Demare Tignes 2021

Demare a casa richiama i suoi: «Ora vincete per me»

06.07.2021
4 min
Salva

In attesa della prossima tappa per velocisti, presumibilmente quella di martedì a Valence subito dopo il giorno di riposo, Arnaud Demare si lecca le ferite a casa. Il suo Tour è finito in anticipo (in apertura l’arrivo fuori tempo massimo a Tignes), anzi per certi versi non è mai davvero iniziato, è diventato un calvario nel quale gli toccava assistere alle vittorie dei rivali (anzi di “un” rivale, Mark Cavendish) e ingoiare bocconi amari, lui che alla vigilia era considerato il velocista principe in forza di quanto fatto al Giro 2020.

Inutile nasconderlo, anche se nella Grande Boucle il corridore di casa finora non aveva avuto grande fortuna (2 tappe in carriera), il poker di successi al Giro 2020 ma soprattutto la straordinaria superiorità messa in mostra avevano fatto puntare i fari dell’attenzione su di lui. Forse anche un po’ troppo. «Al Giro ho fatto belle cose – diceva prima della partenza da Brest – ma il Tour è un’altra faccenda, una tappa qui ha un valore unico e il bello è che le occasioni per i velocisti non mancano di certo».

Demare Tour Pau 2018
L’ultimo successo di Demare al Tour, tappa di Pau del 2018. Resterà tale, almeno fino al prossimo anno
Demare Tour Pau 2018
L’ultimo successo di Demare al Tour, tappa di Pau del 2018. Resterà tale, almeno fino al prossimo anno

Un inizio senza un briciolo di fortuna

Già, solo che una vittoria nasce sempre da una concatenazione di fattori e così la sconfitta. Cavendish si è ritrovato al Tour quasi per caso, si è esaltato a Fougères e sull’onda dell’entusiasmo si è ripetuto a Chateauroux. Gli è andato tutto bene, ad Arnaud tutto male…

Il corridore della Groupama FDJ (a proposito, il contratto è già in cassaforte fino al 2023) è caduto nella terza tappa, quella del secondo capitombolo tra i velocisti e non è stato un inconveniente da poco, anzi lo ha portato anche a pronunciare parole dure dopo l’arrivo: «Qui è una carneficina e non dipende se l’asfalto è bagnato o è asciutto… Peccato perché ero in una buona posizione, ma la cosa che mi fa arrabbiare è che una caduta lascia sempre tracce».

Il problema è che costruire una volata vincente non dipende solo da lui, ma anche dai compagni, dal classico “treno”, quello che al Giro 2020 aveva fatto faville e che al Tour si è disgregato: il lituano Konovalovas è stato uno di quelli che ha riportato i danni maggiori nella maledetta prima tappa della maxicaduta causata dalla “pseudotifosa” inneggiante ai suoi nonni. Nella sesta, quando c’era da preparare lo sprint della rivincita su Cavendish, ai -2,5 chilometri è toccato a Guarnieri finire a terra.

Guarnieri Tour 2021
Jacopo Guarnieri soccorso dalla sua ammiraglia dopo la caduta nella sesta tappa (foto Getty Images)
Guarnieri Tour 2021
Jacopo Guarnieri soccorso dalla sua ammiraglia dopo la caduta nella sesta tappa (foto Getty Images)

Una volata vecchio stampo…

Senza il suo ultimo uomo, Demare si è trovato con il solo Scotson a pilotarlo: «E’ stato encomiabile, ha provato ad accodarmi al treno della Alpecin ma non ce l’abbiamo fatta. Ma la volata ho voluto farla lo stesso». Sapeva di non poter vincere, eppure ci ha provato, saltando da un rivale all’altro alla vecchia maniera, per finire quarto. Demare aveva preso quel piazzamento come un buon auspicio, in virtù del quale dimenticare i dolori ancora presenti e una gamba che, per conseguenza, non era al massimo.

La sfortuna però quando colpisce, non si ferma più. Un Demare in condizioni normali, nelle tappe alpine si sarebbe salvato senza neanche grandi patemi, invece a Le Grand Bornand, dopo l’offensiva dei fuggitivi e il “tornado Pogacar” in azione, si era salvato per il rotto della cuffia, il giorno dopo con la pioggia battente invece è andato alla deriva: «Il Tour non risparmia nessuno. Io ho dato fondo a tutte le mie energie, ho faticato come mai, ma non è bastato. Almeno ho la coscienza pulita sapendo che non potevo fare nulla di più. E’ andata male dall’inizio, non poteva esserci altro epilogo» ha dichiarato sconsolato all’arrivo ai colleghi di Cyclismactu.

Demare Cavendish Tour 2021
La volata di Chateauroux: vince Cavendish, ma per Demare non è stato uno sprint ad armi pari
Demare Cavendish Tour 2021
La volata di Chateauroux: vince Cavendish, ma per Demare non è stato uno sprint ad armi pari

Basta lacrime, si va in battaglia…

In albergo, vedendo il resto della squadra sconsolato con alcuni componenti in lacrime, a Demare sono risuonate nella mente alcune sue parole pronunciate dopo lo sprint di Chateauroux: «La vittoria prima che nelle gambe nasce dalla testa. Per ora è andato tutto storto, ma se la ruota gira…» e allora ha tirato fuori il carattere che gli ha permesso di diventare un velocista di primissima fascia: «Forza, il Tour non è finito, ora dovete lavorare per David (Gaudu, ndr), ci sono due settimane e c’è tanto da fare…». Averne, di leader così…

EDITORIALE / Quel giallo che tutto acceca. Anche le squadre…

05.07.2021
4 min
Salva

E’ come se per scelta o per l’incapacità di fermarsi a riflettere, si corra tutti troppo velocemente verso la curva, ben sapendo che la strada è bagnata. E allo stesso modo in cui i corridori non riescono a frenare il loro impeto, dando vita alle cadute di cui siamo stati testimoni nella prima parte del Tour, anche nella loro gestione e nella gestione delle squadre si vedono scelte su cui vale la pena interrogarsi.

