«Non ho visto l’arrivo, mi sono praticamente perso per Leuven». Davide Arzeni, diesse della Valcar-Travel&Service, è stralunato, commosso, contento…
La sua ammiraglia rosa è impolverata all’inverosimile. E’ passato persino sulle strade sterrate pur di arrivare in tempo.
Nessuno più di lui conosce così bene Elisa Balsamo. In tempi non sospetti ci disse che prima o poi avrebbe vinto un mondiale e tutte le più grandi corse. Adesso queste parole trovano riscontro con la realtà.
A fine gara finalmente Arzeni è riuscito a raggiungere il clan azzurro (da notare alle sue spalle l’ammiraglia impolverata)A fine gara finalmente Arzeni è riuscito a raggiungere il clan azzurro (da notare alle sue spalle l’ammiraglia impolverata)
“Capo” (il soprannome di Arzeni, ndr) ti aspettavi questa vittoria?
Aspettarsi di vincere un mondiale, no. Come ho sempre detto Elisa può vincere tutte le corse su strada. Siamo venuti a marzo a vedere il percorso, in occasione della Freccia del Brabante, e avevamo notato che era un tracciato sicuramente adatto a lei. Da quel momento lei ha preso consapevolezza e con Dino (Salvoldi, che gli è accanto, ndr) abbiamo lavorato in sintonia. Soprattutto subito dopo le Olimpiadi perché l’obiettivo era questo.
Un lavoro corale, dunque…
Sì, devo ringraziare anche Salvoldi che ha messo a disposizione delle campionesse per Elisa. Come in tutte le vittorie la squadra è importantissima. Ha dato fiducia ad Elisa. Le ha messo vicino ragazze di spessore tipo Longo Borghini o Bastianelli, per dire le più grandi, ma anche tutte le altre. Capite, tutti questi nomi per un’atleta giovane come Elisa.
Dopo le Olimpiadi, dalle quali non è uscita benissimo, come l’hai ripresa mentalmente e fisicamente?
Questo era un obiettivo. E noi ci credevamo. Quello che ci spaventava un po’ era la distanza, quindi siamo andati prima a fare il Simac Ladies Tour, che aveva due tappe di 160 chilometri, poi alla Vuelta, poi ancora all’Europeo. Ho fatto un qualcosa come 6.000 chilometri in ammiraglia. Tutto questo per cercare la resistenza che avendo dovuto preparare Tokyo era un po’ il dubbio che ci affliggeva.
Quanta fatica in Spagna. Ma Arzeni, la Balsamo e Salvoldi hanno creduto fermamente nel programma di avvicinamento iridatoQuanta fatica in Spagna. Ma Arzeni, la Balsamo e Salvoldi hanno creduto fermamente nel programma di avvicinamento iridato
Quindi sullo spunto non ci avete lavorato più tanto tra Olimpiadi è mondiale?
Sulla forza aveva lavorato tanto prima di andare alle Olimpiadi – dice Arzeni in coro con Salvoldi – Quindi, come ripeto, abbiamo cercato più la distanza, e anche il ritmo gara gara. Poteva sembrare una stupidata, ma per me quello era l’obiettivo per arrivare in fondo. E giocarsela.
E come se l’è giocata! Come ha fatto secondo te a restare così fredda? In fin dei conti sul penultimo strappo si era staccata…
Sono state fondamentali le sue compagne di squadra, Marta Bastianelli, Maria Giulia Confalonieri, la Longo Borghini che l’hanno protetta nel finale. Mentre nella prima parte di gara ci avevano pensato la Cecchini e la Guazzini. Sapere di poter contare su nomi così importanti ti moltiplica le forze e ti dà serenità. Credo che dipenda da questo la reazione al momento di difficoltà.
Davide, segui Elisa da quando era una bambina, da anni… che percorso c’è stato per arrivare sin qui?
Siamo venuti a marzo a vederlo. Elisa è rimasta concentrata fino ad oggi. Al di là della volata secondo me ha corso bene tutti e 160 i chilometri. L’ho sempre vista nelle prime posizioni, soprattutto sotto ai muri. Con tutta l’esperienza che ha accumulato in questi cinque anni è venuta qui con la “valigia piena”.
Quanto c’è di tuo in quello che è successo ieri? Mentre la vedevi cosa ti passava nella mente?
Eh – si commuove definitivamente Arzeni – mi viene in mente la squadra. Il nostro presidente Valentino Villa è un grande. Una cosa del genere lo ripaga di tutto quello che ha investito su questi giovani in questi anni. E’ stata una scuola. La gente magari non lo sa, ma per una squadra come la nostra sono sacrifici enormi. Anche economici. Andare a correre in quel periodo di fine agosto non è stato facile: Spagna, Olanda… e nello stesso tempo eravamo con le altre al Giro di Toscana. Ma per il nostro presidente se c’è da fare… si fa. Adesso andremo a fare la Parigi-Roubaix, poi in Inghilterra, ma ci andremo con la maglia iridata. E’ un impegno. Pensate che solo di tamponi spendiamo quasi 4.000 euro per queste due trasferte.
Elisa ha esordito nel 2016, a 18 anni, con la Valcar. A fine stagione passerà con la Trek-SegafredoElisa ha esordito nel 2016, a 18 anni, con la Valcar. A fine stagione passerà con la Trek-Segafredo
Sabato sera l’hai sentita? Cose le hai detto?
Non le ho parlato. Le ho mandato un messaggio con le indicazioni del vento. Mi sono raccomandato con le altre ragazze, bravissime, anche se sanno come correre qua. Ho detto loro di crederci e che dopo 160 chilometri tutte avrebbero avuto mal di gambe. Le ho detto che era la sua occasione. La sua prima vera occasione di vincere il mondiale e non l’ha fallita. Ma sicuramente ne avrà altre. Lo so…
Per te cambierà Elisa?
Sicuramente avrà qualche consapevolezza in più, ma sarà sempre la solita insicura! Però un’insicura con una maglia iridata sulle spalle!
Qual è il primo ricordo che hai di lei?
La prima riunione che facemmo in Valcar nel 2015. Io sapevo che questa ragazza era già fortissima, volevo prenderla. Aveva battuto un mio ragazzino, che poi è Alessandro Covi. Glielo dissi anche ad Ale, scherzando: ci hai fatto battere da una donna! E poi qualche giorno fa, Facebook, mi ha mostrato un ricordo: era Elisa che vinceva il mondiale juniores nel 2016. E’ stata sin da subito una ragazza quadrata, fin troppo quadrata! Però col tempo si è anche un po’ sciolta con me. Quest’anno si chiude un ciclo direi. Almeno si chiude così..
Con la vittoria e il bacio di Madrid, Elisa Balsamo ha salutato la maglia iridata. La rimetterà in palio ai mondiali australiani. Un anno indimenticabile
Con la vittoria di Leuven, la maglia iridata resta alla Deceuninck-Quick Step. Così abbiamo chiesto a Tegner, responsabile marketing, che cosa ciò comporti
«A volte – Cassani sorride – succedono cose che ti fanno capire che è tempo di cambiare mestiere. Sto vivendo questa fase nel modo migliore, ho il piglio giusto. Non ho mai preso di petto i corridori come ho fatto quest’anno. E’ il mio carattere. Quando nel 1995 Ferretti mi disse che non mi rinnovava il contratto perché ero vecchio, mi misi di impegno e vinsi tre corse. Forse è per il mio orgoglio, ma se mi mancano di rispetto tiro fuori il meglio di me».
Oggi sarà l’ultimo. Da Anversa a Leuven, a capo di 268,3 chilometri e 2.562 metri di dislivello. Se le cose non cambieranno (e non si vede come e perché dovrebbero), il mondiale è l’ultima tappa nel viaggio di Davide Cassani sull’ammiraglia azzurra. Vinti gli europei di Trento, Flanders 2021 chiuderà otto anni che meritano un racconto.
Per questo, con il pretesto di un caffè alla vigilia della sfida, ci siamo presentati con una lunga serie di domande. Anche se da un certo punto in poi è stata la storia a guidare il racconto.
