Bressan e il giovane Milan al Cycling Team Friuli

12.05.2023
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Ieri Jonathan Milan è arrivato ancora secondo in questo Giro d’Italia. Un buon piazzamento che rafforza la sua maglia ciclamino, la quale a sua volta è figlia dalla grandiosa vittoria di San Salvo e prima ancora della storia di questo giovane atleta. Una storia che ben conosce il suo mentore tra gli under 23, Roberto Bressan.

Bressan è il patron del Cycling Team Friuli-Victorious, da dove tutto è nato o quantomeno si è sviluppato. Parliamo spesso di questa squadra giovanile. Lanciò Alessandro De Marchi tra i pro’. Il “Dema” all’epoca non passò con le stimmate del campione. Ma questa squadra friulana faceva un’attività diversa. Faceva qualcosa che oggi è normale, ma 10-15 anni fa era l’eccezione. Portava i suoi ragazzi all’estero, faceva corse a tappe.

Pensate che oggi tra i papabili, quindi senza considerare i ragazzi che non appartengono a squadre WT o Professional, il CTF potrebbe avere sette corridori al Giro d’Italia: i due fratelli Bais, De Marchi, Milan, Aleotti, Fabbro e Buratti.

Dopo sei tappe, Milan indossa la maglia ciclamino. Per il bujese potrebbe essere un obiettivo
Dopo sei tappe, Milan indossa la maglia ciclamino. Per il bujese potrebbe essere un obiettivo

Di padre in figlio

Ma torniamo a Milan e a Bressan. Roberto già conosceva Milan. Magari non il corridore, ma il bambino. Aveva avuto tra le mani suo papà Flavio all’epoca del Caneva. Lo aveva avuto già prima dei dilettanti.

«Ricordo – racconta Bressan – che suo papà era stato campione italiano degli allievi. Vinse anche altre corse crescendo e fece la sua carriera fino ai pro’ (due stagioni all’Amore & Vita, ndr). Fin quando col passare degli anni mi ritrovai suo figlio Jonathan».

«Iniziai a seguire questo ragazzino prima ancora che venisse nella mia squadra. Era junior. Ma io lo seguivo su pista e non su strada. Sapete che io sono un patito della pista! Vedevo come girava, i tempi che faceva… Così lo contattai e gli feci fare un test dal nostro coach, Andrea Fusaz.

«Finito questo test, Andrea – che tra l’altro è ancora il suo coach – mi chiama al telefono e mi dice: “Oh Roberto, guarda che qua abbiamo uno che non ho mai visto prima. Io non ho mai visto tanti watt in vita mia».

Da quel momento Milan viene dunque preso nel Cycling Team Friuli, anche perché la categoria juniores era finita e comunque sarebbe dovuto passare in un team under 23.

Roberto Bressan è il patron del Cycling Team Friuli (immagine dal web)
Roberto Bressan è il patron del Cycling Team Friuli (immagine dal web)

Cambio di registro

Il ragazzo era davvero acerbo. La scuola, gli impegni di un adolescente, si allenava “quasi nei ritagli di tempo”, anche se poi sappiamo che non è del tutto così. Ma fin lì Milan non aveva mai fatto una preparazione strutturata. Il cambio di team e di categoria imponevano un cambio di registro.

Tuttavia le cose non sono state subito rose e fiori per Milan e anche per il CTF.

«Sapevo – prosegue Bressan – che Jonathan non si allenava molto da junior. Faceva più o meno sempre lo stesso allenamento due, tre volte alla settimana. Era totalmente da costruire… Ed è stato difficile da gestire, in quanto non sempre seguiva i programmi».

Il che può anche starci per un ragazzo così acerbo, ma dopo una bella fetta di stagione le cose sarebbero dovute cambiare. Così non è stato.

A maggio inoltrato del primo anno tra gli U23 di Milan, Bressan gioca una carta a sorpresa. Non era possibile che un atleta di queste proporzioni non si riuscisse a gestire, a far crescere come meritava.

«Dal mio cervello di ex atleta esce un’idea: bisogna che lo porti in pista per verificare una volta per tutte le sue qualità. E le qualità emersero palesemente. Così abbiamo cambiato strada nel vero senso della parola. Abbiamo deciso di farlo lavorare soprattutto sulla pista e per la pista… con l’intento di venirne fuori anche su strada».

