Pierino Gavazzi lanciò “l’inverno moderno”

26.01.2021
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L’immagine che tutti abbiamo di Pierino Gavazzi è lui che vince la Sanremo davanti a Saronni. Il lombardo, anche se rispetto a molti altri campioni ha vinto “poco”, è rimasto nel cuore degli appassionati per il suo carattere di attaccante, di corridore mai domo, furbo… Un Taccone, un Chiappucci, un Bitossi. Gente così non la puoi dimenticare.

E non l’ha dimenticato neanche Paolo Savoldelli, quando l’altro giorno ci parlò del suo essere stato innovatore per quel che riguarda la preparazione. «Gavazzi fu il primo a non fermarsi d’inverno e questo aprì una nuova strada», aveva detto più o meno il Falco Bergamasco.

Pierino Gavazzi vince la Sanremo del 1980 davanti a Saronni
Pierino Gavazzi vince la Sanremo del 1980 davanti a Saronni

Età e stop

Non potevamo quindi non ascoltare Pierino stesso.

«Il non fermarmi più – spiega Gavazzi – era legato all’età. Avevo notato che con il passare degli anni facevo sempre più fatica a prendere il ritmo. Per entrare in forma impiegavo ogni stagione due o tre settimane in più. Così cercavo di tenermi in attività.

«Un po’ però l’ho sempre fatto. Anche quando ero giovane qualche camminata la facevo. Ai miei tempi si correva otto mesi ed erano otto mesi filati. Oggi chi punta alle classiche, chi punta ai Giri… fanno due mesi e poi spariscono. Senza contare che le gare erano più lunghe e si facevano più chilometri. Mediamente tra corse e allenamenti mi attestavo tra i 37-38.000 chilometri l’anno, ma una stagione che feci Giro, Giro di Svizzera e Tour arrivai a 43.000» .

Camminate e ciclocross

«Mi accorsi che avevo bisogno di tenermi in attività a 34 anni. E così dall’inverno successivo, a 35 anni, non mi sono più fermato (Pierino ha corso fino a 41 anni, ndr). Dopo il Lombardia continuavo un’altra settimana. Poi ne facevo un paio senza bici, ma andavo a camminare. Quindi iniziavo con il ciclocross e due anche tre uscite settimanali con la bici da corsa. Da dopo Natale o dai primissimi giorni dell’anno, iniziavo la preparazione vera e propria. Bastavano un po’ di giorni di bel tempo e riprendevo.

«La differenza la sentivo eccome. Questo metodo mi ha consentito di vincere il Laigueglia a 39 anni. Comunque non ero il solo a fare così, anche altri meno titolati lo facevano».

Gavazzi è lombardo e dalle sue parti, specialmente all’epoca, faceva freddo davvero in quei mesi. Lui cercava il “tepore” dei laghi.

«Esatto, mi spostavo sul Garda o sul Lago d’Iseo, lì in qualche modo ruscivo ad allenarmi bene. Poi a fine gennaio si andava in Liguria, prima, e in Toscana, poi. Andavamo a Follonica o più su verso Camaiore».

Pierino Gavazzi (dietro) e Gibì Baronchelli durante un cross (foto Carugo)
Pierino Gavazzi durante un cross (foto Carugo)

Lo “stacco” estivo

Quando era più giovane invece Gavazzi pedalava ancora un po’ dopo il Lombardia, ma sostanzialmente fino a Natale non toccava la bici, faceva appunto solo qualche camminata. L’idea del cross gli è venuta dopo. Ma visti i buoni risultati gli abbiamo chiesto cosa pensasse degli stradisti attuali che fanno cx, a partire da Fabio Aru.

«Aru viene da due anni bui, cerca il riscatto. Il cross di certo ti dà qualcosa, ma io penso ai belgi. Quelli davvero non staccano mai e fanno il cross in modo agonistico di brutto. Mi chiedo quanto davvero potranno durare. Van Aert e Van der Poel sono portati per le classiche, ma la loro attività nel cross è molto impegnativa. E’ vero che io non mi fermavo mai, ma ai miei tempi dopo il campionato italiano, prima delle premondiali, c’era un mesetto buono. Facevo due settimane di scarico, pedalavo poco, ma riuscivo ad arrivare a fine stagione senza avere il serbatoio vuoto».