La medaglia di legno di Braidot e gli altri: la mtb azzurra a Parigi

03.08.2024
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Con il commissario tecnico della nazionale italiana di mountain bike, Mirko Celestino, ci eravamo lasciati a maggio. In quel momento il tecnico si aspettava degli squilli importanti dai ragazzi e dalle ragazze che avrebbe portato a Parigi. Sin lì in effetti non si erano visti molto, ma proprio dopo quell’intervista arrivarono le risposte che Celestino aspettava.

Risposte che, nelle gare conquistate da Ferrand Prevot e Pidcock, si sono trasformate nel complesso in una buona gara a cinque cerchi da parte dei ragazzi, con un bronzo sfiorato da Luca Braidot. O forse tolto dalla malasorte. Fatto sta che il friulano, Simone Avondetto, Martina Berta e Chiara Teocchi, chi più chi meno, hanno fatto bene.

Il cittì Celestino con Martina Berta
Il cittì Celestino con Martina Berta
Mirko, partiamo ovviamente da Braidot: alla fine non male, per come si era messa. Anche se la medaglia è stata “di legno”.

Visto tutto quello che Luca ha fatto per arrivare lì, siamo venuti via con un po’ di amaro in bocca. Alla fine si accettano anche queste cose, sappiamo che la mtb è uno sport che prevede con una certa frequenza questa problematica, la foratura o il guasto meccanico. E a volte oltre alle prestazioni serve un pizzico di fortuna.

Che foratura è stata? Ricordiamo che Braidot ha forato la gomma anteriore al secondo giro…

Nasce da un suo errore. Il che ci sta in certi frangenti. E’ avvenuta in un punto “stupido”. Ci siamo stati, soprattutto con le ragazze, tutta la settimana. Tutto il tempo a dire: «Metti le ruote lì. Fai questa linea qua…». Ma niente, se non entravi bene in quel punto erano guai. E infatti quella roccia ha “battezzato” parecchie gomme.

Chiaro, venivano fortissimo, erano ancora in tanti e non si ha sempre la possibilità di scegliere la propria linea…

Esatto. Erano ancora tutti in fila, la velocità era altissima ed è bastato pochissimo perché pizzicasse la ruota anteriore.

I biker azzurri a Parigi (da sinistra): Martina Berta, Simone avondetto, Chiara Teocchi e Luca Braidot (foto FCI)
I biker azzurri a Parigi (da sinistra): Martina Berta, Simone avondetto, Chiara Teocchi e Luca Braidot (foto FCI)
Poi cosa è successo?

E’ arrivato ai box e devo dire che i meccanici hanno fatto un bel cambio, e via. Merito a lui perché vista la situazione e i ritmi non pensavo proprio che riuscisse a reagire in quella maniera. E’ tornato vicino alla medaglia, è stato un grande per quello che ha fatto. Anche perché la sua foratura è avvenuta nel momento peggiore.

Cioè?

Proprio in quell’istante Pidcock stava attaccando. Mi hanno comunicato: «Luca ha bucato» mentre Pidcock mi passava davanti con Koretzky a ruota. Da lì si è accesa la gara e ho detto: «Addio, questa foratura la paga doppia». E invece si è è messo sotto ed è arrivato fino a 7” dal podio. L’ultimo giro lo vedevo che passava con i denti stretti. Luca ha cambiato faccia nell’ultimo giro: era trasfigurato, ma è normale. Non è mai riuscito a trovare un attimo per respirare. Ma non poteva fare altro. Si è detto: «Tiro dritto e se salto, salto…».

E degli altri, cosa ci dici?

Avondetto era contentissimo della trasferta, ma non della gara. Non era un percorso adatto alle sue caratteristiche, perché era un tracciato, come si dice in gergo ciclistico, da gente con gamba piena. Mentre lui preferisce anelli più tortuosi e tecnici, però ha finito a testa alta. La reazione che ha avuto alla fine mi è piaciuta tantissimo perché nonostante fossero le sue prime Olimpiadi, e nonostante il posto se lo sia guadagnato senza rubare niente a nessuno, all’arrivo aveva una faccia triste. Io gli ho detto: «Simo, deluso?» e lui ha risposto solo con sì. Un sì secco, senza dire altro o cercare scuse. E questa è una mentalità vincente. Sia lui che Luca sono stati due ragazzi splendidi. Luca lo conosco di più, sono ormai tanti anni che ci lavoro, ma gli si leggeva negli occhi quello che voleva fare. In otto anni da commissario tecnico non l’avevo mai visto così. Aveva la cattiveria negli occhi, la determinazione. Ogni tanto andavamo giù nel garage dove c’erano le bici e lui era lì da solo che guardava la sua. La controllava. Pensava. Poi tornava in camera. E di nuovo tornava giù.

Braidot a tutta, dopo la foratura è stato a lungo il più veloce in pista. Ma non è bastato…
Braidot a tutta, dopo la foratura è stato a lungo il più veloce in pista. Ma non è bastato…
Storie olimpiche…

Davvero un atteggiamento bellissimo, intenso. Quello per me è stata la vittoria. Mi piace vedere gli atleti così. E’ quello che voglio.

E le ragazze?

Da Chiara Teocchi alla fine non si poteva pretendere chissà cosa. Lei ogni tanto tira fuori il coniglio dal cilindro, come è visto in Brasile per esempio, ma ha fatto il suo. Pensavo ad una top 10 per lei, è arrivata undicesima. Siamo lì. Ha lottato molto. Un po’ più di delusione c’è per Martina Berta, ma la perdoniamo perché comunque è giovane. In realtà pensavo che tutta questa stagione riuscisse a fare qualcosa di più.

E’ arrivata 14ª, realisticamente la vedevi sul podio, oppure una top 5 sarebbe stata più alla sua portata?

Dai segnali che aveva dato in Coppa se fosse arrivata nelle cinque sarebbe stata una vittoria. Ma ripeto, è giovane. Martina ha fatto una bellissima partenza, poi però l’ha pagata giro dopo giro. Speriamo che queste gare così importanti facciano bene alle ragazze e che riescano ad arrivare all’appuntamento con la determinazione che avevano gli uomini. Ad Olimpiadi e mondiali ormai bisogna andare per vincere, non per partecipare. Tre anni fa a Tokyo si percepiva proprio nell’aria che c’era qualcosa che non andava. Sembravano tutti già appagati per il solo fatto di essere lì. 

Stavolta insomma è stato diverso…

Una delle cose bellissime che mi ha detto Luca mesi fa è stata: «Mirko, se non avrò la gamba per competere ad alto livello alle Olimpiadi, lascio il posto ad un altro. Non voglio tornare a casa come a Tokyo perché è stata una delle sconfitte più brutte della mia carriera».

Chiara Teocchi in azione, la lombarda ha chiuso all’11° posto
Chiara Teocchi in azione, la lombarda ha chiuso all’11° posto
Ultima domanda Mirko, che è più una curiosità: era giusto questo percorso per un’Olimpiade? Secondo molti era troppo veloce. Tuttavia i valori in campo sono stati rispettati…

Ha vinto il più forte, secondo Koretzky, terzo Hatherly. Sapete una cosa? Durante la mattina stavo andando sul campo gara con gli altri dello staff e gli ho detto: «Ora che siamo lontano dai ragazzi facciamo i pronostici». Ho detto il mio: Pidcock, Koretzky, Hatherly e Luca nei cinque.

Preciso…

Questo per dire che nonostante il percorso non piacesse alla maggior parte dei ragazzi (non solo italiani, ndr), i valori sono stati rispettati. In effetti sembrava più una pista infinita di pump track molto scorrevole, con tutti appoggi e velocissima.

