Belletta: un faro per Amadori e ora il Next Gen con la Solme Olmo

03.06.2025
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Nelle ultime due prove di Nations Cup il filo conduttore per la nazionale di Marino Amadori è stata la presenza di Dario Igor Belletta, oltre ai risultati ottimi raccolti prima in Polonia e poi in Repubblica Ceca. Il profilo del lombardo, passato a inizio stagione dalla Visma Lease a Bike Development alla Solme-Olmo ha avuto sicuramente risalto nelle trasferte azzurre. Il suo arrivo nel team di Giampietro Forcolin e il cammino verso il prossimo Giro Next Gen sono stati temi importanti per il cittì Amadori, il quale ha voluto puntare tanto sul ventunenne lombardo (in apertura foto Tomasz Smietana). 

Ora Belletta si trova in ritiro proprio con la Solme-Olmo per rifinire la condizione in vista del Giro Next Gen

«Si tratta dell’appuntamento principale della stagione – ci racconta subito – perché per un ragazzo italiano non credo ci sia gara più importante. Le gare con la nazionale under 23 mi hanno dato una grande mano per migliorare e presentarmi in buona condizione al via di Rho, che tra l’altro è a pochi chilometri da casa mia (Belletta è nato e vive a Magenta, ndr)».

Dario Belletta il terzo da destra, ha corso entrambe le prove di Nations Cup con la nazionale U23, qui in Polonia (foto Tomasz Smietana)
Dario Belletta il terzo da destra, ha corso entrambe le prove di Nations Cup con la nazionale U23, qui in Polonia (foto Tomasz Smietana)

Maggio azzurro

Il mese di maggio è stato un importante crocevia per Amadori che ha potuto vedere i suoi ragazzi all’opera e prendere appunti in vista degli appuntamenti cardine della stagione azzurra. Le risposte arrivate in Polonia e Repubblica Ceca hanno messo in evidenza le qualità del gruppo under 23 che ha trovato un equilibrio importante sia in corsa che fuori. Una parte del merito è da attribuire anche Dario Igor Belletta.  

«Ci siamo divertiti – dice – e abbiamo fatto divertire. Torniamo a casa con due top 3 in classifica generale (Mellano e Turconi in Polonia e Gualdi in Repubblica Ceca, ndr). L’opportunità di correre entrambe queste gare con la nazionale mi ha fatto molto piacere e devo dire grazie a Marino Amadori. Gli ho scritto l’altro giorno, lunedì, una volta tornati a casa. L’ho ringraziato dicendogli che mi sarebbe piaciuto fare qualcosa per ricambiare la fiducia. Mi ha risposto che vuole vedermi lottare al Giro Next Gen».

Dopo un avvio di stagione a rilento la condizione è migliorata gara dopo gara e queste due corse a tappe sono state fondamentali (foto Tomasz Smietana)
Dopo un avvio di stagione a rilento la condizione è migliorata gara dopo gara e queste due corse a tappe sono state fondamentali (foto Tomasz Smietana)
Quindi il prossimo obiettivo è già nel mirino?

Assolutamente, nei prossimi giorni visionerò le prime due tappe, ma il Giro Next Gen sarà ricco di occasioni. Mi piace molto la seconda frazione, che arriva a Cantù, ma per il resto ci sono tante tappe adatte a corridori come me.

Dopo un inverno senza giorni di corsa quanto era importante trovare il ritmo in gruppo?

Tanto. Sapevo di non essere nella mia miglior condizione ma sono contento di aver messo nelle gambe due gare a tappe internazionali e di aver aiutato i miei compagni. Sono riuscito a fare quello che mi aveva chiesto Amadori e ne sono contento, anzi ho fatto anche leggermente meglio di quello che mi sarei aspettato. Magari ho sacrificato qualche risultato ma era la cosa giusta da fare per cercare di ottenere il meglio come squadra. 

Un bel modo per rientrare, stare accanto a compagni giovani e talentuosi. 

Mellano, Turconi e Gualdi sono ragazzi forti, molto. Mi è piaciuto ricoprire questo ruolo che sento mio. Per motivi fisici, visto che peso 75 chili e sono alto 187 centimetri, fare classifica è difficile. Far vedere che sono capace di condurre una gara in supporto e farmi trovare pronto è una bella cosa e penso sia un biglietto da visita anche per una chiamata nel professionismo. Tante squadre cercano un profilo come il mio. 

C’è qualcosa che senti di avergli trasmesso?

A livello atletico sono validi ma non si erano mai trovati in situazioni di corsa del genere in cui sei chiamato a fare classifica e guidare una squadra in gare internazionali. Hanno risposto bene conquistando piazzamenti davvero di ottimo rilievo. Sono ragazzi di grandissimo talento e adesso dovrò affrontarli al Giro Next Gen da avversari, non sarà semplice ma avremo obiettivi diversi. 

Per Belletta il miglior risultato in stagione è stato il secondo posto alla Milano-Busseto, ora al Giro Next Gen vuole ripagare la fiducia della Solme-Olmo (photors.it)
Per Belletta il miglior risultato in stagione è stato il secondo posto alla Milano-Busseto, ora al Giro Next Gen vuole ripagare la fiducia della Solme-Olmo (photors.it)
Ora avrai anche spazio per cercare un risultato personale e ripagare anche la fiducia della Solme-Olmo?

Penso che per la squadra sia stato bello avere un corridore presente a entrambe le prove di Nations Cup. Però sì, ora ho la possibilità di raccogliere qualche risultato con la loro maglia. Al Giro Next Gen la squadra non parte con ambizioni di classifica, quindi saremo liberi di muoverci. A parte le tappe del Passo Maniva e di Prato Nevoso penso di avere ottime chance. 

Come ti senti a livello di condizione?

Aver corso in due gare a tappe mi ha dato tanto. Sia in Polonia che in Repubblica Ceca sono riuscito a rimanere tante volte con i migliori anche in percorsi non tanto adatti alle mie caratteristiche. Segno che la condizione c’è. Dopo un inverno difficile dal punto di vista mentale sento di aver trovato la serenità giusta che mi sta facendo migliorare tanto. 

Gli ultimi giorni prima del via come li trascorrerai?

In maniera tranquilla insieme ai miei compagni in ritiro e poi inizierà la sfida. Sono pronto e non vedo l’ora di partire.

Mellano si veste d’azzurro, vince in Polonia e fa passi da gigante

24.05.2025
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Ludovico Mellano risponde con voce ferma e pacata, senza averlo faccia a faccia sembra di parlare con una persona ben più grande dei diciotto anni che porta sulla carta d’identità. I baffi appoggiati sopra le labbra, spessi e folti, danno un senso di vissuto. Sotto a questi però brilla un sorriso giovane, dolce e che racchiude speranze e sogni di un ragazzo al suo primo anno under 23. Marino Amadori, il cittì della nazionale, lo ha voluto con sé all’Orlen Nations Grand Prix. Mellano non lo ha deluso, vittoria di tappa (in apertura foto Tomasz Smietana) e secondo posto in classifica generale.

Un impegno dopo l’altro

Gli impegni e i giorni quando si è giovani passano velocemente, il ragazzo che è arrivato tra gli under 23 con il devo team della XDS Astana ora è alla Ronde de l’Isard. In Francia farà ancora esperienza e metterà chilometri nelle gambe. Al Giro Next Gen non ci sarà. Mellano stringe le spalle, sa che non tutte le esperienze possono arrivare al primo anno. Questa se la godrà più avanti. 

