Scopriamo Donati, cronoman un po’ per caso

03.09.2023
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Se il Trofeo Paganessi aveva incoronato il belga Widar, che sarebbe stato poi protagonista al Giro di Lunigiana, il Trofeo Vertova del giorno prima (allestito dalla stessa società organizzatrice) aveva regalato la più grande gioia internazionale a Davide Donati e guardando bene la sua carriera da junior un suo squillo era lecito attenderselo.

Di Donati aveva già parlato – e bene – Luca Giaimi, suo avversario in tante gare, ma anche compagno d’avventura nella crono iridata di Glasgow. Spesso piazzato, vincitore di una tappa all’Ain Bugey Valromey Tour, la stella della Ciclistica Trevigliese mostra già dalle prime parole una certa padronanza della sua attività, come hanno coloro che sanno bene che cosa vogliono.

La vittoria al Trofeo Vertova, battendo nello sprint a due il belga Widar (foto Benagli)
La vittoria al Trofeo Vertova, battendo nello sprint a due il belga Widar (foto Benagli)

«Sono stato abituato sin dallo scorso anno ad affrontare gare internazionali, non mi metto in soggezione, è anche vero però che non riuscivo ad emergere per come avrei voluto, probabilmente perché ero un po’ acerbo. La vittoria in Francia mi aveva dato fiducia, conquistando anche la maglia di miglior sprinter, ma sinceramente tornando dai mondiali con un 23° posto che non mi aveva soddisfatto non pensavo di essere così in forma. Invece già pochi giorni prima alla Collegno-Sestriere avevo visto che le gambe giravano e il percorso del Vertova si adattava alle mie capacità».

Considerando la tua propensione per le cronometro, possiamo considerarti un passista?

A dir la verità non ho ancora ben capito che cosa sono. In salita non vado male, anche se soffro certe pendenze, considerando che sono abbastanza robusto, in pianura vado bene e non sono certo fermo in volata. So che sono considerato un cronoman, ma faccio gare contro il tempo solo da quest’anno.

Donati in gara alla crono iridata in Scozia. Ha chiuso 23° a 2’01” dal vincitore Chamberlain (AUS)
Donati in gara alla crono iridata in Scozia. Ha chiuso 23° a 2’01” dal vincitore Chamberlain (AUS)
Tutte caratteristiche però ti indicano come un prospetto per le corse a tappe…

Io mi vedo più come corridore da classiche, da percorsi impegnativi che si giocano tutti in gara secca. La mia dimensione ideale può essere quella delle brevi corse a tappe, soprattutto se ci sono certi percorsi. D’accordo con la mia squadra, ad esempio, abbiamo pensato che in luogo del Giro di Lunigiana potesse essere più adatto il GP Ruebliland in Svizzera, che ha 4 tappe su percorsi non troppo impegnativi. Lì potrei anche provare a giocarmela per la classifica generale.

Perché dici che sono gli altri a considerarti un cronoman e non tu?

La crono l’ho fatta un paio di volte, è vero che ai campionati italiani sono giunto secondo, ma l’ho fatta senza alcun allenamento specifico, probabilmente perché sono partito nel primo blocco e dopo è venuto il cattivo tempo penalizzando quelli che partivano dopo. Quel risultato però mi ha fatto capire che posso fare qualcosa di buono. Ho avuto una Giant specifica sulla quale allenarmi e mi sono impegnato per fare sempre meglio. Probabilmente in questo contesto mi è d’aiuto la mia esperienza in mountain bike.

Donati ha una grande predisposizione per la mtb. Lo scorso anno è stato 1° di categoria alla Gimondibike
Donati ha una grande predisposizione per la mtb. Lo scorso anno è stato 1° di categoria alla Gimondibike
Parliamone…

La mtb è stata il mio primo amore, con quella ho iniziato a gareggiare da allievo e su 5 gare ne ho vinte 2. La Ciclistica Trevigliese in questo mi ha aiutato tanto, mi ha fatto gareggiare in gare nazionali e anche a qualche prova di Coppa del mondo all’estero e andavo piuttosto bene. Quest’anno ho preso la mtb d’inverno, facendo le primissime gare stagionali (2° ad Albenga e 3° a San Zeno di Montagna nell’Italia Bike Cup, ndr) e anche lì ho avuto buoni risultati, poi mi sono concentrato sulla strada.

La tua esperienza fa venire in mente l’esempio di Jasper Philipsen, iridato sia su strada che in mtb, che tra l’altro sarà anche lui in Svizzera. Non potresti seguire il suo esempio e abbinare le due specialità?

Philipsen può farlo perché ha un motore eccezionale e un gran talento. Io dico che nel futuro sarà all’altezza dei fuoriclasse attuali, da Van Der Poel a Van Aert. Abbinare le due bici non è per nulla facile: lo scorso anno notavo che quando cambiavo trovavo difficoltà nella guida, ho preso batoste che non mi sono piaciute. Per poter fare entrambe devi avere davvero tanto tempo a disposizione per fare preparazioni mirate.

Il prossimo anno il lombardo passerà nelle file della Biesse Carrera, approdando fra gli U23
Il prossimo anno il lombardo passerà nelle file della Biesse Carrera, approdando fra gli U23
Pensi quindi di lasciarla da parte?

No, a inizio stagione è utile fare qualche gara di mountain bike, ti dà il ritmo giusto e allena moltissimo la guida, ma poi dovrò concentrarmi sulla strada anche perché il 2024 sarà un anno importante.

Passerai di categoria…

Sì, approdando alla Biesse Carrera che mi ha proposto un progetto che mi è molto piaciuto. Il prossimo anno avrò la maturità, quindi la prima parte dell’anno dovrò giocoforza essere più concentrato sullo studio. Poi cambieranno tante cose, i chilometraggi delle gare, gli allenamenti, Servirà tempo e pazienza, ma se potrò crescere senza bruciare le tappe, sono fiducioso che i risultati arriveranno.

Philipsen-Van Aert, si discute già sulla volata dei mondiali

01.08.2023
4 min
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Jasper Philipsen sembra fatto apposta per suscitare clamore. E così, dopo essersi inimicato una fetta di gruppo con alcuni atteggiamenti spregiudicati al Tour, la sua risposta a una domanda sui mondiali di Glasgow ha fatto insorgere l’orgoglio belga. E’ successo infatti che negli ultimi giorni francesi, gli abbiano chiesto come si comporterà con Mathieu Van der Poel che in quell’occasione sarà un avversario. E Philipsen, forse avendolo accanto e certo sbagliando, ha risposto che non farà nulla per mettergli i bastoni fra le ruote. Apriti cielo!