Alaphilippe ha provato a tenere duro, ma la classifica non fa per lui
Alaphilippe ha provato a tenere duro, ma la classifica non fa per lui

Il Tour sopra tutto

Alaphilippe e Roglic sono a nostro avviso due facce della stessa medaglia e portano sulla faccia opposta i ragionamenti di squadre che non tengono conto di troppi fattori. Il Tour de France, il benedetto e dannato Tour de France è tornato al centro delle ossessioni.

Non abbiamo dimenticato le parole pronunciate a marzo del 2020 da Patrick Lefevere: «Se salta il Tour de France – disse – il sistema ciclismo collassa». Per questo al momento di ridisegnare il calendario 2020, l’Uci diede la precedenza ai francesi. Mentre quest’anno, con una stagione tutto sommato normale, la precedenza ai francesi l’hanno data due squadre che stanno ora pagando la scelta a caro prezzo.

Scelte azzardate

La Jumbo Visma ha tolto Roglic dalle strade, chiedendogli (o assecondando la sua scelta) di lavorare solo e soltanto per il Tour. La Deceuninck-Quick Step ha fatto la stessa cosa con Alaphilippe, distogliendolo dalle Olimpiadi e chiedendogli (o assecondando la sua scelta) di correre soltanto il Tour. Ma il ciclismo non è una scienza esatta e sono bastate una caduta, un paio di situazioni tattiche anomale e due giorni di freddo per mandare a casa Roglic e spedire Julian fuori classifica, vanificando il lavoro delle rispettive squadre.

Magari Alaphilippe rivaluterà la possibilità di andare a Tokyo e Primoz troverà le gambe per vincere la Vuelta come l’anno scorso, ma quale prezzo hanno pagato in termini di concentrazione e delusione? Si dirà che la Deceuninck-Quick Step stia ben giocando la carta Cavendish, ma non dimentichiamo che durante il Giro lo stesso Lefevere non credeva che Mark potesse ben figurare. Si dirà che Alaphilippe potrà vincere altre tappe. Va bene tutto, ma si tratta comunque di salvataggi in corner.

Giro d’Italia 2021, Sega di Ala, Martinez e Bernal tengono in piedi il Giro lottando tutti i giorni
Giro d’Italia 2021, Sega di Ala, Martinez e Bernal tengono in piedi il Giro lottando tutti i giorni

Nel segno del divertimento

Dal mazzo di questo ragionare per schemi che credevamo superati spiccano alla grande le azioni di Pogacar, Van der Poel e Van Aert. Ragazzi che corrono tutto l’anno e usano una parola tanto cara a Valverde e pochi altri: divertirsi. Il ciclismo più bello nasce quando i suoi attori protagonisti, i campioni, si divertono. Anche questa volta, sconfessando per certi versi la sua storia, il Team Ineos ha fatto scuola, vincendo il Giro con un Bernal che del Tour percepiva soltanto il peso e lo stress e al Giro ha ammesso di aver riscoperto la possibilità di divertirsi in corsa. Il resto in certi casi potrà anche funzionare meglio, ma siamo certi che al pubblico e agli sponsor piaccia allo stesso modo?

Demare fuori tempo massimo nel calvario di Tignes

05.07.2021
5 min
Salva

Demare non ce l’ha fatta. E’ arrivato al traguardo sotto un cielo scuro che sapeva di pioggia, ma anche di tramonto. Il tempo massimo è matematica, starci dentro in certi giorni è un’impresa pari a quella del vincitore. Ieri il limite stabilito sulle 4 ore 26’43” di Ben O’Connor era di 5 ore 04’03”, pari al 14 per cento. In termini più concreti, chiunque fosse arrivato a Tignes oltre i 37’20” dal vincitore sarebbe andato a casa. Cavendish ce l’ha fatta. Ha tagliato il traguardo con Morkov e De Clercq con un distacco di 35’49”. Demare, Guarnieri e altri cinque sono rimasti fuori.

«Questa era una delle tappe di cui ero terrorizzato – ha detto Cavendish, in lacrime come dopo la prima vittoria – e infatti ho sofferto tantissimo. Ci siamo staccati sulla prima salita, ma avevo questi ragazzi fantastici intorno a me, che mi hanno dato il ritmo e molto supporto. Sono abbastanza emozionato per essere arrivato e felice di essere ancora in gara».

Demare ha passato il Col de Saisies nel gruppo Cavendish, poi ha perso contatto
Demare ha passato il Col de Saisies nel gruppo Cavendish, poi ha perso contatto

La maledizione del 9

Demare non ce l’ha fatta. Gli era già successo nel 2017, ugualmente nella 9ª tappa, nel famoso giorno di Chambery che vide la caduta di Richie Porte nella discesa dal Col du Chat e anche allora all’indomani ci sarebbe stato il riposo. Arnaud tagliò il traguardo malato ed esausto. Non era riuscito a mangiare per tutta la tappa e avere accanto Guarnieri a altri due compagni non gli era servito a nulla. Con lui andarono a casa altri sette corridori, fra cui Trentin e Sagan.

Ieri a Tignes è successo più o meno lo stesso. Demare ha tagliato il traguardo a 41 minuti dal vincitore. E se il giorno prima a Le Grand Bornand è arrivato ultimo per una crisi di fame, questa volta la causa di tutto è stato il freddo e probabilmente il non aver recuperato al meglio il giorno prima.

Impietrito a Tignes

«Quando ha passato la prima salita nel gruppo in cui si trovava Cavendish – ha raccontato Guesdon, direttore sportivo della Groupama-Fdj – ho pensato: “Va bene, ce la farà!”. Sfortunatamente però non ha retto il passo sul Cormet de Roselend ed è rimasto indietro».

