Zeeman e Ten Hag, un’amicizia nata pensando al Tour

16.11.2022
5 min
Salva

Quando hai la guida del team numero uno del ranking Uci, quello che ha vinto il Tour de France e un’infinità di altre gare, e vedi che le avversarie si sono rafforzate intorno ai loro leader, che cosa fai? E’ la domanda che Merijn Zeeman (nella foto di apertura Anp con Vingegaard) si è posto a fine stagione, ragionando sui programmi della Jumbo Visma ed è partito da un presupposto, una massima che è stampata a chiare lettere nella sua mente ed è alla base del lavoro del team olandese: “Se fai quello che hai fatto, ottieni quello che hai”.

Era sulla base di questo detto che un anno fa, dovendo rimettere mano al team, chiese aiuto a Erik Ten Hag, uno dei più acclamati allenatori di calcio, prima all’Ajax tornato con i giovani agli antichi fasti e poi al Manchester United, che sta cercando di riportare in auge. Un giorno Zeeman chiese appuntamento al suo collega per confrontare le loro esperienze: la Jumbo veniva dalla seconda sconfitta al Tour, con Roglic caduto e Vingegaard ancora acerbo per contrapporsi a Pogacar, il “minatore sloveno” come lo chiamava con un pizzico di malizia Tom Dumoulin vedendo la sua posizione nelle cronometro.

Zeeman con Richard Plugge e Frans Maassen, due dei diesse della squadra
Zeeman con Richard Plugge e Frans Maassen, due dei diesse della squadra

Il grande lavoro sul percorso

Fu allora che Ten Hag gli disse quella frase, per fargli capire che serviva un cambiamento, ripensare tutta la struttura del team. Zeeman chiamò a raccolta tutti i diesse e i responsabili di settore. Una riunione animata ma fruttuosa, nella quale chiese a ognuno di contribuire con idee sulla base di domande semplici ma basilari: che cosa cambiare per fare meglio, che cosa non ha funzionato, come si muovono gli altri in confronto a noi. E dopo quella ci furono altre riunioni, mentre Zeeman teneva con Ten Hag un filo diretto costante.

Il principio di base fu che se hai a disposizione più campioni, devi anche pensare a più tattiche, sfruttare il loro talento per non essere prevedibile. Per farlo, si lavorò sul percorso del Tour, studiandolo fin nei minimi particolari, cercando sempre di prevedere le mosse di Pogacar, considerandolo diverso da quello del 2020. Allora lo sloveno aveva vinto da solo, ma due anni dopo aveva una squadra salda al fianco, luogotenenti fortissimi e votati alla causa come Majka. Bisognava capire i punti deboli.

Pogacar nella morsa di Vingegaard e Roglic in vista del Granon: sarà il suo calvario…
Pogacar nella morsa di Vingegaard e Roglic in vista del Granon: sarà il suo calvario…

La tattica giusta

Sono state analizzate anche le interviste dello sloveno, finché nella mente di Zeeman prese forma la strategia: se Pogacar spreca tante energie prima di una salita lunga, diventa vulnerabile. Ma serve che qualcuno si sacrifichi. Il Tour proponeva tappe adatte? Sì, la 11 con il Col di Granon e la 12 con l’Alpe d’Huez. La scelta cadde su Roglic, un po’ più lontano in classifica di Vingegaard ma ancora pericoloso per la classifica, chiamato a spremere il connazionale. Attacchi alternati, lontano dal traguardo. Pogacar alla lunga si è sfibrato e Vingegaard, a 5 chilometri dal traguardo, è andato via.

A tutto ciò, Zeeman ha pensato spesso nelle ultime settimane. La gioia per i successi ha presto lasciato spazio alle riflessioni sul 2023, perché ripetersi è sempre più difficile che scalare il colle per la prima volta. Il manager della Jumbo Visma ha pensato allora di tornare dal suo amico, ma questa volta in una situazione diversa. Per entrambi.

Ten Hag con Ronaldo, stella del Manchester United messo di lato senza alcuna remora (foto Sky Sport)
Ten Hag con Ronaldo, stella del Manchester United messo di lato senza alcuna remora (foto Sky Sport)

L’esperienza di Ten Hag

Zeeman ha preso spunto proprio da quel che Ten Hag sta passando. Nelle file del suo team è tornato Cristiano Ronaldo, che a 37 anni reclama ancora (e in base alle sue giocate anche giustamente) spazio e attenzione. Ten Hag non ci ha pensato due volte, quando il portoghese non girava, a metterlo in panchina, ma il multimilionario portoghese non ha gradito e i rapporti fra i due sono irrimediabilmente compromessi.

Il tecnico della Jumbo Visma teme che possa avvenire la stessa cosa, non tanto fra Roglic e Vingegaard che vanno d’accordo al punto che sembra possibile programmare per i due anche impegni diversi (Roglic al Giro?), quanto per integrare i nuovi innesti. Il pensiero di Zeeman è riassumibile nella seguente maniera: «La Uae ha preso Yates e Vine in supporto a Pogacar, la Ineos si è rafforzata con Arensman, noi abbiamo preso due pezzi pregiati come Kelderman e Van Baarle, ma come integrarli? Saranno disposti a ruoli di supporto, a “stare in panchina” alla bisogna?».

Il timore è soprattutto per il primo, alla sua chiamata estrema per dimostrare di che pasta è fatto, dopo che sia alla Sunweb che alla Bora Hansgrohe non solo ha perso diversi treni, ma non è sembrato l’elemento ideale per far gruppo, per votarsi alla causa.

Wilco Kelderman, ultimo arrivo alla Jumbo-Visma: che ruolo avrà e come sarà gestito?
Wilco Kelderman, ultimo arrivo alla Jumbo-Visma: che ruolo avrà e come sarà gestito?

Beninteso, spazio ai giovani…

Per questo, prima ancora dei ritiri prestagionali, Zeeman ha preso l’aereo ed è volato a Manchester, dal suo amico e davanti a una birra hanno iniziato a discutere: «Come si gestisce gente che ha già vinto tanto – ha raccontato a Helden Magazine – e che vuole spazio, come gli chiedi di sacrificarsi per un altro, per la causa o addirittura di lasciar spazio e restare ai margini? In passato era più facile accettarlo, c’erano gerarchie più definite, un capitano e tanti gregari. Ora non è più così, bisogna pensare all’approccio umano che è fondamentale».