«Ora correrò in Francia – ci ha raccontato alla vigilia della Ronde de l’Isard – perché la squadra ha voluto testarmi in questo tipo di gare. Non so nemmeno io come reagirò a sforzi più lunghi e su salite così impegnative. E’ comunque un bel banco di prova e sono curioso di vedere come andrà (nella giornata di ieri, venerdì, Mellano ha vinto la terza tappa della corsa francese, ndr)».

Nella terza tappa Schrettl ha tolto il primato a Mellano, il giovane austriaco ha poi vinto la generale (foto Tomasz Smietana)
Nella terza tappa Schrettl ha tolto il primato a Mellano, il giovane austriaco ha poi vinto la generale (foto Tomasz Smietana)
Per essere il tuo primo anno da under 23 sei partito davvero forte…

Sì, ho cominciato a correre in Grecia a inizio marzo. Si è trattato di una partenza “soft” con un livello non troppo elevato se lo paragoniamo alle gare in cui mi sono messo alla prova ora. E’ stato un buon test per scoprire come ci si muove in gruppo e per vedere la mia reazione su distanze ben più impegnative rispetto alla categoria juniores

Com’è andata?

Non ho sentito troppa differenza. Tra gli under 23 le gare si svolgono in maniera molto più ordinata e questo mi ha permesso di arrivare nei vari finali con forza nelle gambe per fare gli sprint. Penso che il merito sia da attribuire al nuovo metodo di allenamento. 

Raccontaci…

Durante l’inverno ho fatto molti chilometri, concentrandomi tanto sul volume. Anche i lavori specifici sono diventati ben più impegnativi e intensi. Al momento il mio preparatore è Alberto Nardin, abita vicino a casa mia (Cuneo, ndr) e spesso mi segue durante le uscite. Per me è una cosa ottima. 

Per Mellano all’Orlen Nations Grand Prix la prima esperienza con la nazionale under 23 (foto Tomasz Smietana)
Per Mellano all’Orlen Nations Grand Prix la prima esperienza con la nazionale under 23 (foto Tomasz Smietana)
Nello specifico cos’è cambiato?

Ho introdotto molti più lavori sulle salite, quindi sforzi medio-lunghi. Negli allenamenti specifici, come i 30/30 o i 40/20, mantengo un’intensità più alta a fine ripetuta. Quindi una volta finito l’ultimo scatto mantengo un ritmo abbastanza alto, per simulare la gara. All’inizio è stato faticoso ma il mio corpo si è adattato bene, tanto che con il passare del tempo ho sentito una gamba diversa, piena. 

Ti aspettavi di raccogliere subito questi risultati?

L’inverno l’ho passato bene, questo ha sicuramente contribuito in maniera positiva alla mia condizione. Correre con periodi strutturati, e non ogni fine settimana, mi ha permesso di avere dei picchi di forma. Al Piva e al Circuit des Ardennes sentivo di stare bene, infatti sono arrivati degli ottimi risultati. Proprio dopo la prima gara in Francia, Marino Amadori mi ha contattato dicendomi che ci sarebbe stata la possibilità di correre in Polonia con la nazionale under 23. Nello stesso periodo sarei dovuto andare con i miei compagni in altura, ma la possibilità di vestire la maglia azzurra era troppo ghiotta. 

Sei anche riuscito a vincere…

E’ sempre bello. Riuscire a farlo all’esordio in una nuova categoria è uno stimolo importante e una bella soddisfazione da togliersi. Sinceramente mi aspettavo di fare bene, dagli allenamenti vedevo numeri davvero incoraggianti. Già dalle Ardenne avevo visto che se avessi voluto emerge avrei dovuto spingere quei watt. 

Però un conto sono i numeri e un altro le sensazioni in gara.

In Francia e al Piva ho capito di doverci credere e che se lo avessi fatto mi sarei potuto giocare le mie chance. Ecco, non credevo di poter vincere, ma di entrare tra i primi con un bel piazzamento sì. Sicuramente è stato un ottimo step in vista del futuro.

E adesso?

Dopo la Ronde de l’Isard farò la maturità e infine mi tufferò nella seconda parte di stagione.

L’Italia di Amadori riparte tra vittorie, nuovi innesti e regole diverse

22.05.2025
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L’Italia di Amadori è tornata a correre e ha ripreso a macinare chilometri e risultati. Come da consuetudine il primo appuntamento dell’anno arriva nel mese di maggio e coincide con l’Orlen Nations Grand Prix. La prima prova di Coppa delle Nazioni che vede protagonista la nostra nazionale under 23. Sulle strade polacche gli azzurrini mettono in fila una serie di ottime prestazioni, coronate da due vittorie di tappa. Oltre a ciò è arrivato anche il secondo e terzo posto in classifica generale, rispettivamente conquistati da Mellano e Turconi, alle spalle dell’austriaco Marco Schrettl (in apertura foto Tomasz Smietana) 

Gli azzurri di Amadori in Palonia, da sx: Mellano, Zamperini, Filippo Agostinacchio, Turconi, Belletta e Giaimi (foto Tomasz Smietana)
Gli azzurri di Amadori in Palonia, da sx: Mellano, Zamperini, Filippo Agostinacchio, Turconi, Belletta e Giaimi (foto Tomasz Smietana)

Nuove regole, gioco diverso

Andiamo con ordine e riavvolgiamo il nastro. La stagione 2025 vede un’importante novità dal punto di vista dei regolamenti. L’UCI ha infatti deciso di escludere i professionisti dalle prove che assegnano il titolo europeo e mondiale under 23. Una scelta importante, condivisibile o meno, ma che cambia le regole del banco. Chi tiene le carte in mano, il nostro cittì Marino Amadori, vede modificare un po’ il tutto. Come giocherà i suoi assi?

«Dovrò pianificare diversamente – racconta Amadori da casa mentre prepara la seconda trasferta dell’anno – mondiali ed europei. Penso l’UCI abbia preso una decisione corretta. Quello di Zurigo è stato un mondiale semi professionistico. Trovo giusto mettere delle regole, anche se competere con i ragazzi dei devo team sarà difficile per chi arriva da formazioni continental o di club. Ma questo fa parte del gioco».

Torniamo alla prima prova di Nations Cup per i nostri under 23, che punto hai fatto una volta tornato a casa?

Ero convinto di aver messo insieme una buona squadra e sono felice di quanto raccolto. Abbiamo programmato bene l’impegno e per questo devo ringraziare le squadre e i team. Da tempo sapevo quali ragazzi avrei portato con me e conoscevamo bene i percorsi. 

Due vittorie di tappa e una classifica generale vissuta da protagonisti…

Mellano e Zamperini hanno vinto e sono molto felice per loro. Sono agli opposti della categoria. Il primo è al suo esordio tra gli under 23, mentre l’altro era alla ricerca di conferme dopo il cambio di squadra. Abbiamo vinto, largamente, anche la classifica a squadre. Segno di una buona prestazione da parte di tutti e sei i ragazzi. 

Il primo successo di tappa in Polonia lo ha firmato Ludovico Mellano, alle sue spalle Turconi e l’austriaco Schrettl (foto Tomasz Smietana)
Ludovico Mellano, Filippo Turconi, Orlen Nations Cup 2025, Italia, Mellano, Turconi (foto Tomasz Smietana)
Una formazione divisa in due tra chi ha più esperienza e chi meno, ti aspettavi una prestazione ottima dai due più giovani. Mellano e Turconi?