Marco VIlla, Jonathan Milan, Fabio Masotti, Montichiari, 2020
Nella crescita di Milan c’è molto anche del cittì della pista, Marco Villa
Marco VIlla, Jonathan Milan, Fabio Masotti, Montichiari, 2020
Nella crescita di Milan c’è molto anche del cittì della pista, Marco Villa

Dal cittì Villa…

Il primo anno di Milan tra i dilettanti è stato quindi difficile. Dopo quella mossa, “Jony” entra nel giro della nazionale. Qualcosa migliora, ma non del tutto. Jonathan a detta di Bressan restava un “cavallo pazzo”.

«A quel punto vado da Marco Villa e gli dico: “Marco devi assolutamente fargli fare un periodo con te. Ma non 15 giorni. Portalo fuori. Portalo lontano da casa”. E così andò via con la nazionale per più di due mesi, tra stage e gare di coppa del mondo. Milan doveva formarsi e tirar fuori tutto quello che poteva. 

«Quando è tornato a casa dopo quei due mesi abbondanti era un’altro corridore».

Milan inizia a capire che un certo lavoro paga. Che i tecnici che ha attorno sono validi e che si può fidare. La sua crescita è esponenziale. Vince gare su strada e in pista, crono, una tappa al Giro. E in squadra diventa un leader.

«Da lì è diventato il corridore che conosciamo – spiega Bressan – Quell’anno ha vinto tutto quello che doveva vincere, anche la medaglia di bronzo mondiale nell’inseguimento a squadre, mentre nell’individuale fece un tempo strepitoso: 4’08”.

«Da quando c’è lui nel quartetto hanno fatto il Record del Mondo e vinto molto, tra cui l’Olimpiade. Se non ci fosse stato anche un Jonathan a quei livelli non avremmo vinto a Tokyo».

Jonathan è stato nel CTF per due stagioni, una delle quali quella del Covid (Photo Raphy)
Jonathan è stato nel CTF per due stagioni, una delle quali quella del Covid (Photo Raphy)

Quell’anno in più

E poi c’è il Jonathan gigante buono. Quello che quasi si commuove dopo la vittoria di San Salvo. Che si prodiga per la squadra. Doti che aveva anche al CTF.

«I compagni gli volevano bene. Faceva molto per loro e loro per lui. No, sotto questo punto di vista Jonathan è un buono, davvero».

«Mi è dispiaciuto moltissimo, e lo dico tranquillamente, che sia voluto passare subito. Poteva restare con noi un altro anno. Le Olimpiadi non gliele avrebbe tolte nessuno. Anche perché su strada al primo anno non è che con la Bahrain-Victorious avesse fatto chissà quali corse.

«Per esempio, guardate quanto si muove in volata. Ecco, stare un anno in più tra gli under 23 gli avrebbe consentito di curare questi aspetti. Tra i pro’ non hai il tempo per farlo, né chi ti dice certe cose…

«Che poi alla fine è andata bene che sia passato proprio nella Bahrain, perché questa stessa squadra è venuta a cercarci per avere un team giovanile di riferimento, anche grazie a Milan stesso. Quindi è un po’ come se Jonathan fosse rimasto in famiglia».

«Ora, da quel che sento, quasi sicuramente dovrebbe cambiare squadra. Mi spiace che il suo agente non abbia trattato in modo corretto il dialogo con la Bahrain. Ma poi queste sono cose loro».

A San Salvo, tutta la potenza di Jonathan Milan
A San Salvo, tutta la potenza di Jonathan Milan

Le previsioni di Bressan

Oggi Milan è una delle certezze italiane. E a 22 anni, per il ragazzo di Buja, non è finita qui. Il suo palmares è già ricco e al Giro d’Italia sta facendo benissimo.

La maglia ciclamino potrebbe essere un obiettivo. Un obiettivo a cui magari non avrebbe pensato fino a qualche settimana fa. Ma anche dal punto di vista tecnico Bressan lo aveva inquadrato bene in tempi non sospetti.

«Jonathan – conclude Bressan – ha davanti una carriera incredibile. Oltre alle volate, fra qualche anno vincerà le classiche al Nord. Ormai sono vecchio abbastanza per poter guardare avanti!
«Vincerà le classiche, ne sono sicuro. Deve solo fare le cose per bene. Non si deve montare la testa, ma credo proprio di no, e ricordare qualche volta in più da dove è venuto».