Il 2014 è l’anno del Tour di Nibali e della morte di Martini. Mondiali a Ponferrada
Per la trasferta spagnola, coinvolge il vecchio maestro Ferretti
Il 4 gennaio del 2014, Cassani aveva ricevuto da Martini e Di Rocco la proposta di diventare tcittì
Il 2014 è l’anno del Tour di Nibali e della morte di Martini. Mondiali a Ponferrada
Per la trasferta spagnola, coinvolge il vecchio maestro Ferretti
Il 4 gennaio del 2014, Cassani aveva ricevuto da Martini e Di Rocco la proposta di diventare tcittì
Come la vivi?
Nel modo giusto, con la cattiveria agonistica che a volte mi è mancata. E ogni tanto ricordo. La telefonata di Di Rocco il 29 dicembre del 2013. L’incontro a casa di Alfredo Martini il 4 gennaio. Il primo mondiale. Le delusioni. Le arrabbiature. Sono stati anni intensi come quelli da corridore. Per il mio cammino personale, non potevo chiedere di più.
Hai sempre sognato questo posto…
Era la mia idea di una vita, ma appena smesso di correre non mi sentivo di farlo. Però quando me lo hanno proposto ho accettato subito. Ero in Rai da 18 anni, bisognava cambiare. Ho sempre vissuto di sfide e nuovi sogni, ma sapevo che non sarei durato per sempre.
Se non ci fosse stato il cambio di presidente, probabilmente saresti durato più a lungo.
Probabilmente sì.
Mondiali del 2015 a Richmond, nulla possiamo contro il primo Sagan
Il primo degli azzurri a Richmond è Nizzolo: 18° nel gruppo dietro Sagan
Richmond è però il mondiale di Malori argento a crono
Mondiali del 2015 a Richmond, nulla possiamo contro il primo Sagan
Il primo degli azzurri a Richmond è Nizzolo: 18° nel gruppo dietro Sagan
Richmond è però il mondiale di Malori argento a crono
Primo mondiale, Ponferrada 2014.
Facevo riunioni tutte le sere, cercando di trasferire ai corridori quello che avevano insegnato a me. Dopo il Tour, Nibali aveva perso smalto. Ulissi non c’era per squalifica. Aru era più adatto alle corse a tappe. Avevo coinvolto Ferretti e Luca Paolini, che correva con lo scooter sulla salita e poi mi riferiva. Ferretti mi diede consigli molto preziosi. Io non avevo mai guidato una squadra, lui poteva aiutarmi.
Secondo mondiale, Richmond 2015.
Sbagliai completamente, andò male per colpa mia. Non avevo corridori, perché al tempo Viviani e Nizzolo erano al di sotto dello standard di adesso. Mi interrogai molto sul mio ruolo, sull’incapacità di dare le indicazioni giuste. Applicai le dritte di Alfredo, senza rendermi conto che i corridori non erano come noi. Avevano bisogno di indicazioni e incarichi precisi, per svolgere il loro compito. Io non fui in grado di darli.
Nel 2016 mondiali a Doha, vince ancora Sagan. Nizzolo è quinto
A Doha Guardnieri tira la volata, Nizzolo deve arrendersi a quattro giganti
Le Olimpiadi di Rio fallirono per una caduta. Per Cassani il colpo più duro
NEel 2016 mondiali a Doha, vince ancora Sagan. Nizzolo è quinto
A Doha Guardnieri tira la volata, Nizzolo deve arrendersi a quattro giganti
Le Olimpiadi di Rio fallirono per una caduta. Per Cassani il colpo più duro
Quasi fossero meno autonomi di quanto foste voi?
Parlerei di abitudini e necessità. In ogni caso, dopo quel mondiale mi isolai per un mese. Andai in America da amici e da lì le cose cambiarono. Nel 2016 sappiamo bene come andarono le Olimpiadi, ma la squadra fu perfetta e disegnata bene. Perdemmo per una caduta che ad oggi resta la delusione più grande. Più del mondiale di Trentin, perso da uno più forte.
Terzo mondiale, Doha 2016. Dicemmo che forse si poteva puntare su Bennati.
Facemmo una bella corsa con Nizzolo capitano. Eravamo presenti nel ventaglio. Bennati fece un lavoro straordinario per tenere il gruppo. Guarnieri lanciò benissimo la volata e Giacomo arrivò quinto. Battuto da Sagan, Cavendish, Boonen e Matthews. Non gente di poco conto, insomma.
Eppure sembra che tu abbia miglior rapporto con il gruppo degli europei…
Si è creato un gruppo di corridori che si fidano l’uno dell’altro e hanno un grande attaccamento nei miei confronti. Non nascondo che se sono ancora qui lo devo anche a loro e alla vicinanza che mi hanno dimostrato un mese fa quando ho avuto un piccolo problema.
Spesso mi capita. Per la passione che ci mettevo, l’attaccamento per la maglia azzurra. Trentin è più forte di me, ma in tante cose è com’ero io. Oggi è tutto più esasperato, ma la loro voglia di esserci è identica.
Dopo il tris di Sagan a Bergen, nel 2018 c’è Valverde. E Peter lo incorona
Nel 2018, dice Cassani, a Moscon mancano 100 metri per agganciare Valverde
Il 2018 è però anche l’anno del primo europeo con Trentin, qui con Cimolai
Dopo il tris di Sagan a Bergen, nel 2018 c’è Valverde. E Peter lo incorona
Nel 2018, dice Cassani, a Moscon mancano 100 metri per agganciare Valverde
Il 2018 è però anche l’anno del primo europeo con Trentin, qui con Cimolai
Quarto mondiale, Bergen 2017.
Quello della scoperta di Bettiol, ma anche quello di Moscon squalificato.
Brutto episodio.
Nulla che non si veda di frequente in corsa. C’era stato un barrage e proprio mentre Gianni stava per rientrare, una macchina della giuria si fermò in mezzo alla strada. Gli dissi di prendersi alla borraccia e lo tirai per 7 secondi. Non l’ho più fatto da allora.
Bettiol e Moscon, due ragazzi da seguire…
Che a volte non si rendono conto del loro talento. Ho cercato di stargli sempre vicino, provando a motivarli. Una cosa che Alfredo sapeva fare da grande maestro. Moscon in nazionale ha sempre fatto ottime corse, anche quando nella sua squadra faceva fatica.
Quinto mondiale, Innsbruck 2018. Tutti ad aspettare Nibali…
Ma Nibali cadde sull’Alpe d’Huez. A ben vedere non ho mai avuto la fortuna di fare un mondiale con i più forti al top della condizione. Nel 2018 vincemmo il primo europeo con Trentin, ma prima di Innsbruck ci fu la caduta di Vincenzo. Provammo a recuperare, ma andò male. Mentre a Moscon mancarono 100 metri sullo strappo per tenere Valverde.
LA volata che non ti aspetti: ad Harrogate 2019, Pedersen piega Trentin
Dopo il traguardo il trentino è incredulo, Moscon prova a tirarlo su
Sul podio, Matteo ha lo sguardo livido: Pedersen iridato
Nel 2019 Viviani vince l’oro agli europei di Alkmaar: secondo titolo per Cassani
LA volata che non ti aspetti: ad Harrogate 2019, Pedersen piega Trentin
Dopo il traguardo il trentino è incredulo, Moscon prova a tirarlo su
Sul podio, Matteo ha lo sguardo livido: Pedersen iridato
Nel 2019 Viviani vince l’oro agli europei di Alkmaar: secondo titolo per Cassani
Dopo l’argento di Malori nel 2015, negli anni è cresciuto anche il settore crono…
I successi di Ganna sono frutto di quel lavoro. Me ne parlò Villa, poi lo portammo a fare la Roubaix da junior e lo ripresero sono alla fine. Quando passò U23, chiamai Pinarello e gli dissi di trovargli una bici da crono e Fausto gli diede subito una Bolide. Giorni fa è venuto e mi ha regalato la maglia iridata di Imola con una dedica che mi ha toccato molto. Ma non è merito mio, bensì del lavoro trasversale e delle società che hanno accettato di collaborare con la federazione.
Un lavoro di cui sei orgoglioso?