Arnaud è rimasto fermo a lungo sulla bici dopo la riga, quasi sperando di svegliarsi da un brutto sogno. E mentre era lì, è arrivato anche Jacopo Guarnieri. Lo scenario era desolato, dal podio era appena sceso Cavendish, atteso a lungo perché potesse vestire la maglia verde, mentre il velocista della Groupama cercava una ragione per andare via dal traguardo, quasi sperando che la giuria gli andasse incontro comunicando un cambiamento del tempo massimo.

Niente sconti

«Prima della tappa – ha raccontato Marc Madiot, team manager della Groupama-Fdj, ai colleghi de L’Equipe – i commissari ci avevano detto che avrebbero adattato il tempo massimo in base alle condizioni della gara. Sapevamo dal mattino che sarebbe stato difficile con questo tempo. Ho parlato con il sindacato corridori che ha risposto: vedremo. In realtà non è stato fatto niente».

Ci hanno provato, ma era ormai tardi e soprattutto il gruppo dei corridori fuori tempo era davvero esiguo perché si potesse giustificare una decisione simile.

Record mancato

Dopo la formalizzazione della sua esclusione, Démare è tornato in hotel, dove il cuoco della squadra lo ha accolto in lacrime. Raccontano che il corridore si sia guardato intorno rendendosi conto che il resto della squadra fosse più triste di lui in merito al risultato di giornata.

«Ho dato il massimo – ha detto – sono arrivato al 97 per cento del mio record sulle cinque ore. Per essere nel tempo massimo, avrei dovuto raggiungere il 100 per cento. Come si dice: Affonda o nuota…».

Dlamini è stato l’ultimo al traguardo, un’ora 24′ dopo O’Connor: ben oltre il tempo massimo
Dlamini è stato l’ultimo al traguardo, un’ora 24′ dopo O’Connor: ben oltre il tempo massimo

Camion scopa

Chi ha continuato a nuotare, pur rendendosi conto di affondare, è stato Nicholas Dlamini della Qhubeka-Nexthash. Il corridore sudafricano ha raggiunto Tignes un’ora e 24 minuti dopo l’arrivo di O’Connor. Alle sue spalle il fine corsa e una serie di poliziotti in moto intirizziti, a chiedersi perché mai non lo avessero scaricato a forza sul furgone. Gli operai stavano già smontando il palco, ma il Tour si onora anche potando sino in fondo la propria fatica. Per questo Dlamini ha rifiutato di salire sul camion scopa. Ha voluto raggiungere il traguardo con le sue forze. Arrendendosi infine con l’onore delle armi.

Guarnieri al Tour con un disegno nella valigia

25.06.2021
5 min
Salva

Questa volta Jacopo Guarnieri è partito da casa col magone. Sua figlia Adelaide ha ormai quattro anni e così il giorno della partenza l’ha passato tutto con lei. L’ha portata a fare un giro in bici, sono stati insieme fino alle 15, poi ha chiuso la valigia ed è partito per la Francia. «Stavolta – ammette – gli occhi lucidi li avevo io. Tre settimane sono tante. Mi ha fatto un disegno da mettere in valigia e io le ho detto che mi mancherà molto. E lei allora mi ha risposto di fare ciao al disegno, perché rappresenta lei. Per fortuna ci sono le videochiamate, credo che prima fosse molto più dura. Ma anche il pensiero di mia figlia diventa uno stimolo per la corsa».

Al Giro del 2020, vero mattatore nel tirare le volate a Demare: 4 vittorie
Al Giro del 2020, vero mattatore nel tirare le volate a Demare: 4 vittorie

Il gigante Jacopo, ultimo uomo di Demare e regista del treno della Groupama-Fdj, arriva al Tour dal caldo torrido dei tricolori di Imola e in Bretagna ha trovato invece il freddo del Nord. Quando hai voglia di farti due chiacchiere non banali, il milanese è uno degli interlocutori più giusti. E al via del Tour, che più che una corsa è una vera e propria odissea di uomini contro le montagne e le pianure, trovare delle chiavi di lettura non banali è quel che ci vuole.

Cosa ti pare di questo Tour?

Sulla carta, dal punto di vista dello sprinter, mi sembra meno impegnativo del solito. Voglio dire, è duro, però non ci sono delle tappe disperanti. Piuttosto vedo giornate pericolose, per il vento e i percorsi. E quelle, dal punto di vista del velocista, sono un bel casino.

La squadra è divisa in parti uguali fra Gaudu e Demare?

Non in modo matematico, perché si collaborerà, però sì. L’idea di Gaudu è di prendere spazio, in fondo sta andando bene. Pinot al Tour non sarebbe venuto comunque perché doveva fare il Giro, vediamo adesso cosa viene fuori. Credo che un posto nei 10 sia alla sua portata, anche se è giovane. Pur sapendo che di questi tempi dire a uno che è giovane non è più indicarne un limite (ride, il riferimento è ai supergiovani che imperversano dal 2020, ndr).

Caleb Ewan sarà di certo tra i velocisti più pericolosi per Demare
Caleb Ewan sarà di certo tra i velocisti più pericolosi per Demare
E tu che ormai sei diversamente giovane che ruolo hai?

Ho un buon peso. In squadra comincio ad essere il secondo più vecchio come esperienza e per quello che è il mio ruolo, va bene così. Mi prendo volentieri la responsabilità.

Squadra francese, ma non più squadre di francesi…

Ci stiamo aprendo, come anche la Ag2R e la Cofidis. E’ un’evoluzione naturale, se vuoi tenere il passo. Se punti su una sola nazionalità, non ci riesci. Siamo al Tour in una squadra francese, ma siamo quattro stranieri.

Che cosa significa però essere al Tour in una squadra francese?

