Dopo le considerazioni di Baldato sulla tappa numero venti del prossimo Giro d’Italia (la cronoscalata di Monte Lussari) cerchiamo di entrare maggiormente nello specifico. Una frazione del genere ha tante possibili sfaccettature ed altrettanti finali pronti per essere scritti. In compagnia virtuale di Maurizio Mazzoleni, il preparatore dell’Astana Qazaqstan che al momento si trova sul Teide, cerchiamo di entrare in queste mille sfaccettature.
«La prima valutazione – spiega Mazzoleni – vedendo la tappa, è che si presuppone un cambio bici. Però non è assolutamente detto, ogni squadra dovrà valutare i materiali a disposizione e capire, tramite le proiezioni dei dati, se converrà optare per questa soluzione».
Credi che l’eventuale cambio di bici possa essere una fase fondamentale della tappa?
Sì, nel senso che sarà un passaggio delicato, ma più per quanto riguarda i tempi e le difficoltà tecniche del cambio da un mezzo all’altro.
Dal punto di vista atletico?
Quello no, il corridore passa da una situazione biomeccanica e posturale estrema ad una più comoda. Ogni situazione dovrà essere curata al meglio ma alla fine si tratta più di gestire lo sforzo.
Undici chilometri di pianura prima della salita non sono molti ma possono incidere.
Andrà valutata bene l’intensità con la quale affrontare quel tratto, non si può richiedere all’atleta uno sforzo massimale perché rischia di arrivare ai piedi della salita finito. La grande differenza la farà la condizione con la quale arriverà a fine Giro. Ci si giocherà la classifica finale, quindi la pressione psicologica sarà alle stelle.
Come si prepara una tappa del genere?
Si svolgono lavori specifici all’interno di macrocicli e microcicli di allenamento, per la parte in salita si prepara uno sforzo intenso ma molto simile a quello di un normale arrivo in salita. Avremo i classici trenta minuti con sforzo massimale, ai quali si aggiunge il lavoro specifico con la bici da crono. Una cosa è certa…
Quale?
Una tappa così la prepara solamente il leader o uno scalatore che punta alla vittoria. Gli altri componenti della squadra non ne hanno il minimo interesse. Ogni leader o comunque ogni corridore è diverso e i modi di preparare questa tappa sono tanti.
C’è una caratteristica di questa frazione che ti ha colpito?
Direi la salita. I primi cinque chilometri sono davvero tosti con pendenze anche al 15 per cento. Poi spiana per più o meno mille metri e lì i corridori potranno rifiatare prima di lanciarsi nuovamente nel tratto finale.
Con tutte le strumentazioni si riesce ad essere precisi nelle indicazioni?
Ormai gli atleti nelle cronometro, soprattutto in quelle di questo genere, hanno delle predisposizioni di wattaggio che devono rispettare. Sta al preparatore essere bravo e trovare i momenti giusti nei quali l’atleta, seppur spingendo, potrà comunque rifiatare. Un altro aspetto fondamentale da curare sarà la respirazione, per una corretta ossigenazione dei muscoli.
Nel passato hai seguito tanti corridori, ti ricordi di altre cronoscalate?
Me ne ricordo una al Giro d’Italia del 2014, quella del Monte Grappa, con Aru (foto di apertura, ndr). Vinse Quintana e secondo arrivò Fabio. Anche in quel caso ci fu il cambio di bici perché il tratto che da Bassano portava all’attacco della salita era molto veloce. Ne ricordo anche un’altra.
Quale?
La tappa numero 18 del Tour de France del 2016: da Sallanches a Megeve. Sempre con Fabio Aru che aveva fatto veramente bene. In quel caso non optammo per il cambio bici perché si potevano ancora adoperare le estensioni per il manubrio da strada. Ricordo che studiammo i materiali per avere la massima performance e Aru utilizzò una ruota posteriore con una raggiatura particolare. Fabio nei tratti in salita si alzava spesso sui pedali e quella ruota aveva una grande reattività che permetteva di spingere a terra tutta la potenza impressa dal sardo.
E’ impensabile fare una cronoscalata come quella di quest’anno con la bici da crono?
Non del tutto, la tecnologia è andata avanti molto ed ora i modelli da cronometro sono estremamente leggeri. Alcuni telai che vengono utilizzati su quei mezzi sono “aero” e cambia solamente il manubrio. La posizione in sella fa tanto, una bici da strada risulta più comoda, il cambio bici lo si potrebbe fare anche per questo motivo.
Baldato, guardando in “casa sua” ha fatto il nome di Almeida. Un corridore costante e forte mentalmente, conterà tanto questa caratteristica?
Una tappa del genere è in mano al cento per cento all’atleta. La concentrazione è una capacità intrinseca al corridore, si può allenare ma poi ognuno è fatto a suo modo. Una figura importante in una corsa del genere è il mental coach perché può aiutare il ciclista a trovare la sua dimensione ideale e rendere al massimo.
Di solito ci si attiene a quello che può considerarsi un “rito” per isolarsi e trovare la concentrazione.
Certo, per ogni cronometro noi abbiamo dei protocolli che vanno seguiti. Si parte dalla ricognizione, poi il pranzo e l’avvicinamento, il warm up. Sono tempi canonici che aiutano a scandire il tempo ed allontanare le pressioni. Diventa quasi più un fatto mentale che fisico.