Ma io non ho inventato niente. Ho ripreso il lavoro di Bettini, che a sua volta discendeva da quello di Ballerini. Ho sempre avuto una bella intesa con i cittì e i risultati si sono visti.
Hai lavorato anche tanto per propiziare eventi e far entrare sponsor.
E ne vado orgoglioso, ma non ho mai fatto l’organizzatore. Con il Giro d’Italia under 23 ho trovato due amici molto bravi (Marco Selleri e Marco Pavarini, ndr) che hanno fatto crescere il ciclismo dei giovani in Italia. Con Extra Giro è ripartito il ciclismo dopo il Covid. I mondiali di Imola sono stati un incontro tra forze diverse e sono costati un settimo di questi in Belgio. E quanto agli sponsor, non ho mai preso un euro. Tutto quello che è entrato, l’ho riversato sull’attività. Sono nate corse e ne vado molto orgoglioso.
Imola 2020, si corre dopo il Covid: Ganna ora nella crono
Villa, Cassani e Velo: l’intesa porta grandi frutti
Sul podio, l’iridato con Marco Selleri, l’uomo di extra Giro
Il 2020 sotto la guida di Cassani è anche l’anno di Nizzolo campione d’Europa
Imola 2020, si corre dopo il Covid: Ganna ora nella crono
Villa, Cassani e Velo: l’intesa porta grandi frutti
Sul podio, l’iridato con Marco Selleri, l’uomo di extra Giro
Il 2020 sotto la guida di Cassani è anche l’anno di Nizzolo campione d’Europa
Bettini ha detto che forse sei stato poco con i tuoi corridori.
Può avere ragione, ma quest’anno ho cambiato tutto e sono stato tanto con loro. Comunque l’unione c’è sempre stata, non mi hanno mai tradito.
Corridori oggi, corridori ieri…
Adesso è complicato. Hanno mille impegni, le squadre sono più esigenti. Prima erano famiglie, ora sono aziende. Hanno bisogno di compiti precisi e qualcuno che glieli dia, poi diventano infallibili. I giovani hanno la testa sulle spalle. In un momento in cui la fragilità riguarda tutti i ragazzi, i ciclisti sono persone solide. Abituati a faticare e correre. Ma alla base di tutto deve esserci la passione. Se manca quella, sono finiti.
Corridore, cronista, cittì: cosa ti resta di tutto questo?
Diventare corridore era il mio sogno. Da commentatore ho capito che potevo fare anche altro nella vita. Ho scoperto la capacità di scrivere che mi ha aperto il mondo del giornalismo. Ho visto il ciclismo da un altro punto di vista, dopo anni in cui con i corridori avevo soprattutto un rapporto di complicità.
E da tecnico?
Ho capito che non si può piacere a tutti. A un certo punto te ne devi fregare e lavorare con la massima onestà. Sei quello che sceglie fra un sogno che si realizza e un altro che naufraga. Fare le scelte è la parte più difficile.
I corridori ti hanno riconosciuto come uno di loro?
Direi di sì, all’istante. Se mi avessero percepito come un giornalista, non avrei avuto possibilità di entrare in sintonia con loro (lo ringraziamo, ridendo e ride anche lui alzando le mani, ndr). In questi giorni in Belgio abbiamo avuto un rapporto fantastico. Quando Ganna mi ha chiesto di non fare la prova su strada, era dispiaciuto perché ci teneva a correre il mio ultimo mondiale da cittì.
Il 2021 ha portato il titolo europeo di Colbrelli, qui con Cassani
Poi è venuta la crono iridata di Ganna
E agli europi di Trento anche la vittoria nel Team Mixed Relay
Il 2021 ha portato il titolo europeo di Colbrelli, qui con Cassani
Poi è venuta la crono iridata di Ganna
E agli europi di Trento anche la vittoria nel Team Mixed Relay
La riunione di ieri sera l’hai improvvisata o te l’eri preparata?
Sono andato a braccio, come sempre del resto. Ma sono stato determinato come all’europeo. Sono andato a braccio e li ho seguiti nelle loro risposte.
Alla fine puoi dire che ne sia valsa la pena?
Decisamente sì, è stata un’esperienza straordinaria per cui ringrazio la Federazione. E adesso mi godo l’ultimo mondiale. Al futuro e alle proposte che mi saranno fatte ci penseremo poi.
«Non so cosa dire, mi mancano le parole. Lo sapevo che sarebbe potuta finire così, però in una gara di 160 chilometri non si sa mai cosa può succedere. Quando ho sentito a 5 chilometri dall’arrivo che aveva vinto, mi è venuto freddo. Avevo i brividi. Sono contentissima per “Eli”, perché se lo merita. Io dovevo stare attenta nelle prime fasi di gara. Ho dato tutto finché ne avevo e poi sapevo che avrebbero fatto il loro».
Vittoria Guazzini di solito ride e da buona toscana dissacra ogni cosa che le passi a tiro, ma stavolta piange e ha davvero i brividi. E’ più emozionata di quando due settimane fa ha vinto la cronometro agli europei di Trento. E questo la dice lunga sul clima e la partecipazione che si è creata questi giorni nella squadra.
Marta Cavalli ha chiuso alcuni buchi nel tratto di collegamentoMarta Cavalli ha chiuso alcuni buchi nel tratto di collegamento
Nella baraonda del dopo arrivo, prima di andare a saltare e abbracciarsi con Elisa ai piedi del podio, le azzurre trovano il tempo di raccontare la loro corsa. E lentamente, una parola dopo l’altra, si va componendo una sorta di antologia fiamminga. L’antologia dell’Italia che ha vinto il mondiale di Leuven, facendo sembrare piccole anche le grandi olandesi.
Cavalli al gancio
«Non ho chiuso tantissimi buchi – racconta Marta Cavalli, stremata e felice – ma quelli che ho chiuso mi hanno lasciato al gancio. Due mi sono toccati nel tratto di raccordo fra il circuito dei muri e quello cittadino. Un paio di attacchi di Ellen Van Dijk e Chantal Vanden Broeck, ho pensato di staccarmi dalla loro scia. Sono atlete che sul passo hanno molto di più rispetto a me, però sapevo che dovevo sputare sangue, perché se gli lasci solo pochi secondi, non le riprendi più. Per poter finalizzare il lavoro era giusto così.
Elena Cecchini si è sacrificata nei chilometri inizialiElena Cecchini si è sacrificata nei chilometri iniziali
«Sono contenta – aggiunge ancora l’atleta della Fdj Nouvelle Aquitaine – perché in una squadra non è importante solamente concludere la corsa con un bel risultato, ma anche avere la fiducia delle proprie compagne e del proprio direttore, che in questo caso è Dino. Quindi sono veramente contenta, perché Elisa se lo merita. Noi abbiamo corso come squadra e il tratto fra gli ultimi 800 e i 500 metri erano miei, quindi ho fatto la mia parte. E’ una grande soddisfazione fare un lavoro se poi la tua compagna finalizza nel migliore dei modi».
Maria Giulia Confalonieri ha rintuzzato almeno tre attacchi nell’ultimo giroMaria Giulia Confalonieri ha rintuzzato almeno tre attacchi nell’ultimo giro
Confalonieri, orgoglio puro
«Ho tanto sognato questa maglia azzurra – dice Maria Giulia Confalonieri – e metabolizzato l’esclusione dalle Olimpiadi. Erano un po’ di anni che non rappresentavo il mio Paese ai mondiali ed è stato un onore. Era il nostro percorso e sapevo quanto ci tenesse Elisa dopo le Olimpiadi. Diciamo che era un percorso molto adatto a noi, anche se ovviamente c’erano tante incognite. Sapevamo che le olandesi ci avrebbero attaccato, che però la volata forse sarebbe stata dalla nostra. Abbiamo fatto un lavoro perfetto e un treno ancora migliore, dalla prima all’ultima. Credo che la maglia oggi sia un pezzettino di tutti».