Ormai tra gli juniores si va forte. La scelta libera dei rapporti, la preparazione e i mezzi permettono a molti ragazzi di arrivare tra gli U23 pronti. Anzi, alcuni passano direttamente nel WorldTour. Mellano e Turconi sono stati bravi, il primo ha vinto una tappa e indossato la maglia di leader. Entrambi sono stati protagonisti fino in fondo e si sono giocati la vittoria finale. 

Con una seconda tappa da assoluti protagonisti…

Esatto. Sono stati molto bravi correndo all’attacco e dando del filo da torcere a tutti. Purtroppo il giorno dopo l’austriaco Schrettl ha dimostrato di essere altrettanto forte e ci ha tolto il primato. Così l’ultimo giorno abbiamo cambiato un po’ le carte in tavola e siamo andati per la vittoria di tappa. 

Nella quarta e ultima tappa Zamperini ha fatto brillare la maglia di campione italiano U23 conquistata lo scorso anno (foto Tomasz Smietana)
Nella quarta e ultima tappa Zamperini ha fatto brillare la maglia di campione italiano U23 conquistata lo scorso anno (foto Tomasz Smietana)
Che è arrivata con Zamperini, come lo hai visto dopo i primi mesi nel devo team dell’Arkea?

Non benissimo, ma conosco le sue qualità e ho voluto dargli fiducia. Prima di venire in Polonia abbiamo parlato e lui è stato bravo a staccare e farsi trovare pronto. Mi auguro sia la vittoria che gli possa permettere di trovare la strada giusta. 

Tra poco arriva il secondo appuntamento di stagione con la Corsa della Pace, altra prova di Nations Cup. Chi porterai con te?

Dai devo team Gualdi e Savino. Dai team continental Gabriele Bessega e Tommaso Bosio. Mentre delle formazioni di club Dario Igor Belletta e Riccardo Lorello. Proprio per Belletta ho parlato con la Solme Olmo, crediamo molto nelle sue qualità quindi abbiamo realizzato un programma ad hoc in vista del Giro Next Gen. 

Se per mondiale ed europeo le scelte sono più “bloccate” in ottica Tour de l’Avenir ci sarà spazio per tutti…

Ad esempio Turconi è un ragazzo sul quale dovremo riporre molta attenzione. E’ già professionista visto che corre nella Vf Group-Bardiani: per la prova continentale e mondiale non potrà essere schierato. Ma in vista del Tour de l’Avenir è un profilo da attenzionare.

20 marzo 1999, quando Sara Felloni incendiò via Roma

28.03.2025
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L’avvocato Sara Felloni di Fiorenzuola d’Arda, classe 1972, è ancora l’unica italiana ad aver vinto la Milano-Sanremo Donne, che al tempo si chiamava Primavera Rosa. Lo fece nel 1999, arrivando poi terza nel 2001. Correva con la maglia della Acca Due O di Maurizio Fabretto che aveva sull’ammiraglia Marino Amadori, ex pro’ e attuale cittì degli under 23, che aveva guidato Fabiana Luperini alle vittorie del Giro e del Tour.

Sara non era una velocista qualunque. Era stata seconda ai mondiali della velocità su pista, l’anno dopo la vittoria di Sanremo avrebbe vinto una tappa al Giro d’Italia, mentre l’anno prima aveva già indossato la maglia rosa. Ha partecipato a quattro edizioni dei mondiali su strada, il migliore quello di Zolder nel 2002 chiuso al decimo posto, prima del ritiro a fine stagione.

Nel 2001 in maglia Alfa Lum, di nuovo sul podio della Primavera Rosa, terza dietro Ljungskog e Melchers
Nel 2001 in maglia Alfa Lum, di nuovo sul podio della Primavera Rosa, terza dietro Ljungskog e Melchers

Terza prova di Coppa del mondo

Ora che l’assalto di Longo Borghini è stato vanificato solo nel finale e che nessun’altra azzurra è riuscita a opporsi alla potenza di Lorena Wiebes, il primato di Sara Felloni resta intatto e per questo abbiamo pensato di chiamarla, riconoscendole il merito che si guadagnò sulla strada il 20 marzo di 26 anni fa.

«Si partiva da Varazze – ricorda – non si facevano le distanze di oggi. La corsa misurava 118 chilometri, in Italia era la seconda gara stagionale. Io ero alla partenza in buona condizione, perché per noi che facevamo attività internazionale, l’anno era cominciato già da un po’. Venivo dall’apertura di Coppa del mondo in Australia e Nuova Zelanda (due gare, a Canberra e Hamilton, della lunghezza di 102 e 102,6 chilometri, ndr), la Primavera Rosa era la terza prova. Laggiù avevamo fatto anche una breve corsa a tappe, stavo bene».

Nel 2000, da vincitrice uscente, Felloni riceve a Varazze un quadro da Piero Coppi, cugino di Fausto
Nel 2000, da vincitrice uscente, Felloni riceve a Varazze un quadro da Piero Coppi, cugino di Fausto
Eravate stati a vedere il percorso oppure era una novità?

Amadori ci aveva portato a fare gli ultimi chilometri, aveva questa formazione che gli veniva dai professionisti. Ero concentratissima, era fondamentale tenere duro sui Capi, la Cipressa e poi il Poggio, ma non sapevo in che modo li avrebbero affrontati. Sapevo che avrei dato l’anima per restare davanti e così feci.

Come finì?

Arrivammo sull’Aurelia, sapevo che me la sarei giocata. Ricordo che mi tirò la volata Zulfia Zabirova, che poi la Primavera Rosa l’avrebbe vinta per due anni di seguito. Mi lasciò ai 300 metri e io feci la mia bella volata (foto di apertura, ndr).

Probabilmente chi ha seguito la vittoria di Lorena Wiebes non sa chi fossi come atleta…

Nessuno si ricorda più di niente. Ma io ho messo la maglia rosa e vinto una tappa al Giro e varie altre corse. Ero veloce perché venivo dalla velocità su pista, dove ho vinto dei campionati italiani e fui anche vicecampione del mondo nel 1989. Ho corso e vinto il Tour aiutando Joane Somarriba nel 2001. Non ho vinto la Primavera per caso, anzi. Era un bel ciclismo anche quello, invece sabato ho sentito dei commenti un po’ a vanvera durante la telecronaca…

Nel 2001, Felloni è nell’Alfa Lum che scorta Somarriba alla vittoria del secondo Tour (foto Pete Geyer)
Nel 2001, Felloni è nell’Alfa Lum che scorta Somarriba alla vittoria del secondo Tour (foto Pete Geyer)
Hai seguito la corsa?

Certo. Avevo puntato su Longo Borghini e Balsamo se fossero arrivate in volata, peccato che ci sia sfuggita di poco.

Parliamo un po’ di te: il ciclismo è uscito dalla tua vita o c’è ancora?

Non è mai uscito. Quando ho smesso mi sono dedicata alla Scuola Ciclismo Fiorenzuola, prima con un ruolo tecnico e poi sul piano dei documenti. Sono stata anche 10 anni consigliere regionale FCI con delega al settore femminile quando il presidente era Giorgio Dattaro. E poi ho fatto anche politica, come Consigliere Comunale e 5 anni da Assessore all’ambiente e pari opportunità a Fiorenzuola.

Vai ancora in bici?

Non più, ho poco tempo. Sono avvocato, faccio civile e penale. La base resta Fiorenzuola, poi mi sposto dove mi porta il lavoro.

Smesso di correre, Sara Felloni si è dedicata alla Scuola Ciclismo Fiorenzuola nel giovanissimi
Smesso di correre, Sara Felloni si è dedicata alla Scuola Ciclismo Fiorenzuola nel giovanissimi
Ti sei laureata dopo la carriera o studiavi anche quando correvi?