Che cosa gli abbia suggerito Ten Hag non è dato sapere, ma Zeeman, sempre nell’intervista concessa al magazine olandese, ha lasciato intendere qual è l’orientamento generale: «Noi vogliamo assolutamente vincere ancora il Tour e portare a casa quel che ancora non abbiamo vinto, come una classica monumento tra Fiandre e Roubaix e il Giro d’Italia. Quando avverrà? Spero presto, ma so che per farlo dovremo affidarci a corridori che sono cresciuti con noi, guidandoli nel loro intero processo di affermazione». Chi viene da fuori, se lo ricordi…

Affini ci apre la porta di casa. Chiacchiere di autunno

13.11.2022
6 min
Salva

Il sole cala e l’umidità sale a Serraglio, paesino del mantovano dove in una casa stile castello vive Edoardo Affini. Due torrette in pietra, i gerani, un portico… il cronoman ci accoglie col sorriso. Andiamo a trovare il gigante della Jumbo-Visma in un pomeriggio di novembre. E’ in momenti come questi che si racconta in tranquillità quel che è stato e di quel che sarà.

Affini, classe 1996, è alla sua terza stagione da professionista. Una stagione tutto sommato bella per lui, suggellata dalla maglia rossa alla Vuelta. Mentre ci mostra la sua bella casa che è ancora in fase di costruzione iniziano le nostre domande. E la prima è una curiosità da “cicloamatore”.

Edoardo con le due maglie rosse della Vuelta, quella speciale per le frazioni olandesi e quella tradizionale
Edoardo con le due maglie rosse della Vuelta, quella speciale per le frazioni olandesi e quella tradizionale
Edoardo, qui di montagne neanche l’ombra. Come fai per gli allenamenti?

I primi strappetti, le colline moreniche, sono a 30 chilometri, altrimenti devo andare sul Garda. Se devo fare una distanza senza lavori ci vado in bici, ma se devo fare degli specifici mi avvicino con la macchina. Altrimenti tempo che arrivo è ora di tornare a casa!

E si diventa cronoman anche per tutta questa pianura? Al netto di un certo fisico chiaramente…

Di certo con la pianura c’è feeling. La faccio spesso. Anche i rapporti: vai a cercare quelli più lunghi.

Che stagione è stata?

Direi una bella stagione per me, molto bella per la squadra. Per quel che mi riguarda ci sono stati alti e bassi. Tra gli alti, c’è senza dubbio la maglia rossa alla Vuelta arrivata dopo una vittoria, quella della cronosquadre. O il podio nella tappa del Giro. E poi quando sei in corsa e i tuoi capitano finalizzano. Come Wout (Van Aert, ndr) alla Omloop o ad Harelbeke.

Affini ha ricavato uno stanzino per i suoi trofei
Affini ha ricavato uno stanzino per i suoi trofei
E i bassi, invece , quali sono stati?

Le due mazzate del Covid. Una a febbraio, che ha scombussolato un po’ i piani della primavera, e una alla Vuelta. Quella mattina in Spagna ho fatto un controllo quasi per scrupolo visto che qualche caso c’era stato. Dopo il tampone stavo andando a fare colazione quando con la coda dell’occhio ho visto la seconda lineetta del test. Non avevo assolutamente niente, ma c’è un protocollo di squadra che parla chiaro e sono tornato a casa.

Hai parlato della squadra. Con tutte queste vittorie vi sentite più forti quando siete in corsa. Per la serie: “Fatevi largo arriviamo noi della Jumbo-Visma”?

Questa sensazione c’era già l’anno scorso e quest’anno ancora di più. Siamo sempre pronti a prendere in mano la corsa e fare il meglio per far vincere i capitani. Non solo, ma quando poi hai capitani del nostro calibro anche le altre squadre ci lasciano fare. “Che ci pensino loro”, dicono. Ma al Fiandre, anche senza Wout fermato dal Covid, abbiamo dato il nostro contributo e corso come volevamo noi.

Insomma c’è questa sensazione di essere una squadra…

Siamo un collettivo. Sono qui da due anni, di prima non posso parlare, ma da quel che mi dicono è che proprio negli ultimi due anni si è fatto un bello step. Specie nel cercare di fare la corsa.

Il treno della Jumbo-Visma guidato da Affini nella cronosquadre della Vuelta che gli permesso di vestire in rosso
Il treno della Jumbo-Visma guidato da Affini nella cronosquadre della Vuelta che gli permesso di vestire in rosso
Parliamo di leader. Van Aert che capitano è? Cosa chiede in corsa?

Wout sa quel che vuole. Non è uno che ti martella, però è capace di farti tirare fuori il meglio per il tuo specifico lavoro. E te ne rendi conto dopo. Tu stesso percepisci che vuoi dare il 100%.

Roglic invece?

Anche lui è un leader, ma è diverso rispetto ad un Van Aert. E’ più espressivo, nel senso che parla di più è più “nervoso”. Poi magari certe volte su una salitella sta faticando tanto e ti dice: “Ti vedo bene, io invece oggi ho mal di gambe”. Allora lo guardi e visto che un po’ lo capisce, gli dici in italiano: “Primoz, mettiti a ruota!”. A quel punto capisce e si mette a ridere… Però è un capitano vero.

E poi c’è Vingegaard…

Con Jonas non ho corso tanto a dire il vero. Ci ho fatto la Tirreno, quando ha fatto secondo dietro Pogacar. Che dire: è un talento. Di certo è un tipo tranquillo. Quando si è detto che dopo il Tour fosse saltato di testa è perché lui non cerca attenzioni, non è da social. E’ introverso. Però quando è in corsa sa come gestire la squadra. E gli piace stare dietro a me! 

La fuga di Treviso. Grande collaborazione e ottime gambe hanno permesso ai quattro di andare al traguardo. Affini fu secondo
La fuga di Treviso. Grande collaborazione e ottime gambe hanno permesso ai quattro di andare al traguardo. Affini fu secondo
Ah sicuro: dietro ad Affini si sta bene!

La posizione di Wout alla Sanremo è stata una cosa micidiale. Anche lui riesce a stare ben coperto dietro a me. Per risparmiare energie ha fatto tutta la corsa alla mia ruota. E queste erano le consegne. Lui si fermava a fare pipì? Io mi fermavo. Lui andava all’ammiraglia? Io andavo dietro. Così fino alla Cipressa.

Come hai passato quest’ultimo periodo?

Bene dai. Riposo vero. La prima settimana sono stato a casa, poi sono andato in Olanda dalla mia ragazza per 15 giorni e adesso sono di nuovo qui. Ho ripreso giusto questa settimana, con piccole cose, giusto per dire al fisico che è ora di riprendere, mentre da domani si riprende più seriamente.

Dal balcone, fra le due torrette in pietra, un saluto prima di andare via
Dal balcone, fra le due torrette in pietra, un saluto prima di andare via
Si dice che si va sempre forte, quali sono stati i giorni in cui in stagione ha spinto di più?