Vittoria Guazzini non trova le parole: commossa dopo l’arrivo, è in lacrime per l’amica ElisaVittoria Guazzini non trova le parole: commossa dopo l’arrivo, è in lacrime per l’amica Elisa
Rivelazione Cecchini
«A un certo punto mi sono avvicinata ad Anna Van der Breggen – dice Elena Cecchini, che dell’olandese è compagna alla SD Worx – e le ho chiesto per chi avrebbero corso. Quando mi ha risposto che avrebbero fatto la volata con la Vos, ho sentito che avremmo vinto noi. Io ho lavorato con la Guazzini nella fase iniziale, perché era importante essere presenti in tutte le fasi. Sapevamo che era un mondiale per noi, sembrava Glasgow dove la Bastianelli vinse gli europei. E sulle olandesi… Non le ho viste molto brillanti, ma neanche le ho viste sacrificarsi in volata per la Vos. Abbiamo vinto noi perché abbiamo corso da squadra. Ed era un bel po’ che arrivavano solo i piazzamenti, finalmente stasera si brinda ad una vittoria».
Elisa Longo Borghini ha lanciato la volata di Elisa Balsamo e si è divertitaElisa Longo Borghini ha lanciato la volata di Elisa Balsamo e si è divertita
Bastianelli, esperienza regina
«E’ stato un po’ difficile gestire la situazione senza radio – racconta con parole chiare Marta Bastianelli, che aveva carta bianca e ha provato a infilarsi nelle fughe – per questo ho cercato di capire cosa succedesse. Quando abbiamo visto che si poteva arrivare in volata, abbiamo cercato di tenere chiusa la corsa. Eravamo ovunque, c’eravamo sempre, sia per un arrivo a gruppo ristretto, sia per come poi è stato. Abbiamo fatto tutto quello che si doveva fare, quindi non possiamo che goderci questa vittoria.
«Avevamo detto di fare il finale con Elisa, io potevo giocarmela diversamente. Quindi ho cercato di stare su tutte le fughe possibili. E’ andata bene e sono felice. Ho provato anche negli ultimi 2 chilometri con la Van Vleuten, ma credo che meglio di così non potesse finire».
Marta Bastianelli ha giocato le sue carte, poi ha lavorato per la squadraMarta Bastianelli ha giocato le sue carte, poi ha lavorato per la squadra
La “Longo” e la volata
«Mi sono divertita da morire – dice Elisa Longo Borghini, che per un giorno è diventata ultima in volata – mi sentivo bene, ho fatto quello che dovevo fare e a me piace da morire fare il mio lavoro. Elisa ha dovuto fare solo la volata – ride – e l’ha fatta bene. Ha vinto. E’ stata una bellissima vittoria di squadra, molto bello anche l’ultimo chilometro. Non è servito parlarsi. Maria Giulia mi ha detto che non aveva le forze per fare l’ultima e ho risposto che potevo provarci io. Poche volte mi era capitato di fare certe cose, ma stavo bene e ho provato. Elisa poi ha fatto tutto quello che serviva. Ha vinto lei la corsa, non io, ed è molto bello».
L’abbraccio tra Dino Salvoldi e Maria Giulia Confalonieri: non servono tante paroleL’abbraccio tra Dino Salvoldi e Maria Giulia Confalonieri: non servono tante parole
La commozione di Salvoldi
Salvoldi ha seguito il podio oltre le transenne, abbracciando le ragazze mano a mano che passavano, deglutendo la grande commozione e cercando le parole. Il suo orgoglio è pienamente giustificato.
«Non ci sono mai stati momenti imprevisti, da quando la corsa è entrata nel vivo abbiamo mantentuto il controllo di ogni situazione e soprattutto grande attenzione e grande serenità, che soprattutto le atlete più esperte hanno saputo trasmettere a Elisa. Quando si assiste a una gara così, credo che sarebbe giusto rivedere anche il podio e le premiazioni. Giusto dare la maglia iridata a chi arriva per primo, ma sarebbe giusto anche riconoscere il merito anche a tutte le altre ragazze.
«Questa convinzione è maturata già da tempo, una volta visto il percorso. L’alchimia perfetta si è iniziata a respirare negli ultimi tre giorni, quando abbiamo fatto la riunione tecnica. E’ nostra abitudine anticipare molto, in modo che ciascuna possa concentrarsi sul suo compito. E questa volta c’era la netta convinzione di potercela fare, più di altre volte.
«Le olandesi sono fortissime e oggi hanno corso da squadra e non da individualità, che mettevano le altre nelle condizioni di soffrire e non giocarsi le loro possibilità. Ci hanno provato, avevano anche loro la velocista, ma mi pare che non ci sia stata storia. Negli anni, la Vos ha trovato Bastianelli, Giorgia e adesso questa qua, la nostra Elisa, che ha 23 anni».
Elisa Balsamo ha scelto l'AeroClub di Orio al Serio per organizzare una gimcana per bambini. Spazi giganteschi, norme di sicurezza. E il gusto per il gioco
Il bello di Elisa è che dopo l’esplosione della gioia, delle lacrime e delle urla, torna come per incanto nei suoi panni posati e gentili, con quel fuoco che continua però a bruciarle in fondo agli occhi. Chi l’ha vista dopo l’arrivo del mondiale di Leuven, vinto davanti a Marianne Vos, ha potuto vederla fuori di testa e in trance agonistica. In lacrime ha abbracciato le compagne e intanto cercava faticosamente di mettere ordine nei pensieri. Poi è salita sul podio. E dietro la mascherina, cantato l’Inno di Mameli, la piemontese ha iniziato a mettere in fila i pensieri. Sono campionessa del mondo, è andato tutto come nei piani di Salvoldi. Come quella volta nel 2016 a Doha. Ma quelle erano junior. Queste erano le più grandi del mondo. Cos’altro vuoi dire senza essere banale?
La corsa è partita da Anversa e ha preso la direzione delle FiandreLa corsa è partita da Anversa e ha preso la direzione delle Fiandre
Rettilineo traditore
«Mi sono resa conto di quello che ho combinato dopo aver passato la linea – dice – perché sotto vedevo che lei stava rimontando. E allora mi sono detta: “Elisa, non devi mollare!”. Poi mi sono resa conto che anche lei doveva avere un po’ di mal di gambe. La volata è stata lunga. La Longo si è spostata ai 200 metri, ma avevo capito che quel rettilineo è traditore. Ero troppo lunga, per quello ho tardato a partire. A quel punto mi sono detta: “Stacca la testa e vai a tutta!”. E solo sulla riga mi sono resa conto. E mi sono resa conto soprattutto di aver battuto Marianne Vos: qualcosa di surreale».
Fidanza, Consonni, Balsamo, Paternoster, Doha 2016: Elisa campionessa del mondo junioresFidanza, Consonni, Balsamo, Paternoster, Doha 2016: Elisa campionessa del mondo juniores
Dieci anni fa, in Danimarca
Sono le 18 del 25 settembre. L’ultima volta fu nel 2011 con Giorgia Bronzini, che nelle intenzioni sarebbe dovuta essere suo direttore sportivo il prossimo anno alla Trek-Segafredo. Anche quella volta arrivò seconda Marianne Vos, così come l’anno prima sempre dietro alla Giorgia nazionale e pure nel 2007 quando il mondiale lo vinse Marta Bastianelli. Eppure l’olandese continuava a sorridere, come quando corri per passione e anche se vorresti sempre vincere, sai riconoscere il merito alle rivali. Intanto Elisa racconta.
«Sono sorpresa io per prima – dice – ma la squadra ha corso benissimo. Negli ultimi due mesi ho lavorato per arrivare qui. Non è stata una stagione facile per me. Avevo investito tanto sulle Olimpiadi di Tokyo, che non sono andate come volevo. Dal giorno che sono tornata, ho cominciato a lavorare pensando a questo giorno. Ho fatto due corse a tappe cercando di trovare la condizione e devo dire che il mio allenatore (Davide Arzeni, tecnico della Valcar, ndr) ha fatto davvero un ottimo lavoro e per questo lo ringrazio».
La Vos si arrende, sulla riga Elisa capisce di aver vinto il mondialeLa Vos si arrende, sulla riga Elisa capisce di aver vinto il mondiale
Cinque anni fa, a Doha
Anche allora, sulle strade di Doha, il mondiale arrivò in volata. E anche allora vinse la ragazzina che nel frattempo è diventata la donna capace di piegare le migliori del ciclismo mondiale. Sembrava già straordinariamente concentrata e lucida, accompagnata dai genitori che oggi invece sono rimasti a casa.