Juniores e gare a tappe: dopo il Veneto anche il Friuli

27.04.2023
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Dopo il Giro del Veneto, di cui vi avevamo parlato qualche tempo fa, ecco una nuova corsa a tappe per gli juniores: il Trofeo Emozione in Friuli Venezia Giulia. Si tratta di una due giorni, per ora, ma intanto ecco una corsa che va considerata nel suo insieme.

In Italia per tanti anni c’è stato praticamente solo il Giro della Lunigiana. Ma questo era più “internazionale che italiano”, adesso qualcosa si muove. Ci sono queste due brevi gare a tappe nel Nord Est e non va dimenticato il Giro della Valdera, in Toscana.

Franco Pellizotti, in rappresentanza della Bahrain-Victorious, consegna il voucher per lo stage al vincitore Alessandro Da Ros
Franco Pellizotti, in rappresentanza della Bahrain-Victorious, consegna il voucher per lo stage al vincitore Alessandro Da Ros

Due tappe

Quella che si terrà il prossimo 8-9 luglio sarà la quinta edizione del Trofeo Emozione. Questo evento era noto in quanto al vincitore veniva data la possibilità di fare un training camp con la Bahrain Victorious, Ebbene, adesso raddoppia.

«L’idea di organizzare questa gara – spiega il patron Adolfo Sacchetto – nasce dalla passione per questo sport e dalla voglia di dare ai ragazzi una possibilità in più, un motivo di confronto diverso, anche nei confronti di chi viene da fuori. Hanno dato la loro adesione l’Ag2R, la Nexo e presto potrebbero esserci altre squadre straniere».

Passando ad una due giorni cambia anche il percorso. L’idea è stata quella di allestire due frazioni completamente differenti tra loro: una “piatta”, ideale per i ragazzi più veloci e potenti e una per scalatori, che poi di fatto è il “tappone” classico del Trofeo Emozione con arrivo in quota. Proprio come un vero “micro Giro”.

«Nel programma – prosegue Secchetto – abbiamo inserito due tappe dalle caratteristiche diverse, ma legate da un unico scopo: regalare agli atleti e al pubblico un fine settimana indimenticabile e di ottima valenza tecnica.

«La prima tappa parte e arriva a Pordenone. Si tratta di un tracciato prevalentemente pianeggiante, ma con otto settori di sterrato e un’infinità di destra e sinistra. Il tratto rettilineo più lungo non supera i 7 chilometri. Il giorno successivo invece ecco l’ormai classico arrivo a Piancavallo. La prima tappa misura circa 90 chilometri, la seconda 113 ma con ben 2.600 metri di dislivello».

Prima tappa: si parte dalle pianure del Friuli. Alla vigilia, presentazione delle squadre, come per le grandi corse dei pro’
Prima tappa: si parte dalle pianure del Friuli. Alla vigilia, presentazione delle squadre, come per le grandi corse dei pro’

Caratura internazionale

Di certo c’è spazio per tutti e potrà essere un bel banco di prova anche il cittì Dino Salvoldi. E’ bastato vedere come due ragazzi portati alla Roubaix, nonostante in Francia non siano arrivati tra i primi, la domenica successiva alla gara delle pietre abbiano vinto. Ci riferiamo a Gabriele De Fabritiis e Thomas Capra.

Ma come mai si vira verso una due giorni? Anche qui alla base c’è la passione e la voglia di regalare una grande opportunità ai ragazzi, ma anche di allestire nel tempo un evento che possa diventare sempre più grande. Un riferimento. 

«La scelta di far diventare Trofeo Emozione una corsa a tappe – va avanti Sacchetto – è stata fatta per moltiplicare lo spettacolo. Non è solo un evento sportivo, è una filosofia guidata dal cuore. A questa età i ragazzi, benché siamo consci del fatto che ormai sono sempre più dei pro’ anche in questa categoria, vivono lo sport in modo ancora puro. Le sensazioni, le emozioni sono ancora molto genuine e legate al sogno».

«Senza contare che pensiamo a delle iniziative che ruotano attorno al ciclismo, alla formazione, alla valorizzazione del territorio e alla sensibilizzazione su importanti temi sociali. Per esempio, allestiremo un villaggio partenza e in questo villaggio ci sarà un’area per la promozione dell’uso della bici dedicata soprattutto ai più giovani».