«Non è stata un’affermazione appropriata – ha spiegato il cittì Vanthourenhout – ma Jasper si è scusato. E’ stata una domanda improvvisa che ha ricevuto al Tour. In quel momento, avere Mathieu accanto ha influenzato la sua risposta».

Il Criterium di Herentals si svolge nel quadro di Herentals Fitest Feest (foto Event Photography Peter)
Il Criterium di Herentals si svolge nel quadro di Herentals Fitest Feest (foto Event Photography Peter)

Belgio a tre punte

Quel che però resta è il quesito che la conferenza stampa del Belgio non ha fugato del tutto: chi farà l’eventuale sprint al mondiale tra Van Aert e Philipsen?

«Dipende da chi si sentirà ancora meglio dopo una gara difficile – ha risposto Vanthourenhout – ma sono abbastanza sicuro che Wout e Jasper (in apertura l’immagine Photonews dal Criterium di Herentals) non seguiranno la stessa tattica di corsa. Con Remco e Wout possiamo correre in modo molto offensivo. Con Jasper siamo forti sulla difensiva. Abbiamo delle ottime possibilità con qualsiasi scenario di corsa. Andiamo a Glasgow con tre leader che possono vincere il titolo mondiale».

Tra Philipsen e Van de Poel c’è grande complicità: come la gestiranno a Glasgow?
Tra Philipsen e Van de Poel c’è grande complicità: come la gestiranno a Glasgow?

Poco riposo dopo il Tour

Philipsen dal canto suo ha ultimato il giro dei criterium del Belgio, dove ha monetizzato le fatiche del Tour e ha salutato i suoi tifosi.

«Diciamo che prima ho avuto bisogno di una breve fase di decompressione – dice – ma non troppo breve. Un bicchiere o forse anche due, non oltre. Domenica a Parigi abbiamo fatto una festa tranquilla con la squadra, non mi sono riposato molto dopo il Tour. Ho portato la maglia verde nei circuiti, a Herentals e ad Haast, in modo da restituire qualcosa ai miei tifosi. E anche per vendicare la mancata vittoria a Parigi contro Jordi Meeus».

Philipsen è uscito dal Tour stanco ma tirato a lucido, con la maglia verde e 4 tappe vinte (foto Instagram)
Philipsen è uscito dal Tour stanco ma tirato a lucido, con la maglia verde e 4 tappe vinte (foto Instagram)

La verde e quattro tappe

Aver perso l’ultima volata del Tour un po’ gli brucia. Ad attenuare il fastidio c’è il fatto che Jordi Meeus, vincitore dei Campi Elisi, è suo amico e compagno di allenamenti.

«Se dovevo perdere – ammette – meglio che sia stato per mano sua. E’ stato uno sprint diverso rispetto allo scorso anno. Ero già praticamente a ruota di Van der Poel e sicuramente avevo ancora le gambe, ma alla fine ho pagato il conto a un Tour difficile. Come tutti i velocisti, anche Jordi ha sofferto sulle montagne e la vittoria è stata una bella ricompensa.

«Io ho portato la maglia verde a Parigi e mentalmente è stata molto dura. Il Tour non è un giro di piacere. Ho sofferto parecchio e posso solo essere felice di esserci riuscito. Quattro vittorie di tappa sono un bel bottino, non credo che ci riuscirò tutti gli anni, quindi sono soddisfatto. Penso di poter dire che sono stato il velocista più forte del Tour».

La sua compagna Melanie ha ricevuto minacce di morte indirizzate a Jasper, che preferisce non pensarci
La sua compagna Melanie ha ricevuto minacce di morte indirizzate a Jasper, che preferisce non pensarci

Le minacce di morte

Quel che gli ha guastato parzialmente la festa sono state le minacce di morte ricevute dalla sua compagna Melanie nel momento in cui impazzavano le polemiche sulle sue presunte scorrettezze, allo stesso modo in cui fu minacciato di morte Groenewegen dopo la caduta di Jakobsen.

«E’ stato brutto – dice – ma mi rendo conto di averci pensato anche troppo. E quando inizi a pensare alle cose negative, metti da parte quelle positive. Perciò, finiti i criterium in Belgio, adesso mi concentro sul mondiale. Terrò le gambe ben salde per mostrare qualcosa anche a Glasgow».

Bennati “legge” da dentro il poker di Philipsen

12.07.2023
5 min
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«L’anno scorso – dice Bennati – l’ho visto vincere a Parigi veramente alla grande. Quest’anno ha vinto l’ultima tappa alla Tirreno, sta crescendo veramente forte. Poi è arrivato secondo alla Roubaix. Questo secondo me è un cagnaccio anche al mondiale».

L’analisi di Bennati

Jasper Philipsen ha appena vinto la quarta tappa su cinque volate disputate e il commissario tecnico della nazionale, che di tappe al Tour se ne intende, lo ha seguito con grande attenzione, visto l’appuntamento di Glasgow che ormai si intravede in fondo al rettilineo. Nella giornata in cui Daniel Oss ha conquistato il numero rosso, le parole di Bennati sono molto interessanti.

«Con le dovute proporzioni – sorride Bennati, mettendo le mani avanti – mi sono rivisto in una volata che ho vinto alla Vuelta nel 2012. La riguardo spesso, perché è uno di quei casi in cui, come si dice fra corridori, non sentivo la catena. A un certo momento a 300 metri dall’arrivo, Philipsen ha smesso di pedalare per due volte, però è rimasto sempre lì. Poi col colpo d’occhio, è riuscito a capire tutte le situazioni. Quando un velocista è al top della condizione, gli va tutto bene. Si ritrova con una grande consapevolezza di se stesso ed è quello che sta capitando anche a lui. E’ nettamente più forte…».

La tappa di Valladolid alla Vuelta del 2012: Bennati ha rivisto le stesse dinamiche in questo finale
La tappa di Valladolid alla Vuelta del 2012: Bennati ha rivisto le stesse dinamiche in questo finale
Ha anche capito dove si apriva la volata, non ha rischiato di rimanere chiuso…

Ha preso la ruota di Van Aert e poi in un attimo ha capito che quella non era la ruota giusta. Quelli sono sforzi che se non hai la gamba, non fai più la volata. Invece lui ha lasciato Van Aert e ha fatto una prima volata per andare nella scia di Groenewegen. E quando è arrivato alla sua ruota, Groenewegen è partito. Lui è stato lì. E quando ha visto il momento giusto, ha accelerato e gli ha pure dato tre bici.