«Sono due maglie completamente diverse – dice – quella da junior è bella, te la godi ed è lo stimolo per lavorare di più e crederci tanto. Ma questa è molto più importante. Ed è per sempre. Faccio fatica a pensare a quello che sarà il prossimo anno, a cosa saranno le prossime corse. So che farò la Roubaix e so che il prossimo anno andrò in un team WorldTour da campionessa del mondo. Ma non voglio pensarci ora, voglio pensare alla mia squadra: la Valcar&Travel Services. Penso e spero che questa maglia serva a fare il salto di qualità e a trovare nuovi sponsor per diventare ancora più grande».
Prima le braccia al cielo, per celebrare la vittoria
Poi le mani sulla testa, con l’incredulità per il risultato
Infine le braccia abbassate, come una resa alle tante emozioni
Prima le braccia al cielo, per celebrare la vittoria
Poi le mani sulla testa, con l’incredulità per il risultato
Infine le braccia abbassate, come una resa alle tante emozioni
Frutti da raccogliere
Il resto è il rendersi conto che il lavoro e la semina degli ultimi anni della gestione Di Rocco, con il coordinamento di Cassani e il grande lavoro dei tecnici sta portando risultati come messi abbondanti, che anche il presidente Dagnoni dimostra di apprezzare parecchio.
E poi restano le curiosità che saltano fuori quando qualcuno vince il mondiale e si cerca di aggiungere colore alla vittoria. Le domande suoi studi in lettere (quattro esami alla laurea: primo impegno per l’inverno). E sulla passione per Diabolik, che è per lei il modo di pensare al nonno. Fuori la aspetta il suo mondo. Davide Arzeni, in lacrime. Davide Plebani, il suo compagno di vita. E tutte le ragazze azzurre, vincitrici oggi come lei di una gara indimenticabile.
Ricerca della base, ottimismo e il sogno olimpico tutto in divenire: Elisa Balsamo riparte dalla Spagna per una stagione che si annuncia più importante che mai
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Remco Evenepoel o Wout Van Aert? Il tifo del Belgio ciclistico (e non solo) è letteralmente spaccato a metà. Tuttavia l’ago protende per uno dei due e, almenoper il momento, a spuntarla è Wout Van Aert. Vederlo in azione tra la sua gente è stato emozionante anche per noi. Il giorno della crono quando si stava scaldando davanti al bus del Belgio c’era davvero il mondo. Cori quando è arrivato Evenepoel, cori e applausi quando è arrivato Van Aert.
Per farci gli affari loro, abbiamo chiesto ai colleghi giornalisti belgi chi è il più amato tra i due? E perché?
Van Aert ed Evenepoel al campionato nazionale 2021. Con lo loro Theuns (nel mezzo)Van Aert ed Evenepoel al campionato nazionale 2021. Con lo loro Theuns (nel mezzo)
Wout avvantaggiato dal cross
«Sicuro che il più amato è Wout – dice Guy Van den Langenbergh dell’Het Nieuwsblad – ha maggiore visibilità da più tempo. Ha vinto tantissimo nel ciclocross e questo lo rende molto popolare. E resta molto aperto ai suoi fans, molto semplice. Non è cambiato. Remco invece deve ancora cercare il suo cammino, sta crescendo sia come corridore che come persona. Ma non è allo stesso livello di Wout. Lui c’è sempre: d’inverno, d’estate, in primavera… sempre al centro dei media, è spontaneo. Remco non è così spontaneo in tal senso. Wout ha un’altra immagine: è sposato, ha dei figli, non li nasconde al pubblico. E questo piace…
«Remco è molto conosciuto tra i supporter del ciclismo, Wout è conosciuto da tutti, anche da mia madre che ha 84 anni. E per lei Wout è una star, Remco è un ciclista. Sembra che Remco sia sul piedistallo? Beh, se tutti gli dicono che il più forte corridore del mondo, che vincerà il Tour… poi è normale che a 21 anni non abbia sempre i piedi per terra».
Merckx ha detto che Remco correrà per sé e non per la squadra: cosa ne pensa Guy? «Io non credo. A Tokyo si è detto che il suo attacco prima del Mikuni Pass fosse sbagliato, in realtà è perché non ce la faceva visto come è andata. Ha cercato di fare qualcosa. Piuttosto ricordiamoci che due anni fa ad Harrogate ha aiutato Gilbert a rientrare. Non può permettersi un errore del genere per ottenere il supporto di tutto il Belgio, per guadagnare credito verso il gruppo, verso il cittì, i compagni… Magari attaccherà perché dovrà “aprire il finale”».
Tante scritte sull’asfalto del circuito di Leuven per Wout…Tante scritte sull’asfalto del circuito di Leuven per Wout…
Differenze e similitudini
«Sono due tipi differenti – ribatte Joeri De Knopp dell’Het Laaste Nieuws – Remco ha un carattere più impulsivo, il suo modo di fare, di reagire (come abbiamo visto anche a Trento con Colbrelli)… non tutti lo amano. E’ il carattere di un ragazzino. I tifosi che amano Van Aert sono di più. Ma chi ama Remco lo ama al 100%. Wout nella sua carriera ha già avuto tanti successi, mentre Evenepoel deve iniziare a costruire di fatto la sua carriera».
Ma forse in questa minor popolarità di Evenepoel c’è lo zampino della caduta al Lombardia dell’anno scorso, un incidente che di fatto ha bloccato la sua crescita. Remco sembrava lanciato alle stelle. Come se all’improvviso si fosse rotto l’entusiasmo intorno a lui.
«Può essere, ma attenzione – riprende De Knopp – Remco ha tantissimi supporter: dalle Fiandre Occidentali a quelle Orientali, nel Limburgo, in Vallonia… Piuttosto quell’incidente gli ha dato popolarità per tutto quello che ha dovuto fare successivamente per tornare al suo livello: il dolore, la fatica, la rinascita… Ma anche Wout ha vissuto qualcosa di simile, dopo la caduta al Tour de France due ani fa. No, io credo che la differenza tra i due la faccia il loro carattere. Wout è più grande, corre da più anni, ha già costruito la sua immagine.
«Se Remco si rende conto di questa differenza di popolarità? Eh… lui è come è. Non credo che voglia essere il personaggio principale. Certo, ha un passato diverso. Ha giocato a calcio, è stato anche all’estero e ha tirato fuori spesso questa storia. Ma ripeto, la grande differenza, come ho detto, la fanno i due caratteri».
Il Fans Club di Evenepoel R.EV 1703, uno dei più grandiIl Fans Club di Evenepoel R.EV 1703, uno dei più grandi
I club di Remco…
La differenza di età e soprattutto il ciclocross sono i motivi che anche secondo Ann Braeckman, freelance per diverse testate e sempre in prima linea nel ciclismo, segnano il solco fra Van Aert ed Evenepoel.
«E’ difficile comunque dire il perché di questa differenza di popolarità – dice la giornalista – Wout corre da più tempo e ha vinto tre mondiali nel ciclocross. Si batte sempre: in salita, nel cross, a crono e dà sempre tutto. Inoltre i suoi duelli con Van der Poello hanno aiutato. Remco, invece, è giovane. E’ la nuova star, pedala da neanche cinque anni. Non ha lo stesso carattere. Ha fatto delle cose per le quali in Belgio non c’è troppa abitudine, se sei un ciclista… Lui giocava a calcio in Olanda e nelle Fiandre hanno detto subito: che lì non erano modesti, non parlano bene in pubblico e quindi ha ripreso tutto ciò da lì. E’ chiaro che è meno popolare. Ma per me non è così grave che Remco abbia certe uscite. Alla fine ha 22 anni e già tanta attenzione mediatica».
Resta il fatto che domenica a Bruges quando è arrivato Evenepoel c’è stato un boato, ma quando è arrivato Van Aert è letteralmente esplosa la piazza.