Beh, nella cronosquadre della Vuelta siamo andati forte davvero. Ma anche nel giorno della fuga al Giro. Negli ultimi 60 chilometri abbiamo pedalato di brutto. Giravamo tutti e quattro.. come un quartetto. Abbiamo mantenuto la velocità alta. Anche Gabburo, che era più piccolo, girava con noi passistoni. Ci stava un attimo, ma la velocità non calava. E poi un altro giorno che abbiamo menato e in cui ho avuto paura di restare solo indietro è stato nel giorno del Crocedomini in avvio. Nella tappa dell’Aprica. Mi sono detto: “Almeno fino in cima devo restare attaccato. Poi vediamo”. So solo che per un’ora e 4′ ho fatto 430 watt… per restare attaccato.

E il Giro d’Italia con tre crono ti piace?

Diciamo due nel mio caso! Penso sia un percorso interessante. Ci sono anche delle tappe dure. La prima crono è interessante, ma anche la seconda è insolitamente lunga per il Giro. In generale penso sia giusto che in un grande Giro ci siano anche dei bei chilometri contro il tempo. E infatti penso che al Tour quest’anno abbiano un po’ sbagliato. Pensiero mio almeno…

Qual è l’obiettivo di Affini?

Continuare a migliorare. Certo anche vincere, quello fa piacere a tutti, ma di base dico migliorare.

Il Tour di Vingegaard iniziato da una lite a scuola

11.11.2022
4 min
Salva

Soltanto nella sua casa a Hillerslev, Vingegaard riesce ad essere semplicemente Jonas. Quando lo dice, a tratti nella sua voce compare una voglia di normalità dopo lo tsunami di popolarità che lo ha travolto con la vittoria del Tour. Il paese si incontra 280 chilometri a nord di Copenhagen e con i suoi 360 abitanti è davvero un’oasi di silenzio.

«Ci sono appena piccole differenze rispetto a prima – sorride il danese con un pizzico di ironia – sono più riconosciuto, ma quando sono a casa, è come prima. Posso ancora allenarmi come voglio, dove voglio. E chi lo desidera può pedalare con me».

Capire che cosa abbia significato per Jonas e la sua famiglia essere arrivati così in alto, è fare un viaggio nella tradizione e la cultura di un popolo che, soprattutto nelle campagne, viene educato nel segno della collettività, rifuggendo l’affermazione personale. Al punto che quando un insegnante del liceo cercò di convincere il giovane Jonas del fatto che non dovesse avere sogni legati allo sport, sua madre Karina esplose.

«Ero semplicemente così furiosa – ha raccontato – non è giusto togliere i sogni ai giovani. E ci sono alcuni sogni per i quali devono passare per la cruna di un ago».

Claus e Karina Vingegaard, i genitori di Jonas, hanno seguito la vittoria del Tour nel tendone di Hillerslev (foto Nordjyske/Henrik Bo)
Claus e Karina Vingegaard, i genitori di Jonas, hanno seguito la vittoria del Tour nel tendone di Hillerslev (foto Nordjyske/Henrik Bo)

Il ciclismo e la ribellione

Quando Jonas ha vinto il Tour, tutto il paese si è radunato sotto un tendone costruito nella piazza vicino alla chiesa, con i suoi genitori Claus e Karina nel mezzo a ricevere gli abbracci e gli applausi

Il Tour de France ha sempre fatto parte della vita della famiglia. Nel 1996, Karina era incinta di Jonas e insieme a suo marito seguì la vittoria di Bjarne Riis in maglia gialla. 

Da allora, quasi per ogni estate, la famiglia iniziò a recarsi in Francia per seguire il Tour de France e quando Jonas ha iniziato a correre, Claus ha pensato bene di investire in una roulotte che, oltre a garantire che Jonas potesse partecipare alle varie gare ciclistiche, è diventata la cornice di tante vacanze. Suona come una beffa il fatto che proprio quest’anno, in cui avrebbero avuto da festeggiare il Tour del figlio, i Vingegaard non siano potuti andare in Francia per motivi personali.

In un Paese caratterizzato dalla legge di Jante, uno schema mentale tipico del Nord Europa elaborato dal sociologo Aksel Sandemose, secondo cui bisognerebbe rifuggire l’affermazione individuale a favore della collettività, i genitori di Vinegaard sono andati nella direzione opposta. Raccontano infatti che per loro, era importante che i figli crescessero con la convinzione che avere degli altri obiettivi ripaga dagli sforzi. Al punto di aver discusso con quel consulente scolastico che si era preso la briga di dire a Jonas, già innamorato di ciclismo, che non sarebbe potuto diventare un ciclista professionista.

«Per fortuna alla scuola dello sport – ha ricordato la mamma – ha trovato un insegnante che valeva tanto oro per quanto pesava. Ha avuto un approccio a Jonas che lo ha fatto crescere mentalmente. Allo stesso tempo, ci siamo messi in contatto con un mental coach e quel periodo ha segnato la svolta psicologica».

A Saitama, Vingegaard ha indossato nuovamente la maglia gialla di PArigi
A Saitama, Vingegaard ha indossato nuovamente la maglia gialla di PArigi

La scelta del Tour

«Tutta questa attenzione non mi disturba – dice il diretto interessato, incuriosito dall’attenzione sulle sue origini – non sto cercando i riflettori. Sarei così felice anche se nessuno mi riconoscesse, ma non ho problemi con questo. Fa parte del pacchetto».

Prima di ricominciare sul serio con gli allenamenti, Vingegaard si è concesso una vacanza alle Maldive con la compagna Trine e la figlia Frida, che ha ancora due anni e si nasconde spesso fra le gambe del padre. Poi sulla via del ritorno, si è fermato in Giappone per i circuiti organizzati dal Tour de France. E qui ha potuto commentare le sfide che lo attendono. 

«Quello del Tour – ha detto – è un buon percorso. Mi sarebbe piaciuto solo un po’ più di cronometro, perché penso che sarebbe stata a mio vantaggio. E’ vero che il mio sogno è vincere i tre grandi Giri e a dicembre, durante il ritiro, ne parleremo. Vedremo cosa vuole la squadra e cosa vorrei io. Per il momento sarebbe troppo complicato correre Giro e Tour. E dovendo scegliere, la mia preferenza va al Tour de France».

La Jumbo fa i piani. E se al Giro arrivasse Van Aert?

28.10.2022
5 min
Salva

Il vero problema per un corridore come Van Aert è che l’essere ovunque vincente porta gli addetti ai lavori e i tifosi a misurarlo su ogni percorso. Per questo da ieri in Belgio, avendo capito che Evenepoel non dovrebbe esserci, si ragiona sulle tappe del Tour che Wout potrebbe vincere e sulla riconquista della maglia verde.