Avondetto lancia la sfida azzurra a Pidcock

05.07.2024
6 min
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PINEROLO – Pensi a Pinerolo e ti vengono alla mente tappe epiche del Giro d’Italia e, vista la recente zampata di Tadej Pogacar di martedì, anche del Tour de France. Ci troviamo in una terra magica per il ciclismo, quella in cui nel 1949 trionfò Fausto Coppi dopo la mitica fuga in solitaria con indosso l’indelebile maglia biancoceleste. Poco sopra San Secondo di Pinerolo, ad aspettarci troviamo, in sella alla sua inseparabile Wilier, Simone Avondetto.

La sua maglia stellata di campione europeo assoluto, casacca che mai nessun azzurro aveva indossato nella storia della mountain bike, ci rapisce lo sguardo. Un breve saluto e poi il ventiquattrenne che già tra gli under 23 aveva centrato l’accoppiata titolo continentale e iridato, ci comincia a raccontare come tutto è nato, grazie anche allo stimolo del fratello maggiore Gabriele, che ha continuato a macinare chilometri in ice trike (bici a tre ruote) anche dopo un brutto male.

Un sogno che assume contorni ancora più nitidi ora che il ventiquattrenne della Wilier Triestina–Pirelli Factory Team vestirà la casacca azzurra della nazionale all’Olimpiade di Parigi 2024. La conferma è arrivata giusto oggi nella conferenza stampa organizzata da Coni e Federciclismo alla Sala Giunta del Coni.

Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo (foto UEC)
Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo (foto UEC)
Simone, che effetto fa vedere il tuo nome nella lista dei convocati per i Giochi?

Le Olimpiadi sono l’evento sportivo più grande al mondo: è un onore per me poterci andare. Quando sei piccolo sogni di arrivare lì, ai Giochi, è un sogno che si avvera e sono molto emozionato di averlo tramutato in realtà. 

Quando hai iniziato a fare mountain bike?

Sin da piccolino, ho fatto tutte le categorie giovanili. Le prime gare ho cominciato a farle quando avevo 6 anni.

Perché questo sport?

I miei genitori andavano in bici e ho iniziato così. Mio papà ancora adesso ogni tanto si cimenta in qualche gara amatoriale, ma mai di alto livello. Poi mio fratello maggiore Gabriele, che ha fatto gare sino a qualche anno fa. Ci siamo sempre allenati insieme e andavamo alle gare insieme, per cui è stato bello crescere insieme in quest’ambiente. La bici non è soltanto a due ruote, ma anche a tre e sono contento di allenarmi spesso qui attorno a casa con lui, tra strada e sentieri che si possono percorrere anche col trike o con l’handbike.

Con suo fratello Gabriele, passato alla ice trike (bici a tre ruote) dopo un brutto male
Con suo fratello Gabriele, passato alla ice trike (bici a tre ruote) dopo un brutto male
La maglia di campione europeo pesa o è una spinta in più?

Per me non cambia nulla. L’europeo era un obiettivo, quello l’ho centrato, ma la stagione non è finita lì e ce ne sono altri da raggiungere. Indossare o non indossare questa maglia però non mi fa differenza, nel senso che è tutto uguale a prima e non mi ha condizionato nell’avvicinamento olimpico a Parigi.

Ci pensi però a quando sembrava soltanto un sogno lontano?

Sì, devo ammetterlo. All’europeo stavo bene, quindi puntavo a fare una bella gara, anche se non mi aspettavo di vincere. Invece, ci sono riuscito e ne sono fiero.

Che ne pensi del percorso di Parigi?

E’ un po’ diverso da quelli che siamo abituati ad affrontare in Coppa del mondo perché è tutto artificiale, con un terreno molto compatto e veloce. Anche se non è uno dei miei preferiti, so che si sono impegnati tantissimo per renderlo il più bello possibile, quindi, sono sicuro che ci divertiremo.

Il percorso di crescita Simone Avondetto prosegue: l’europeo ha seguito il mondiale U23
Il percorso di crescita Simone Avondetto prosegue: l’europeo ha seguito il mondiale U23
Hai già parlato di tattiche col ct Mirko Celestino?

Vedremo come gestire la gara. Con Mirko c’è un gran rapporto ci troviamo bene, oramai è un veterano visto che dovrebbe essere all’ottavo anno da ct. Per quanto riguarda, invece, il movimento italiano, c’è ancora tanto da fare affinché cresca e si allarghi sin dalla base. Gli altri Paesi come Francia, Danimarca e Svizzera hanno dei vivai sconfinati e te ne accorgi quando vai alle gare. Alla fine, dalla massa qualcuno forte esce sempre. 

Hai stravinto col freddo, col caldo come te la cavi?

Vedremo, non so (sorride, ndr). A Parigi per fortuna siamo abbastanza a nord, per cui speriamo che le temperature non siano troppo alte e che questo fattore non incida. 

Tante stelle della strada sono dei funamboli anche nel cross country. Dall’olimpionico Tom Pidcock al fuoriclasse Mathieu Van der Poel: che ne pensi di questa tendenza?

Fa bene al nostro mondo e loro sicuramente portano un po’ di pubblico e appassionano le folle. In più, alzano l’asticella sotto il punto di vista tecnico delle gare, per cui vedo soltanto punti favorevoli da questo. Sono tutti degli esempi, esprimono talento puro e sono convinto che ci sia sempre qualcosa da imparare da loro. Van der Poel ha detto che abbandonerà la mountain bike, dunque, penso che non lo vedremo più alle gare per un po’ dopo Parigi. Pidcock invece continua a dividersi tra strada e mountain bike

Pidcock resta un riferimento anche nel mondo della mountain bike, forse il suo preferito
Pidcock resta un riferimento anche nel mondo della mountain bike, forse il suo preferito
Che cosa ruberesti all’asso britannico?

A Pidcock probabilmente tutto, perché se è sempre lì davanti vuol dire che va molto di più di tutti gli altri. Potessi avere le sue gambe, sarebbe fantastico

Hai mai pensato di fare il percorso opposto e provare la strada?

Sinceramente no. Mi piace quello che faccio e non penso che cambierei. Mi alleno circa 20 ore a settimana e ho la fortuna che la mia passione è diventata il mio lavoro. E’ vero, ogni tanto bisogna stare tanto via da casa, ma lo faccio sempre super volentieri.

Hai qualche idolo a cui ti sei ispirato?

Su tutti Nino Schurter. Poi ancora Absalon e Kulhavy, sono cresciuto un po’ in quell’epoca. Nino non smette di correre, per cui me lo trovo sempre lì anche in Coppa del mondo. Ricordo l’emozione di vedermi al suo fianco le prime volte e fa effetto il fatto che sia ancora competitivo ad altissimo livello a 38 anni suonati e lotti sempre per la vittoria, sbagliando raramente.

Avondetto corre con la maglia del Wilier Triestina–Pirelli Factory Team
Avondetto corre con la maglia del Wilier Triestina–Pirelli Factory Team
Se non avessi fatto mountain bike, ti saresti cimentato in qualche altro sport?

Non saprei, perché a livello agonistico ho sempre fatto questo sin da ragazzino. Mi piacciono molto lo sci di fondo o il biathlon, quindi chissà. Quest’anno la neve è un po’ scarseggiata, ma quando potevo andavo a sciare anche lo scorso inverno, di solito a Pragelato.

E al mondiale di fine agosto in Andorra ci pensi?