«E’ anche vero però che Wout è arrivato dopo e si stava giocando l’oro. Inoltre consideriamo che da quelle parti, Fiandre Occidentali, il ciclocross è molto popolare e ci sta che abbia molti supporter. Ma Remco per esempio ha molti fans club. Ne ha uno grandissimo che è venuto a Trento con 42 persone. Ha un vero marchio, R.EV 1703: 1703 è il Cap di dove abita e R.EV 1703 è anche la targa della sua auto. Van Aert, invece, ha i tifosi, ovunque… magari anche lui ha dei club. Posso dire che nelle gare di cross si vede tanta gente che ha le sue maglie.
Infine una considerazione sulla gara di domani e su come potrà correre il giovane rampante. «Non credo comunque che domenica Remco correrà a modo suo – conclude Ann – Se per qualche suo sbaglio il Belgio non dovesse vincere sarebbero guai: avrebbe molto da perdere».
Se non fosse che ieri ha vinto un italiano, Baroncini chiaramente, l’arrivo più teso di questi mondiali fiamminghi è stato quello che (forse) meno ci si aspettava, almeno sin qui. La gara juniores femminile infatti ha riservato una gran bella corsa: un epilogo emozionante, grazie a Zoe Backstedt e Kaia Schmid. E anche diversi spunti tecnici.
Partenza nella fresca, per non dire freschissima, mattina di Leuven. Tra le vie di questa splendida cittadina piena di giovani (c’è una grande università) domina ancora l’ombra, tanto il sole è basso e nascosto da palazzi e chiese. A fianco alla griglia di partenza le ragazze man mano tolgono gambali e mantelline. I quadricipiti tremano, un po’ per il freddo e un po’ per la tensione.
Controllo dei rapporti per le azzurre…
Alle 8:15 (forse anche qualche istante in anticipo) scatta il mondiale juniores femminile
Controllo dei rapporti per le azzurre…
Alle 8:15 (forse anche qualche istante in anticipo) scatta il mondiale juniores femminile
Antipodi in testa
Dall’infinità di scatti (e cadute), già prima di metà gara escono queste due atlete. In pratica la più piccolina, la Schmid, e la più possente, la Backstedt, del lotto partenti. Quando passavano davanti ai box e le vedevamo pedalare la differenza era netta. Veramente agli antipodi. Anche nei dettagli extraciclistici: coda sciolta per l’inglese, coda legata per l’americana.
Scherzi a parte: due atteggiamenti diversi. Ed è stato questo a colpirci. Inglese molto grintosa, sempre a smanettare col cambio, spesso con lo sguardo rivolto all’indietro e anche molto generosa.Americana impassibile. “Mono passo”, seduta, calma, serafica… salvo poi scoprire che è un vero peperino. E anche molto abile nella guida. In diverse svolte aveva guadagnato dei metri preziosi.
E proprio per questo, sinceramente pensavamo che tentasse l’affondo sull’ultimo strappetto, visto che ci si arrivava abbastanza veloci (anche se nell’ultima tornata si stavano controllando). E visto che lo si attaccava con un tornante secco a sinistra. Ogni volta in quel punto guadagnava dei metri. Inoltre, due giorni fa, in ricognizione l’avevamo vista provare lo strappo due volte. Una delle quali pianissimo, come se volesse studiare centimetro per centimetro quel “trampolino di lancio”.
Il podio: Zoe Backstedt (prima), Kaia Schmid (seconda), Linda Riedmann (terza)Il podio: Zoe Backstedt (prima), Kaia Schmid (seconda), Linda Riedmann (terza)
Fuggitive pistard
Entrambe sono però due atlete dallo spunto veloce e hanno un certo feeling con il ritmo. Entrambe hanno più che assaggiato la pista. La Backstedt è primatista nazionale dell’inseguimento, la Schmid ha vinto l’eliminazione ai mondiali juniores del Cairo. Semmai si poteva temere sulla sua tenuta. Resistenza che, al contrario, è uno dei cavalli di battaglia della possente inglese, tra l’altro figlia del grande Magnus, professionista dal 1996 al 2012.
«Quando l’ho vista davanti ero sicura che la Backstedt potesse partire da lontano – ha detto Francesca Barale a fine gara – Anzi, pensavo che l’avrebbe staccata. Peccato perché ho capito subito che quello poteva essere un attacco buono».
E in effetti Zoe ci ha provato come dice Francesca. Rischiando tra l’altro di mandare all’aria la fuga, qualora la Schmid avesse smesso di collaborare. Cosa che ci poteva stare.
Backsted incredula. Dopo l’argento a crono ecco l’oro su strada. Lo sprint è suo
Potenza e vittorie sono nel Dna di famiglia. Ecco papà Magnus vincere la Roubaix nel 2004
Backsted incredula. Dopo l’argento a crono ecco l’oro su strada. Lo sprint è suo
Potenza e vittorie sono nel Dna di famiglia. Ecco papà Magnus vincere la Roubaix nel 2004
Sprint cortissimo
Invece alla fine è stato sprint. Ognuna sapeva il fatto suo. Inglese in testa e americana dietro. Il problema però è che sul piano della potenza pura, non ci sarebbe stata storia. Zoe avrebbe vinto lo sprint per distacco. L’americana stando a ruota, l’ha costretta a guardare dietro. E non si è mossa fino all’ultimo. Ha cercato, con furbizia, di portarla più vicino possibile al traguardo. Di fare una volata corta. E ci è riuscita. Lo sprint non sarà durato più di 80 metri e alla fine ha perso per meno di mezza ruota. Fosse partita ai 200 metri ci sarebbe stato il buco.
«Sono contentissima – dice la Backstedt a fine gara – dedico questa vittoria alla mia famiglia. Ho tagliato la linea del traguardo e mi sono detta: sei campionessa del mondo! E’ un sogno. Come mi sentivo? Davvero bene, il secondo posto nella crono lo conferma. E non è stata una sorpresa essermi ritrovata così avanti, ma da qui a vincere…».
E poi c’è lei, Kaia. L’americana ha letteralmente conquistato la sala stampa. Simpatica, con la battuta pronta, la 18enne di Boston è quasi più felice dell’inglese, almeno stando al tono squillante della voce.
«Vengo dal freestyle con gli sci – dice Kaia – e l’approccio ad una gara ciclistica è del tutto diverso. Nello sforzo, nell’impegno mentale… Ma io cerco sempre di divertirmi. Pensavo a questi mondiali già tre settimane fa quando ero al Il Cairo in pista». E da qui si capisce anche la sua abilità nella guida. Un qualcosa che non era dovuto solo alla pista.
Le azzurre a fine gara. Hanno dato tutto e il sorriso non manca
I segni della caduta di Francesca Barale
Eleonora Ciabocco (a sinistra) e Francesca Barale (a destra) a fine gara
I segni della caduta di Francesca Barale
Azzurre cadute, ma battagliere
Meno di un minuto dopo le due protagoniste, ecco arrivare il resto del mondo, di cui fanno parte anche le prime azzurrine: Eleonora Ciabocco(nona) e Francesca Barale (14ª).
«E’ stata una corsa molto difficile da interpretare perché piena di cadute – dicono praticamente in coro – Il gruppo si è selezionato subito al secondo giro proprio per le cadute. Si è spaccato in due e siamo rimaste indietro. A quel punto abbiamo sprecato tante energie per rientrare. E quando sono andate via loro due è stato il momento proprio in cui noi eravamo rientrate. A quel punto però a non ne avevamo per stargli dietro. Poi abbiamo fatto il possibile per cercare di ottenere un terzo posto in volata, ma è andata così».
Semplicemente magistrali. Perfetti. Gli azzurri di Marino Amadori hanno corso il mondiale U23 senza errori. Non solo per la vittoria di Baroncini. Sono stati sempre attenti. Sempre nelle prime posizioni. Davanti nei momenti cruciali. Hanno corso… bene. Hanno rispettato le consegne del cittì e i fondamentali di questo sport. Compattezza, umiltà, cattiveria agonistica, lucidità, forza, acume tattico.
Ci sono due fotogrammi simbolo, a nostro avviso.
Il primo. A 20 chilometri spaccati dal termine, quando davanti c’era ancora Luca Colnaghi, gli azzurri si spostano su un lato della strada e confabulano qualcosa. In quel momento la corsa non è nel vivo: di più! C’è tensione, adrenalina, tanto più che si pedala nel circuito cittadino.