Al Giro dicemmo che Cavendish aveva vinto la volata di Roma, perché non c’erano grossi rivali. Qui ad esempio Jakobsen non è neppure l’ombra di se stesso…

Qui però ci sono tutti gli altri. E’ vero che Jakobsen non va, però io ho guardato le gare che hanno fatto insieme, dal Giro del Belgio e anche qualche classica di lassù, e negli scontri diretti ha vinto quasi sempre lui. Poi c’è Van Aert, che a volte mi fa venire il nervoso…

In che senso?

Va veramente forte, attualmente è il più forte, non si discute. Mi fa venire il nervoso perché non si risparmia mai e non riesce a concludere quello che potrebbe. Forse sono umani anche loro. Se anche sei un fuoriclasse e spendi più del normale, prima o poi la paghi. Secondo me sta succedendo questo. La settimana scorsa ha fatto quella tappa clamorosa il giorno del Tourmalet e poi l’ha pagata. Secondo me non sarebbe normale se lui facesse quegli sforzi e il giorno dopo vincesse anche le tappe.

Quarta vittoria per Philipsen su cinque volate. Per lui anche un secondo posto
Quarta vittoria per Philipsen su cinque volate. Per lui anche un secondo posto
Cosa ti ricordi di quella tappa di Valladolid?

Avevo l’impressione che la bici andasse dove volevo io, quasi la telecomandassi. Non è solamente un fatto di condizione fisica, ma anche di una consapevolezza superiore. Di conseguenza, se sbagli hai la capacità di recuperare lo sbaglio e di anticipare quello che agli altri richiede più tempo.

Lucidità che deriva dalla condizione?

Oggi Philipsen ha dato la dimostrazione di essere il più in forma. E’ chiaro che stamattina, dopo tre tappe vinte, aveva appetito e la consapevolezza di quando sei forte e sai anche che puoi permetterti qualcosa in più. Quindi, dal punto di vista psicologico, lui approccia la volata in modo molto più tranquillo, molto più sereno. Gli altri invece hanno l’ossessione di vincere e di non sbagliare. E quando hai l’ossessione di non sbagliare è la volta che sbagli. E se sbagli una, due o tre volte, la volata non la fai più.

Oss è stato l’ultimo ad arrendersi nella fuga, ma lamenta la poca convinzione dei compagni d’avventura
Oss è stato l’ultimo ad arrendersi nella fuga, ma lamenta la poca convinzione dei compagni d’avventura

La fuga di Oss

Discorsi da velocisti e non da attaccanti. Quante forze ha buttato via oggi Daniel Oss nella fuga? E quanto è diverso correre spargendo energie con il secchio, anziché centellinarle come fanno i velocisti? Il trentino è sul pullman e sotto si sente la voce di Sagan (all’ultimo Tour) che lo prende in giro, perché avrebbe sfruttato la scia di una moto. Ma Daniel nega e l’altro sotto si mette a ridere, dicendo che una moto a lui servirebbe per tirargli le volate.

«Adesso hanno visto che al Tour – ride Oss – ci sono anche io. L’idea era quella di prendere una fuga un po’ più numerosa, perché era chiaro che si volesse arrivare in volata. Ci sono stati un po’ di scatti, sembrava che andassero via quattro o cinque, invece ci siamo ritrovati solo in tre. Siamo andati via pianissimo, perché il gruppo non ci lasciava. E quando ci hanno messo sotto il minuto, il morale è andato sotto zero. Non è che avessi grandi piani, però sapevo che la strada girava verso destra e il vento sarebbe stato favorevole.

Per il trentino arriva il numero rosso: non era una fuga che potesse arrivare, ma si è goduto la giornata
Per il trentino arriva il numero rosso: non era una fuga che potesse arrivare, ma si è goduto la giornata

«Metti che sei anche abbastanza veloce – prosegue Oss – che puoi tenere un’andatura bella alta, tieni duro, no? Da solo riuscivo ad andare davvero forte. Invece si sono rialzati e mi hanno proprio lasciato lì. Si sono staccati perché non volevano e quello un po’ mi ha infastidito. Però alla fine quei chilometri me li sono goduti. C’era tanta gente, è sempre figo, è bellissimo davanti con il pubblico e quel po’ di pioggia che poteva rallentare il gruppo per paura di scivolate. Potevo pensare che sarei arrivato se fossi stato solo negli ultimi 2 chilometri, però mancava ancora tanto, era tutto un work in progress. Se ci riprovo? Non dipende tanto dalla volontà, ma dalle gambe. Il gruppo ha un livello pazzesco, vanno fortissimo, c’è una concorrenza davvero incredibile».

Pedersen stronca Philipsen, ma pesa l’addio di Cavendish

08.07.2023
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La tappa di Limoges ha la gioia di Mads Pedersen e dei suoi compagni della Lidl-Trek e lo sguardo silenzioso e sconfitto di Cavendish sull’ambulanza. «Questo è il ciclismo», diceva stamattina il velocista dell’Isola di Man, ma non avrebbe mai immaginato che il suo sogno di superare il record di Merckx si sarebbe fermato sull’asfalto a 60 chilometri dall’arrivo.

Mancano 60 chilometri all’arrivo, una distrazione e Cavendish finisce sull’asfalto. Il sogno finisce qui
Mancano 60 chilometri all’arrivo, una distrazione e Cavendish finisce sull’asfalto. Il sogno finisce qui

Quelli del cross

Non sarebbe stata la sua tappa e Mark lo sapeva. Scherzando aveva parlato di traguardo disegnato per gli uomini del ciclocross, indicando così Van der Poel e Van Aert, ma di colpo su quei due si è abbattuta una nemesi sfavorevole. L’olandese si è votato ancora una volta alla causa di Philipsen, finito secondo. Il grande belga invece aveva le gambe per vincere, ma si è dovuto fermare a ruota di Laporte che, nel tirargli la volata, ha avuto un rallentamento che l’ha fatto inchiodare.