Vingegaard al Giro dell’Emilia: il danese è il vincitore uscente del Tour de France
Vingegaard al Giro dell’Emilia: il danese è il vincitore uscente del Tour de France

Le scelte di Van Aert

In realtà però il tema sta a cuore anche in seno alla Jumbo Visma, in cui mai come nel 2023 sarà necessaria una rigida programmazione, per evitare che a voler stringere troppo con Van Aert, si finisca con lo stringere niente. L’esempio dell’eterno rivale Van der Poel ha dato da pensare. E’ vero che ha vinto il Fiandre, poi però si è disperso in mille fughe a vuoto.

«Il focus del Tour è nell’ultima settimana con i Vosgi – ha spiegato il preparatore Merijn Zeeman a Het Nieuwsblad – mentre i Pirenei sono meno duri dell’anno scorso e il blocco nelle Alpi è più lungo. Ci sono tappe di montagna più facili rispetto agli anni passati, ma d’altra parte ce ne sono alcune estremamente difficili. Il percorso va accettato, è qualcosa su cui non abbiamo controllo. Ora finalmente possiamo fare il nostro piano e determinare la nostra strategia. Con Roglic, Vingegaard e Van Aert avremo molte opportunità per fare la differenza. Avrebbero dovuto mettere più cronometro? Il nostro più grande concorrente è Pogacar, ma anche lui è uno specialista».

Per una caduta, Roglic ha rinunciato a giocarsi la Vuelta. E’ dato al via del Giro: sarà vero?
Per una caduta, Roglic ha rinunciato a giocarsi la Vuelta. E’ dato al via del Giro: sarà vero?

Tutto sul tavolo

Il nodo cruciale che ci è saltato all’orecchio sentendolo parlare è stato il fatto che abbia citato le tre punte per il Tour. E se da un lato anche nel 2022 è parso chiaro che la sconfitta di Pogacar sia dipesa dal massiccio blocco Jumbo Visma contro cui si è scontrato, dall’altro sembrava di aver capito che Roglic per quest’anno avesse altre priorità.

«Tutto è ancora sul tavolo – fa notare Zeeman – è anche possibile infatti che Primoz faccia un altro grande Giro. Ma voglio anche sentire la loro opinione. Voglio sapere cosa pensano e qual è la loro motivazione. Facciamo un piano, poi analizziamo i pro e i contro. Vogliamo vincere le più grandi corse del mondo. Ma questo è possibile solo con un piano in cui tutti credano. Così è stato anche l’anno scorso. Questo è un processo e qualcosa in cui investiamo molto tempo e in cui crediamo pienamente».

Chi non rinuncerà al Tour è Pogacar, ansioso di rifarsi. Qui con Prudhomme alla presentazione di ieri
Chi di certo non rinuncerà al Tour è Pogacar, ansioso di rifarsi.
Come lavorate di solito in questi casi?

Qualcuno pensa che sia uno spettacolo di marionette. In realtà lavoriamo da sei anni fissando obiettivi e determinando insieme la strategia. Ci prendiamo molto tempo per questo. Poi facciamo un brainstorming passo dopo passo. Ne parlo con tutti i corridori per sentire cosa preferiscono. E si continua poi a modellare il piano e vengono coinvolti gli allenatori. Ora siamo solo all’inizio di tutto questo processo. Quindi onestamente non so ancora chi andrà al Tour e chi al Giro.

E Van Aert cosa farà?

Nel 2022 è stato in altura per sei settimane. Si deve lavorare sodo per arrivare al suo livello. E poi dovremo selezionare i suoi obiettivi. C’è anche il mondiale di Glasgow che si svolgerà il 13 agosto, c’è il Giro che per lui è anche attraente, in più non ha mai fatto la Vuelta. E’ tutto è sul tavolo. Possiamo inventare qualcosa di completamente nuovo oppure replicare quello che si è già fatto.

Prima del mondiale, Evenepoel ha vinto la Vuelta. Il Giro lo tenta con le sue tre crono
Prima del mondiale, Evenepoel ha vinto la Vuelta. Il Giro lo tenta con le sue tre crono
Lui accetterà tutto?

Non sono Van Aert. Wout è una persona molto sensibile e sa che per avere successo è necessario avere un buon piano. Di sicuro gli piace provare cose nuove e questo fa sì che la definizione del suo programma richieda molto tempo. Non è stato ancora deciso nulla, ma una cosa è certa: il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix vengono prima di tutto. Ne abbiamo parlato al telefono ieri dopo la presentazione del Tour e questo lo abbiamo definito molto rapidamente. Adesso però bisogna capire cosa verrà dopo. Di solito inizia a correre ai primi di dicembre, ma bisognerà vedere come sarà la sua condizione.

Se fosse un vostro corridore, portereste Evenepoel al Tour?

Remco è estremamente forte nelle crono, quindi si direbbe che il Giro gli si addica di più. Ma d’altra parte, un grande Giro è un mix di tutti i tipi di specialità che dovresti provare. La sua squadra deve avere un piano. Se fossi in lui, non mi focalizzerei troppo su una gara che prevede solo prove a cronometro. Penso che possa vincere anche in un altro modo. Ma certo, se decidesse di venire, non gli faremo sconti. Penso che ci siano quattro corridori che si distinguono sopra tutti gli altri in questo momento: Vingegaard, Pogacar, Roglic ed Evenepoel. Questi sono i più completi.

La Cervelo R5 di Vingegaard, posizione super raccolta

15.10.2022
4 min
Salva

Alla partenza del Giro di Lombardia abbiamo potuto ammirare da vicino la Cervelo R5 di Jonas Vingegaard. Il danese, da buono scalatore, predilige questa bici alla “sorella”  aerodinamica S5. Telaio che invece quasi sempre utilizza Wout Van Aert. Jonas ce l’aveva in qualche tappa più filante del Tour, vedi la passerella di Parigi, e più recentemente alla CRO Race.

Dopo qualche difficoltà tecnica nell’avere la bici “tutta per noi”, il team Jumbo Visma ci ha fatto ammirare da vicino questo gioiello. E la prima cosa che ci ha colpito è stata la sua leggerezza. Una taglia 54 che molto probabilmente non arrivava a 7 chili (non avevamo la bilancia in quei momenti, ma una certa sensibilità ci permettiamo di dire di averla acquisita). E comunque con un telaio da 703 grammi e una forcella da 320 è un peso più che fattibile.

Ruote e gomme

Partiamo dalle ruote. Per quanto riguarda i cerchi Jonas, visto anche il dislivello del Lombardia superiore ai 4.000 metri, ha optato per delle Shimano C36, quindi a medio profilo, a vantaggio anche della guidabilità. Aveva lo stesso assetto anche nelle tappe di montagna del Tour de France.