Seconda tappa di salita. L’arrivo di Piancavallo è un must di questa gara in Friuli
Seconda tappa di salita. L’arrivo di Piancavallo è un must di questa gara in Friuli

Progetti futuri

«Un altro degli obiettivi del 2023 è creare un percorso permanente che valorizzi le strade bianche del pordenonese, facendolo diventare un itinerario di spiccato valore paesaggistico-sportivo».

«Se c’è l’idea di fare più tappe per il futuro? Assolutamente sì. Anzi, posso dire di più. Già avevamo pensato ad evento di cinque frazioni con partenza da Trento e arrivo da noi in Friuli attraversando anche il Veneto. Ma prima il Covid e poi la guerra in Ucraina ci hanno tarpato le ali (meno disponibilità da parte di alcune aziende, ndr), ma piano piano ci arriveremo».

«Posso dire che proprio in questi giorni stiamo ultimando una collaborazione con un importante brand di settore. L’idea deve essere inquadrata oltre quel che concerne il breve periodo, o comunque non deve essere vista come una semplice sponsorizzazione».

Purosangue in prima squadra, Gannat riparte dal gruppo

21.02.2023
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Avrà un bel lavoro da fare Jerome Gannat quest’anno con i tanti “ragazzini” che si ritrova attorno. Se il Team Dsm è la squadra più giovane del WorldTour, quella più giovane in assoluto tra le tre fasce di team professionistici (WT, professional e continental) è l’Equipe Continentale Groupama-Fdj: l’età media dei francesini è di 18,3 anni.

Gannat, direttore sportivo della giovane squadra, si sta già rimboccando le maniche. E lo fa con il suo consueto sorriso e con pazienza. Nelle occasioni in cui lo abbiamo visto all’opera dal vivo, abbiamo notato un tecnico pacato, che all’occorrenza sapeva richiamare tutti all’ordine, ma anche che lasciava spazio ai suoi atleti.

Emblematica fu la tappa di Peveragno dello scorso Giro U23. Tattica folle, azzardata, da parte dei suoi, ma se ci fossero riusciti avremmo parlato d’impresa storica. A volte il limite tra successo e insuccesso è molto, molto sottile.

Al netto di tutto questo, vogliamo capire come ripartirà questo team che era composto da tutti, ma proprio tutti, campioni: Martinez, Gregoire, Thompson, Germani, Paleni… Come lavoravano? Come erano riusciti a costruire quel dream team?

Jerome Gannat (classe 1970) è il diesse dell’Equipe Continentale Groupama-Fdj
Jerome Gannat (classe 1970) è il diesse dell’Equipe Continentale Groupama-Fdj
Jerome, i tuoi “cavalli purosangue” sono passati quest’inverno…

Bene! E’ l’obiettivo di una continental portare i suoi ragazzi in prima squadra dopo averli cresciuti. Il 2022 rimane per noi una stagione eccezionale visti i risultati raccolti: 29 vittorie, il 1° posto nella classifica UCI Europe Tour Continental e 8 corridori che appunto si sono uniti al team WorldTour. I corridori non sono destinati a rimanere a lungo nel nostro team di sviluppo. Al massimo possono restarci il tempo di durata di tutta la categoria under 23, ma per il momento la maggioranza rimane solo una stagione o due al massimo. Ciò significa che il processo di formazione sta funzionando bene ed è efficace. I corridori quando arrivano nella nostra squadra progrediscono. Questa è una delle nostre qualità principali.

In termini di stimoli, come riparte la squadra? 

Sappiamo che per il 2023 stiamo iniziando un nuovo ciclo con 11 nuovi corridori su una forza lavoro di 12. Nove provengono dagli juniores, due da altri team e solo Eddy Le Huitouze è ancora presente dall’anno scorso. E’ quasi una nuova squadra, un po’ come quando il team è stato creato nel 2019.

Avrai un bel da fare: devi quasi ripartire da zero…

Questo non è un problema, perché fa parte della vita di una development. Il team WorldTour ha reclutato esclusivamente corridori dal suo team continental, cioè da noi. Quella che verrà è una nuova ondata, che sempre il team WorldTour spera di portare avanti negli anni futuri. E’ una prova del successo e della fiducia della prima squadra nel suo team di sviluppo.