E’ un bellissimo tracciato, su cui facevano anche Coppa del mondo per cui anche quello è sicuramente nella lista degli obiettivi stagionali

Verso Parigi. Uno sguardo alla mtb con il cittì Celestino

21.05.2024
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E’ l’anno olimpico e la mtb trova spazio anche sulle nostre pagine web. In particolare la mtb azzurra. Con la Coppa del mondo che entra sempre più nel vivo e con l’approssimarsi delle convocazioni, il cittì Mirko Celestino ci spiega chi sono i papabili olimpici e anche come sarà il cammino azzurro da qui a Parigi.

La situazione non è facile, ma neanche nera. Se senatori e senatrici sono un po’ mancati sin qui, abbiamo avuto belle risposte dai giovani. E la vittoria del team relay e di Simone Avondetto (in apertura) ai recenti europei in Romania è la prova di un buon gruppo. In attesa delle convocazioni ufficiali, che avverranno dopo la tappa di Nove Mesto ecco cosa ci dice Celestino.

Il cittì Mirko Celestino con Luca Braidot prima dell’ultimo europeo (foto UEC)
Il cittì Mirko Celestino con Luca Braidot prima dell’ultimo europeo (foto UEC)
Mirko, come procedono dunque i tuoi lavori in vista di Parigi?

Si va avanti. Veniamo da alcuni eventi internazionali importanti e ora si avvicinano alcune prove di Coppa del mondo, a partire da quella di Nove Mesto dopo la quale avrò le idee un po’ più chiare. Anche se dentro di me già lo sono.

All’europeo una bella vittoria di Simone Avondetto…

Lui è quello che sin qui ha fatto meglio di tutti e non solo all’europeo. Simone viene da un buon periodo e ha “fame”. E’ molto giovane. Nel suo ultimo anno da under 23 ha messo a segno una tripletta importante vincendo il campionato italiano, quello europeo e quello mondiale. Lo scorso anno, il primo tra gli elite, ha avuto problemi, anche fisici: una stagione non dico da buttare ma complicata. Ma è ripartito col piede giusto.

Lui quindi è chiaramente inserito nella lista lunga per le Olimpiadi. E gli altri?

Gli altri sono i fratelli Luca e Daniele Braidot, Juri Zanotti per gli uomini e per le donne Martina Berta, Chiara Teocchi, Greta Seiwald e Giada Specia. Dico che nomi importanti come Luca Braidot e Martina Berta sin qui hanno fatto vedere davvero poco e infatti già da Nove Mesto mi aspetto segnali importanti da loro. Okay, sapevo che in Brasile (prima tappa di Coppa, ndr) non sarebbero partiti forte, ma poi non hanno mai brillato. E se pensano che la condizione arrivi da una settimana all’altra si sbagliano.

Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo. La certezza di Celestino sin qui (foto UEC)
Simone Avondetto, 24 anni, con la maglia di campione europeo. La certezza di Celestino sin qui (foto UEC)
Quindi, sono nella lista ma devono mostrare qualcosa…

Esatto. Voglio delle risposte. Risposte che mi sarei aspettato anche prima. Il fatto che fossero sicuri del pass olimpico non significa che debbano prendersela comoda. Non è giusto. E se non dovessero arrivare segnali da parte loro… mi metterebbero in grossa difficoltà. Io non dico che a Nove Mesto debbano vincere, ma voglio almeno una top dieci.

Tornano in discussione dunque?

Se tra Nove Mesto, Val di Sole e Crans Montana, le due prove di giugno, non arrivano prestazioni importanti la vedo dura anche per Parigi. La mia esperienza mi dice questo. Okay, partire più piano per essere al top a Parigi, ma già in Brasile ad inizio stagione gente che punta all’oro ha vinto, o era davanti. E da Luca Braidot e Martina Berta mi aspetto che vadano alle Olimpiadi per portare a casa una medaglia, perché hanno l’esperienza, la maturità e i numeri per farlo.

Ora come procede il tuo lavoro?

Dopo Nove Mesto, l’UCI, visti alcuni cambiamenti sul percorso di Parigi, ci ha concesso due giorni di prova, di allenamento, a fine mese (28-29 maggio). Lì porterò tre uomini e tre donne. I due titolari e la riserva. Ad ora Luca Braidot, Juri Zanotti e Simone Avondetto, tra gli uomini. E Martina Berta, Chiara Teocchi e Greta Seiwald tra le donne. Quindi non più nove atleti come lo scorso anno per il test event, quando furono cinque uomini e quattro donne. Significa che una scrematura già sarà stata fatta.

E come staff?

Anche quello sarà lo stesso che vedremo impegnato a Parigi. Quindi due meccanici, un massaggiatore e anche Nicola Casadei, ex downhiller ed endurista. Lui è bravissimo, è importante per la scelta delle linee, per i nuovi modi di guidare. E’ una figura molto determinante visti i percorsi di oggi e poi sa comunicare bene con i ragazzi.

Da inizio stagione Chiara Teocchi è stata la migliore delle nostre biker (foto Red Bull content Pool)
Da inizio stagione Chiara Teocchi è stata la migliore delle nostre biker (foto Red Bull content Pool)
Tra i nomi fatti non è emerso quello di Gioele Bertolini

Se è per questo neanche quello di Nadir Colledani. Gioele sta andando fortissimo. Ha vinto tre gare, ma serviva più costanza anche prima. Vediamo, anche per lui, come andranno queste ultime gare. 

Mirko, su strada ormai si punta forte sugli juniores, anche nella mtb è così?

Non proprio, qui la categoria under 23 ha ancora il suo bel peso. Ci sono step tecnici, fisici e tattici molto ampi. Il salto tra juniores ed elite è enorme. Anche in virtù dello sforzo fisiologico che sono chiamati a fare: ormai è un’ora e 20′ a tutta, serve una potenza enorme. Ai tempi di Kerschbaumer dopo le partenze forti c’era una fase di stallo, di studio e infatti “Kersch” recuperava. Oggi questa cosa non esiste più. 

E il nostro movimento come è messo? Come sono i numeri della base?

I numeri non sarebbero neanche male è che poi ragazzi e ragazze fanno fatica ad emergere quando bisogna fare davvero la vita da atleti, i sacrifici… Tu puoi avere i migliori mezzi, il miglior staff, ma se poi non hai quel fuoco dentro è dura. Serve fame, fame agonistica. E infatti chi sono i nuovi emergenti? Ragazzi che vengono da Romania, Brasile, Cile…

Milano-Sanremo 2003, con Celestino il film di quel giorno

26.02.2023
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Un amarcord felliniano, andando a ripescare un’epoca che ci accompagna ancora oggi con quei campioni che ora guidano il ciclismo dall’ammiraglia e ricoprono ruoli in federazione e nel mondo tecnico delle due ruote. Facciamo un salto a vent’anni fa, partendo dalla foto utilizzata in apertura per farci raccontare la Milano-Sanremo 2003. A riavvolgere il nastro della memoria ci aiuta l’unico che dei tre non aveva le mani alzate al cielo ma l’orgoglio pieno, Mirko Celestino

Per lui correre la classica di primavera era un sogno fin da bambino. Nato ad Andora, città attraversata dalla corsa, l’attuale cittì della nazionale XCO e XCM aveva un legame intimo e reverenziale. Per lui quegli anni alla Saeco erano tempi di vittorie con un Lombardia, una Tre Valli Varesine e tante altre corse che lo avevano già fatto conoscere al grande pubblico. Una delle caratteristiche che lo contraddistinguevano era il saper affrontare le discese a viso aperto, rilassato e disinvolto come una rondine in cielo. Mirko, raccontaci di quel giorno e dicci cosa ne pensi degli interpreti di oggi…

Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Mirko Celestino, tecnico della nazionale di Mtb dal 2017
Per cinquant’anni la Milano-Sanremo si è corsa il 19 marzo, giorno del tuo compleanno. Che cosa rappresentava per te quella corsa?