«E stato uno sprint molto lungo – racconta Pedersen, il danese diretto e fortissimo – ma i ragazzi mi hanno pilotato bene. Ero ancora fresco quando ho iniziato la volata. Sprintare in salita in quel modo è molto difficile. A 50 metri dalla linea, le gambe mi facevano così male che ho avuto la tentazione di sedermi. Ma sapevo che anche Philipsen avrebbe fatto uno sforzo estremo per rimontare. E al Tour non importa che si vinca per un metro o per un centimetro».

I record intoccabili

Chissà a cosa starà pensando adesso Cavendish, che aveva davanti alle ruote altre due tappe per dare l’assalto a Merckx. Verrebbe quasi da dire che certi record andrebbero rispettati. Armstrong provò a umiliare quelli dei cinque Tour e finì schiacciato dalla sua arroganza, ma qui la storia è diversa. Lo sport si costruisce sull’abbattimento dei limiti insuperabili e abbiamo sognato tutti accanto a Cavendish. Solo che adesso davanti a lui non c’è più uno scopo apparente.

«E’ un onore aver corso con Mark – dice Pedersen – e a proposito, deve ancora darmi una maglia, perché dovevamo scambiarcele. Spero di esserci quando farà la corsa d’addio».

Il contratto di Mark con l’Astana Qazaqstan Team è per tutto l’anno, ma aveva il fuoco sul Tour: l’unica corsa che ha sempre avuto la capacità di accenderlo. Il secondo posto di ieri gli ha dato la sensazione di essere vicino, ma ora? Cav troverà ancora motivazioni ad andare avanti?

I due sconfitti

In cima al rettilineo di Limoges è andato in scena uno scontro fra pesi medi dotati di infinita potenza. E se tutti si aspettavano una resa dei conti fra Van Aert e Van der Poel, l’evidenza ha proposto lo scontro fra Pedersen e Philipsen, uno scintillante Groenewegen e lo sfortunato Van Aert.

«Mads è stato più forte – dice Philipsen – io ho sentito le gambe inchiodarsi. Mathieu ha fatto un altro super lavoro e mi dispiace non essere riuscito a finalizzarlo, soprattutto perché questo era un arrivo adatto anche a lui. Abbiamo deciso di puntare su di me, perché altrimenti avrei potuto perdere troppi punti per la maglia verde».

«E’ sempre frustrante – dice Van Aert – quando non riesci a finalizzare il lavoro della squadra. Ho fatto l’errore di aspettare troppo. Mathieu e Jasper mi hanno superato proprio mentre Christophe Laporte si è fermato. E’ colpa mia, dovevo partire prima. Avevo le gambe per vincere? Ce l’ho da tutta la settimana. Ma ora è il momento di lavorare per la maglia gialla, sperando di cancellare presto lo zero dalla casella delle mie vittorie».

Van der Poel avrebbe potuto fare il suo sprint? Probabilmente sì, ma è rimasto fedele a Philipsen
Van der Poel avrebbe potuto fare il suo sprint? Probabilmente sì, ma è rimasto fedele a Philipsen

Irriconoscibile VDP

Chi dovrebbe e di sicuro avrebbe qualcosa da dire è Mathieu Van der Poel, che continua nel cambiamento. Già qualche settimana fa aveva spiegato la necessità di selezionare gli obiettivi, il fatto che a Limoges si sia piegato alla necessità di difendere la maglia verde lo rende quasi irriconoscibile.

«Penso che Jasper non sia più riuscito a fare il suo sprint – dice – il che non è illogico in un simile arrivo. Peccato, ma ha fatto un buon lavoro per la maglia verde. Mads è ovviamente forte negli sprint lunghi e impegnativi come questo, sapevamo che la pendenza sarebbe stato il limite per Jasper. L’ho lasciato bene alla ruota di Pedersen, però Mads ha continuato ad accelerare. Se ho pensato a fare il mio sprint? No, avrei avuto carta bianca se Philipsen non avesse avuto gambe. Ma le aveva e poteva fare un buon lavoro per la maglia verde».

Il Tour è lungo, occasioni non mancheranno. In questa dolce serata nella Nouvelle Aquitaine si segnalano i brindisi in casa Lidl-Trek, per la gioia di Luca Guercilena e dei nuovi investitori. Ma chissà che l’imprevedibile Mathieu non abbia in testa di fare bene domani sul Puy de Dome, sulle strade che fecero la storia di suo nonno Raymond Poulidor. Anzi, varrebbe quasi la pena di scommettere che qualcosa inventerà…

Philipsen strozza l’urlo di Cavendish e fa infuriare Girmay

07.07.2023
4 min
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«Tu stavi per alzare le braccia – dice Zanini con un sorriso amaro – se vinceva Cavendish, io alzavo la macchina…».

La volata di Bordeaux si è conclusa da poco con la terza vittoria di Jasper Philipsen, ma anche questa volta, come nel primo sprint a Bayonne, alle sue spalle non si sono levati applausi ma pugni al cielo. Sono furibondi quelli della Intermarché-Circus e anche l’Astana non è parsa troppo conciliante. Al punto che Bourlart del team belga e lo stesso kazako sono andati a parlare con la Giuria dello spostamento plateale del vincitore da sinistra a destra, che ha ostacolato i rivali: Girmay su tutti. I due si erano stretti la mano dopo che Biniam aveva soffiato al collega i punti del traguardo volante, ma ora la rivalità rischia di farsi incandescente.

La Giuria ha fermato le ammiraglie, la rincorsa di Cavendish e Van der Poel è stata lunga e dispendiosa
La Giuria ha fermato le ammiraglie, la rincorsa di Cavendish e Van der Poel è stata lunga e dispendiosa

«Tanto non lo squalificano – riprende Zanini – ormai non si può più fare reclamo come una volta. Loro decidono e così resta. Comunque ci riproviamo. “Cav” sta bene, meglio che al Giro. E arrivato qua più magro e al Tour le motivazioni non mancano di certo. Magari il giorno non sarà domani, visto che l’arrivo un po’ tira, ma le occasioni ci sono.

«Peccato anche che per rientrare da un cambio bici abbiamo impiegato un sacco di strada. Ci sono più moto che corridori. I giudici vogliono tenere la colonna stretta, ma quando è il momento di tenere le macchine vicine, non ti fanno passare. E lì si creano i buchi. E’ già la seconda volta…».

La Giuria ha rivisto il filmato e ha giudicato regolare la vittoria di Philipsen. Cavendish in ogni caso non ne era stato ostacolato, ma in caso di squalifica, avrebbe avuto la vittoria che gli manca.