Giro della Valle d’Aosta: Thompson e Martinez in parata. Spesso i ragazzi di Gannat “giocavano” in corsa (foto Courthoud)
Giro della Valle d’Aosta: Thompson e Martinez in parata. Spesso i ragazzi di Gannat “giocavano” in corsa (foto Courthoud)
In che modo la Groupama-Fdj seleziona i suoi giovani corridori? In pratica: come funziona lo scouting?

Lo scouting è un’asse importante in un team di sviluppo. E’ chiaro che oggi il reclutamento sta virando verso la categoria juniores e che la competizione tra gli stessi team di sviluppo è importante. Ma noi insistiamo sulla formazione e sullo sviluppo di qualità. Il nostro team ha sede nello stesso luogo della WorldTour, a Besançon. Lì abbiamo a disposizione tutto ciò che ci serve per fare al meglio il nostro lavoro. C’è tutto il personale: allenatore, direttore sportivo, fisioterapista, osteopata… E’ un vero e proprio centro di formazione a disposizione del corridore (e dei tecnici stessi, ndr). 

Lorenzo Germani ce ne parlava con orgoglio e piacere in effetti…

Questo è un elemento di successo nella nostro progetto di crescita. Inoltre, le statistiche confermano la nostra qualità della formazione. Molti dei nostri allenatori viaggiano e seguono dal vivo le gare juniores e abbiamo sviluppato nel nostro Performance Center di Besançon, dei test per rilevare il potenziale futuro. Si tratta di una serie di test fisiologici e sul campo.

Quali sono questi test?

I nostri test a Besançon si concentrano su una valutazione del potenziale del corridore e del suo profilo di potenza fisica. Naturalmente stimando anche la sua possibile progressione. Un corridore junior anche di qualità mondiale deve continuare a progredire se desidera evolversi a livello continental, prima e WorldTour poi. 

Cosa valutate per scegliere un ragazzo? Si è parlato di seguire le gare juniores, ma ci sono solo numeri e risultati sul piatto?

Abbiamo avuto un follow-up junior per tre anni. Da 4 a 5 juniores vengono seguiti e formati dai nostri coach. Offriamo loro degli stage e li aiutiamo dal punto di vista del materiale. Al nostro training camp a Calpe, per esempio, c’erano quattro juniores. Tre corridori del nostro team 2023 provengono dal programma juniores. Inoltre, insistiamo anche con le interviste al ragazzo, cioè ci parliamo, perché è importante conoscere le qualità umane del corridore.

Per curiosità, chi sono quei tre juniores che provengono dal vostro follow-up?

Jens Verbrugghe, Ronan Augé e Thibaud Gruel. Anche Lenny Martinez, per dire, era uno di loro.

Il livello della squadra francese 2022 era talmente alto che spesso Germani svolgeva il ruolo di gregario quando sarebbe stato leader in qualsiasi altra squadra
Il livello della squadra francese 2022 era talmente alto che spesso Germani svolgeva il ruolo di gregario
Fino allo scorso anno tu e la tua squadra andavate alle gare sempre per vincere, ora quali saranno gli obiettivi?

Ogni anno insisto sul collettivo e sul gruppo. L’anno scorso, anche se c’erano corridori con un alto potenziale, abbiamo dovuto creare un collettivo e un gruppo. Dodici corridori su tredici hanno vinto almeno una gara, il che significa che era un gruppo forte e unito. Quest’anno è una nuova sfida per tutto lo staff ed è un nuovo obiettivo costruire un gruppo al di là dei risultati in senso stretto. Il ciclismo è uno sport individuale, ma che si corre in squadra. E la squadra rimane fondamentale nel nostro processo di formazione.

Di questi dodici ragazzi che hai ce n’è uno più pronto di altri?

Le prime gare saranno importanti per il nostro gruppo e, come ho detto nella risposta precedente, la nostra prima parte di stagione sarà incentrata sul concetto di gruppo. Tutti progrediranno e avranno l’opportunità di esprimersi. Anche nel 2022, ad ogni partenza di gara, la strategia prevedeva la vittoria di uno dei nostri corridori. Il briefing veniva fatto sempre in questo senso. Per questa stagione il collettivo sarà ancora più importante e insisteremo in questa direzione. La vittoria è un risultato, un elemento fondamentale nella competizione, ma può essere ignorato. Molti atleti hanno il potenziale per vincere le gare, ma le vinceranno grazie alla squadra.