Sono cresciuto guardando la Milano-Sanremo. Il mio papà mi ha sempre portato a vederla a Capo Mele che è la salitella prima di arrivare ad Andora dove mancano 50 chilometri all’arrivo. Sono cresciuto con la visione di questi corridori che arrivavano tutti sporchi e provati. Ho in testa queste immagini epiche di campioni che passavano davanti a casa. 

Da ammirarla sei poi arrivato a correrla da professionista…

Questa passione per la bici tramandata da mio papà l’ho portata avanti dai sei anni fino a farne un lavoro e non ho più smesso. Il mio sogno era quello di partecipare alla Milano-Sanremo e così sono arrivato a farne 11 tra cui quella del 2003 dove chiusi al secondo posto dietro a Paolo Bettini

Che emozioni provasti quel giorno?

Fu come una vittoria. In quel periodo Bettini era imbattibile. Per un corridore con le mie caratteristiche arrivare nei primi in quella classica era molto difficile. A quel tempo era una gara dominata perlopiù da velocisti. Ai tempi non si riusciva a fare tanta differenza perché c’era Mario Cipollini in maglia iridata con il suo treno. Fino all’anno prima con il treno rosso non lasciava scappare occasioni e quell’anno con la Domina Vacanze il trend era lo stesso. 

Mirko Celestino, vinse il Lombardia 1999 con grandi gambe in salita e super doti di guida in discesa
Mirko Celestino, vinse il Lombardia 1999 con grandi gambe in salita e super doti di guida in discesa
Un secondo posto che ti tieni stretto…

Quel giorno lì sento di aver fatto un’impresa. Chi ne capisce di ciclismo può capire quanta energia avessi e quanto era la mia giornata. Anche se quel giorno “l’altro” che era nella sua giornata perfetta era proprio Bettini. 

Qual era la tattica in corsa?

Gli accordi erano quelli di avvantaggiare Danilo Di Luca, mio compagno alla Saeco, che stava bene e bisognava fare la gara dura per svantaggiare i velocisti. Mi “sacrificarono” per fare l’attacco sulla Cipressa e così è stato. 

Ti staccasti prima dello scollinamento e poi li riagganciasti in discesa…

Mi riprese quasi in cima alla salita il quartetto che era uscito dal gruppo composto da Bettini, Vinokourov, Freire e Rebellin. Ero in affanno dopo l’attacco e mi ricordo che vidi che Di Luca non c’era, così mi buttai giù in picchiata, rischiando la vita, per quella discesa che conoscevo a memoria e li ripresi. Ai tempi so che feci il record. Mi piaceva molto andare forte in discesa e riuscivo a fare la differenza anche in quelle che non conoscevo.  

Qui Cipollini in maglia di campione del mondo e un giovane Bennati a tirare
Qui Cipollini in maglia di campione del mondo e un giovane Bennati a tirare
Cosa successe sul Poggio?

Ci ripresero e imboccai il Poggio in gruppo. Poi secondo me, Di Luca partì un po’ troppo presto e fu ripreso in contropiede da Bettini, Paolini e me, che mi agganciai alla loro ruota. 

Se sulla Cipressa facesti il recupero in discesa mentre a venire giù dal Poggio tirò quasi solo Paolini…

Anche loro due erano due ottimi discesisti. Paolini lo reputavo al mio livello in discesa. Si sacrificò totalmente per Paolo e tirò parecchio sia in salita che in discesa perché era molto bravo a guidare e a disegnare traiettorie. Di Luca infatti si staccò e perse terreno da noi tre. 

Che sentimento provasti al termine di quel sogno sfiorato?

Son sempre stato una persona realista. Quel giorno lì non mi ha battuto uno a caso, ma Paolo Bettini. In quegli anni lì non sbagliava un colpo, sapevo già di essere spacciato. Mi sarebbe stato utile se al posto di Paolini ci fosse stato un altro corridore di punta in modo tale da provare un attacco da finisseur e sorprenderli. Magari si sarebbero guardati quell’attimo in più e sarei arrivato all’arrivo. Ero abbastanza scaltro in questo, infatti la Classica di Amburgo e il Giro di Lombardia li vinsi così, di furbizia. 

Mohoric ha vinto la Sanremo 2022 con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
Mohoric ha vinto la Sanremo 2022 con 2 secondi di vantaggio su Turgis e Van der Poel
Venendo all’attualità, la vittoria di Mohoric dell’anno scorso utilizzando il telescopico e attaccando proprio in discesa che impressione ti ha fatto?

Ha colto l’attimo giusto. Sì, il telescopico può averlo avvantaggiato qualcosina, ma non lo vedo così utile in una gara su strada. Si va giù talmente forte nelle discese che quel dispositivo non ti fa fare così tanto differenza. Lì ci vuole il manico e saper gestire bene la bicicletta, distribuire i pesi ed essere tranquillo e rilassato. La rigidità è quella che ti fa fare degli errori, soprattutto alle alte velocità. Lui ha saputo sfruttare questa sua dote di discesista e ha sorpreso gli altri. E’ stato un grande. Avendo il telescopico tutta l’attenzione se l’è presa quello. 

Pensi che quest’anno vedremo più telescopici in gruppo?

Sicuramente sì. Qualcuno proverà questa carta. Anche se la Sanremo la vinci con un insieme di dettagli: alimentandoti bene, arrivando con la mentalità giusta al momento decisivo e con una gamba che risponde bene dopo 300 chilometri. 

Il telescopico da mountain bike di Mohoric comprato sul web e approvato dall’UCI
Un telescopico da mountain bike di Mohoric comprato sul web e approvato dall’UCI
Cosa ne pensi dei nomi che ci sono oggi? Van Aert, Van der Poel, Pogacar…

Sono tutti nomi pericolosi. Pogacar ha caratteristiche diverse dagli altri due, perciò cercherà sicuramente di anticipare tutti e metterli in difficoltà. C’è da dire che Van Aert e Van der Poel non li stacchi in salita e in più sono anche veloci. Ovviamente ci aggiungo Evenepoel e Alaphilippe che sono delle vere e proprie mine vaganti per qualsiasi corsa. Al giorno d’oggi la vita per i velocisti è sempre più dura. Dopo 300 chilometri, Van Aert e Van der Poel possono dire la propria anche in mezzo ai velocisti. Le caratteristiche vanno tutte in secondo piano. Le incognite in questa classica sono infinite. Comprese le cadute che in questa gara fanno la selezione che non ti aspetti. 

Permettici questa domanda… Mirko Celestino con il telescopico avrebbe vinto una Sanremo?

No, no (ride, ndr), in Mtb l’ho usato ma serve per altri scopi. Su strada non fa la differenza che tutti si immaginano. Mi tengo stretto quel secondo posto del 2003. 

Mondiale gravel, la nazionale e i ragionamenti di Pontoni

07.10.2022
5 min
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Domani e domenica fra Vicenza e Cittadella si correrà il primo mondiale gravel della storia. Daniele Pontoni, cittì azzurro del cross e del gravel, ha diramato nei giorni scorsi delle convocazioni inattese, con nomi come quelli di Davide Ballerini e Daniel Oss, oppure di Sofia Bertizzolo fra le donne, accanto a Barbara Guarischi.