Non ci sono grandi differenze, se non per i tanti media attorno. C’è più attenzione, ce ne rendiamo conto. I francesi sentono la corsa come io sentirei il Giro. E’ la fregola del corridore di casa. E un po’ ce l’ho anche io, perché ho la responsabilità di aiutare Demare. Siamo velocisti, corriamo per vincere. Siamo tutto l’anno fra il 90 e il 95 per cento, per cui adesso la sensazione è quella dell’adrenalina che sale.

Anche questo è palpabile alla vigilia?

Sappiamo che ci saranno le volate, le studiamo. Il cuore aumenta i battiti. Abbiamo riguardato i video del 2020 per ripassare volate rivali. Si richiama tutto quello che si vuole fare, sapendo che fino a lunedì noi non ci saremo.

Dopo aver vinto il tricolore, Colbrelli ha un disegno ben chiaro: vincere domani e prendere la maglia gialla
Dopo il tricolore, Colbrelli ha un disegno ben chiaro: vincere domani e prendere la maglia gialla
Non c’è Bennett, dominatore dello scorso anno, cosa cambia?

Ci sono 4-5 protagonisti delle volate. L’anno scorso nessuno si aspettava in Sunweb, ma ci saranno ancora. La Trek con Pedersen, Teuns e Stuyven farà le sue belle tappe. Poi la Lotto con Caleb Ewan. E poi ci siamo noi.

E Cavendish?

Giusto, anche Mark. Ha ancora gambe, ma certo l’hanno portato perché non avevano alternative. E’ veloce, ha già vinto. Non so però come passerà le montagne, anche se nessuno di noi è brillante in salita. I campioni come lui si esaltano nei grandi appuntamenti. Cavendish ci sarà.

Colbrelli fa paura?

Di sicuro si butterà dentro, ma non è più il velocista cattivo dei primi tempi, ha cambiato caratteristiche. Per lui ci saranno tappe più dure e complicate, come la prima domani. Sono suo amico, domani farò il tifo per lui. Può vincere e prendersi la maglia gialla.

Cavendish aspettava dal 2018 di tornare al Tour de France: avrà motivazioni pazzesche
Cavendish aspettava dal 2018 di tornare al Tour de France: avrà motivazioni pazzesche
Immagini di controllare la corsa da subito?

Impossibile, avete presente lo stress delle prime tappe? Ci saranno tutti i treni a sgomitare, sarà difficile organizzarsi. La normalità inizierà nella seconda settimana. E a quel punto lotteremo per le tappe e vedremo come muoverci per la maglia verde, che in effetti quest’anno strizza l’occhio ai velocisti.

E tu come stai?

Sto bene. Ho cercato di abituare il mio corpo al caldo. Però mi rendo conto che sono di quelli che si lamentano in allenamento, poi quando attacco il numero do sempre un 10 per cento in più

Stai diventando vecchio, la spiegazione è una sola…

Può darsi, ma finché le cose vanno così, ci posso stare. Ho buoni valori, adoro le corse a tappe. Adoro le sensazioni della seconda e della terza settimana. Mi piacciono le volate del Tour. Domani finalmente si comincia, ma quel disegno sono certo che lo guarderò spesso…

Con la maglia rosa alla scoperta del dolore

16.05.2021
6 min
Salva

A prescindere dal fatto che oggi perda la maglia rosa oppure la tenga, ci sono state alcune parole di Attila Valter e del suo direttore sportivo Philippe Mauduit sulla soglia del dolore, pronunciate subito dopo la tappa di San Giacomo, che continuavano a risuonarci nella testa.

«Se mi convinco davvero di qualcosa – aveva detto l’ungherese – la mente sposta avanti il limite e a quel punto non c’è niente di impossibile».

Il tecnico francese era entrato più nel dettaglio: «Una cosa che abbiamo notato subito è la capacità di farsi del male quando è in difficoltà o quando ha un obiettivo. Sa andare oltre la soglia del dolore e lo fa razionalmente. Se lui si convince che può farlo, di solito lo fa. E’ grintoso. Se molla la presa, vuol dire che è davvero morto».

La maglia rosa è un bel peso da portare, in corsa si sente…
La maglia rosa è un bel peso da portare, in corsa si sente…

Il riferimento alla soglia del dolore ci ha riportato agli interminabili discorsi sul tema con Marco Pantani, capace di andare oltre quel livello, portando i suoi rivali in una zona sconosciuta di cui spesso avevano paura. Per capire meglio ci siamo rivolti a Elisabetta Borgia, psicologa e mental coach, che collabora con la Trek-Segafredo e svariati altri atleti.

Come si fa a decidere di soffrire?

Ognuno trova il pulsante per tirare fuori il meglio da se stesso. Sono doti diverse, tratti della personalità. Ci si arriva tramite la razionalità estrema, come magari nel caso della maglia rosa, oppure per istinto e mi viene in mente Alaphilippe.

Parliamo del pulsante?

Ciascuno di noi è razionalità, emozione e comportamento. Le percentuali con cui questi tre fattori si mescolano dipendono da persona a persona. Se il nostro approccio con la vita è legato soltanto alla logica e tagliamo totalmente le emozioni, alla lunga avremo dei problemi. Idem per il contrario. Uno dei meccanismi più diffusi è quello della profezia che si autoavvera, la self fulfilling prophecy, per la quale le convinzioni che abbiamo determinano la realtà. Ci convinciamo così tanto che alla fine funziona. Una sorta di effetto placebo.

Nel famoso giorno di Montecampione al Giro del 1998, Pantani portò Tonkov oltre il limite del dolore e il russo ne ebbe paura
A Montecampione nel Giro del 1998, Pantani portò Tonkov oltre il limite del dolore
Una sorta di volere è potere?

Alla base però c’è un allenamento mentale. Gli atleti hanno a disposizione un’infinità di dati sulla propria fisiologia, ma l’aspetto mentale è cruciale. Marc Madiot, per cui corre Attila Valter, lavora molto sui punti di forza. E’ bravo a tirare fuori il meglio dai suoi ragazzi, puntando sull’allenamento e anche sull’aspetto motivazionale. In ogni caso, ciò che accomuna la gestione razionale e quella istintiva, è il senso di responsabilità nei confronti del proprio futuro. La fiducia in se stessi, il credere di poter dare una svolta alla propria vita, contrapposto all’atteggiamento di chi non crede in se stesso.