Anche oggi un grande lavoro di squadra per la Alpecin-Deceuninck per la volata di Philipsen
Anche oggi un grande lavoro di squadra per la Alpecin-Deceuninck per la volata di Philipsen

Nessun regalo

Philipsen fa il tris con il solito imperiale lavoro di Mathieu Van der Poel, che è partito fortissimo per portarlo fuori dal gruppo e c’è da capire se spenderebbe di meno e otterrebbe ugualmente il risultato voluto se partisse più lungo e in modo più graduale.

«Ancora una volta – dice Philipsen – possiamo essere orgogliosi di una grande prestazione di squadra. Senza di loro e il modo in cui lavoriamo e ci troviamo, non sarebbe possibile vincere. Sono sempre stato coperto e ho risparmiato perfettamente le forze per lo sprint. Chiunque mi avesse detto una settimana fa che avrei vinto le prime tre volate, lo avrei preso per pazzo, sono davvero molto felice e orgoglioso.

«Cav è stato di nuovo fortissimo – prosegue – mi piacerebbe anche vederlo vincere. Penso che tutti glielo augurino. Sicuramente continuerà a provarci, ma io non gli regalerò niente. Non vedo l’ora che arrivi lo sprint di Parigi, ne sto facendo il mio obiettivo, oltre alla maglia verde».

Philipsen inizia a spostarsi, Cavendish lo guarda: la volata entra nel vivo
Philipsen inizia a spostarsi, Cavendish lo guarda: la volata entra nel vivo

Le scelte di Van Aert

Chi invece nella volata non si è buttato e ha preferito sfilarsi e arrivare oltre i tre minuti è Wout Van Aert, visto in coda al gruppo per tutto il giorno e poi sfilato nel momento in cui i team hanno accelerato per preparare la volata.

«Ovviamente ero un po’ stanco dopo una giornata come quella di ieri – ha detto – è stata super dura per tutta la squadra. Naturalmente speravamo che Jonas (Vingegaard, ndr) potesse mettere la ciliegina sulla torta con una vittoria di tappa, invece ci siamo imbattuti in un Pogacar fortissimo. Dobbiamo accettarlo ed essere felici di avere ancora vantaggio in classifica. La battaglia è tutt’altro che finita. Non ho sprintato perché penso che la corsa di domani mi vada meglio. E’ il momento di fare delle scelte».

A Philipsen il primo sprint e ora mirino sulla “verde”

03.07.2023
5 min
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Prima volata, vince Philipsen e Van der Poel lo pilota da vero mago. Giusto pochi giorni fa Petacchi lo aveva inserito fra i velocisti più completi e per questo vicini alla maglia verde. A ben guardare lo scorso anno Jasper fu secondo, sia pure distaccato di un monte di punti da Van Aert. Sarà nuovamente il Wout nazionale l’uomo da battere o davvero se ne andrà quando sua moglie darà al mondo il secondo figlio? E se rimarrà, potrà correre libero come nel 2022?

«Sono molto contento della prestazione della squadra – ha detto Philipsen dopo l’arrivo – Jonas Rickaert e Mathieu Van der Poel hanno fatto un lavoro fantastico. E’ fantastico avere qualcuno come Mathieu come ultimo uomo. Se ha spazio per andare, nessuno può passarlo. Vincere la prima volata è sempre più difficile, sono molto contento di esserci riuscito. Ma spero che ne seguiranno altre e ovviamente anche la maglia verde resta un obiettivo».

Ancora una volta, super lavoro di Van der Poel, come ultimo uomo e pilota nella mischia
Ancora una volta, super lavoro di Van der Poel, come ultimo uomo e pilota nella mischia

Processo di crescita

E’ felice come una Pasqua per la vittoria appena ottenuta e ancor più felice di aver scongiurato il rischio che la Giuria gliela togliesse per il cambio di direzione: era lui davanti, nessuna infrazione. Al confronto, infatti, Van Aert ha fatto meno storie oggi che dopo la tappa di ieri. Si è limitato a spiegare di essersi trovato chiuso e di confidare nella valutazione della Giuria. Della maglia verde non ha parlato.

«Mi sono allenato tanto in salita – dice Philipsen – di conseguenza le mie condizioni generali sono migliorate. Me ne ero già accorto alla Sanremo. Di solito sul Poggio mi si spegneva la luce, questa volta l’ho passato bene. I dati parlano di quasi 30 watt in più: la differenza tra vincere o perdere. Non diventerò mai un Van Aert o un Van der Poel, ma forse loro non hanno il mio sprint. Divento più forte ogni anno. Non enormi passi in avanti, ma piccoli e costanti. Ho 25 anni, credo che il meglio debba ancora venire».

Carcassonne, 15ª tappa dell’ultimo Tour, Philipsen infilza Van Aert allo sprint
Carcassonne, 15ª tappa dell’ultimo Tour, Philipsen infilza Van Aert allo sprint
Strano che anche Van der Poel non voglia lottare per la maglia verde…

Non credo abbia voglia di dedicarsi ogni giorno a quel tipo di obiettivo. La squadra ci ha fatto correre molto insieme, per farci diventare compatibili e credo che questo Tour lo dimostrerà.

Come si fa a diventare compatibili se entrambi volete sempre vincere?

Abbiamo viaggiato spesso insieme e ci siamo conosciuti meglio. E’ un tipo divertente, siamo diventati amici. Prendiamo entrambi sul serio il lavoro che facciamo, ma quando si va d’accordo, tutto fila via più liscio.

Alla Tirreno, Mathieu ha lavorato per te in entrambi gli sprint che hai vinto e oggi è successo anche al Tour.

L’ho già detto: è stato un grande valore aggiunto. Mathieu può tirare molto più a lungo di altri, ma dobbiamo ancora capire come fare e valutare il rischio delle varie situazioni. So che posso vincere anche da solo.

Prima tappa al Giro del Belgio: Philipsen batte Jakobsen e dietro Van der Poel esulta
Prima tappa al Giro del Belgio: Philipsen batte Jakobsen e dietro Van der Poel esulta
Secondo Petacchi, fra te e la maglia verde c’è comunque Van Aert.