Il mondiale l’ha organizzato Filippo Pozzato con la sua PP Sport Events e sarà destinato ad entrare nella storia di una disciplina in forte ascesa. La formula di partecipazione è inedita rispetto ai canoni delle corse su strada e ricalca semmai (anche se non del tutto) quello delle marathon di mountain bike, con gli elite e i pro’ che partono davanti agli amatori che si sono qualificati. Con il cittì della nazionale abbiamo cercato allora di capire che corsa verrà fuori, quali regole seguirà e in che modo sono state fatte le scelte degli uomini e delle donne.

«Con qualcuno – dice Pontoni – sono state delle proposte mie, ad esempio con la Guarischi. L’ho vista girare in pista a Pordenone ed è nata da lì. Di Daniel Oss invece ho parlato col team manager Amadio. Per Ballerini e altri ho fatto una serie di chiamate anche ai direttori sportivi e ai team manager, innanzitutto per capire chi fossero gli atleti disponibili, su una rosa più ampia che avevo dato, con i nomi che mi sarebbe piaciuto avere per questo mondiale».

Oss e Sagan: i due saranno entrambi al mondiale gravel. Il nome di Oss è venuto fuori da uno scambio fra Pontoni e Amadio
Daniel Oss, qui con Sagan: i due saranno entrambi al mondiale gravel
Hai valutato anche la predisposizione per il fuoristrada fatta magari nelle categorie giovanili o per le classiche del Nord? 

Quelli che avevano fatto esperienza nelle categorie giovanili erano attenzionati, ma qui non dobbiamo pensare solo al fuoristrada, perché comunque è una gara di fondo. Anche per questo siamo e sono stato orientato più su professionisti che arrivano dalla strada, soprattutto anche per il chilometraggio: sia in campo femminile sia in campo maschile. Chiaramente è stata fatta anche questa valutazione tecnica, oltre alla disponibilità degli atleti dei team.

Anche perché il percorso non appare troppo tecnico…

Infatti prima sono venuto a visionare personalmente il tracciato di gara per capire quali potevano essere le attitudini degli atleti per questo mondiale.

Pontoni assieme a Chiara Teocchi, biker, crossista e ora azzurra ai mondiali gravel
Pontoni assieme a Chiara Teocchi, biker, crossista e ora azzurra ai mondiali gravel
Come è nata ad esempio la convocazione di Sofia Bertizzolo, che pure è arrivata quarta al Fiandre?

E’ venuta fuori parlando con il suo meccanico Flavio Longhi e sapendo che lei comunque arrivava dal cross nelle categorie giovanili.

Gli atleti Specialized correranno con le Roubaix, delle bici da strada. Credi che servirà una revisione dei regolamenti?

Al momento, come è giusto essendo all’anno zero, hai una forbice molto larga e lasci libertà un po’ a tutti, come è stato negli anni 90 con la mountain bike. Quindi credo che avremo bisogno di qualche anno per normare questa specialità, che io ritengo abbia un futuro importante.

Come si svolgerà l’assistenza sul percorso?

Come nazionale abbiamo già pianificato proprio ieri sera tutti i punti. Saremo divisi in 3-4 squadre con cui copriremo le 12 postazioni. Faccio un esempio, il gruppo di lavoro che va alla postazione 1 andrà poi alla 4, alla 7 e alla 10. Chi invece farà la 2, poi andrà alla 5, alla 8 e alla 11. E chi fa la 3, poi passerà alla 6, la 9 e la 12. Sarà una corsa nella corsa, come in una Marathon di mountain bike.

Ballerini pavé
Davide Ballerini, esperto di classiche del Nord, porterà in gara la sua Specialized Roubaix
Ballerini pavé
Davide Ballerini, esperto di classiche del Nord, porterà in gara la sua Specialized Roubaix
Dove si deciderà la gara?

Secondo me si cominceranno a vedere grandi cose già all’inizio. Nei primi 35 chilometri capiremo già tanto. Ci sono le due salite e i tratti più tecnici dove tra l’altro è anche più facile bucare o avere degli inconvenienti. Poi si sa, 200 chilometri per gli uomini sono tanti, come pure 140 per le donne.

Quindi ti aspetti subito selezione?

Non si deciderà, ma si delineerà all’inizio. Nelle gare che abbiamo visto fino ad ora, anche se abbiamo poco storico, i corridori arrivano uno alla volta e con distacchi abissali. In più, un mondiale è un mondiale e potrebbe darsi che la corsa diventi anche più tattica. Noi abbiamo la nostra idea di gara e la interpreteremo in una certa maniera. Però dai primi riferimenti capiremo se dovremo adattarci ad altri schemi.

Come funzionerà l’assistenza tecnica e come avete fatto le scelte teniche?

Non si può cambiare la bici chiaramente e si può fare assistenza sono nei punti fissi. I ragazzi avranno quel che serve per essere autosufficienti. Per le scelte tecniche, abbiamo visionato il percorso con tutti i ragazzi e i due che mancano lo vedranno oggi. Abbiamo deciso assieme, anche in base alle caratteristiche dei singoli. Qualcuno si sente più sicuro magari con il 33, qualcuno col 35. Dipende anche dalla guida di ogni atleta, non sarà standardizzato per tutti.

Mathieu Van Der Poel sarà uno dei pezzi grossi al via del mondiale gravel
Mathieu Van Der Poel sarà uno dei pezzi grossi al via del mondiale gravel
C’è la tensione di un vero mondiale?

Il mondiale è il mondiale e ricordiamoci che il primo passerà alla storia. Ma aspetta che vi passo un signore anziano che vuole salutarvi, aspetta…

Chi parla?

Giro di Lombardia 1999.

E’ Mirko Celestino, commissario tecnico della nazionale di mountain bike e vincitore del Lombardia di 13 anni fa, che a Vicenza farà da spalla a Pontoni, nel segno dell’ottima collaborazione trasversale fra i vari settori.

Correrai anche tu?

No, non mi ha convocato. Non capisce niente questo qua di selezioni (ride, ndr). Ne parlavamo ieri con Daniele, mentre eravamo sul percorso con le ragazze. E ci dicevamo uno con l’altro che queste sarebbero state le nostre corse. Sembrano le corse del Belgio con queste stradine, che mi piacevano tanto…

Mirko Celestino, classe 1974, vinse il Lombardia 1999. Oggi è tecnico della nazionale di Mtb e collabora con Pontoni
Mirko Celestino, classe 1974, vinse il Lombardia 1999. Oggi è tecnico della nazionale di Mtb

Il primo mondiale gravel si disputerà fra domani e domenica, nel ricchissimo weekend del Lombardia e dell’Ora di Ganna. Come detto già a suo tempo con Pozzato, è stato organizzato tutto senza riferimenti del passato. Per questo entrerà nella storia e per questo lo seguiremo con grande curiosità. Visti i nomi al via, non sarà certo una corsa banale. 

Celestino, due appunti sugli azzurri e due su Pidcock

27.08.2022
6 min
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Domani è un grande giorno per la mtb agonistica: a Les Gets, in Francia si assegnano infatti le maglie iridate della specialità principale, il cross country, quella olimpica. L’evento arriva un mesetto prima di quello su strada, che invece si disputerà a Wollongong, in Australia. Mirko Celestino, oggi commissario tecnico della nazionale mountain, ci introduce in questo viaggio iridato.

E il tecnico ligure lo fa con gli occhi e l’esperienza del grande ex di entrambe le specialità e non solo come cittì, appunto. Cosa potranno fare i nostri? E cosa Tom Pidcock, che abbiamo visto stravincere i recenti europei di Monaco?