«La vittoria è un risultato, un elemento fondamentale nella competizione, ma può essere ignorato». Queste parole di Gannat possono sembrare una frase fatta, ma è proprio su questo aspetto che si basa tutto il senso di un team development. Il risultato non è la vittoria o l’obiettivo, ma la formazione di un atleta. Tuttavia per perseguire tutto ciò a nostro avviso è necessario non avere la pressione del risultato stesso. Pressioni che possono arrivare “dai piani alti”, dagli sponsor… ma per farlo servono investimenti specifici. Jumbo Visma, Dsm e la stessa Groupama-Fdj ne sono esempi calzanti, permettono di disinteressarsi della vittoria come unico scopo.

Come emergere in un team WorldTour? Sentite Zanini…

07.02.2023
4 min
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Le parole di Tiberi dall’Australia sembra abbiano dato una scossa al movimento italiano, reduce da una settimana ricca di squilli, da Milan a Ciccone, da Velasco a Consonni. E’ forse presto per dire se saremo più protagonisti in giro per il mondo di quanto sia avvenuto nella passata stagione, ma certamente al di là delle vittorie si vede una forte voglia di emergere, dai più giovani come dai più esperti. C’è voglia di protagonismo ed era questo che si chiedeva, ma come si mette in pratica in team WorldTour ricchissimi di talenti?

Tiberi ha messo in evidenza il tema dei giovani italiani alla ricerca di spazio nei team WorldTour
Tiberi ha messo in evidenza il tema dei giovani italiani alla ricerca di spazio nei team WorldTour

Il frosinate era stato chiaro: «Il ruolo devi guadagnartelo, ma questo non avviene solo in corsa. E’ un processo che dura tutto l’anno, bisogna darsi da fare anche in ritiro, pedalando ma anche fuori dalle corse. Bisogna far vedere di esserci, di avere quella fame necessaria per emergere. Bisogna guadagnarsi la fiducia degli altri, dirigenti come compagni di squadra, dimostrare sempre quel che si vale e soprattutto quel che si vuol fare».

Abbiamo chiesto a Stefano Zanini, diesse dell’Astana e capace da corridore di vincere Amstel, Parigi-Bruxelles e tappe al Giro e al Tour se le strade per il protagonismo sono davvero quelle.

«Bisogna saper miscelare atteggiamento propositivo e umiltà – dice – da parte di chi viene da squadre juniores e Development. Bisogna entrare in punta di piedi, ascoltare ciò che i diesse dicono, guadagnarsi poco a poco la fiducia sul campo. E’ fondamentale anche vivere le esperienze precedenti, nel team Devo in particolare, con lo spirito giusto, per emergere, ma anche per imparare».

Zanini ha avuto una carriera lunga 17 anni con 29 vittorie. Qui il trionfo all’Amstel del ’96
Zanini ha avuto una carriera lunga 17 anni con 29 vittorie. Qui il trionfo all’Amstel del ’96
Quanto conta il carattere per diventare leader?

E’ fondamentale, ma bisogna intendersi bene su che cosa intendiamo per carattere. La troppa esuberanza non va bene. Al pari della troppa timidezza. Bisogna saper ascoltare i più anziani e dall’altra parte saper trasmettere ai più giovani. Saper condividere i momenti cruciali, far capire a chi è nuovo come e quando muoversi. Si cresce lentamente pensando sempre al bene della squadra, lavorando magari perché vinca un altro del proprio team.

Era così anche ai tuoi tempi?

Certamente, è sempre stato così. C’è un punto che è focale: prima o poi l’occasione capita, se la cogli facendo ciò che la squadra dice, sali di livello e presto diventi una “punta”. Ti sei guadagnato la fiducia, gli altri sanno che se corrono per te, ci sono buone possibilità che si arrivi al risultato. E’ vero che poi ogni team ha le sue direttive, ma questo vale un po’ dappertutto.