Il secondo. All’imbocco dello strappo in cui è scattato “Baro”, ben quattro azzurri piombano davanti per prenderlo in testa. Il gruppo era allungato. Era il momento X. E loro c’erano. A quel punto la sensazione che stesse per accadere qualcosa di grande era forte. Ci sono venute in mente le parole di Filippo della vigilia («Lo strappo ai -6 può essere decisivo») e il finale della Coppa Sabatini in cui ha mostrato una super condizione. Sarebbe partito: sicuro.
Marino Amadori con Filippo Zana. Dopo alcune fasi in cui è rimasto composto, finalmente anche il cittì si è lasciato andare ai sorrisiMarino Amadori con Filippo Zana. Dopo alcune fasi in cui è rimasto composto, finalmente anche lui si è lasciato andare
Capitan Zana
A richiamare tutti sull’attenti è stato Filippo Zana, che dal cittì ha ricevuto le chiavi della squadra. Negli ultimi tre chilometri ha chiuso persino sulle mosche.
«Diciamo di sì dai – ammette col sorriso il corridore della Bardiani Csf Faizanè – la cosa più importante è aver portato a casa la vittoria. A volte mi sono un po’ arrabbiato. Però penso sia servito a spronare i ragazzi e a riportare l’attenzione giusta. Perché? Perché certe volte eravamo un po’ in ritardo su alcune azioni. Si poteva fare meno fatica.
«Se poi si hanno le gambe e tutti hanno le gambe è più facile. Abbiamo corso da squadra e sono davvero contento: per la maglia, per noi, per Amadori, per “Baro” che è davvero un bravo ragazzo».
Una delle immagini più belle di ieri. Le bici scorrono dopo l’arrivo e Colnaghi si complimenta con Baroncini
Luca Coati, anche lui ha svolto ottimo lavoro per la squadra. E sì che stava benissimo…
Una delle immagini più belle di ieri. Le bici scorrono dopo l’arrivo e Colnaghi si complimenta con Baroncini
Luca Coati, anche lui ha svolto ottimo lavoro per la squadra. E sì che stava benissimo…
Parola Colnaghi e Coati
Una grossa fetta di questo successo spetta poi a Luca Colnaghi. Luca è entrato in un attacco che per lunghi tratti poteva anche essere buono.
«A me piace aspettare le volate – dice Luca Colnaghi – ma mi sono ritrovato in questo gruppetto. Quando sto bene seguo l’istinto e l’istinto mi ha detto di provarci. E’ stato il punto chiave della corsa credo, perché così ho potuto dare il mio contributo e la squadra si è potuta risparmiare un po’».
Qualche istante dopo ecco che in zona mista sfila dietro di lui l’altro Luca, Coati. Lui è il più pacato e forse tra i più freschi in volto degli azzurri.
«Siamo partiti con un solo obiettivo – dice il corridore della Qhubeka Continental – vincere. E ce l’abbiamo fatta. All’inizio pensavo venisse fuori una corsa un po’ più dura nel giro grande. Ma non è stato così, poi Colnaghi è entrato nella fuga e ci ha permesso di stare sulle ruote. Il resto… lo ha fatto Filippo!».
Michele Gazzoli, soddisfatto, parla con i preparatori del Centro Mapei, Matteo Azzolini (a sinistra) e Andrea Morelli (al centro)Michele Gazzoli, soddisfatto, parla con i preparatori del Centro Mapei, Matteo Azzolini e Andrea Morelli
Gazzoli l’altra cartuccia
Dopo essere scesi dal palco, in quanto anche vincitori della Coppa delle Nazioni, man mano gli azzurri arrivano ai nostri microfoni. Ormai la folla si è dileguata e il cielo inizia ad farsi scuro su Leuven. Non per noi italiani, non per gli azzurri.
«Oggi abbiamo dimostrato chi è la nazionale italiana U23 – dice Michele Gazzoli – E’ tutto l’anno che corriamo da padroni e infatti abbiamo vinto la Coppa della Nazioni e questo è frutto di un grande lavoro di squadra. Abbiamo dato un grande spettacolo. Cosa ci ha detto Marino prima del via? Di essere una squadra. Sapevamo cosa dovevamo fare: vincere! C’era solo una soluzione. Sapevamo quali erano i punti importanti. Sapevamo come muoverci e con chi muoverci. E sapevamo che Baro sarebbe partito lì. Io mi dovevo tenere pronto eventualmente per la volata finale.
«Ho mancato il podio per 50 metri. Sono partito un po’ troppo presto, ma va bene così. L’importante è aver preso la maglia».
Marco Frigo in azione. Lui divideva la stanza con Baroncini e da un mese in pratica “vivevano” insiemeMarco Frigo in azione. Lui divideva la stanza con Baroncini e da un mese in pratica “vivevano” insieme
Frigo: amico prezioso
Infine, lo abbiamo tenuto per ultimo, anche se è stato tra i primi con cui abbiamo parlato, c’è Marco Frigo. Marco è stato colui che ha fatto le veci del cittì quest’inverno quando è venuto a provare il percorso su richiesta di Amadori. E’ stato compagno di stanza di Baroncini e vero uomo squadra in corsa: attento, generoso… Spesso Marco resta nell’ombra, ma ieri soprattutto è stato un grandissimo.
«Su un percorso così l’esperienza alla Seg (squadra olandese in cui milita, ndr) si è fatta sentire – racconta Marco – e l’ho messa a disposizione dei miei compagni. Perché su un tracciato del genere è importante non solo risparmiare energie fisiche, ma anche mentali. Già nel trasferimento e nella prima parte di gara ci sono state tante cadute. Per questo stare davanti è stato fondamentale. E si è visto. Baroncini nel finale è stato palesemente il più fresco ed è riuscito a concretizzare. E un ulteriore riprova è il risultato in volata degli altri (senza sprinter, ndr): segno che abbiamo corso bene».
«Vero io sono in camera con lui – riprende Frigo – Ma non solo qui. E’ dall’Avenir praticamente che siamo insieme. Che dire: è un ragazzo davvero bravo. Se la merita. In camera era un paio di giorni che parlava di questa azione. Mi diceva sempre: quello è il punto giusto. Poi stamattina (ieri per chi legge, ndr) abbiamo guardato la gara degli juniores insieme e lì è dove ha attaccato il norvegese. Quindi è come se avesse avuto la prova che quel che diceva fosse giusto. Era la mossa da fare. In questi giorni abbiamo anche riguardato le corse che passavano da queste parti per vedere come prendevano i muri.
«Come l’ho tenuto tranquillo? Filippo è tranquillo di suo! Una cosa che mi piace di lui è che crede tanto in sé stesso. Era convinto che se avesse attaccato lì sarebbe andato all’arrivo. E ha avuto ragione».
Le professional vanno a caccia di talenti sempre più giovani e Graziano Beltrami, finanziatore dell'omonima continental, suona l'allarme: così chiudiamo!
Se con le junior è tutto più incerto, perché il gruppo ha meno riferimenti e la capacità di prestazione non permette grossi giochi di squadra, quando parla del mondiale delle donne elite, dei suoi muri, del vento e delle rivali, il discorso di Dino Salvoldi si fa più dettagliato.
«Quando giovedì abbiamo rifatto il sopralluogo – dice – abbiamo avuto la conferma che il percorso di per sé non è troppo impegnativo. L’esito della corsa sarà condizionato da due fattori. Uno è l’Olanda e l’altro è il meteo e non è detto che non siano legati fra loro. Se c’è vento nella prima parte, le olandesi sono capaci di trarne vantaggio. Se riescono a crearsi la superiorità numerica, poi dovranno solo scegliere chi mandare all’attacco. Per questo il nostro piano A è arrivare in volata con quello che resterà del gruppo».
In caso di sprint, sarà Confalonieri a tirare la volata a Elisa BalsamoIn caso di sprint, sarà Confalonieri a tirare la volata a Elisa Balsamo
Resti dell’idea che la deputata a fare lo sprint sarà Elisa Balsamo?
Direi proprio di sì.