Avevo iniziato, ma avevo poco tempo. Negli anni in cui correvo, il clima era diverso e gli inverni qui in Pianura Padana erano davvero rigidi, per cui dovevo spostarmi spesso. Lo studio non era la cosa più semplice da seguire, in più lavoravo per pagarmi l’università. Diciamo che fra le altre cose, ho imparato a tenere duro.

Ti sarebbe piaciuto correre in questo ciclismo, che è arrivato al professionismo e sembra così diverso rispetto a quello dei primi anni duemila?

Davvero tanto (ora la voce un po’ si incrina, ndr). Le ragazze oggi hanno possibilità che noi ci sognavamo. Hanno tecnologie e metodologie di allenamento che mi sarebbe piaciuto sperimentare. Chissà se sarei potuta arrivare anche a risultati migliori…

Intanto resta la sola italiana ad aver vinto la Milano-Sanremo su via Roma e non è poco. E’ vero che certe volte si tende a dimenticare, invece è utile guardarsi indietro e ricordarsi di chi a vario titolo, con la sua fatica e le sue intuizione, ci ha permesso di arrivare dove siamo ora.

EDITORIALE / Ditelo voi a corridori di 20 anni di trovarsi un lavoro

23.12.2024
5 min
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Una conversazione avuta con Marino Amadori e Johnny Carera al termine della conferenza stampa milanese di Cordiano Dagnoni offre lo spunto per chiarire un pensiero. Avendo chiesto al presidente se pensa si possa fare qualcosa per arginare la crisi del movimento U23 italiano (in apertura, foto Giro NextGen), al termine dell’incontro con la stampa ci siamo sentiti domandare dal cittì azzurro come mai ce l’abbiamo tanto con la sua categoria. In parallelo, il principe dei procuratori ci ha spiegato che il ciclismo sia ormai cambiato e che l’attività under 23 sia diversa da quella di dieci anni fa e che grazie ai test è possibile capire con certezza scientifica se i corridori faranno carriera. Per cui chi non passa a 20-21 anni, evidentemente non ha i mezzi.

Grati per l’illuminazione, entriamo nel ragionamento, cercando di non dare per scontato ciò che scontato a nostro avviso non dovrebbe essere. L’analisi del territorio porta a dire che le società che fanno attività U23/Elite siano in diminuzione e che nei loro organici ci siano i soli corridori non considerati dai devo team. Il movimento nazionale che ne deriva, non considerando le gare internazionali in cui arrivano gli squadroni stranieri, ne risulta impoverito. Avete presente la scena dello Stelvio al Giro NextGen? Il confronto fra atleti di caratura inferiore genera corridori meno solidi, che fanno una gran fatica a entrare nel mondo del lavoro.

Lo Stelvio al Giro Next Gen del 2023. Troppo dura la salita o basso il livello dei corridori? (foto cyclingpro.net)
Lo Stelvio al Giro Next Gen del 2023. Troppo dura la salita o basso il livello dei corridori? (foto cyclingpro.net)

Le leggi sul lavoro

Si può impedire ad atleti maggiorenni di accettare un’offerta dall’estero? No, impossibile. E se anche la Federazione italiana imponesse una regola che li vincola a trascorrere un periodo in team italiani, la normativa europea sul lavoro permetterebbe di aggirarla. Del resto, basta osservare la grande disinvoltura con cui si rompono i contratti di professionisti ben più affermati, per capire che non ci sia scampo a fronte di un certo tipo di commercio. Chi propone e vende i corridori ha tutte le strade aperte. Si può impedirlo? No, impossibile. Si può impedire la concentrazione di talenti nelle mani di un solo soggetto? No, impossibile, almeno per ora. A meno che non ci pensi l’UCI, che rilascia le licenze alle squadre, ai corridori e anche ai loro agenti.

Per cui i ragazzi di 18 anni fanno valigia e vanno in Belgio, Olanda, Germania, Spagna, Francia: l’offerta è vasta. Restano per 2-3 anni e a quel punto chi ancora interessa alla WorldTour di riferimento, sale il fatidico scalino. Gli altri tornano indietro. Cosa trovano in Italia? Squadre che certo li accolgono, ma non è detto che li porteranno all’agognato professionismo. Secondo Carera ciò è dovuto al fatto che non abbiano le qualità per diventare corridori: per cui farebbero bene a cercarsi un lavoro. Su questo punto non è possibile generalizzare ed ecco perché.

Dopo il devo team, Scaroni non è passato alla Groupama, eppure si sta affacciando sul settimo anno da pro’
Dopo il devo team, Scaroni non è passato alla Groupama, eppure si sta affacciando sul settimo anno da pro’

La scelta di partire

Se è così matematico pesare le qualità di un atleta, perché mandare in un devo team ragazzi che non le hanno? Se tornano indietro è perché non le hanno, chi ha stabilito che le avessero? Si scommette assieme a loro sul successo e anche sul fallimento? Si tiene conto, nel proporgli la sfida, di quanta fatica gli sia costato arrivare a quel punto? La maturazione fisica e psicologica degli atleti è omogenea per tutti? Siamo consapevoli del fatto che l’adolescente di oggi, benché più ferrato in tema di tecnologie, sia anche parecchio più disarmato rispetto alla quotidianità della vita? Tutti i corridori sono in grado di andare all’estero e gestire la vita in ritiro in mezzo a gente che non parla la loro lingua? I corridori di 18 anni e le loro famiglie hanno le stesse consapevolezze di chi li consiglia?

Andare all’estero è una straordinaria scuola di vita, come farlo per motivi di studio, ma non tutti sono in grado di trarne vantaggio. Perché allora mandarli tutti? Forse perché si ha la consapevolezza che, se va bene, si potrà guadagnare in maniera più importante sui loro contratti? E in che modo poi si assistono quelli che tornano indietro?

Cristian Scaroni, under 23 nel devo team della Groupama, non andò alla WorldTour, eppure sta avendo una discreta carriera da professionista. Lorenzo Ursella arrivò alla DSM che era ancora un bambino, si è trovato male e nel 2025 correrà nella Padovani. Gli sarebbe convenuto forse un impatto meno duro con quel mondo? Thomas Pesenti, una carriera da U23 e poi elite con la Beltrami-TSA e il JCL Team Ukyo è appena salito del devo team della Soudal-Quick Step pur avendo già 25 anni.

Marino Amadori, selezionatore azzurro degli U23, al Giro Next Gen con Pietro Mattio
Marino Amadori, selezionatore azzurro degli U23, al Giro Next Gen con Pietro Mattio

Prima uomini

A Marino Amadori ci preme dire che non ce l’abbiamo con la sua categoria, nella quale siamo cresciuti quando entrammo in questo mondo nell’ormai lontano 1992. Ma proprio perché conosciamo a menadito le storie di tutti i ragazzi con cui abbiamo lavorato, ci possiamo permettere di fare delle distinzioni. Il suo lavoro di selezionatore non sarà minimamente scalfito dal Paese in cui i ragazzi sceglieranno di correre. Per cui come ha risposto venerdì lo stesso Dagnoni, il cittì potrà ugualmente garantire i suoi piazzamenti al Tour de l’Avenir. Nessuno gli impedisce l’accesso ai migliori, ma i migliori ormai si contano sulla punta delle dita, mentre un tempo era difficile fare la squadra, tanti erano i nomi in ballo.