Tutto dipende da lui. Può conquistare tanti punti lungo la strada scattando e infilandosi nelle fughe. Se invece dovrà correre più coperto, allora le mie possibilità aumenteranno. Però entreranno in ballo anche gli altri velocisti, per cui sarà decisivo vincere tappe. Gli sprint intermedi peseranno meno e se perdi punti in una volata per la vittoria, le differenze saranno più marcate.

Un velocista è in grado di dire quale posizione occupa nella scala gerarchica dello sprint? 

Se non sbaglio quest’anno sono stato battuto in volata solo due volte, da Jakobsen (alla Tirreno-Adriatico e al Giro del Belgio, ndr). In entrambe le occasioni però sono arrivato secondo. Sei volate le ho vinte, ho iniziato a concentrarmi molto sui dettagli. Penso di essere più maturo e anche un po’ più forte. Nel Tour del 2021 ho conquistato sei podi e nemmeno una vittoria. Lo scorso anno, tre podi e due vittorie fra cui Parigi. Voglio di più.

Pochi scontri diretti con Cavendish. Sul podio della Scheldeprijs, con loro due c’è anche Welsford
Pochi scontri diretti con Cavendish. Sul podio della Scheldeprijs, con loro due c’è anche Welsford
Avrai fra i piedi Cavendish che insegue il record di Merckx, cosa ne pensi?

Di certo non gli farò regali. Mi ha colpito molto che dopo un Giro d’Italia così duro, soprattutto mentalmente, sia riuscito a vincere l’ultima tappa. Se batte il record, sarà tutto merito suo, ma non sarà facile.

A volte ti hanno accostato a lui per manovre un po’ rischiose in volata.

Non è più così e soprattutto non ho mai oltrepassato un limite. Andavo meno forte e dovevo approfittare degli altri per salvarmi dal vento e scalare posizioni. Da ragazzo capita di sbagliare, la regola è imparare dagli errori. Adesso arrivo più fresco ai finali, quindi mi riesce più facile prendere correttamente posizione e quindi rischio meno.

E’ vero che non ti piace studiare i tuoi dati e li lasci agli altri?

Molto vero. Preferisco restare concentrato e se poi qualcosa va male, meglio guardare il filmato, capire perché e andare avanti. Mi fido del programma e dei piani della squadra. Lascio i dati agli allenatori e faccio affidamento sul mio istinto.

E’ vero che hai in testa anche il mondiale di Glasgow?

Per me è presto parlare di classiche come il Fiandre, perché è troppo duro. Però sono arrivato secondo alla Roubaix, quindi questo mondiale diventa interessante. Ne ho già parlato con Sven Vanthourenhout, il tecnico della nostra nazionale. Potrei nascondermi un po’ in gruppo lasciando che Van Aert ed Evenepoel corrano in modo più offensivo. Io potrei fare il parafulmine, casomai si arrivasse allo sprint. Dipende dai programmi della nazionale e anche da come supererò il Tour. Fra sei o sette tappe magari ne sapremo qualcosa di più.

Caccia alla maglia verde: Petacchi scopre le carte

01.07.2023
4 min
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Parte oggi da Bilbao la 110ª edizione del Tour de France, tra tutte le domande che ci accompagneranno fino a Parigi c’è anche quella che riguarda la maglia verde. L’anno scorso la vinse Van Aert con bel 194 punti di vantaggio su Philipsen. Chi riuscirà a vincerla? Sarà ancora terreno di caccia per il belga (in apertura sul podio di Parigi nel 2022) oppure tornerà sulle spalle di un velocista? 

Ne parliamo con Alessandro Petacchi, ultimo italiano a vincere la maglia verde, nel 2010. L’ex velocista, seguirà questo Tour da casa e poi volerà a Glasgow per commentare i mondiali con la RAI. 

Cavendish nel 2021 non partiva favorito, ma ha vinto la maglia verde: occhio a sottovalutare “Cannonball”
Cavendish nel 2021 non partiva favorito, ma ha vinto la maglia verde: occhio a sottovalutare “Cannonball”

Ricordi “verdi”

«Da quel Tour del 2010 – racconta Petacchi – è passato qualche anno, ma i ricordi si fanno più vivi quando si avvicina la Grande Boucle. Negli ultimi anni ho fatto anche le ricognizioni e mi è capitato di passare per certi posti e città dalle quali ero passato anche in quell’anno. Salire sul podio degli Champs Elysées ha un fascino incredibile, ti lascia un qualcosa dentro di indescrivibile. Quel podio rimane il più particolare del mondo ciclistico, rivivere ricordi e foto è sempre bellissimo».

Petacchi conquistò la maglia verde nel Tour del 2020, lottando sino in fondo con Cavendish
Petacchi conquistò la maglia verde nel Tour del 2020, lottando sino in fondo con Cavendish
In quel Tour lottasti per la maglia verde con Cavendish, che oggi sarà al via di Bilbao…

Ricordo bene la tappa di Parigi, io ero in maglia verde, ma dovevo stare attento, perché a Cavendish bastavano pochi punti per superarmi. E’ stata una giornata difficile, dove però sono riuscito a fare una bella volata: ho perso, ma ho mantenuto la maglia verde.

Quest’anno Cavendish potrà lottare per la maglia verde?

Non è il primo favorito, lo metterei tra quelli con quattro stelle. Lui arriva al Tour con l’obiettivo della 35ª vittoria: per superare Merckx, gli basta una sola vittoria. Ora ci sono tanti velocisti giovani e forti, ma lui è sempre in grado di tirare fuori il coniglio dal cilindro. Basti pensare al 2021, arrivava senza grandi ambizioni, ha vinto quattro tappe e la maglia verde. 

Il percorso quest’anno sorride un po’ più ai velocisti?

Le possibilità sono più alte di vedere un velocista puro in maglia verde a Parigi. Tuttavia la condizione deve essere più che al massimo. Ovvio che chi va al Tour sta bene, ma a volte non basta nemmeno questo. 

Jakobsen è il velocista più forte secondo Petacchi, ma in salita soffre tanto, in foto a Peyragudes quando si è salvato per una manciata di secondi
Jakobsen è il velocista più forte, ma in salita soffre, qui a Peyragudes quando si è salvato per una manciata di secondi
Il tour favorito chi è?

Dipende dagli obiettivi suoi e della squadra, ma su tutti direi Van Aert. Può vincere o comunque fare punti nelle volate di gruppo. E potrebbe anche mettere in piedi un numero come quello dello scorso anno a Calais… Però c’è un’incognita…

Quale?