Come si fa a imporsi la sofferenza e accettare il dolore?

E’ il momento più difficile da gestire. Sei a tutta, quindi sei vulnerabile, fragile. Ognuno di noi ha una soglia della sofferenza, il fatto di saper andare oltre dipende da quanto sei mentalizzato in partenza e da quanto sei efficace nella tua azione. Se sei in forma, ti viene più facile.

Puoi entrare più nel dettaglio?

Quando feci il Master in Psicologia dello Sport, il dottor Vercelli diceva che quando siamo alla frutta, abbiamo ancora un 5% da dare. E faceva l’esempio della madre che vede il figlio in pericolo e per salvarlo compie gesti fuori da ogni schema.

Oggi al via, Attila sa che Bernal, Evenepoel e Ciccone lo attaccheranno: come reagirà?
Attila sa che Bernal, Evenepoel e Ciccone lo attaccheranno: come reagirà?
Quindi è qualcosa che non si può allenare?

Qualcosa si può fare. Dipende dal dialogo interno. Nel momento in cui siamo a tutta e ci spingiamo verso quella porta, qualcosa ci stiamo dicendo. Pensateci. Quando fate uno sforzo molto intenso, non parlate con voi stessi? Di solito ognuno di noi si incita. Oppure visualizza l’immagine dell’arrivo in cima e dell’obiettivo raggiunto. Bisogna imparare a trasformare in termini positivi quello che ci diciamo ed escludere tutto il resto.

Escludere cosa?

La nostra mente ha il limite di processare un’informazione per volta. Se adesso io vedessi qualcosa che mi distrae, automaticamente smetterei di ascoltarti. Staccherei l’attenzione dal primo obiettivo. Se l’atleta vuole rendere al massimo, non deve pensare ad altro. Questa capacità va allenata. Per contro, capita che arrivi da me il professionista che non ce la fa più, che parla di «vomito da fatica». Che non riesce più a reggere perché magari è un po’ depresso ed è entrato in un circolo vizioso.

Le preoccupazioni della vita quotidiana limitano la capacità di soffrire e accettare un altro dolore?

Quando l’atleta porta le sue problematiche, è chiaro che non si parla più solo di sport. Parliamo prima di tutto di uomini e donne. In quei casi, non si possono fare miracoli, ma si lavora per scindere i due aspetti per il breve tempo necessario. E’ un palliativo, perché le due sfere sono integrate. Il massimo che puoi fare è lavorare sulla superficie e sulla concentrazione per portare a casa il risultato.

Ultimo aspetto. Inizialmente hai parlato della quantità di dati che si hanno a disposizione. Esiste un rovescio della medaglia?

Al riguardo ho una visione… equilibrata. Il ciclismo ha avuto un’evoluzione incredibile, sul fronte degli strumenti e per la necessità di limare ogni dettaglio, dalla bici al peso. Il corridore è iperstimolato su più fronti e si rischia che abbia sempre più bisogno di un supporto esterno per sapere cosa fare. Bennati mi raccontava che atleti più giovani non sono capaci di allenarsi se la batteria dell’Srm è scarica. Per me la via di mezzo è quella maestra.

Ieri verso Guardia Sanframondi qualcuno ha visto primi segnali di cedimento nell’ungherese
Ieri verso Guardia Sanframondi qualcuno ha visto primi segnali di cedimento nell’ungherese
Vale a dire?

Non ci si può più allenare come Coppi, ma torniamo alle sensazioni. Ho caricato i dati su Training Peaks, ho mandato i file al coach. Tutti sanno come sto, ma io come mi sento? Le corse si vincono con i watt, ma anche con le azioni creative. Una cosa che mi sembra sempre strana è vederli arrivare stravolti sul traguardo, quasi barcollare, eppure schiacciare il tasto sul computerino. Cosa cambia se non lo fai? E siccome i più giovani copiano i pro’, si rischia di creare un esoscheletro, ma dentro non c’è niente e poi succede che il corridore arrivi al burnout (molto interessante una precedente intervista con Elisabetta Borgia sulle motivazioni che portarono al ritiro Tom Dumoulin, ndr).

Quindi la morale qual è?

Bisogna lavorare sulla formazione dei direttori sportivi nelle categorie giovanili, è l’unico modo.

Attila terrà la maglia rosa? Le sue parole fanno pensare davvero a un atleta capace di motivarsi fino a far avverare la sua profezia. Se mollerà, come dice Mauduit, avrà dato davvero tutto. Sapremo tutto fra poche ore. Speriamo di avervi dato un’altra chiave di lettura per la tappa di Campo Felice. Ma quanto è bello il ciclismo? E quanto c’è ancora da imparare?

Una call su Skype per portare Attila alla Groupama

14.05.2021
3 min
Salva

Come è stato che Attila Valter sia approdato alla Groupama-Fdj lo spiega assai bene Philippe Mauduit, il più italiano dei francesi in gruppo. L’intuizione fu di Yvon Madiot, il fratello minore di Marc e suo socio nello squadrone della maglia rosa. Il ciclismo era appena ripartito dal primo lockdown e si era già sparsa la voce che la CCC non avrebbe continuato. E così Madiot si mise a studiare e individuò il nome di quel ragazzino ungherese che di lì a poco avrebbe vinto la corsa di casa lasciandosi dietro Quinn Simmons della Trek-Segafredo.

«Iniziò a martellare Marc – sorride Philippe – sul fatto che dovessimo incontrarlo, perché ne valeva la pena. E così ad agosto facemmo una call a tre su Skype. Yvon, Attila e il sottoscritto. Parlammo per mezz’ora e vedemmo che malgrado fosse davvero giovane, aveva appena compiuto 22 anni, aveva le idee chiarissime. Alla fine la scelta di prenderlo venne quasi da sé e lui parve molto contento di accettare».