La differenza fra chi ancora si ostina a scrivere queste cose e chi dice che tanto ormai va così, sta nel fatto che, pur essendo dei semplici giornalisti, ci sta a cuore il futuro di queste persone che a vent’anni corrono in bicicletta. Forse, come è giusto che sia trattandosi di rapporto di consulenza professionale, a chi deve trovargli una squadra l’ultimo aspetto sta meno a cuore. La nota stonata è che se un ragazzo di 20 anni si sente dire che non è forte abbastanza per andare avanti e gli viene negata la possibilità di dimostrare il contrario, se ne andrà dal ciclismo arrabbiato e magari escluderà la possibilità di rimanere nell’ambiente in altre vesti. Tutti i meccanici e i massaggiatori, tranne poche eccezioni, sono stati corridori, alcuni anche professionisti. Oggi se ne bruciano così tanti che magari un domani si farà fatica anche a comporre gli staff delle squadre. A volersi rassegnare, bisognerebbe ammettere una volta per tutte che il ciclismo giovanile italiano non è più in mano alle squadre e neppure alla Federazione.

Romele: la maturità agonistica e il salto nel WorldTour

31.10.2024
8 min
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SULZANO – Le rive del lago di Iseo sono illuminate dal sole caldo di una mattina d’autunno. L’acqua scivola leggera sulle sponde come se poggiasse su un vetro lucido, la gente va e viene mentre su uno sgabello Alessandro Romele ci aspetta per parlare di sé, di questa stagione e del futuro. La firma con l’Astana Qazaqstan Team e il passaggio nel WorldTour sono freschi come il ritiro in Veneto da poco  terminato. Un primo confronto con il mondo che sarà e i compagni di squadra vecchi e nuovi

I raggi picchiano forte sulla schiena, l’estate di San Martino è in anticipo rispetto al solito ma la si accoglie volentieri dopo settimane di freddo e pioggia. Romele ha pedalato da casa sua fino al bar Mr. Bike, il luogo che lo accoglie sempre durante le sue uscite di scarico. Anche quest’anno le vacanze del corridore bergamasco sono trascorse per la maggior parte del tempo a casa. Riposo, qualche gita con amici e familiari e poco altro. 

Primo bilancio

La stagione 2024 di Romele era partita presto, a gennaio, con il Gran Premi Valencia e l’AlUla Tour. Poi una scappata al Tour of Rwanda, per ritornare in Europa a marzo e aprile. Un riposo forzato, la partecipazione al Giro Next Gen e via via gli altri impegni. A conti fatti ha gareggiato più tra i professionisti che con gli under 23, ma è stato un passaggio utile, come ci racconterà poi lui. 

«Della stagione non posso che essere contento – spiega Romele – non ho rimorsi. Se l’anno scorso con la Colpack avevo avuto dei rimpianti per qualche risultato mancato come europeo e mondiali, dove non avevo fatto quello che avrei voluto, il 2024 invece è stato positivo. Purtroppo un problema a inizio stagione non mi ha permesso di preparare al meglio il Giro Next Gen ma è stato l’unico intoppo. L’europeo era un obiettivo, ma le scelte sono ricadute su altri corridori. Per quel che potevo fare io non ho rimorsi. Anzi ho dimostrato che in quel periodo stavo più che bene, visti i risultati al Tour of Istanbul. Ho fatto veramente tantissima esperienza anche con il team WorldTour. Diciamo che la stagione non è da 10 e lode visti i risultati magari non super, però penso di essere cresciuto veramente tanto».

Romele con alle spalle Monte Isola, il gigante del Lago di Iseo
Romele con alle spalle Monte Isola, il gigante del Lago di Iseo
Che anno è stato il 2024?

Un anno di cambiamento, correre con un devo team è stato positivo sotto tutti gli aspetti. Anche con il gruppo abbiamo fatto un grandissimo lavoro, si è creato un bellissimo ambiente fin dal primo ritiro di dicembre. Penso che nel nostro sport sia fondamentale, mi ricordo che anche Cav (Cavendish, ndr) e Ballerini erano stati i primi a sottolineare l’importanza di questa cosa. Ne abbiamo parlato anche nel ritiro fatto poco fa per la stagione 2025 dell’importanza di creare un gruppo forte e coeso.

Che aria si è respirata in quei giorni?

Aria nuova, con grandi cambiamenti. Visto il nuovo sponsor nel 2025 ci saranno grossi upgrade sia a livello tecnico che poi di quello che è il materiale, ecc. Sarà un anno importante per l’Astana grazie a questa nuova spinta. L’aria che si è respirata con i compagni è sicuramente più tranquilla e più di casa, visto e considerando che siamo un gruppo di 10-11 italiani. Ci sono tantissimi ragazzi anche da tutto il resto d’Europa e del mondo, ma credo che avere tanta italianità nella squadra faccia bene. Vedo un po’ questa differenza che noi italiani siamo più scherzosi, molto più quelli che vogliono fare gruppo e penso che questo darà una grossa mano.

La stagione del bergamasco è partita bene con due vittorie in Grecia a marzo (foto Nassos Triantafyllou)
La stagione del bergamasco è partita bene con due vittorie in Grecia a marzo (foto Nassos Triantafyllou)
La crescita personale che hai detto, è arrivata con quali parametri?

E’ stata a 360 gradi, sotto tutti gli aspetti tecnici: a livello di potenza, resistenza, picco in volata, resistenza in salita. La cosa che mi ha impressionato di più è arrivata sotto l’aspetto umano, a livello di persona mi sento più grande, maturo. Dal punto di vista atletico quello che mi ha sorpreso maggiormente è stata la capacità di tenere la condizione per gran parte della stagione. A gennaio e febbraio ho faticato un po’ ma da marzo sono andato sempre in crescendo, tanto che in Grecia sono riuscito a vincere due gare. Al Giro Next Gen non sono arrivato pronto come avrei voluto ma alla fine ho ottenuto due top 10, quindi non male.

E per quanto riguarda la seconda parte di stagione?

Siamo riusciti a costruire un gradino, anche due, belli importanti nel ritiro di luglio in altura. Da lì in poi avevo voglia di correre e stavo bene, penso che si sia visto nel finale di stagione che avessi ancora delle energie. La cosa che mi ha stupito di più è stata la costanza nel riuscire a mantenere una condizione buona per gran parte dell’anno.

A settembre al Tour of Istanbul delle prestazioni di alto livello, la condizione c’era (foto Brian Black Hodes)
A settembre al Tour of Istanbul delle prestazioni di alto livello, la condizione c’era (foto Brian Black Hodes)
Quanto ti è dispiaciuto non fare europei e mondiali?

Partiamo dal presupposto che Amadori è il commissario tecnico e lui ha l’ultima parola. L’europeo era uno dei miei obiettivi di stagione, non mi nascondo, è stato un po’ pesante rimanere a casa visto che comunque erano due anni che avevo lavorato con il cittì. Il secondo anno lo avevamo fatto praticamente assieme, pensavo che sarebbe stato bello chiudere un percorso che avevamo iniziato. Non so quale sia stata la ragione della mia esclusione, a una settimana dalla corsa con la squadra avevamo chiesto e c’era stata comunicata l’idea di portarmi all’europeo, invece dopo un paio di giorni mi è arrivato un messaggio con scritto che purtroppo non riusciva a portarmi. Mi sarei aspettato una chiamata, per come son fatto io non mi sarebbe comunque andata giù però credo che a livello umano sarebbe stata più corretta da parte sua. 

Invece sei andato al Tour of Istanbul, altra corsa con i professionisti, cosa hai capito di te a quel livello? 