La squadra. Vingegaard corre per vincere il Tour e dovranno supportarlo al meglio, lo stesso Van Aert dovrà mettersi al suo servizio. Lo ha fatto anche lo scorso anno, però non è sempre semplice gestirsi. Sicuramente il belga va forte ovunque, anche in salita, ma in alcune tappe i velocisti potrebbero tirare il fiato e recuperare, mentre lui lavorerà per la squadra. 

Passiamo ai velocisti, chi vedi tra i favoriti per la maglia verde?

Philipsen è il più gettonato, considerando il supporto che avrà da Van Der Poel. Avere un corridore del suo calibro come “pesce pilota” può far uscire qualcosa di bello. 

Philipsen ha vinto due tappe l’anno scorso, tra cui la più ambita: quella degli Champs Elysées
Philipsen ha vinto due tappe l’anno scorso, tra cui la più ambita: quella degli Champs Elysées
Altri?

Il velocista più forte del mondo: Jakobsen. Se è in forma ha davvero un qualcosa di incredibile. Nel suo caso la squadra lavorerà tutta per lui, quindi godrà di un bel supporto. Anche se c’è da dire che lui in montagna soffre tantissimo, basti ricordare la tappa di Peyragudes quando si è salvato per dieci secondi dal tempo massimo. Poi ci sarebbe Groenewegen, anche lui velocista puro. 

E’ un Tour che parte subito molto duro.

Le prime tappe saranno importanti, soprattutto la prima e la seconda. Il percorso non si addice ai velocisti e se un uomo come Van Aert dovesse già prendere la maglia verde potrebbe essere difficile tirargliela via.

Gambe e calma interiore: così Philipsen si è preso Parigi

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L’unico che avrebbe potuto batterlo era Van Aert, lo aveva già fatto l’anno scorso. Non certo Jakobsen, sfinito e disperso nelle retrovie, senza Morkov a pilotarlo. Non sappiamo se Philipsen sapesse che la maglia verde avesse rinunciato alla volata, ma di certo quando si è voltato a sinistra sui Campi Elisi, ha capito che Groenewegen e Kristoff lo avrebbero affiancato solo dopo la riga. E si è reso anche conto di aver realizzato uno dei sogni di bambino.

Un anno dopo la sconfitta, Philipsen è tornato a Parigi e ha vinto
Un anno dopo la sconfitta, Philipsen è tornato a Parigi e ha vinto

Il sogno di bambino

Il belga della Alpecin-Deceuninck lo ha raccontato ieri ad Aalst (in apertura, fra Thomas e Lampaert, foto @belga), a margine del criterium cui erano stati invitati anche Vingegaard, Van Aert e Pogacar, che però hanno declinato l’invito.

«Non voglio parlare di vendetta – ha raccontato – ma solo di contrasto totale rispetto al 2021. Un anno fa sui Campi Elisi ho pianto, invece domenica ero la persona più felice al mondo. Nell’ultimo anno, è successo tutto molto rapidamente. Vincere la tappa di Parigi significa aver realizzato un sogno d’infanzia e quello di qualsiasi corridore. Parigi rimarrà sempre una tappa speciale, soprattutto quando sei un velocista. E’ la vittoria più bella della mia carriera e finire il Tour così è straordinario».

L’esultanza dopo l’ultima volata del Tour gli resterà a lungo nei ricordi
L’esultanza dopo l’ultima volata del Tour gli resterà a lungo nei ricordi

Vittoria scaccia stress

Per Philipsen, il Tour è stato un viaggio dentro se stesso. Non può essere altrimenti per un atleta che nelle tappe di montagna, soprattutto con il grande caldo e il ritmo indiavolato dei primi, è in lotta perenne con la tentazione di mollare tutto. Per questo la vittoria di Carcassonne era già stata la svolta mentale per arrivare a Parigi senza troppa tensione negativa.

«Per certe corse – ha spiegato dopo quel primo successo – c’è davvero bisogno di pace mentale. Nelle prime due settimane, non l’ho avuta. Nelle tappe sulle Alpi ho vagato senza una meta, solo per fare numero. Ma anche questo è stressante, perché sei sempre lì ad aspettare che arrivi un’altra possibilità. La vittoria mi ha dato la calma. L’obiettivo principale di vincere una tappa al Tour è stato spuntato. La pressione si è spenta. Anche se non ho lasciato andare del tutto le emozioni represse, ho percepito chiaro quel rilascio. Tutto quello che verrà d’ora in avanti sarà un bonus. Certo, se non vinco a Parigi, rimarrò deluso. Ma non come un anno fa, quando Parigi era anche l’ultima spiaggia».

La vittoria di Carcassonne (qui Philipsen rinfrescato da Pogacar) è servita per dissipare il nervosismo
La vittoria di Carcassonne (qui Philipsen rinfrescato da Pogacar) è servita per dissipare il nervosismo

Crono di recupero

Per questo in gruppo un po’ se lo aspettavano. La vittoria di Carcassonne aveva già dimostrato che Jasper avesse superato ottimamente la seconda settimana, con le Alpi e l’arrivo di Mende del giorno prima. C’era da capire come avrebbe digerito i Pirenei, tenendo conto che agli altri velocisti le cose non stessero andando probabilmente meglio. E che lui, per i 24 anni e i 75 chili (è alto 1,76), avesse doti di maggior recupero. Per questo la crono del giorno prima è stata un passaggio da affrontare con la giusta consapevolezza.

«Sulla bici da crono – ha detto la sera di Rocamadour – sei scomodo, quindi non sei molto rilassato. Per questo non si può dire che la crono sia un giorno di riposo. Dopo venti tappe, ogni sforzo sembra pesante. In più non volevo correre rischi. Non sono ancora caduto in questo Tour e volevo continuare così. Sono migliorato tappa dopo tappa e credo di avere ancora forza nelle gambe. Ho superato le tre settimane meglio degli ultimi anni e questo mi rassicura anche per il futuro».

Nella volata in leggera salita di Aalst, Philipsen ha preceduto Lampaert (@belga)
Nella volata in leggera salita di Aalst, Philipsen ha preceduto Lampaert (@belga)

«A Parigi – ha sorriso – conta solo la vittoria e non sarà certo facile. Ci sono molti corridori come Jakobsen, Ewan e Groenewegen che si sono trascinati attraverso le montagne e non vedono l’ora che arrivi domani. Anche se uno sprint dopo 21 giorni è ancora un’altra cosa. Nessuno sarà davvero molto fresco».