Una cosa che ci ha colpito sono state le gomme. A prima vista sembravano dei “gommoni” giganti. Erano da 26 millimetri. Il team olandese ha come sponsor tecnico Vittoria, che in epoca recente ha inserito nel suo portfolio anche Dugast. Questi pneumatici sono tubolari di altissima gamma con carcassa in cotone e già visti (le sezioni erano diverse) alla Roubaix. Il disegno del battistrada è quello di un Vittoria Corsa Speed, ma forse rivisto nelle scanalature, specie quelle più centrali. In ogni caso c’è il marchio Vittoria, ma non il nome del tubolare.

Vingegaard in azione al Lombardia. Posizione raccolta e molto avanzata
Vingegaard in azione al Lombardia. Posizione raccolta e molto avanzata

Posizione avanzata

Passiamo alla messa in sella. Nonostante una statura di 175 millimetri, Vingegaard ha un arretramento di appena 2,5 centimetri. La sella, una Fizik Antares00, è molto spostata in avanti. La cover della sella non è di quelle tradizionali e sembra essere una produzione “particolare”, non di serie.

E sempre in relazione alla sua guida raccolta, c’è il manubrio: si tratta del nuovo Vision Metron 5D 3K, vale a dire con la rifinitura tre 3K del carbonio utilizzato. E’ un manubrio integrato molto leggero (355 grammi), Jonas infatti ha optato per la larghezza da 40 e questa implica un attacco manubrio (100 millimetri) cortissimo per un professionista. A prima vista sembra quello della mtb di un downhiller. Di conseguenza la sua guida diventa estremamente “diretta”.

E’ anche vero però che con lo scostamento in avanti della piega stessa di 10°, lo stesso attacco diventa un “falso” 100 millimetri, ma è come se fosse un 110-115 millimetri nel punto di appoggio del palmo sullo shifter. La curva ha un’ergonomia compact e non è previsto il flare (svasatura) verso l’esterno.

Affidabilità Shimano

Ci sono poi i rapporti e il gruppo. Per quanto riguarda il settore della trasmissione, Vingegaard si affida alla solidità del gruppo elettromeccanico Shimano Dura Ace Di2. Il re del Tour resta fedele alle pedivelle da 172,5 millimetri, mentre altri colleghi di pari statura si sono orientati su quelle più corte da 170.

 

In effetti il danese è un po’ a cavallo, tra le due misure. E a proposito di cavallo la sua altezza di sella è 73,5 centimetri. Un riferimento che potrà essere utile agli appassionati più esperti per valutare appunto se optare per una pedivella da 172,5 o 170.

Infine i rapporti. Per il Lombardia, Jonas aveva optato per una guarnitura 53-39 e una cassetta 11-30.

AGU in prima fila nel Catalogo Mandelli 2023

01.10.2022
4 min
Salva

Nelle scorse settimane Mandelli ha presentato l’edizione 2023 del proprio Catalogo dedicato ai componenti e ricambi ciclo. Stiamo parlando di un vero e proprio “volume”, composto da quasi mille pagine. Un vero e proprio punto di riferimento per i tanti negozianti che ogni giorno si rivolgono alla commerciale lombarda per rifornirsi dei prodotti necessari a soddisfare al meglio la propria clientela.

Quest’anno il primo capitolo dell’edizione 2023 del Catalogo è dedicato ad AGU, marchio olandese conosciuto nel nostro Paese per fornire l’abbigliamento da gara alla Jumbo-Visma. La scelta di aprire il proprio Catalogo con AGU conferma quanto Mandelli creda fortemente nelle potenzialità del marchio olandese.

AGU ha affiancato la Jumbo-Visma e Jonas Vingegaard nella vittoria del Tour de France (foto Facebook AGU)
AGU ha affiancato la Jumbo-Visma e Jonas Vingegaard nella vittoria del Tour de France (foto Facebook AGU)

Scopriamo AGU

Per conoscere bene AGU è fondamentale partire dalla sua storia. Parliamo di un brand fortemente legato all’Olanda, la Nazione dove è nato e che ha da sempre uno stretto rapporto con la bicicletta. Dopo la seconda guerra mondiale la bicicletta era un bene molto ricercato in Olanda. La sua disponibilità era però davvero scarsa. Per ovviare alla crescente domanda di biciclette, tre aziende ciclo di Alkmaar decisero di unire le forze dando vita nel 1966 all’Alkmaarse Groothandels Unie, meglio conosciuta come AGU. L’azienda ha conosciuto fin da subito una rapida crescita, tanto da diventare uno dei maggiori fornitori di parti di biciclette nei Paesi Bassi. 

il marchio olandese offre abbigliamento di alto livello anche per le discipline offroad (foto Facebook AGU)
il marchio olandese offre abbigliamento di alto livello anche per le discipline offroad (foto Facebook AGU)

Arriva l’abbigliamento

Nel corso degli anni AGU ha ampliato la propria offerta introducendo nel proprio catalogo capi di abbigliamento e accessori ideali per chi va in bicicletta. Sono state così realizzate borse per bici leggere e in nylon robusto, un materiale nuovo per l’epoca. Una delle principali novità a catalogo è stata rappresentata dall’introduzione della tuta antipioggia “Original”, che si è rivelata un grande successo tanto da vincere diversi premi.

Negli anni ’70 e ’80, questa tuta iconica è diventata il punto di riferimento per l’abbigliamento antipioggia nei Paesi Bassi, accessorio ideale per quanti non volevano rinunciare a spostarsi in bicicletta nonostante il meteo cattivo. Questa tuta, sebbene modernizzata e molto migliorata, è ancora oggi uno dei bestseller del catalogo AGU.

Ecco il professionismo

La fine degli anni Settanta ha segnato una svolta nella storia di AGU con l’ingresso nel mondo del ciclismo professionistico. In questa fase un ruolo fondamentale è stato svolto dal quattro volte campione del mondo nello stayer Cees Stam che ha collaborato allo sviluppo del primo abbigliamento da ciclismo agonistico proposto da AGU. Lo stesso Stam ha conquistato il suo ultimo titolo mondiale indossando un completo firmato dal brand olandese. A carriera conclusa, ha ricoperto fino al 2007 il ruolo di manager all’interno della stessa azienda.

Il team AGU festeggia la vittoria della maglia gialla e della maglia verde al Tour (foto Facebook AGU)
Il team AGU festeggia la vittoria della maglia gialla e della maglia verde al Tour (foto Facebook AGU)

Sono stati tanti i campioni del ciclismo che nel corso degli anni hanno indossato AGU. Stiamo parlando di atleti del calibro di Leontien Van Moorsel e Steven Rooks. Il marchio ha soprattutto legato il suo nome ad alcuni team che hanno fatto la storia del ciclismo olandese come la Panasonic di Peter Post e la Rabobank. Quest’ultimo team ha vestito AGU per ben 16 anni. Il suo testimone oggi è stato raccolto dalla Jumbo-Visma di Roglic, Van Aert e soprattutto Vingegaard, ultimo vincitore del Tour de France.