Mirko, ecco i mondiali. Si sono già disputate alcune prove, su tutte il team relay: come ci arriviamo?

Direi bene. Sin qui abbiamo ottenuto buoni risultati in tutte le categorie in questa stagione. Tutti i ragazzi e tutte le ragazze sono motivate, a partire da Luca Braidot e Martina Berta, parlando degli elite. Ma anche i giovani sono belli carichi. Finalmente con loro stiamo lavorando bene. Marco Betteo e Valentina Corvi hanno dimostrato buone cose…

E infatti siamo partiti con un buon argento nella prova a squadre…

Sì, il team relay è una prova alla quale tengo particolarmente. E’ la prova di squadra per eccellenza. Avevamo una squadra forte e anche gli altri lo sapevano. Mi aspettavo prestazioni competitive.

All’Europeo di Monaco, dove si assegnava solo il titolo elite, hai portato un giovane come Jury Zanotti e non Luca Braidot, vincitore di due gare di Coppa e addirittura in lizza per la conquista della generale. Perché?

Vero, ho portato Zanotti che è un primo anno elite perché se lo meritava. E poi anche perché, visto il percorso non super tecnico, ho preferito far riposare Luca proprio in vista del mondiale.

Ecco Mirko, hai parlato di percorso poco tecnico, mentre a Les Gets le cose sono diverse…

Mah, alla fine i nostri si sono divertiti a Monaco e, tra virgolette, si è anche sottovalutato quel tracciato. I ragazzi mi hanno detto che era super impegnativo: non c’era un metro di recupero, mai un momento in cui poter tirare il fiato. Tante volte i percorsi facili diventano i più complicati da gestire. Certo, visto quanto siamo abituati ad affrontare in Coppa ci saremmo aspettati qualcosa di più, ma alla fine conta la location e quel che si ha disposizione. E sotto questo punto di vista devo dire che a Monaco si è corso in un parco stupendo e pieno di gente.

Dopo un inizio tranquillo, Pidcock si è sfogato. A Monaco ha sempre avuto la situazione sotto controllo
Dopo un inizio tranquillo, Pidcock si è sfogato. A Monaco ha sempre avuto la situazione sotto controllo
E un percorso così, dove c’era da spingere e con salite lunghe… ha avvantaggiato Pidcock?

Tom riesce a spingere rapporti lunghi e di certo con salite lunghe e regolari diventa perfetto per lui. Può mettere tutti in crisi, però abbiamo visto che riesce a farlo su tutti i terreni! Ha un cambio di marcia pazzesco…

Tu, più da ex di entrambe le discipline che da cittì, come lo hai visto?

Molto bene direi! Ho visto che in qualche modo riesce sempre ad accelerare. Quando è a tutta ho notato che ha ancora quella mezza cartuccia in più, come nei finali di salita o di gara. E questo credo sia demotivante per gli altri. Io ci sono passato e mi ricorda parecchio Paolo Bettini. Quando eri lì, lì per essere al gancio, lui si alzava sui pedali e ti faceva un gran male. E accusavi il colpo.

Aveva margine? 

Ho notato che in alcuni punti del percorso guardava il computerino. Oppure nei tornantini si voltava per controllare cosa succedesse sotto di lui. Aveva addosso quella consapevolezza come a dire: «Se vi avvicinate io ne ho ancora». Sembrava si stesse allenando.

E questo perché è un fenomeno lui o perché la strada gli dà tanto motore?

Sicuramente è la strada. Ha un altro colpo di pedale e ne è consapevole. Ne è consapevole sia da un punto di vista tecnico che di approccio. Quando è nella Mtb arriva in un mondo diverso e in qualche modo si sente superiore. La testa fa anche questo. Ricordiamoci i numeri che ha fatto anche lo scorso anno e non solo ai Giochi. Ad Albstadt, dove non aveva punti, è partito ultimo o quasi ed è arrivato quinto. Chi sa di Mtb sa che questo è un numero pazzesco. Un numero anche a livello mentale. E poi lavora bene. Io non riesco a capacitarmi tante volte. Come ho detto, ci sono passato ed è vero che ho fatto il cambio ad una certa età, ma a me per passare da una bici all’altra serviva sempre un bel po’ di tempo. Pidcock invece, ma anche Van Aert nel cross, riesce ad adattarsi subito. Per loro guidare questa o quella bici non fa differenza. Sono fenomeni.

Hai detto che la strada dà molto. E allora perché non far correre anche i nostri di più su strada?

L’idea della strada c’è e mi piacerebbe portarla avanti. Ma poi bisogna fare i conti con il calendario e trovare i momenti giusti. Non è semplice. E poi con che squadra? Non bastano 2-3 atleti per correre (ipotizzando di farlo con i rispettivi team, ndr). Certo, aiuterebbe soprattutto i più giovani a crescere.

Torniamo a Tom, ma stavolta dal punto di vista contrario: dal biker prestato alla strada. La sua discesa dal Galibier è stata memorabile. Si è notata una grande differenza di guida tra lui e gli altri. Quanto c’era del Pidcock biker nell’impresa dell’Alpe?

Tanto. Con le debite proporzioni mi sono rivisto io in discesa su strada. Quando stavo bene staccavo il cervello. Avevo determinazione, cattiveria, voglia vincere. Da fuori ti dicono: «Questo è pazzo. Ora si ammazza». Ma in quel momento tu non fai calcoli. Sei concentrato e determinato. Io feci così nel Giro di Lombardia che vinsi: rischiai tantissimo nella discesa dalla Val Taleggio e questo mi consentì di prendere il margine necessario.

E un campione così i nostri ragazzi lo temono ancora di più?

Non mi piace molto fare certi paragoni o alimentare altre tensioni, ma ai ragazzi dico sempre che anche quando si è super favoriti ci può essere la giornata storta. Che non bisogna mai partire battuti. Luca Braidot, per esempio, sta bene. Dopo le vittorie in Coppa ha preso consapevolezza dei suoi mezzi. Ha capito che anche lui è in grado di fare certe cose. E poi occhio a Martina Berta, sta crescendo bene. E’ migliorata molto. Ed è ancora giovane.

Rapporti liberi e crescita. Nella mtb si cerca l’agilità

24.07.2022
5 min
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Crescita, rapporti liberi o bloccati, sviluppo fisico: continuiamo ad indagare in questa sfera del settore giovanile del ciclismo. In Francia come abbiamo già scritto lo sblocco, nelle gare interne, è realtà già da un po’. Presto si allineeranno anche gli altri Paesi, tra cui il nostro. Ma in un certo senso già lo siamo, visto che alcune discipline come pista e mtb già prevedono l’utilizzo di rapporti liberi. E proprio con il cittì della nazionale di mountain bike, Mirko Celestino, cerchiamo di capire quanto influiscano sulla crescita dei piccoli biker (in apertura, foto Michele Mondini).

In questo weekend il circus della mtb italiana è in Val Casies (Bolzano) per i campionati nazionali. Il cittì ci dedica tempo fra una gara e l’altra, anche dei più giovani. E dall’ultimo degli allievi a Luca Braidot, fresco vincitore di due tappe di Coppa del mondo, la scala dei denti utilizzata è la stessa. Così come è lo stesso (quasi) per intero il circuito che affrontano.