Il sogno è finito

E adesso che ha vinto a Parigi e il circuito di Alst su un fondo in ciottoli gli ha ricordato i Campi Elisi, Philipsen riparte ancor più convinto di poter salire al livello dei velocisti che ha sempre ammirato.

«Ho ricevuto tanti messaggi – dice – ma il più apprezzato è stato quello di Mark Cavendish, l’uomo che mi ha battuto a Carcassonne l’anno scorso. E’ bello sapere che qualcuno che ammiro può anche essere sinceramente felice per me. Mark è sempre stato un grande modello. Ed è ancora un grande gentiluomo. Vivo in un sogno da domenica. Tutto sembra magico. Peccato solo che il Tour de France sia finito».

Una parata vale più di uno sprint. I Campi Elisi a Philipsen

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Arc de Triomphe, Place de la Concorde, Campi Elisi… sembra una filastrocca. E’ il mitico circuito di Parigi, quello che decreta la fine del Tour de France. Un momento che tutti aspettano: corridori, pubblico, direttori sportivi.

La maglia gialla è entrata a Parigi dunque. E per questa volta, come succede spesso, prima delle spallate finali la stessa maglia e la sua squadra si sfilano. Ma di solito non hanno un potenziale vincitore di tappa. Alla faccia di chi crede che il ciclismo non sia uno sport di squadra, i corridori giallone-neri si radunano. In questo caso Jonas Vingegaard chiama a raccolta i suoi. Van Aert e compagni tagliano il traguardo abbracciati in parata… staccati.

Si passa anche davanti al Louvre, piano piano il gruppo inizia a fare sul serio. Ma Vingegaard è sempre guardingo
Si passa anche davanti al Louvre, Vingegaard è sempre guardingo

Scherzi e scatti

Ancora una volta quest’ultima frazione della Grande Boucle ha regalato emozioni. L’avvio tranquillo, le foto di rito, gli scherzi… Ad un certo punto, tanto per cambiare, sono scattati Van Aert, Pogacar… e Vingegaard, con quest’ultimo che non lo sapeva! Il danese è stato un gatto a rientrare. Quando è arrivato sulle ruote di quei due si è accorto che ridevano. Clima da ultimo giorno di scuola insomma. 

Poi quando si è entrati nella parte finale e s’iniziava a sentire l’odore del traguardo di questa tappa, che è praticamente un classica, ecco che il ritmo è salito.

E tra i vari attacchi chi c’è stato? Lui: Tadej Pogacar... ragazzi non fermatelo, non domate questo corridore, questo purosangue. Ha messo alla frusta in pianura nientemeno che Filippo Ganna. Un fuoco di paglia sì, ma che fiammata.

Il podio finale dei Campi Elisi: Vingegaard precede Pogacar e Thomas
Il podio finale dei Campi Elisi: Vingegaard precede Pogacar e Thomas

Parata sì, volata no 

Chi invece non c’era era il super favorito: Wout Van Aert. Ad un certo la maglia è verde è sparita, come detto. Quasi per incanto non si vedeva nessun Jumbo-Visma davanti. Dopo il ponte dell’Almat che introduceva nel chilometro finale non si vedevano i due mattatori del Tour.

Hanno fatto credere a tutti che volevano questa tappa, anche con le dichiarazioni del giorno precedente, e invece erano in coda a “godersi lo champagne”. Nessun rischio e un chilometro che valeva le fatiche fatte nei precedenti 3.349. Un chilometro da ricordare e per ricordare.

Giusto così. Hanno dominato. Hanno vinto. In qualche occasione hanno anche sbagliato e sprecato, ma nella seconda parte del Tour sono stati uniti più che mai.

Ed è più o meno ciò che ha sintetizzato Laporte: «Abbiamo vinto il Tour, la maglia verde, la maglia a pois, sei tappe, il premio del più combattivo (Van Aert, ndr)… oggi era giusto così. Questo arrivo vale molto di più».

Van Aert oggi ha deciso che bastava così. Tre tappe potevano andare bene. La soddisfazione dei Campi Elisi se l’era già presa lo scorso anno, stavolta preferiva l’arrivo in parata. Preferiva vivere una nuova emozione.

E come biasimarlo? Voleva scortare Jonas fino in fondo per il vecchio adagio che “non si sa mai”. «Per senso di responsabilità e di amicizia», come ha detto più volte.

L’urlo di Philipsen a Parigi, per il classe 1998 è la seconda vittoria in questo Tour
L’urlo di Philipsen a Parigi, per il classe 1998 è la seconda vittoria in questo Tour

Philipsen: le roi

Ma c’era pur sempre una corsa da portare a termine. E il fatto che non ci fossero davanti le maglie della Jumbo-Visma a dettare legge e a sistemare le gerarchie ha colto di sorpresa i team dei velocisti.

Un po’ perché le gambe e le energie erano quelle che erano, un po’ perché con gli uomini ridotti all’osso era impossibile mettere su un treno, i tre chilometri finali sono stati di anarchia pura.

Davanti c’erano persino gli Arkea-Samsic. Gli Alpecin-Deceuninck, proprio di Philipsen, erano in netto (troppo) anticipo, gli BikeExchange-Jayco forse erano messi meglio di tutti, ma hanno pasticciato nel rettilineo finale. E persino i Quick Step-Alpha Vinyl erano ai quattro cantoni. Jakobsen la sua volata l’aveva fatta a Peyragudes per restare nel tempo massimo.

E così in questo sprint “anni 70”, il più furbo e quello con più gamba è Jasper Philipsen. Il belga capisce che i due BikeExchange stanno pasticciando, li guarda e scatta sul lato opposto. Bravo. Va a riscattare il secondo posto dell’anno scorso. «Questa – ha detto Philipsen – è stata la ciliegina della torta. Sognavo da sempre questo arrivo e questa vittoria».

Adesso è festa. Adesso questa serata è tutta loro. Di Vingegaard, di Van Aert, ma anche di Pogacar e di tanti altri corridori. La “Ville Lumiere” è il posto ideale per festeggiare. Andranno in qualche lussuoso ristorante, prenotato per l’occasione. Qualcuno si sarà fatto raggiungere dalla compagna e insieme passeranno una bella serata. 

Ma già pensando alla prossima sfida. Come ha detto Pogacar…