Lorenzo Milesi, qui nella crono dei mondiali 2022. La Dsm conta su di lui, dopo averlo fatto passare dal team Devo
Lorenzo Milesi, qui nella crono dei mondiali 2022. La Dsm conta su di lui, dopo averlo fatto passare dal team Devo
Molti appassionati hanno però la sensazione che i team WorldTour tendano a privilegiare i corridori di casa…

Non credo ci sia questa tendenza, si guarda chi è più in forma, chi è davvero in grado di garantire il risultato. Poi dipende da tante cose: è chiaro che ad esempio da noi se vince Lutsenko ha un altro ritorno mediatico per gli sponsor, ma quel che conta è che qualcuno vinca, chiunque sia…

Tu sei partito gregario per poi vincere grandi corse. Il tuo esempio è valido ancora oggi?

Penso proprio di sì. Io ho iniziato che tiravo le volate ad Allocchio e Fontanelli – racconta Zanini – l’ho fatto per 4 anni, ma intanto cercavo spazio nelle fughe quando capitava l’occasione. Alla Gewiss ero sia candidato alla vittoria nelle corse che più mi si addicevano, sia ultimo uomo per le volate di Minali. Lo stesso dicasi alla Mapei, ed era una squadra con tanti campioni, ma anche allora l’occasione capitava sempre. Alla fine ho avuto una carriera lunga e devo dire piena di soddisfazioni.

Battistella è già stato protagonista in Spagna. Zanini conta molto sulla sua crescita
Battistella è già stato protagonista in Spagna. Zanini conta molto sulla sua crescita
Era più facile o più difficile allora?

Il principio di base non è cambiato, ci sono grandi campioni oggi come ce n’erano allora. E’ una ruota che gira, verrà di sicuro la gara che si metterà in un certo modo e dovrai farti trovare pronto, cogliere l’opportunità. Un buon leader è anche quello che si mette a disposizione per la squadra, lavorando perché vinca un compagno che magari alla vigilia aveva un altro ruolo. Il team funziona se tutti sono abbastanza duttili, se sanno fare squadra dentro e fuori dalla corsa. Il ciclismo in questo senso è un perfetto esempio di vita.

Giovani corridori e aspettative: come si lavora?

24.01.2023
7 min
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Nel guardare le varie statistiche sui siti di riferimento ci ha colpito la grande differenza che si trova nei giorni di corsa tra i neoprofessionisti: ragazzi giovani che si affacciano al mondo dei grandi. Così abbiamo voluto indagare tra le varie squadre per capire come gestiscono i loro ragazzi. Tra i team selezionati sono rientrati due professional e due WorldTour. 

Felix Gross è uno dei giovani della UAE che sta facendo un percorso graduale di crescita
Felix Gross è uno dei giovani della UAE che sta facendo un percorso graduale di crescita

Per la UAE parla Baldato

La prima persona interrogata su questo delicato tema è Fabio Baldato, diesse della squadra degli Emirati. Tra i ragazzi visti dal veneto spicca il nome di Ayuso, spagnolo classe 2002 che alla prima partecipazione alla Vuelta ha chiuso al terzo posto nella classifica generale. 

«Prima di tutto – inizia Baldato – è tutto molto soggettivo, ci sono giovani che hanno bisogno di un ambientamento più lungo. Altri, invece, vedi che sono già pronti, ma anche in questi casi il lavoro da fare è delicato. Ayuso lo abbiamo “rallentato” cercando di tenere la sua esuberanza a bada. Non è il primo corridore già maturo che mi capita tra le mani, in BMC ho avuto Kung e Dillier che erano già pronti. In questi caso noi diesse dobbiamo essere bravi a valutare, non bisogna mai esagerare, spesso i ragazzi giovani non si pongono limiti. Sono più spavaldi, si vede dall’atteggiamento in corsa. Ti ascoltano fino ad un certo punto, predicare va bene ma poi bisogna mettersi nei loro panni. Sono consapevole del fatto che noi diesse possiamo insegnare qualcosa ma quello che rimane è la “batosta”. Ayuso stesso ad inizio 2022 ne ha prese alcune ed è cresciuto».

«Poi ci sono i corridori normali, uno che abbiamo in UAE è Felix Gross. Lui ha fatto lo stagista nel 2021 con dei buoni dati ma senza cogliere risultati. La scorsa stagione ha avuto più continuità ed ha ottenuto un bel quarto posto in una tappa al Giro di Germania. I corridori così vanno sostenuti, anche mentalmente perché devono capire che la loro crescita deve essere graduale e passa prima da corse minori dove imparano ad essere competitivi».