Celestino con i giovani all’italiano di qualche anno fa (foto Alessandro Di Donato)
Celestino con i giovani all’italiano di qualche anno fa (foto Alessandro Di Donato)

Sviluppi metrici corti

«Il problema dei rapporti bloccati, ma direi in generale dei rapporti, in mtb non c’è – chiarisce subito Celestino – Il bloccaggio dei rapporti nelle categorie giovanili su strada infatti riguarda gli ingranaggi più lunghi, quelli che sviluppano più metri, ma in mountain bike certi sviluppi non si raggiungono.

«Non si raggiungono e non ce n’è neanche questa grande necessità, visto che la differenza si fa sulle pendenze estreme o al contrario in discesa. Semmai si va alla ricerca dell’agilità».

E questo aspetto è vero, tanto che negli ultimi anni si è cercato (riuscendoci) d’ingrandire moltissimo i pignoni posteriori. Si è arrivati anche ad un 52, con il 30-32 davanti. E la differenza fra un allievo e un elite, è solo nella scelta della corona anteriore. A parità di percorso un ragazzino userà un 30, per esempio, e un elite un 34. Ma è una scelta libera, non un’imposizione.

Una scelta doppiamente tecnica: sia per una questione di forza dell’atleta (che chiaramente è diversa), sia per una questione di ricerca dell’agilità che al tempo stesso è legata anche al superamento degli ostacoli. Avere sempre una certa cadenza infatti, aiuta a stare in equilibrio e a mantenere sempre quel tanto d’impulso che serve per avanzare.

Agilità docet

Celestino poi parla della sua esperienza e di quanto i rapporti lunghi della strada lo abbiano aiutato da una parte, ma di certo non  lo abbiano avvantaggiato dall’altra. Lo ricordiamo lui è stato un grande stradista, prima di passare alla “ruote grasse”.

«Quando sono passato alla mtb, per tre anni non ho toccato la bici da strada – dice Celestino – e questo perché mi serviva per la posizione e la guida. Quando prendevo la specialissima, infatti, e poi risalivo in mtb mi sembrava di fare dei passi indietro da un punto di vista tecnico. Era come se perdessi sensibilità, e mi ritrovavo al punto di partenza. E dopo tanti anni con i rapportoni della strada spesso mi ritrovavo ad andare duro. 

«Ma per tornare al nostro discorso, in quei tre anni, nonostante la lontananza dalla bici da strada, il rapporto mi era “rimasto addosso”. Lo spingevo bene. Di certo quello e la distanza non erano i miei problemi. E poi va detto che io correvo nelle marathon dove i percorsi sono più “lineari” e meno tecnici rispetto ad un cross country».

L’esperienza di Celestino è indicativa è vero, si riferisce però ad un atleta adulto. Tuttavia è anche vero che il rapporto ti forma. E proprio per questo, se è vero che si va alla ricerca dell’agilità, il discorso che vuole i ragazzini della doppia attività più forti perché in mtb possono utilizzare rapporti liberi “tende a cadere”.

Il fattore che eventualmente sviluppa la forza è la pendenza estrema. Ma poi subentra il discorso della durata di questa pendenza che solitamente è ben inferiore ai 2′ consecutivi nella mtb.

Ancora Braidot. Da giovane il suo coach Cucinotta doveva incalzarlo per far sì che su strada andasse agile (foto M. Mondini)
Ancora Braidot. Da giovane il coach Cucinotta doveva incalzarlo perché su strada andasse agile (foto M. Mondini)

Più guida che forza

Il rapporto ti forma okay, però tornando ai nostri tempi, se Lenny Martinez in salita riesce a spingere uno o due denti in meno dei suoi avversari, questo certo non dipende dalla sua attività in mtb. Semmai dagli allenamenti che ha fatto (e fa) su strada. Ma anche in questo caso Celestino pone dubbi più che legittimi.

«Oggi – continua il cittì – soprattutto i ragazzini, tendono ad allenarsi quasi sempre con la mtb. La bici da strada la usano davvero poco e quando la prendono è per fare scarico, per fare un po’ di agilità in scioltezza su percorsi più lineari che la mtb non consentirebbe di fare. Qualcuno un po’ più “grandicello” la usa per farci una distanza, ma non i lavori di forza. L’approccio è totalmente diverso. Non c’è l’esigenza di ritrovarsi il rapportone. Anzi…».

«Viste le pendenze, una cadenza bassa in mtb si nota ancora di più e noi diciamo sempre di andare più agili, di cercare di spingere subito un rapporto più corto. Quando il muscolo si stanca infatti va alla ricerca del rapporto più “comodo” (che è quello lungo), ma se questo non va bene su strada, in mtb è ancora peggio.

«Un Lenny Martinez spinge di più perché probabilmente ha una sua predisposizione sia fisica che nell’adattarsi al cambio repentino della bici».

Celestino, Pontoni e una strana (ma bella) collaborazione

13.10.2021
4 min
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«Pronto Mirko? Sono Daniele mi farebbe piacere collaborare con te e vedere come lavori». Una telefonata nel bel mezzo dell’estate: Daniele Pontoni chiama Mirko Celestino ed ecco che nasce un bel progetto, che è già una bella storia. Un tecnico, anzi un cittì che aiuta l’altro. Finora si era visto poco, almeno in certe misure. Quasi solo con Villa e Cassani, quindi strada e pista, ma qualcosa sta cambiando. Vuoi per le direttive della Fci, vuoi per il buonsenso dei tecnici stessi, ma Celestino e Pontoni una mano se la sono data e se la daranno.

Pontoni Colledani
Pontoni è cittì del cross da questa estate. Per il friulano un grande passato anche nella Mtb
Pontoni Colledani
Pontoni è cittì del cross da questa estate. Per il friulano un grande passato anche nella Mtb

Il lavoro del cittì

Davvero è così? E perché? Vogliamo sapere come è andata e lo chiediamo proprio a Celestino.

«E’ vero – ammette Celestino – c’è una collaborazione come non c’era mai stata prima. Io sui campi del cross e Pontoni su quelli della mountain bike. E’ la nuova direzione…

«”Ponto” ha una fortuna che io non ho avuto e cioè qualcuno che possa stargli vicino nei suoi inizi da commissario tecnico. Non si tratta infatti di fare “solo” il direttore sportivo, vale e a dire fare le convocazioni e dare le direttive per la gara. No, un cittì deve gestire il budget, organizzare la trasferta, gestire il magazzino… Io ormai sono cinque anni che ricopro questo ruolo e mi sono fatto le ossa. Ma all’inizio è stata dura. Quando ci siamo sentiti Daniele mi ha detto: aiutami su queste cose perché sono inesperto. Lui ha sempre avuto il suo club, ma la nazionale è tutt’altra cosa».

Celestino in Francia? E Pontoni (a destra) fa le veci del cittì alla Mythos Primiero di Massimo Panighel (al suo fianco)
Celstino in Francia e Ponti fa il “cittì della mtb” alla Mythos. Eccolo con Panighel e Simoni

Primo passo in Serbia

E così succede che i due tecnici questa estate si ritrovino a braccetto in Serbia, in occasione del campionato europeo marathon (foto in apertura). Le sensazioni sono subito positive da entrambi le parti. Tanto che qualche settimana dopo in occasione delle premondiali indicate da Celestino stesso c’è una concomitanza tra due marathon. E così Mirko va in Francia alla Forestiere e Daniele a Fiera di Primiero, per la Mythos.

«La verità – continua Celestino – è che alla fine serve gente che sta sul campo, gente che ti aiuta e che contribuisce a limare lo stress di una trasferta, che faccia anche il lavoro sporco e si rimbocchi le maniche. Venendo in Serbia, Ponto ha potuto vedere come andavano gestite alcune cose. Doveva venire anche al mondiale di Capoliveri, ma poi era troppo imminente la sua partenza per la Coppa del mondo di ciclocross in America. No, no… devo dire che siamo già amici e che questa collaborazione farà bene ad entrambi».