Una gamma ricchissima

La gamma AGU è composta dalle seguenti linee prodotto, che vanno a coprire a 360° le esigenze di tutti i generi di ciclisti, qualunque utilizzo vogliano fare della bicicletta: abbigliamento estivo e invernale ideale per ciclismo su strada, mountain bike e gravel; una ricca offerta di borse per il bikepacking; intimo estivo e invernale; guanti, cappelli, copriscarpe e manicotti. Completano l’offerta scarpe strada e mountain bike, oltre agli occhiali.

Mandelli

“Bombardato” dopo il Tour, Vingegaard torna in pista

28.09.2022
4 min
Salva

Nella tripletta italiana di ieri alla CRO Race c’è il 17° arrivato che non è un nome qualunque, ma è quello di Jonas Vingegaard. Il re del Tour de France è tornato in corsa due mesi e tre giorni dopo il suo successo a Parigi.

Il corridore della Jumbo-Visma si è presentato con un grande sorriso e uno stato di forma già buono. Per carità, i due strappi finali di ieri erano poca cosa, tanto che sono arrivati i velocisti, ma perdere due mesi e più di gare a questo punto della stagione non è poco.

L’abbraccio di Copenhagen a Vingegaard. Il danese ha definito il suo post Tour un “bombardamento mentale”
L’abbraccio di Copenhagen a Vingegaard. Il danese ha definito il suo post Tour un “bombardamento mentale”

Ondata gialla

Come mai dunque uno stop tanto lungo? A rivelarlo è stato Vingegaard stesso che alla vigilia della corsa croata ha raccontato di aver avuto bisogno di uno stacco. L’onda di ritorno della Grande Boucle si è fatta sentire. E come spesso accade è da qui che i giochi si fanno duri davvero per i campioni. Tutti erano già pronti ad abbracciarlo al Giro di Danimarca, ma Jonas ha dato forfait.

«Dopo il Tour – ha detto Vingegaard – ho avuto momenti molto difficili. Sarebbe stato bello correre già in Danimarca ma  tutto quello che è seguito dopo il Tour è stato tanto. Ho capito che avevo ancora bisogno di riposo. Quello che ti succede quando vinci il Tour de France è una specie di bombardamento mentale. E’ molto difficile parlare con i media e i tifosi ogni giorno. E’ fantastico, ma anche molto faticoso».

Insomma, feste, sponsor, richieste di qua e di là… hanno destabilizzato un personaggio che di suo è molto tranquillo e umile. Fare i conti con questa ondata improvvisa di successo e notorietà ha rotto certi equilibri.

Vingegaard assalito dai microfoni al via della prima tappa della CRO Race
Vingegaard assalito dai microfoni al via della prima tappa della CRO Race

Croazia a noi

Giusto lasciare del tempo al ragazzo perché potesse ritrovare questi equilibri. E forse anche per questo motivo, per diverse settimane Jonas ha lasciato la Danimarca ed è andato in Spagna, a Malaga, per allenarsi al sole e in tranquillità.

E qualche polemica su Vingegaard c’era stata anche per la sua non partecipazione ai mondiali di Wollongong, ma a quel punto era chiaro. Come poteva tornare in corsa al mondiale dopo due mesi di assenza? E ancora, perché sobbarcarsi una trasferta del genere senza alcuna certezza di risultati? Meglio dunque ritrovare quell’equilibrio di cui si parlava con questa gara, allenamenti e restando nel Vecchio Continente.

«Sono molto felice di essere qui – ha detto Vingegaard alla vigilia della CRO Race – è la mia prima gara dal Tour de France. Spero di essere in forma. Darò il massimo ogni giorno. Abbiamo una squadra forte e speriamo perciò di fare una buona competizione.

«Perché siamo qui? Perché volevamo fare qualcosa di diverso dall’anno scorso. Abbiamo dato uno sguardo a questa corsa. Abbiamo visto che c’era un bel percorso, una partecipazione di livello e quindi abbiamo deciso di venire in Croazia».

E riguardo alla prima tappa si è limitato a dire: «Buon ritorno!».

Lombardia 2021, Pogacar fa i numeri, Jonas lotta con Bardet, Hirschi, Masnada… poi si staccherà nel finale
Lombardia 2021, Pogacar fa i numeri, Jonas lotta con Bardet, Hirschi… poi si staccherà nel finale

Obiettivo Lombardia

Vingegaard non sarà ancora al cento per cento, anche se ormai un campione del suo calibro è uno dei pochissimi che in questo ciclismo può permettersi di correre pur non essendo al top, ma la condizione deve crescere per chi come lui punta in alto. Molto in alto. L’obiettivo del danese infatti si chiama Giro di Lombardia.

«Con la squadra – riprende Vingegaard – abbiamo valutato che questa corsa potesse essere ideale per preparare il Giro di Lombardia, che è l’obiettivo principale di questo finale di stagione».

Lo scorso anno Jonas arrivò con il gruppetto di Nibali. Quest’anno è presumibile che le cose andranno diversamente. Alla fine ci arriva con tutt’altro spessore. E come non pensare ad un rinnovo del duello con Pogacar? Tadej ha mostrato una buona condizione, è il campione uscente e quando gli prospetti una sfida così, si tuffa come un cane con l’osso. Jonas è in crescita… Non resta che attendere l’8 ottobre.

Peccato solo che Remco Evenepoel non sarà della partita.

Con Fiorelli (5°) analizziamo la volata di Van Aert a Plouay

01.09.2022
6 min
Salva

Cosa passa per la testa ad un velocista durante quei pochi e preziosi secondi finali? Lo abbiamo chiesto a Filippo Fiorelli che a sua detta velocista puro non è, ma lo stesso è in grado di vincere volatone di gruppo e sprint ristretti dove si trova più a suo agio. Ne abbiamo approfittato per immergerci con lui in quegli attimi e chiedere com’è fare una volata insieme al cinico Wout Van Aert

Il finale che abbiamo deciso di analizzare è quello del Bretagne Classic andato in scena il 28 agosto a Plouay in Francia (foto in apertura ciclismoweb). Il siciliano della Bardiani CSF Faizanè ha conquistato un ottimo quinto posto a conferma delle sue caratteristiche da uomo veloce. A vincere agevolmente ma senza dominare è stato Van Aert. 