Vuelta a Burgos 2020: concentrato e furibondo dopo una caduta, in attesa dell’ammiraglia
Vuelta a Burgos 2020: concentrato e furibondo dopo una caduta, in attesa dell’ammiraglia

Soglia del dolore

Da qui a immaginare che in meno di un anno sarebbe arrivata la maglia rosa, il passo è davvero lungo per il ragazzino che aveva vinto l’ultima tappa al Tour de l’Avenir del 2019 e che al Giro dello scorso ottobre si era piazzato 11° nella classifica dei giovani.

«E’ difficile dire il suo valore – spiega Mauduit – perché 22 anni sono davvero pochi per capire. Una cosa che abbiamo notato subito però è la capacità di farsi del male quando è in difficoltà o quando ha un obiettivo. Sa andare oltre la soglia del dolore e lo fa razionalmente. Se lui si convince che può farlo, di solito lo fa. E’ grintoso. Se molla la presa, vuol dire che è davvero morto».

La seconda rosa

Le versioni sulla tappa di San Giacomo sono contrastanti. Il corridore dopo l’arrivo ha dichiarato di essere partito sin dal mattino con l’obiettivo di conquistare il primato, mentre il direttore sportivo dice di avergli raccomandato di puntare alla tappa e che la classifica semmai ne sarebbe stata una conseguenza.

«Gli ho detto di restare concentrato sulla tappa – spiega – perché in salite di questo tipo, se i primi della classifica si fossero guardati, lui sarebbe potuto partire in contropiede e magari vincere. Probabilmente quando si è reso conto che non sarebbe stato possibile riprendere Mader, si è concentrato sulla maglia rosa e ha avuto questa ricompensa eccezionale. Per me la rosa è la maglia più bella al mondo, non so se stanotte riuscirò a dormire. Credo che per la Groupama-Fdj, che pure ha tanti anni nelle gambe, la sola volta prima fu con Bradley McGee al Giro del 2004. Non sono cose banali, ragazzi. Abbiamo preso la maglia rosa!».

In partenza dalle Grotte di Frasassi, con la maglia rosa nella testa
In partenza dalle Grotte di Frasassi, con la maglia rosa nella testa

Una grande scuola

Il senso di enfasi che filtra dalle sue parole dà l’esatta dimensione del prestigio del simbolo ed è ancora più bello pensando che a pronunciarle è un francese, il cui attaccamento al giallo del Tour è notoriamente inscalfibile.

«Dovremo tutti fare lo sforzo di restare con i piedi per terra – dice il tecnico della Groupama-Fdj – perché già la maglia bianca ci era sembrata eccezionale. Così prima di mandarlo a dormire gli ho detto: “Guarda dove ti trovi guarda quali campioni hai attorno e cerca di recuperare. Perché quella gente non ti regalerà niente”. Ma è chiaro che proveremo a tenerla, non si lascia andare un onore come questo e i ragazzi daranno tutto. Sappiamo che sulle montagne troveremo probabilmente corridori più forti di noi, ma in ogni caso daremo il massimo. Nella Groupama del Giro ci sono tre ragazzi molto giovani. Due di 22 anni e uno di 23. Comunque finirà, per loro sarà una scuola straordinaria».

La rosa di Attila, l’ungherese che punta (molto) in alto

13.05.2021
4 min
Salva

Si chiama Attila e già di per sé potrebbe bastare per descrivere la determinazione messa dal ragazzino ungherese nel prendersi la maglia rosa. Ciò che più stupisce però è la sua sicurezza nel raccontare di sé e delle sue intenzioni. Se infatti stamattina alla partenza aveva detto di voler conquistare il primato, la lucidità con cui ha gestito il finale è stata da applauso. E’ partito quarto in classifica a un minuto da De Marchi. E quando il friulano ha alzato bandiera bianca, nella sua testa è scattato il piano. Mentre i commentatori contavano i secondi di Bernal ed Evenepoel e i fotografi non avevano occhi che per loro, dalle retrovie il giovane ungherese ha stretto i denti. E anche se la sua maglia bianca non passava certo inosservata, ha remato a fatica fino al traguardo nello stesso gruppetto di Vlasov, Carthy e Yates e ha conquistato la maglia rosa con 11 secondi di vantaggio su Evenepoel.

«Mi dispiace aver dato una delusione a chi puntava su Remco ed Egan – dice quando gli facciamo notare la singolare situazione – loro avranno certamente delle altre occasioni di divertirsi. Il mio obiettivo del giorno era fare proprio questo, ma ho cominciato a crederci solo ai 2 chilometri dall’arrivo. Ho combattuto buttandoci dentro la mia vita e sono contento che alla fine sia venuta questa ricompensa».

Nella crono di Torino, per Attila un passivo di 53″, non proprio eccezionale
Nella crono di Torino, per Attila un passivo di 53″, non proprio eccezionale

Orgoglio magiaro

Ungherese classe 1998, originario di Csomor alle porte di Budapest, non stava nella pelle all’idea che il Giro del 2020 partisse dalla sua città, ma l’appuntamento è solo rimandato.

«Spero che l’anno prossimo – dice – avrò la chance di far parte ancora del gruppo del Giro, perché correremo in posti stupendi. Da noi il ciclismo è in crescita. Ci servirebbero più squadre continental per permettere ai ragazzi di crescere, ma il livello è buono. Ieri è partito il Tour d’Ungheria, una corsa che ho vinto l’anno scorso. Non siamo francesi né italiani, ma questo non significa che siamo più deboli. Siamo ragazzi forti dal cuore dell’Europa. E se anche mi toglieranno la maglia, sarò pronto a lottare per altre tappe. Le sorprese da parte mia in questo Giro non sono finite».

