. Che tu sia Justin Gatlin, appunto, o Giacomo Fantoni. Perciò andiamo a vedere che cosa sta facendo il veronese di Zevio, classe 1991, e in che modo si sta preparando, dato che a Tokyo manca ormai veramente poco.
L’appuntamento è per le 8,30 del mattino, lungo il tragitto che da casa lo porta in palestra. Altri buchi dice che non ne troverebbe.
Che cosa stai facendo in questo periodo?
Stiamo rifacendo in piccolo quello che abbiamo fatto quest’inverno. Un ciclo di forza per spingere nel modo giusto e per adattarci alla pista, che sarà lunga e insolita. Non c’è il minimo dislivello, che a volte aiuta. La gara del Test Event nel 2019 durò 42 secondi, quasi 7 più del solito. Si rischia di arrivare a 45 secondi. Sembra poco, non lo è.
Siete come i velocisti della pista, in fondo, per cui allungare una gara di 7 secondi non è così banale…
Esatto. La velocità su pista è la specialità del ciclismo classico che si avvicina più alla nostra. Non tanto la velocità individuale, quando il Team Sprint. Il velocista che fa il giro di lancio, ha lo stesso tipo di impegno o comunque molto simile. Noi abbiamo una frequenza di pedalata superiore e anche per noi la partenza è una fase decisiva.
In Coppa del mondo a Bogotà, a punti in due giorni consecutivi In azione a Bogotà. La pista di Tokyo è più lunga
Perdona la domanda in apparenza ingenua, ma… è comoda la posizione sulla Bmx?
E’ una delle cose più scomode che ci sia. Non puoi stare seduto e in piedi non sei centrato come su una bici da strada. Però è perfetta per quello che dobbiamo fare. Anche sul fronte dei materiali, non siamo al livello delle bici da strada o le mountain bike, in compenso però si lavora tantissimo sulla tecnica individuale. Salti, partenze, curve, contatto fisico…
Contatto fisico?
In nessun’altra disciplina ciclistica è previsto. La spallata, la spinta fanno parte del gioco, ma in base all’intensità possono valere una squalifica. Si lavora di spalla e di gomito a 55 all’ora, su gobbe sterrate. Il sistema nervoso rifiuta certe cose, ma se non ti adegui, ti passano sopra. Devi essere cattivo e pronto, perché la gara dura così poco che se ti metti a pensarci, è già finita.
Come sono fatte le vostre bici?
Si lavora tanto. Ora la sfida è fra telai in carbonio e in alluminio, ma alla fine è una scelta molto personale, dipende da come giri. Il carbonio è più performante. Per le ruote abbiamo cuscinetti chiusi, di serie. Mi faccio sempre il mio tuning, ma per le Olimpiadi ne faremo uno speciale con l’aiuto del mio allenatore Francesco Gargaglia.
Siete come discesisti e dovete mandare a memoria il percorso?
Ho una buona memoria fotografica, per cui quando è possibile faccio un giro con la GoPro sul casco e poi in camera guardo e riguardo il video. Quando arrivo in gara, devo già averlo in testa. E visto che nel 2019 non ho partecipato alla gara di Tokyo, in questi giorni sto guardando tutti i video di chi c’era.
In che modo hai cominciato a correre?
Il mio primo sport fu lo snowboard, mentre a 6 anni ebbi la prima bici. Mia madre aveva corso in mountain bike e un giorno per caso arrivammo alla pista di Montorio Veronese. Fu amore a prima vista, un classico. Il bambino vede le gobbe e le curve e si innamora.
Come mai arrivi alle Olimpiadi solo a 30 anni?
E’ stato un cammino molto lungo. Volevo arrivarci prima, ma non ero nelle condizioni di riuscirci. Nel 2016 provai, ma non lavorai a sufficienza. Sono tanti anni che ci vado dietro e che lo sogno, ma so che ora è il momento giusto. Prima non avrei avuto forma e testa, ora sono al mio picco.
E come la vivi?
E’ un sogno, sono troppo felice.
Altra domanda ingenua: si guadagna a fare l’atleta nella Bmx?
Per niente ingenua, mi viene fatta spesso e la risposta è che il mio lavoro è un altro. Faccio l’allenatore della mia squadra. Domenica scorsa il nostro Leonardo Cantiero ha vinto il tricolore juniores a Padova. La Bmx non mi dà da vivere e non ci sono corpi militari interessati. Ci fu qualche avvicinamento, ma la risposta non è mai arrivata. Io comunque non posso farci più niente, perciò questo è il mio ultimo anno. Non avendo uno stipendio, non posso crearmi una famiglia e a 30 anni è arrivato il momento di dare una svolta.
Quanto è rigida la disciplina in fase di preparazione?
Tornato dalla Coppa del mondo in Colombia, la mia vita è piena di allenamenti e non faccio praticamente altro. Vita monastica, insomma. Per fortuna però da un paio di giorni abbiamo mollato con i carichi di lavoro e sto iniziando a riposare per avere il giusto recupero. Però si lavora sul vestiario, sulla bicicletta…
Quando parti?
Il 21 luglio, per gareggiare il 29 e 30.
Che effetto fa pensare che andrai alle Olimpiadi?
Non sono ancora del tutto sicuro di quello che mi sta succedendo. Sembra ancora una favola. La qualificazione in Colombia è stata fuori da ogni schema. Prima volta in una finale di Coppa del mondo nell’ultima prova disponibile e per due giorni di fila. E alla fine abbiamo strappato il pass olimpico. I sogni di una vita in un solo weekend. Si fa fatica a credere che sia tutto vero e tutto sommato mi piace che sia così…