Fiorelli dopo un periodo in altura sull’Etna ha ripreso a correre in Francia ritrovando la condizione
Fiorelli dopo un periodo in altura sull’Etna ha ripreso a correre in Francia ritrovando la condizione

La volata e i suoi dettagli

Pochi secondi, attimi, sono i frangenti in cui un uomo che si definisce veloce deve prendere decisioni determinanti per la finalizzazione di una tappa o di una corsa in linea. Una ruota sbagliata, uno sprint lanciato troppo presto, mancanza di lucidità nello scegliere il varco. Sono tutti dettagli che fanno la differenza per la conquista della vittoria. Quella del Bretagne Classic non è stata una vera e propria volata di gruppo, bensì di una trentina di unità veloci, senza la battaglia dei treni. Si potrebbe ipotizzare essere un piccolo spunto per il mondiale come ci ha indicato Fiorelli. Andiamo a scoprire metro per metro le decisioni e i frame che ha vissuto Filippo in scia al belga della Jumbo Visma

In che condizione sei arrivato quel giorno?

Sono arrivato non al top. Venivo dal Tour du Limousin che non stavo benissimo. Avevo preso una bella botta con tre punti sul braccio. Cadere non è mai una cosa bella. Rientravo da un mese e mezzo che non correvo perché ero stato in altura. Mi mancava un po’ di ritmo da riprendere.

Condizione in crescita quindi…

Si non ero al massimo della condizione. Ho tirato una volata al Tour Poitou, a Manuel Colnaghi dove ha fatto quarto e io nono. Il secondo giorno dovevo fare io lo sprint poi a centocinquanta metri c’è stata la caduta e siamo rimasti coinvolti io ed altri.

Filippo si è trovato a dover smettere di pedalare e cambiare direzione spostandosi sulla sinistra per trovare il varco (immagini GCN)
Filippo ha smesso di pedalare e cambiare direzione spostandosi sulla sinistra per trovare il varco (immagini GCN)
Che corsa è stata il Bretagne Classic?

La lista partenti era di ottimo livello. La maggior parte delle persone erano quelle che proveranno a giocarsi il mondiale. Come percorso era una piccola anticipazione dell’Australia. Non sapevo come ci sarei arrivato, è stata una corsa frenetica ma che ho interpretato bene.

Sapevi già di dover fare la volata?

Fortunatamente quando sono partito a dir la verità le sensazioni buone le ho avute subito. Io e Sacha Modolo eravamo gli uomini di punta. Io avevo detto subito che stavo bene. Non sapevo se preoccuparmi perché quando uno sta bene all’inizio fa il botto nel finale. A sessanta chilometri dall’arrivo quando è iniziata la bagarre mi sono reso conto che ero in forma e che mi sarei giocato il finale attaccando oppure in volata. 

Ti sei arrangiato per le fasi finali?

Ero rimasto solo con Zoccarato davanti in fuga. Lo abbiamo ripreso a cinque chilometri dall’arrivo. Van Aert nel finale ha fatto tutto da solo. Chiunque partiva, lui chiudeva. Non ci ho nemmeno pensato ad anticiparlo, si vedeva che aveva in mente solo la volata. Così ho deciso di prendere la sua ruota.

Van Aert ha vinto di misura mentre Fiorelli trovato lo spazio ha risalito le posizioni (immagini GCN)
Van Aert ha vinto di misura mentre Fiorelli trovato lo spazio ha risalito le posizioni (immagini GCN)
Ci sarà stata una bella lotta per prenderla?

Neanche tanto perché la gente un po’ mi conosce, non veniva nessuno a prendermi la ruota. Diciamo che non mi tolgo facilmente. Il finale è particolare perché scende e risale negli ultimi trecento metri. Si faceva molta velocità e anche lui è rimasto un po’ imbottigliato. 

Di conseguenza anche tu hai avuto difficoltà a risalire?

Seguire una ruota che non è di un tuo compagno è molto più difficile, se l’avversario entra in un piccolo spazio chi è dietro non ci passa. Chi traina, il compagno di squadra deve sempre fare attenzione se ci passa anche chi ha dietro. In quel caso lui ovviamente faceva i conti per sé. 

Raccontaci la tua volata…

Dopo aver “perso”  Wout in quell’istante Oliver Naesen dell’AG2R Citroën Team è passato davanti a me e si vede dalle immagini che io rimango tagliato fuori dalla sua ruota e quindi con tutto da rifare. Ho dovuto smettere di pedalare, fare una piccola deviazione e ho perso l’attimo. La volata vera e propria l’ho fatta gli ultimi centocinquanta metri. Infatti venivo su molto forte rispetto agli altri. 

Prova a commentarci la volata di Van Aert…

L’ultimo chilometro ho pensato di aver azzeccato la ruota. Poi gli ultimi quattrocento metri quando ho visto che è scivolato indietro ho pensato che avesse perso il treno giusto un’altra volta perché la settimana prima lo aveva battuto Marco Haller della Bora Hansgrohe in Germania al Bemer Cyclassics. Ho pensato realmente in quei frangenti “si è fatto fregare”.

Dopo l’arrivo i complimenti del siciliano al belga (immagini GCN)
Dopo l’arrivo i complimenti del siciliano al belga (immagini GCN)
Come ha fatto quindi a vincere?

E’ riuscito a svincolarsi bene. C’era l’uomo della Lotto Soudal che stava tirando bene per Arnaud De Lie. E non era neanche facile risalire le posizioni. Però ha fatto una volata poderosa e si è conquistato la vittoria. 

E’ stata una volata senza storia?

Quella lì in particolare per lui è stata una passeggiata anche se è rimasto imbottigliato. Anche perché è stato un errore tattico. De Lie veniva da due vittorie. Ero indeciso tra che ruota prendere poi ho battezzato quella di Van Aert. Credo che in questo momento sia il corridore più forte, più completo che abbia mai visto da vicino. 

Pensi che se dovesse capitare potresti batterlo in una volata analoga?

Quel giorno per come stavo non era così imbattibile. Anche perché negli ultimi quaranta chilometri ha fatto il diavolo a quattro. Se si guardano le immagini non ha fatto così tanto la differenza. 

Che rapporto hai usato per la volata?

Io ho usato il 52 perché il percorso voleva quello. Lui secondo me ha tirato il 54, avendo Shimano avrà avuto come opzione 53 o 54. In quella volata non ho subìto il rapporto, però diciamo che se avessi avuto un treno mio il 52 forse mi sarebbe stato stretto, soprattutto con un finale così a salire. 

Dalla Valle Sibiu 2022
La volata della prima tappa del Sibiu Cycling Tour con Fiorelli vincitore sul gruppo compatto (foto Max Schuz)
Dalla Valle Sibiu 2022
La volata della prima tappa del Sibiu Cycling Tour con Fiorelli vincitore sul gruppo compatto (foto Max Schuz)
Continui a portare a casa risultati importanti tra le ruote veloci, hai deciso cosa fare da grande?