La resa di De Marchi ha subito riaperto la lotta per la rosa
La resa di De Marchi ha subito riaperto la lotta per la rosa

Zero calcoli

Quel che piace è il suo essere diretto. Anche nell’ammettere di non aver fatto tanti calcoli e in questo forse le sue origini sulla mountain bike hanno avuto voce in capitolo.

«Non ho guardato i numeri mentre salivamo – dice – immagino di aver fatto una prestazione buona, ma non so quanto. Non sapevo nulla e non ho guardato il computer sulla bici. Volevo la maglia rosa e sapevo di dover andare a tutta. Punto. Se mi convinco davvero di qualcosa, la mente sposta avanti il limite e a quel punto non c’è niente di impossibile. Così non mi vergogno nel dire che la mia ambizione di lungo termine è vincere un grande Giro. Quello che è successo oggi e la difesa del primato dei prossimi giorni sarà un bello step nella mia crescita, in attesa di poter venire per puntare alla vittoria».

A Sestola, Attila con i migliori: è scattata così la sua idea rosa
A Sestola, Attila con i migliori: è scattata così la sua idea rosa

Doppia dedica

Ha iniziato sulla mountain bike, approdando alla strada solo da junior. Ugualmente correva per divertirsi, mentre ora lavora sodo per migliorarsi. Da U23 è stato incluso in un progetto continental della federazione ungherese, poi è entrato nell’orbita della CCC Development e da lì è salito nella squadra WorldTour.

«Poi quando si seppe che il team chiudeva – racconta – sono entrato in contatto con questa squadra. Hanno impiegato poco a convincermi, mi hanno fatto sentire che ci tenevano ed è stata una scelta molto buona. Per questo dedico questa maglia a loro e a mio padre che mi ha permesso di seguire questa strada. E da domani credo che inizierà la seconda parte della mia carriera».

La resa di Thibaut: «Dopo tre ore, il buio…»

25.04.2021
4 min
Salva

Alla partenza della penultima tappa del Tour of the Alps da Naturno, mentre Thibaut Pinot si scaldava sui rulli, il diesse Philippe Mauduit in un angolo li osservava e intanto spiegava.

«Il problema è la schiena – diceva – e non passa. Da quella caduta il primo giorno dell’ultimo Tour, a Nizza. Abbiamo visto ortopedici e osteopati, ma il primo disse le parole giuste. Questo tipo di lesioni sono meno gravi di una frattura. Ma una microfessura nell’articolazione sacroiliaca è lunga da far guarire. Possono servire dai 6 agli 8 mesi, fino a un anno. Thibaut sta certamente meglio. Ci sono dei giorni in cui si allena senza sentire dolori e altri in cui non riesce a stare sulla bici. In corsa magari sta per due ore a non avere nulla, ma appena serve più forza, deve rialzarsi».

Al via dell’ultima tappa, Thibaut scherzava con Bardet
Al via dell’ultima tappa, Thibaut scherzava con Bardet

La fuga e la resa

Per questo Pinot ha rinunciato al Giro d’Italia e verosimilmente dovrà rivedere la sua stagione. E’ stato lui per primo a spiegarlo sul traguardo dell’ultima tappa, a Riva del Garda, in cui aveva… beccato la fuga giusta. Solo che mentre Grosschartner è andato all’arrivo e l’ha vinta, il francese ha dovuto rialzarsi.

«Mi sono divertito in quest’ultima tappa – ha detto Thibaut prima di salire sul pullman – ma è stato ancora una volta frustrante, essere stato nella fuga che è andata sino alla fine e non aver potuto lottare per la vittoria. E’ successo come gli altri giorni, più passano i chilometri e meno stavo bene. I risultati sono catastrofici, non c’è stato molto di positivo in questa settimana. Non sono in condizione di fare bene al Giro».

Questa la caduta di Nizza, prima tappa del Tour 2020, dove tutto cominciò
Questa la caduta di Nizza, prima tappa del Tour 2020, dove tutto cominciò

Tre ore di corsa

Alla partenza dell’ultima tappa sembrava di buon umore, scherzando con Bardet in riva al lago di Idro, poi le cose si sono rimesse ad andare male e neppure 24 ore dopo è arrivato il comunicato della squadra.

«Se venissi al Giro – spiegava ancora Pinot a Riva – soffrirei inutilmente e non potrei aiutare la squadra. Non è nemmeno una questione di forma, ma il mal di schiena mi impedisce di esprimermi. E’ difficile da spiegare. Purtroppo più passano i chilometri, più il dolore aumenta e ad un certo punto fa troppo male forzare. Dopo tre ore di corsa, per me si complica tutto. Ma adesso voglio curarmi, lasciarmi alle spalle questi problemi alla schiena per ritrovare il mio livello e lottare con i migliori».

Philippe Mauduit, ds della Groupama, parla con Novak: dietro il bus, Pinot sui rulli
Philippe Mauduit, ds della Groupama, parla con Novak

Infiltrazione, no grazie

Alle spalle di tutto questo, una luce positiva c’è e riguarda la dignità e la rettitudine di questo ragazzo introverso ma trasparente. Raccontano i colleghi francesi e conferma la squadra che durante l’inverno, di fronte al dolore che non passava, gli è stato proposto di fare un’infiltrazione. Pinot è sempre stato contrario all’uso di simili pratiche, che nel calcio o nel tennis sono all’ordine del giorno, ma si trattava di un periodo fuori competizione e per potersi allenare accettò.

«Quando vedo l’effetto che l’infiltrazione ha avuto sulla mia schiena – ha raccontato di recente Thibaut a L’Equipe – mi dico che avrei potuto finire diverse gare. Ma nonostante questo non ho mai avuto intenzione di ricorrervi in gara. Preferisco rimanere retto nella mia convinzione».

In fuga verso Riva con Grosschartner: l’austriaco vincerà, Pinot dovrà rialzarsi
In fuga verso Riva con Grosschartner: l’austriaco vincerà, Pinot dovrà rialzarsi

Modello ciclismo

Sull’argomento nelle scorse settimane è arrivato anche il commento del tecnico francese Thomas Voeckler.