Allora in Grecia il livello era simile a una bella gara internazionale under 23. Sì, avevo quell’aria di correre un po’ coi professionisti però non è stato uguale a Istanbul. Lì c’erano corridori WorldTour, gente che in quel mondo aveva già corso in appuntamenti importanti come Giro d’Italia o Tour de France. In Grecia non ero al 100 per cento ma ho vinto di più con la testa, mentre al Tour of Istanbul stavo al top della mia condizione quest’anno.

Tornando un po’ alla nazionale, dei ragazzi under 23 dello zoccolo duro sei l’ultimo a passare professionista, come vedi il tuo percorso? 

Non mi sentivo pronto. Non nascondo che negli anni precedenti, quando ero ancora juniores, che avevo fatto le prime vittorie un po’ più importanti, c’era il desiderio di voler passare. Poi il primo anno under 23 ho avuto problemi che mi hanno bloccato, Dopodiché il secondo anno ho vinto qualcosa, ma avevo capito di non essere ancora pronto. Credo che sia la cosa più difficile da capire ma quella più giusta da accettare e su cui riflettere, perché una volta passato è facile prendere delle brutte botte e faticare tanto a rialzarsi. Invece una volta capito che cos’è il mondo dei professionisti, avendo appunto la possibilità di correre e prendere comunque delle belle lezioni, mi sono settato. Quest’anno in Rwanda e Spagna ho capito quanto importante fosse il fondo e la distanza, e di quanto questi aspetti siano da allenare in inverno. 

Fare un anno in più è stata una scelta azzeccata…

A me è servito. Ad altri ragazzi come Piganzoli o Pellizzari non è servito, a me sì. Dipende anche da che corridore sei, per degli scalatori come loro il ritmo dei professionisti forse è più utile. Io mi sono trovato bene in entrambi i contesti, tra gli under 23 e i pro’ perché probabilmente ho caratteristiche che mi permettono di giocarmi un maggior numero di gare under 23. Ogni corridore ha il suo percorso migliore e per me è stato crescere bene tra gli under, fare esperienza e poi confrontarsi coi professionisti.

La crescita negli under 23 è stata fondamentale per arrivare pronto al salto nel WorldTour (foto Stefano Ballandi)
La crescita negli under 23 è stata fondamentale per arrivare pronto al salto nel WorldTour (foto Stefano Ballandi)
Arriviamo al finale di stagione, dove hai corso la Parigi Tours e il Gran Piemonte…

La Paris-Tours è stata impegnativa. La parte importante della corsa, che sono i settori sterrati e i muri è praticamente la fotocopia di quella degli under, e avere due anni di esperienza mi ha aiutato un sacco. Ho mollato solamente gli ultimi 15 chilometri, non sono riuscito a coronare quello che poteva essere un sogno, ovvero fare una top 20. Un risultato che avrebbe potuto darmi morale, ma credo comunque di dover imparare tanto in quelle corse. Sono molto difficili più a livello mentale che fisico, sono logoranti. Tramite questo primo ritiro ho avuto un colloquio con i preparatori e verrò inserito nel gruppo delle classiche, ho tanti compagni da cui riuscire ad apprendere. Un’altra cosa che voglio fare è imparare a correre in Belgio per provare poi in futuro a fare qualcosa nelle Monumento.

Da under 23 ne hai già fatta qualcuna.

Ho avuto l’opportunità di fare la Gent-Wevelgem due anni, la Parigi-Tours e ho assaggiato anche la Roubaix. Penso sia stato l’inizio di una crescita e vedremo dove riusciremo ad arrivare in queste tipologie di corse. 

Nel finale di stagione ha corso alla Parigi-Tour, dove ha colto un 33° posto a 1′ e 41″ dal vincitore Laporte
Nel finale di stagione ha corso alla Parigi-Tour, dove ha colto un 33° posto a 1′ e 41″ dal vincitore Laporte
Sei carico?

Tanto. Ho concluso l’anno con una buona condizione e con voglia, secondo me il segreto è arrivare a fine stagione che non sei totalmente esausto. E’ stato un 2024 lungo ma dove ho avuto modo di distribuire al meglio le mie energie e di recuperare. In realtà già al ritiro ero pronto mentalmente. Adesso però voglio staccare almeno altre due settimane e divertirmi, fare un po’ le cose che un ragazzo normale di 21 anni farebbe in questo momento e poi sarà il momento di pensare al 2025.

Under 23: una corsa tra pioggia e dolore, l’Italia ci prova

27.09.2024
6 min
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ZURIGO (Svizzera) – Il mondiale dell’Italia under 23 si spegne insieme alle ultime energie che Giulio Pellizzari ha in corpo. Sullo strappo iniziale del circuito di Zurigo l’azzurro non tiene il ritmo dei migliori, più freschi e riposati. Il corridore della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè ha speso troppe energie nella rincorsa a Jan Christen. Per troppi chilometri si è trovato nel mezzo tra lui e il gruppetto dietro, guidato dal Belgio. 15 secondi, tanti ne sono mancati per scrivere una pagina diversa di questo campionato del mondo under 23. Ma le corse sono così, si vince e si perde per pochi metri, a volte anche meno.

«Che vogliamo dire – attacca subito Pellizzari mentre rimugina seduto sulle scalette del bus – è stato duro, anzi durissimo. Anche il tempo non è stato dei migliori, era previsto più sole ma succede. Fa parte del nostro sport». 

Tattica rispettata

Una gara con tanti protagonisti possibili, ma un unico vincitore. Dalla mischia e dalla selezione è uscito il nome del tedesco Niklas Behrens. Un omone di 195 centimetri forte e con due spalle larghe ben più del manubrio che ha battuto Martin Svrcek e Alec Segaert

«Sapevamo che i big si sarebbero mossi da lontano – continua Pellizzari – quindi noi abbiamo cercato di seguirli. Siamo stati bravi in pianura, abbiamo preso i rischi e abbiamo corso sempre davanti. Una volta entrati nel circuito finale dovevamo seguire i migliori, ci siamo messi di impegno ed è andata così. Non c’erano nomi da seguire, tanti erano i ragazzi forti in gara. Quando è partito Christen al penultimo passaggio ho provato a chiudere. Sulle pendenze di Bergstrasse ho faticato tanto, non era uno sforzo adatto alle mie caratteristiche. Serviva un corridore con un picco di potenza maggiore, ma poi sulla salita successiva mi sono avvicinato. Christen in discesa ha allungato e in pianura non riuscivo ad avvicinarmi. D’altronde ha fatto terzo al mondiale a cronometro. Non lo scopriamo oggi che in pianura ha un passo incredibile».

«Non pensavo – spiega infine Pellizzari – che dietro ci fossero così tanti belgi dietro a tirare. Nelle corse under è difficile trovare una squadra che tira quando sono solamente venti corridori. Speravo in un po’ di controllo e di prendere lo strappo davanti, poi magari mi avrebbero preso comunque ma più vicini all’arrivo».

De Pretto e Busatto sono stati spenti dal freddo e dalla pioggia, ma hanno dato comunque il loro apporto
De Pretto e Busatto sono stati spenti dal freddo e dalla pioggia, ma hanno dato comunque il loro apporto

Freddo pungente

Davide De Pretto e Francesco Busatto arrivano nello spiazzo del bus che ancora tremano dal freddo. Il primo in pantaloncini corti si ripara dietro qualche macchina e parla. 