Io sono quel corridore lì. Ho vinto al Sibiu con centotrenta corridori. Stavo bene, avevo la squadra al mio servizio. In quelle condizioni posso dire la mia. Tendenzialmente se mi trovo da solo non riesco ad esprimermi al 100%. Però io mi sento un corridore che può primeggiare in finali da trenta o quaranta corridori. 

Alberati ti vede come caratteristiche simile a Bettini…

Non si sbaglia, lo dice sempre anche Marcello Massini. Il mio maestro di vita e di ciclismo. Non mi sento un velocista puro. Io, Colnaghi e Modolo siamo veloci. Non voglio diventare un velocista puro perché sarebbe una strada che non porterebbe a niente. Con gli sprinter che ci sono in giro farei fatica a primeggiare.

Quando scienza e simulazione spingono la performance

29.08.2022
6 min
Salva

Avevamo chiesto a Marco Pinotti come ci si prepari per affrontare una cronosquadre. Il bergamasco, che della specialità è stato argento mondiale nel 2012, aveva annotato come non serva fare chissà cosa se si tratta di una gara all’anno, come ad esempio all’apertura della Vuelta. Ma che al contrario, se si volesse investirci sul serio, ci sarebbe da spendere davvero molto per ottimizzare le performance.

Chi questo investimento ha ritenuto di farlo ugualmente è la Jumbo-Visma, vincitrice della cronosquadre di Utrecht, che ha coinvolto nel discorso le Università di Tecnologia di Eindhoven e quella di Leuven. E che, con il supporto di Ansys (società specializzata nella simulazione fluidodinamica) e del professor Bert Blocken, ha sviluppato in linea teorica e poi tradotto in pratica l’aerodinamica dei suoi atleti (in apertura, Van Aert posa accanto al suo modello, foto Anton Vos/Cor Vos – Ansys).

Fluidi e modelli

Dopo il Tour e prima della Vuelta, proprio un articolo pubblicato nel blog di Ansys ha spiegato il lavoro alle spalle delle performance del team olandese, che ha fatto ricorso al suo Fluent: un software attraverso cui creare modelli fisici avanzati per analizzare una varietà di fenomeni legati ai fluidi.

«Vincere il Tour – si legge – è il sogno di ogni ciclista e il momento clou della carriera dei pochi che lo hanno raggiunto. Non sorprende quindi che tutte le squadre in gara dedichino così tanto tempo ed energie per prepararsi alla sfida estrema della gara, che copre più di 3.350 km (2.220 miglia), molti dei quali in montagna, in 23 giorni. La preparazione prevede ovviamente un intenso allenamento fisico e mentale per gli atleti, che unisce resistenza, prestazioni estreme e forte resilienza mentale per continuare a lottare nonostante tutte le difficoltà.

«Le squadre studiano anche attentamente il percorso e le condizioni meteorologiche per sapere quando prendere il comando o rimanere indietro nel gruppo. Ma tutto questo non basta più. Da anni la scienza, e in particolare la simulazione, svolgono un ruolo importante nel guidare i migliori ciclisti alla vittoria».

Un momento dell’incontro fra Van Aert, Marchal di Ansys e il professor Blocken nel 2020 (foto Anton Vos/Cor Vos – Ansys)
L’incontro fra Van Aert, Marchal di Ansys e il professor Blocken nel 2020 (foto Anton Vos/Cor Vos – Ansys)

Il professor Blocken

Si capisce insomma che la preparazione atletica da sola non basti per fare la differenza. Nei giorni della corsa francese e anche in quelli della Vuelta ancora in svolgimento si è dibattuto parecchio sull’incidenza della tecnologia sulle performance degli atleti. E il blog di Ansys fornisce una risposta interessante.

«Oggi vorremmo sottolineare l’estrema professionalità del Team Jumbo-Visma. Hanno lavorato con i migliori esperti del mondo. Come il professor Bert Blocken, un riferimento di livello mondiale in aerodinamica atletica della Eindhoven University of Technology e KU Leuven. Blocken e il suo team utilizzano ampiamente Ansys Fluent in combinazione con esperimenti in galleria del vento. Valutano e migliorano la penetrazione dell’aria e riducono la resistenza indotta per i ciclisti raggruppati in un gruppo o gruppo.

«L’attenzione per ogni dettaglio ha portato il team a indagare e regolare la posizione dei ciclisti sulle loro biciclette, in base alle diverse direzioni e velocità del vento. Modificare le posizioni relative degli atleti in un gruppo durante la gara per ridurre la resistenza subita dai ciclisti. Valutare il contributo di ogni componente della bici, dell’attrezzatura e dell’atleta».

A ciascuno il suo

Tirando chiaramente acqua al suo mulino, Ansys racconta il proprio lavoro, puntando sull’accuratezza del modello messo a punto dal professor Blocken, che da quasi vent’anni ha convalidato un protocollo di modellazione aerodinamica applicato al ciclismo di gruppo. Il suo team esegue in sostanza la scansioni dei corpi degli atleti per assicurarsi la perfetta riproduzione delle loro forme fisiche: i modelli che riproducono gli atleti somigliano loro anche nei tratti e nell’espressione facciale. Quindi vengono eseguite numerose simulazioni per valutare la resistenza aerodinamica su ciascun membro della squadra. Quando le simulazioni sono ottimizzate, i risultati vengono presentati e discussi con la squadra per sviluppare un piano che può essere aggiornato tappa dopo tappa.

Il racconto prosegue, ricordando quando nel dicembre del 2020 il gruppo di lavoro del professor Blocken entrò in contatto con Van Aert.

«Gli fu suggerito – si spiega – che potessimo ottimizzare matematicamente la sua posizione sulla bici tenendo in considerazione anche il suo comfort. Wout impressionò dicendo, in modo umile e professionale, che dovevamo semplicemente mostrargli la migliore posizione matematica e lui si sarebbe adattato. Il comfort era secondario».

I marginal gains

Si capisce un po’ meglio quel senso di notevole efficienza abbinato alle performance degli atleti Jumbo Visma a partire dallo scorso anno. E si capisce anche come il modello numerico messo a punto da Blocken si sia rivelato utile nella cronosquadre della Vuelta, vinta dal team olandese. E’ la conferma del fatto che alle vittorie si arriva certamente con la qualità degli atleti e la loro dedizione. Ad esse vanno tuttavia sommati gli altri contributi. La nutrizione, la tecnologia, l’aerodinamica, il riposo e tutti quei dettagli che oggi costituiscono il vero sviluppo dello sport. Un’attenzione maniacale introdotta dal Team Sky, cui si stanno allineando tutti i team di vertice.