«Una posizione che va a suo merito – ha detto – e non sorprende che venga da lui. E’ uno di quei corridori che hanno una chiara concezione della propria professione. Nessuno dubita della sua integrità, come si fa oggi per altri corridori. La bicicletta, dopo essere stata additata, ora viene mostrata come esempio. In altri sport, alcuni campioni vengono dipinti come dei duri, perché giocano sotto infiltrazione».

Intanto però a margine di tanti discorsi, Pinot e la sua microfrattura hanno ripreso mestamente la via di casa. Nel team cresce intanto l’astro di Gaudu, ma per la simpatia verso il “vecchio” Thibaut, che comunque non ha ancora compiuto 31 anni, speriamo possa presto venirne a capo.

Però, Gaudu! Ragiona da vero leader…

24.04.2021
4 min
Salva

Ma insomma, questo David Gaudu cosa vuole? Il giovane francese della Groupama-Fdj ormai è una presenza costante nell’elite del ciclismo mondiale. Vince alla Vuelta, si porta a casa una gara ad inizio anno e si permette persino di battere Primoz Roglic in salita al Giro dei Paesi Baschi. E l‘altro giorno, alla Freccia Vallone, ha messo tutta la squadra a tirare per chiudere sulla fuga.

Gaudu ha vinto l’Ardèche Classic ad inizio stagione
Gaudu ha vinto l’Ardèche Classic ad inizio stagione

Liegi first

Di questo ragazzo avevamo già parlato qualche mese fa, quando si pensava potesse venire al Giro d’Italia. Invece in questi giorni tra le Ardenne il bretone ha svelato i suoi piani.

«Sarò al Tour de France, però prima di guardare ad altri obiettivi c’è la Liegi». Gaudu, forse spinto anche dai suoi addetti stampa, riporta il discorso sulle Ardenne.

«La Liegi è la classica più dura e per questo mi piace molto, per me è la più bella fra le corse di un giorno. Fa paura solo a parlarne. Le sue salite sono mitiche. Ho già fatto sesto (avvenne nel 2019, ndr) su questo percorso e quest’anno vorrei fare ancora meglio. Credo ci sarà più movimento, rispetto alla Freccia. Sarà importantissimo correre davanti, soprattutto quando si arriverà ai piedi della Roche-aux-Faucons. Anche perché se si resta dietro in quel punto è molto facile finire fuori dai giochi».

David (in blu) nella ricognizione per la Liegi. Curiosità: aveva ancora il numero della Freccia
David (in blu) nella ricognizione per la Liegi. Curiosità: aveva ancora il numero della Freccia

Sarà capitano al Tour

Gaudu, complici anche le disastrose condizioni di Pinot, è sempre più la punta della squadra di Marc Madiot: ci sono lui per i grandi Giri e Demare per le volate. Anche per questo ormai è blindata la sua partecipazione al Tour. Squadra francese, con corridore francese non può non presentarsi col “vestito migliore” alla Grande Boucle. 

Eppure quando a David gli si prospetta il “ruolo” da corridore da corse a tappe non fa i salti di gioia. E’ un’etichetta che non vuole o che preferisce rimandare.

«A me piacciono le corse di un giorno, ne ho anche vinta una ad inizio stagione, l’Ardèche Classic, mentre non ho ancora vinto una corsa a tappe, neanche di una settimana tra i pro’. Certo, ho ancora difficoltà ad approcciarmi alle corse di un giorno, ma vedo che miglioro. All’Amstel ho chiuso 34°, alla Freccia 7°».

Sinceramente quando parla con tanta enfasi delle sue attitudini alle gare di un giorno ci crediamo sì, ma fino ad un certo punto. Gaudu ha vinto il Tour de l’Avenir nel 2016, non una corsetta qualsiasi. E aveva conquistato anche la Corsa della Pace, altra pietra miliare dei dilettanti. E infatti lui stesso, forse perché si è reso conto di aver “esagerato”, poi ricorda che comunque si sente portato anche per quel tipo di gare.

Gaudu in fuga con Roglic nella 6ª tappa dei Baschi, vinta dal francese
Gaudu in fuga con Roglic nella 6ª tappa dei Baschi, vinta dal francese

Ragiona da grande

Però è bello che un corridore giovane che ancora non dà garanzie di vittoria ci voglia provare, che metta la squadra a tirare e che il team creda in lui ugualmente: è così che si cresce. Sono prove di fiducia, di responsabilità, di pressioni da saper gestire.

L’azione della Groupama-Fdj non è passata inosservata ai colleghi francesi ad Huy. Persino lo speaker della gara in attesa dell’ultimo passaggio aveva sottolineato questa cosa.

«Ho voluto provare – spiega Gaudu – per vedere cosa succedeva. Volevo prendere il Muro davanti e tutto sommato ci sono riuscito. Poi nel finale ero a ruota di Alaphilippe, ma sono rimasto un po’ chiuso. Negli ultimi 350 metri le gambe mi andavano a fuoco (foto in apertura, ndr). Non sarebbe cambiato molto, avrei potuto fare poco meglio. Spero che il lavoro fatto alla Freccia possa essere utile per la Liegi. Come detto, è una corsa più dura, meno esplosiva e per me che ho meno watt di loro è meglio».

Gli chiediamo allora se si sente pronto per il testa a testa con i big, in fin dei conti al Giro dei Paesi Baschi ha battuto un certo Roglic.

«Cerco sempre di migliorarmi – ha concluso Gaudu – e quello è l’obiettivo, ma non si possono fare paragoni tra quella tappa, la Freccia e la Liegi. Quella era una gara all’interno di una corsa a tappe e su una salita molto più lunga di queste delle Ardenne. Qui devi aspettare fino all’ultimo prima di muoverti».