«Si sapeva sarebbe stata una gara difficile da controllare – dice – abbiamo anche corso bene, rimanendo sempre davanti. Poi siamo entrati nel circuito e sapevamo che si sarebbe fatta la differenza fin da subito. In tanti hanno provato ad alzare il ritmo fin dal primo passaggio. Stavo anche bene, ho seguito Morgado in un allungo, poi in discesa ho preso freddo e mi si sono congelato. Se guardiamo comunque i primi sono tutti ragazzi pesanti, magari hanno sofferto meno il freddo rispetto a molti altri».

Busatto ha ancora il volto scavato dai chili persi in estate, in inverno dovrà recuperarli
Busatto ha ancora il volto scavato dai chili persi in estate, in inverno dovrà recuperarli

Ruoli giusti

Busatto arriva direttamente dalla corsa, appoggia la bici e sale a cambiarsi. La sensazione è che oltre al freddo gli sia rimasta indigesta la giornata “no” in un appuntamento così importante. Un malanno in estate gli ha fatto perdere tre chilogrammi, che non ha ancora ripreso. A guardarlo si vede che è molto magro, un fattore che oggi ha influenzato la sua prestazione. 

«Non ho potuto farci tanto – spiega – non ci aspettavamo un clima così freddo. I corridori come me, più leggeri, hanno patito. A due giri dalla fine, quando prima ero sempre lì pronto e attivo, mi sono trovato in coda senza gambe. Il piano alla partenza era di essere presenti nei tentativi di creare situazioni buone per la squadra. Dove ho visto opportunità mi sono buttato, alla fine il mondiale è imprevedibile. 

«Ci siamo supportati bene a vicenda. De Pretto e io siamo stati presenti sullo strappo più duro, mentre Pellizzari andava a chiudere sulla salita. Mattio, invece, ha fatto un grande lavoro nella parte iniziale, in pianura. Comunque c’eravamo sempre, fino al punto in cui siamo stati messi fuori gioco dal freddo. Credo che indubbiamente siamo stati una delle squadre più forti. Peccato, se fossimo riusciti ad arrivare in due o tre nel finale avremmo potuto giocarci le nostre chance. In questi casi vanno fatti i complimenti al vincitore e basta».

Amadori, qui a colloquio con Kajamini, si è detto rammaricato ma soddisfatto della prova dei suoi under
Amadori, qui a colloquio con Kajamini, si è detto rammaricato ma soddisfatto della prova dei suoi under

Il punto di Amadori 

Alla fine chi deve prendere in mano tutto, analizzare e parlarne poi con i ragazzi è il cittì Marino Amadori

«Come sempre – ammette – ho fatto la gara senza le radioline. E’ sempre il solito discorso, in certi frangenti servono ma non possiamo farci nulla. Il momento in cui mi sarebbe servita di più? Quando Pellizzari era a metà tra Christen e il gruppetto dietro. Gli avrei detto di rialzarsi e non spendere troppo. Abbiamo provato a forzare la giuria ma non ci ha fatto passare e purtroppo Pellizzari è rimasto nel mezzo. Si è praticamente finito lì, ci siamo giocati tutto. Mi dispiace perché andava forte, aveva una bella gamba.

Se avesse agganciato Christen avremmo visto un finale diverso, ma non si vive di ipotesi. Peccato per De Pretto e Busatto, con loro a pieno regime avremmo avuto delle alternative diverse per il finale, purtroppo non ce l’abbiamo fatta».

Durante le premiazioni il ricordo per la scomparsa della giovane svizzera Muriel Furrer
Durante le premiazioni il ricordo per la scomparsa della giovane svizzera Muriel Furrer

Tutto nel silenzio

Nel giorno della tragica morte di Muriel Furrer, la giovane junior svizzera venuta a mancare nel pomeriggio dopo la caduta nella prova femminile di ieri, il cielo non ha risparmiato acqua e freddo. L’UCI ha organizzato una conferenza stampa alle 17, in concomitanza con l’arrivo della prova under 23. Le gare devono andare avanti, ma la chiusura della mixed zone non ha permesso di raccontare la vittoria del tedesco. I ragazzi hanno corso senza sapere della notizia, il lutto della nazionale elvetica e della famiglia andava rispettato, vero, così come la fatica fatta dai ragazzi.

Amadori: «A Zurigo con una rosa competitiva e varia»

20.09.2024
5 min
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La lista degli otto corridori scelti da Marino Amadori per il mondiale under 23 è stata resa pubblica martedì insieme a tutte le altre dei vari cittì. I cinque nomi selezionati per la prova in linea di Zurigo sono: Giulio Pellizzari, Francesco Busatto, Davide De Pretto, Pietro Mattio e Florian Kajamini (in apertura, De Pretto e Pellizzari). A questi si aggiungono le tre riserve: Simone Gualdi, Federico Savino e Ludovico Crescioli. 

Il solito “problema”

Tre dei cinque nomi scelti da Amadori sono già nel mondo dei professionisti, un dato che però unisce tutte le selezioni nazionali di rilievo. Chi vuole provare a vincere ha portato i migliori atleti under 23, professionisti o meno. Da quando l’UCI ha aperto queste competizioni anche ai corridori che hanno messo nelle gambe corse WorldTour le scelte diventano obbligate. 

«La prima premessa che voglio fare – commenta Amadori – è che ci sono dei regolamenti e bisogna agire di conseguenza. Noi come Italia ci organizziamo per fare il massimo nella gara che assegna la maglia iridata. In una gara che vede 40 ragazzi che provengono da squadre professionistiche, noi dobbiamo agire di conseguenza per provare a essere competitivi. Con i ragazzi scelti mi auguro di esserlo, ma non sarà facile, non è che con questi andremo sicuramente a podio oppure a medaglia. Vi basti sapere che ci saranno Del Toro e Morgado, giusto per dire due nomi. Il primo ha fatto la stagione che ha fatto, mentre il secondo, al primo anno tra i professionisti, si è piazzato quinto al Fiandre. All’europeo abbiamo subito alla grande, al mondiale voglio portare una squadra che può essere protagonista».

Crescere e imparare

Ne abbiamo parlato anche con Pellizzari nell’ultima intervista. Per vincere serve imparare a farlo e abituarsi a vivere determinate situazioni. Il corridore della Vf Group-Bardiani ha detto di essersi pentito per non aver corso l’Avenir. La corsa a tappe francese, che racchiude il meglio del movimento under 23, sarebbe stata un punto importante per la sua crescita. 

«Il punto che mi va di sottolineare – riprende il cittì – è che noi come Italia facciamo fatica nel mondo dei professionisti. Portare ragazzi come Pellizzari, Busatto e De Pretto al mondiale under 23 può essere una bella occasione per migliorare e vivere queste gare da protagonisti. Sono corridori che tra uno o due anni magari  saranno protagonisti con la nazionale maggiore e lo saranno anche grazie a questo passaggio. E’ chiaro che mi spiace lasciare fuori i vari Zamperini, Crescioli, Gualdi, Savino e gli altri che erano nella mia lista. Però la maglia azzurra va onorata e andare al mondiale per fare piazzamento da “ennesima” posizione non è ciò che merita la nazionale italiana».

Questione di equilibrio

Cinque nomi in una lista dove tanti meriterebbero spazio, ma ciò che serve è avere equilibrio per partire competitivi e ricoprire bene tutto il percorso. 

«Dei cinque ragazzi – spiega Amadori – non tutti sono da ragazzi da ultimo momento e non ci sono solamente leader. E’ importante trovare il giusto compromesso. Mattio è una sicurezza, il suo Tour de l’Avenir corso sopra le righe mi ha fatto capire che potrà essere molto utile alla causa fin dal chilometro zero. Kajamini, ad esempio, è uno di quelli che non ha paura di prendere vento in faccia e anche lui all’Avenir ha fatto vedere di andare forte in salita. Poi lui è uno che attacca, da noi in Italia tanti ragazzi corrono sulle ruote per fare ottavo o quindicesimo, Kajamini invece è uno che si muove, anticipa e lotta.