E sì, perché anche Celestino ha teso la mano. Mirko si è detto disponibile ad andare sui campi del ciclocross. senza contare che possono dare uno sguardo dal vivo anche agli atleti. Pensiamo solo ai biker che d’inverno fanno ciclocross.

«Esatto: andrò ad aiutarlo nel ciclocross. Anche se non è il mio mondo, lo ammetto. Gli ho detto: tu mi dici cosa devo fare e io lo faccio». A prescindere dalla battuta, che ricorda quella del comico di Zelig, emerge lo spirito di collaborazione anche da parte di Celestino.

Celestino è tecnico della nazionale Mtb da cinque anni. Segue tre specialità (uomini e donne): cross country, marathon ed eliminator
Celestino è tecnico della nazionale Mtb da 5 anni. Segue tre specialità (uomini e donne): cross country, marathon ed eliminator

Due ragazzi umili

Stima e fiducia reciproca per due caratteri e due storie che tutto sommato si somigliano: vocazione verso il lavoro, una lunga e prosperosa carriera da atleti e una buona dose di umiltà.

«Pontoni non lo conoscevo – conclude Celestino – Sapevo chi fosse, qualche parola di circostanza ma nulla più. Ma è bastato poco per capirci. E’ una di quelle persone che basta che ci stai quattro ore e sembra che lo conosci da una vita. E la cosa bella è che ho notato che questa sintonia si è creata anche con il mio staff. Lui mi ha detto: che bel gruppo che hai intorno a te, Mirko. C’è gente che dà l’anima. Si vede che lavorano non solo perché possano dire “sono stato in nazionale”, ma proprio perché ci credono.

«Pensate che anche i miei collaboratori hanno detto che in caso di chiamata sono pronti ad aiutare Pontoni. Quella telefonata l’avrei dovuta fare io!». 

Celestino: «Noi? Niente scuse». E sulla passerella di VdP…

27.07.2021
5 min
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La Mtb saluta le Olimpiadi, dopo la fresca tripletta svizzera fra le donne (Neff, Frei, Indergand. Lechner 25ª). Ma a tenere banco è stata soprattutto la prova maschile. Più che altro perché avevamo in gara tre azzurri e tutti attendevano il duello fra Pidcock e Van der Poel, magari con lo zampino di Nino Schurter. Invece ieri è successo di tutto. Un favorito vince, uno si ritira a causa dell’ormai famosa passerella, e la consueta sorpresa a cinque cerchi butta giù dal podio il re, cioè Schurter.

Celestino fra i suoi ragazzi: Lechner e Colledani a sinistra, Braidot e Kerschbaumer a destra (foto Federciclismo)
Celestino fra i suoi ragazzi: Colledani (a sinistra), poi Braidot e Kerschbaumer (foto Federciclismo)

Delusione importante

Era sera tardi quando siamo riusciti a parlare con Mirko Celestino, cittì degli azzurri. Lui e i suoi ragazzi erano a cena e il tono non era certo dei migliori.

«Che dire? Non siamo riusciti a tirare fuori il ragno dal buco. C’è delusione. Gery (Kerschbaumer, ndr) è partito bene e tra me e me dicevo: meno male, la fase più delicata è andata. Adesso sono più tranquillo. Non faccio in tempo a finire questo pensiero che inizia a perdere posizioni. Da lì in poi ha preso grandi schiaffi. Nadir Colledani addirittura è stato fermato perché uscito dall’80% . Mi diceva di aver avuto brividi di freddo, una cosa mai provata prima. Ha “litigato” con la bici fino allo stop. E poi Luca Braidot: non riusciva ad andare avanti. Lui è stata la notizia più negativa perché era colui che stava meglio. Ma serve anche questo. Bisogna capire che se non lotti con il coltello fra i denti non basta. Non basta fare tutto bene. Non ho visto i tempi sul giro ma non sono mai stati in gara».

Per Kerschbaumer una discreta partenza, poi un calando continuo
Per Kerschbaumer una discreta partenza, poi un calando continuo

Nessuna scusa

Celestino è davvero dispiaciuto. Aveva lavorato bene. Si è era reso protagonista di un buon avvicinamento con i ritiri e le gare. E allora ci si chiede: è anche una questione mentale?

«Non abbiamo scuse: non abbiamo avuto problemi tecnici o altro. Ci siamo acclimatati bene, abbiamo provato il percorso, abbiamo il nostro cuoco, il massaggiatore, non faceva neanche così caldo… tutto perfetto. Ipotizzavo di metterne almeno uno nei dieci e tutti e tre nei 15. Invece non ne abbiamo messo neanche uno nei primi 19.

«Dite questione mentale: ma cavolo, tre su tre? Troppa tensione? Eppure non sembravano così tesi. Ho cercato di farli stare tranquilli, che era una gara come le altre. Che non dovevano farsi ingannare dall’enorme posta in palio. Quella ti fa sembrare tutto diverso, hai una percezione distorta delle difficoltà e delle emozioni. Spiace, perché i miei ragazzi sono più forti di alcuni che gli sono arrivati davanti».

La foto che ha fatto il giro del mondo postata da Van der Poel
La foto che ha fatto il giro del mondo postata da Van der Poel

Passerella galeotta

Con il cittì si passa poi a parlare della famosa passerella di Van der Poel.

«Eh – sospira Celestino – ho vissuto in prima persona questa storia, perché questa passerella sin dal test event era stata messa vicino a questo salto, che era un bel salto. La mettevano e la toglievano a seconda dei passaggi. La lasciavano soprattutto per le donne. Però poi durante i giorni precedenti era sempre montata. Era lì che con i ragazzi e con Eva Lechner facevo i video e le foto per studiare le traiettorie. E ogni volta Vdp passava sulla passerella. Un giorno che abbiamo provato ho fatto il giro a ruota di Eva. Arrivati in quel punto lei ha fatto il salto, io ho preso la passerella e avrò perso un secondo, forse. Al che mi sono detto: guarda che accortezza Van der Poel, non lascia nulla al caso. Fa la passerella per non rischiare nulla: né cadute, né guai (inoltre aveva scelto di non usare il reggisella telescopico, ndr). Van der Poel ha provato un solo giorno pieno».

Forse l’appuntamento olimpico meritava una concentrazione maggiore. Bisognava stare “più sul pezzo” a 360 gradi.

La slide mostrata durante la riunione tecnica alla vigilia della gara (foto Celestino)
La slide mostrata durante la riunione tecnica alla vigilia della gara (foto Celestino)

Errore madornale

Ma quindi questa passerella è stata tolta la mattina prima del via? Come è andata?

«Sì è stata tolta la mattina prima del via. Si poteva girare per provare. Avevano un’ora gli uomini e un’ora le donne. Eva, che ha provato, mi ha subito detto: hanno tolto la rampa. Mathieu non ha provato, ma come lui anche altri. Anche gli azzurri. Noi eravamo a posto e non avevamo esigenza di girare, meglio risparmiare energie.

«Ma sapevamo che la rampa non ci sarebbe stata. Lo avevano detto la sera prima nella riunione tecnica. Un errore grosso suo e del suo staff. Ma era stato chiaramente detto che l’avrebbero tolta. Io poi ho visto la scena dal video perché in quel momento ero nella parte opposta del percorso e ho pensato proprio: vuoi vedere che Vdp si è dimenticato della passerella? E così è stato visto che lui stesso lo ha poi ammesso».