Quindi Longo Borghini servirà soltanto per tenere cucita la corsa?
Niente affatto, perché di sicuro nel tratto dei muri attaccheranno e a quel punto lei e Marta Cavalli, le due ragazze con la miglior predisposizione per i dislivelli, dovranno entrare negli attacchi e non collaborare. Poi dovranno fare delle valutazioni. Vedere quante sono, chi sono e quali i rapporti di forza. Poi dovranno guardare indietro per capire cosa fa il gruppo. E se valutano che ci siano le condizioni per andare via, potranno anche collaborare.
Se non va via la fuga?
Immagino un gruppetto di 25-30 ragazze con italiane, tedesche e belghe che vorranno tenere la corsa per arrivare in volata. Ma dobbiamo stare svegli. Se va via un’olandese e prende 15 secondi, è finita. A meno che non trovi accordi sempre difficili da fare. Loro si caricano a fare la differenza, corrono a questo modo e se vedono il vantaggio, sono capaci di tenerlo. Solo loro possono fare la corsa, senza Olanda non c’è selezione.
E se si arriva in volata c’è una tattica?
Lo schema è che a tirarla sia Confalonieri. La volata va fatta da destra verso sinistra, con l’ultima che si sposta al centro, ma non prima degli ultimi 150 metri. Forse anche oltre, perché prima la strada tira.
Cavalli sui muri del circuito esterno, Balsamo per la volata: il piano è chiaroCavalli sui muri del circuito esterno, Balsamo per la volata: il piano è chiaro
E la Bastianelli?
Le ho lasciato carta bianca fino alla campana. Può entrare nelle fughe e se riuscisse ad andare via bene, a noi farebbe solo piacere visto che è velocissima. Al momento della campana, tutti per la Balsamo ed eventualmente per la stessa Bastianelli se Elisa non stesse bene. In assoluto sono divise per coppie.
Coppie?
La prima fase sarà affidata a Cecchini e Guazzini. Poi ci saranno le due ragazze per i muri. Bastianelli libera, infine Confalonieri e Balsamo. Mi sarebbe piaciuto far correre Barbara Guarischi, che sa fare bene l’ultima in volata e viene da una grnade stagione, ma si corre soltanto in cinque e ho dovuto fare delle scelte.
Con le junior siamo in piena terra di nessuno?
Sarà una gara di ripartenze, non si vedranno azioni scriteriate, perché nessuna squadra è in grado di organizzarsi e inseguire. Per cui sarà fondamentale tenere le posizioni. A Trento sono state bravissime, supplendo con il gioco di squadra la differenza di individualità. Per come corrono, potrà esserci indistintamente un arrivo solitario, un gruppetto di 3-5 ragazze come pure il gruppo compatto.
Le junior puntano su Basilico e CiaboccoLe junior puntano su Basilico e Ciabocco
E noi con chi ce la giochiamo?
Con Basilico e in seconda battuta con Ciabocco, seguendo con attenzione alcune ragazze. Linda Riedmann, la tedesca che ha vinto l’europeo. Ivanchenko, la russa che ha vinto la crono qui a Bruges. E forse la Backstedt, anche se il percorso non le si addice molto. Noi ci saremo, vedrete che ci faremo valere…
«Sono emozionatissimo. E’ un sogno che si avvera. Un sogno che avevo da quando ero bambino», anche in conferenza stampa la tranquillità di Filippo Baroncini non viene meno, neanche mentre indossa la sua fresca e scintillante maglia iridata. E’ caduto, si è rialzato come se niente fosse. E ha ripreso per la sua strada, che nella sua mente era ben chiara.
Si vedeva che stava bene. La sua Cinelli scorreva via facile, facile. E quando nella svolta a destra che introduceva nel penultimo strappo le quattro maglie azzurre erano in testa, abbiamo capito che a 100 metri dalla fine del tratto duro avrebbe dato la zampata violenta, di cui ci avevaparlato anche Amadori.
Finalmente la gioia vera. Dopo il 2° posto di Trento stavolta è oro. Baroncini succede a Battistella l’ultimo iridato U23 (nel 2019)Finalmente la gioia vera. Dopo il 2° posto di Trento stavolta è oro. Dopo Battistella (2019), ecco Baroncini
Tutto secondo i piani
La zampata l’ha data. Si è voltato e ha visto aprirsi il buco. Merito del tanto lavoro e della tremenda rifinitura della Coppa Sabatini, dove è stato quarto a ruota di gente da WorldTour.
Ieri lo avevamo visto arrivare lungo ad una curva, quella che introduceva nello strappetto finale a 1.700 metri dall’arrivo. Nel pomeriggio ci avevamo anche parlato. E ci aveva confermato, come ha fatto oggi in conferenza stampa, che stava provando l’azione decisiva. Vincere come aveva visualizzato e come ci si aspettava non è da tutti. E’ da campioni veri. Da uomini freddi... ma non nel cuore.
«Devo ringraziare la squadra che mi ha permesso di non prendere troppa aria e di stare coperto – dice il neoiridato – l’attacco di Luca Colnaghi ci ha fatto risparmiare energie preziose per il finale. Sì, è vero. Ieri stavo provando l’attacco di oggi. Era così che volevo fare. Era importante fare le curve forte».
E poi a dire il vero un po’ voleva anche evitare di arrivare allo sprint, memore di quanto successo a Trento pochi giorni prima.
Dopo circa 60 chilometri, Filippo è anche finito a terra. Per fortuna senza conseguenze
Ai -6,4 chilometri ecco lo scatto di Baroncini. Al termine del penultimo strappo è rimasto solo…
Dopo circa 60 chilometri, Filippo è anche finito a terra. Per fortuna senza conseguenze
Ai -6,4 chilometri ecco lo scatto di Baroncini. Al termine del penultimo strappo è rimasto solo…
Filippo, re di tranquillità
Tranquillità: è questa la parola chiave di questo ragazzo? A quanto pare sì. Suo papà Carlo riesce ad abbracciarlo poco dopo essere sceso dal podio. Con lui c’è anche il… suocero Gianfranco, che si commuove. La sua Alessia invece non si è sobbarcata i 1.200 chilometri dall’Emilia Romagna a Leuven.
«E’ vero – ammettono i due – è molto tranquillo. Riesce a trasmettere serenità anche a casa». Talmente tranquillo che per qualche istante, dopo esserci goduti la sua azione da manuale, abbiamo temuto che mandasse tutto all’aria perché negli ultimi 100 metri ha praticamente smesso di pedalare. Il teleobiettivo inganna è vero, ma un sospiro lo abbiamo lanciato… e non solo noi.
«No no… – ride Baroncini – me lo sono goduto quel finale. Ho visto che ero solo. A quel punto ero tranquillo e l’ho lasciata scorrere».
L’abbraccio con il papà della compagna e dietro il papà…
Marco Selleri (a sinistra) con Gianluca Valoti: la gioia esplode
L’abbraccio con il papà della compagna e dietro il papà…
Marco Selleri (a sinistra) con Gianluca Valoti: la gioia esplode
Amadori premonitore
Ma intanto è bella l’atmosfera che si respira a Leuven. Una vera gioia. Un’altra medaglia, un altro oro. Dall’Italia sono arrivati tifosi e diesse. C’è persino il direttore del Giro U23, Marco Selleri, il quale dice che se la sentiva.
Ma il più commosso è Gianluca Valoti. Il suo diesse alla Colpack Ballan se lo abbraccia, abbraccia anche a noi. Ha la voce tremolante. Così come Rossella Di Leo, la team manager.
Amadori è chiamato a gran voce dai suoi ragazzi sul podio. Perché tra le altre cose gli azzurri hanno vinto anche la Coppa della Nazioni. E’ un vero trionfo. Ogni curva disegnata al millimetro, ogni unghia mangiata. Anche Marino sapeva bene chi aveva sotto mano. «Baro è in grado di fare un attacco violento finale», ci aveva detto il cittì. E così è stato. E adesso la festa può iniziare…
Incontro intenso e toccante con Giacomo Carminati, autista dal 1994 del pullman Mapei. Ma questo potrebbe essere l'ultimo anno. La grande storia finirà?