«I leader – riprende – saranno Pellizzari, Busatto e De Pretto, almeno sulla carta. Li conosciamo bene e sappiamo quanto valgono. Pellizzari ha un valore, in salita, fuori dal comune e può lottare con i vari Torres, Nordhagen e Widar. De Pretto ha fatto un bell’avvicinamento, dimostrando ottime sensazioni visto anche il quarto posto al Matteotti. Busatto, infine, è colui che ha messo nelle gambe più gare di qualità in questo periodo e da dopo l’altura di luglio ha corso solamente in gare WorldTour».

In ordine due delle tre riserve scelte da Amadori: Gualdi e Crescioli. Tra gli esclusi anche il campione italiano Zamperini
In ordine due delle tre riserve scelte da Amadori: Gualdi e Crescioli. Tra gli esclusi anche il campione italiano Zamperini

Importante vedere il percorso

Non resta che fare la valigia e imbarcarsi verso Zurigo, il 24 settembre, martedì, Amadori e i suoi arriveranno in città. Poi sarà il tempo di entrare nella “bolla iridata”. 

«Il percorso è duro – conclude il cittì – ma non durissimo. Gli under 23 dovranno fare quattro giri del circuito finale, non sarà così micidiale. Vero anche che all’europeo il percorso non era proibitivo eppure i distacchi sono stati incredibili. La gara la fanno i corridori e se come all’europeo la prima ora si fa a 51 di media ci sarà da divertirsi e soffrire. Il mondiale sicuramente sarà selettivo, noi dovremo studiare bene ogni evenienza per farci trovare pronti. Partiamo martedì perché mercoledì dalle 8 alle 10 ci sarà il percorso chiuso al traffico. E’ importante vederlo visto che ci sono dei passaggi delicati in città. Provarlo in modalità gara sarà basilare».

In Boemia si riaffaccia Savino. La Soudal se lo coccola…

03.09.2024
4 min
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Ci sono piazzamenti che hanno un sapore particolarmente dolce anche in un mondo come il ciclismo dove conta solo chi vince. Per Federico Savino il 3° posto al West Bohemia Tour è uno di questi. Il suo primo risultato importante in una corsa a tappe, ma per certi versi è anche il primo squillo di assoluto rilievo nella sua avventura al devo team della Soudal.

Sarà per questo che il pisano ha perfettamente in testa ogni singolo passaggio della corsa, interpretata con una maturità che non è sfuggita agli occhi attenti dei dirigenti del team WorldTour, in fase di profondo rinnovamento.

Il podio del West Bohemia Tour con Savino terzo dietro i belgi Vaneeckhoutte, vincitore, e Lambrecht
Il podio del West Bohemia Tour con Savino terzo dietro i belgi Vaneeckhoutte, vincitore, e Lambrecht

«E’ stata una corsa caotica per molti versi, probabilmente perché non c’era una squadra talmente forte da riuscire a tenerla, quindi non era facile trovare la giusta soluzione tattica. Sapevamo però che la classifica si faceva soprattutto nella prima tappa, dopo un brevissimo prologo a cronometro dove avevo chiuso ai piedi del podio, quindi ero già ben messo in classifica. Lì sono stato attento a beccare la fuga giusta, ci siamo ritrovati in 5 a collaborare fino alla fine sorbendoci 70 chilometri di fuga, arrivando tutti alla spicciolata. Io ho chiuso ancora 4°, poi lavorando abbiamo scalato una posizione».

Eri il capitano designato prima del via?

Non è una pratica che la nostra squadra adotta, chi punterà alla classifica lo si decide in base all’evoluzione della corsa, nel corso dei giorni. Le prime due giornate mi vedevano davanti e quindi la squadra si è messa al mio servizio.

Savino aveva iniziato benissimo con il 4° posto nel prologo, a 4″ da Schwarzbacher (SVK)
Savino aveva iniziato benissimo con il 4° posto nel prologo, a 4″ da Schwarzbacher (SVK)
E come ti sei trovato nel ruolo?

Molto bene perché ho avuto da tutti i ragazzi un grande aiuto. Si sono davvero messi a disposizione, hanno lavorato duramente per tenermi nel vivo della corsa, ma anche per avere una tattica aggressiva nelle altre due tappe, conquistando la seconda tappa con Lars Vanden Heede con Raccagni Noviero quarto e vincendo anche l’ultima frazione con Senne Hulsmans. Questo andare spesso all’attacco è stato di grande aiuto perché ci ha permesso di controllare la corsa con più facilità per le posizioni di classifica. Io ero sempre vicino agli altri di classifica, il terzo posto è nato da questo.

Che cosa rappresenta per te questo podio?

Per me è una rivalsa dopo un periodo difficile. Al di là della vittoria al Circuit des Ardennes, questo podio mi dà particolare soddisfazione. Soprattutto perché dimostra che la condizione sta arrivando per il finale di stagione, sento le gambe muoversi come si deve e questo mi dà fiducia per le prossime gare. Questo è un anno importante, all’inizio speravo fosse l’ultimo nella categoria, ma è probabile che rimanga un altro anno perché vogliono che faccia ancora esperienza. Dicono che sto continuando a crescere ma vogliono che prosegua così per poi approdare nel team più grande, è l’obiettivo loro e anche il mio.

Per la Soudal una trasferta molto positiva con due vittorie di tappa, qui Hulsmans
Per la Soudal una trasferta molto positiva con due vittorie di tappa, qui Hulsmans
Ma come ti trovi nel team?

Benissimo, il fatto che sia completamente straniero non influisce minimamente anche se richiede chiaramente un cambio mentale. Ma con loro si entra in un’altra dimensione, estremamente professionale, che cura tutto nei minimi particolari. Sono trattato benissimo, non manca proprio nulla.

Questo però comporta un calendario quasi esclusivamente straniero, in Italia non ti si è visto…

E’ un po’ il bello e il brutto della scelta fatta. E’ chiaro che c’è un prezzo da pagare, si sta lontani da casa, ma il calendario che seguo è molto competitivo, sicuramente superiore a quello italiano. E’ molto impegnativo e complesso, richiede spirito di sacrificio ma non posso negare che col passare delle settimane si vede la differenza, la qualità è molto alta e permette di crescere più velocemente. Ora comunque mi aspetta un lungo periodo in Italia con gare tra cui la Rosa d’Oro e San Daniele per finire col Piccolo Lombardia.

La vittoria di Savino nella tappa del Circuit des Ardennes, unico acuto in un anno poi difficile
La vittoria di Savino nella tappa del Circuit des Ardennes, unico acuto in un anno poi difficile
Il fatto di gareggiare sempre all’estero pensi ti penalizzi anche come visibilità, ad esempio per un’eventuale convocazione in azzurro?

Tema delicato. Sicuramente mi si vede meno, so che Amadori gira molto per le gare italiane ed è normale che non possa avere contezza completa di quanto avviene all’estero. Diciamo che è un prezzo da pagare, ma che pago volentieri considerando la crescita professionale. Guardando poi quel che succede nella massima categoria, è un problema che andrà sparendo. Chiarisco che con il cittì non ho recriminazioni, d’altronde nel 2023 risultati non ne avevo fatti e il vero Savino si sta cominciando a vedere solo ora.