Lato Intermarché

L’Intermarché Circus Wanty ha un progetto di crescita solido da molti anni, al quale ha affiancato anche la nascita del Development team. Valerio Piva, diesse della squadra belga ci racconta anche che relazione hanno tra di loro le due squadre

«La squadra development ha una struttura a parte – spiega – l’obiettivo è prendere ragazzi giovani e far nascere dei corridori. Lo scambio tra una squadra e l’altra ci sarà, lo stesso Busatto farà qualche gara con noi. Per quanto riguarda il team WorldTour l’obiettivo è diverso, i ragazzi giovani che prendiamo arrivano da team professional o continental. Non crediamo nel “salto di categoria” da junior a professionisti, i ragazzi devono fare uno step intermedio: gli under 23. I ragazzi devono imparare a gestire l’impatto della corsa e le diverse tipologie di allenamento. In un ciclismo che viaggia sempre più rapido è bene ricordare che i margini di errore sono al minimo e si rischia di bruciare l’atleta pretendendo qualcosa che non può fare. I giovani che abbiamo nella squadra WorldTour li inseriamo gradualmente, non li vedrete mai partecipare a corse di primo livello». 

«In questa stagione la squadra ha fatto una rivoluzione – continua Piva – prendendo tanti giovani e perdendo corridori di esperienza come Kristoff. Non è che non credessimo in lui, ma abbiamo preferito un progetto più a lungo termine. Non vinceremo tante corse come lo scorso anno ma è una cosa che abbiamo preventivato, fa parte di quello che è il ricambio generazionale. Gerben Thijssen, è un corridore sul quale nel 2022 abbiamo speso molto in termini di uomini e di occasioni. Ha dimostrato qualcosa di buono e quest’anno è chiamato al salto di qualità, ma è stato tutto graduale. Per il suo bene e quello del team».

La visione delle professional

La Green Project Bardiani è la squadra professional che ha un progetto diverso dalle altre, i giovani vengono presi e diventano subito professionisti. Almeno a livello di contratto, poi però all’interno del team si opera una distinzione, creando praticamente due squadre distinte. Rossato diesse di riferimento per questi ragazzi ci spiega il metodo di lavoro e le sue “criticità”. 

«La prima cosa – racconta dalla Vuelta a San Juan – è cercare di non stressare troppo i ragazzi. Quelli che arrivano dall’ultimo anno di juniores hanno la scuola e per loro deve essere una priorità. L’anno scorso a Pinarello e Pellizzari abbiamo costruito un programma idoneo. A livello di ambientamento per loro è un sogno: avere uno staff dedicato ed essere seguiti in questo modo è una bella cosa. Non dimentichiamo che gli juniores l’anno scorso avevano ancora i rapporti bloccati, una volta con noi abbiamo dovuto insegnargli anche a gestire questa cosa. Si è lavorato anche tanto sull’alimentazione, sul peso e l’allenamento. Dettagli che quando sei professionista fanno la differenza. Dai giovani dell’anno scorso abbiamo ottenuto dei bei risultati. Pellizzari e Pinarello, a fine stagione, hanno corso con i professionisti il Giro di Slovacchia e la Tre Valli. Siamo stati molto contenti della loro risposta».

«Chi arriva da noi che ha già fatto qualche stagione da under 23 fa un programma più intenso. Sempre ponderato alle qualità ed al fatto che sono alla prima esperienza con i professionisti. I corridori che possono correre anche da under fanno calendari misti con diverse esperienze. Marcellusi prima di vincere il Piva ha corso in Turchia e la Milano-Torino, due belle palestre per crescere. Tolio è un altro che ha corso molto tra gli under 23 ed i professionisti, aggiungendo al suo calendario corse importanti come Strade Bianche e Lombardia. Sono corse che un ragazzo giovane può guadagnarsi, sono come un premio che arriva alla fine di un bel percorso di crescita».

Ultima parola alla Eolo

La Eolo Kometa ha nella sua idea di team una visione diversa, con due squadre divise: la professional e la under 23. Stefano Zanatta ha lavorato per tanti anni con i giovani e di cose ne ha viste.

«Le nostre due squadre sono direttamente collegate – apre il discorso Zanatta – vedi da subito i ragazzi giovani e ne segui la crescita. Questo perché una volta che passano in prima squadra hai già un’idea di che corridore ti trovi davanti. Io credo che anche i grandi campioni abbiano bisogno di un anno tra gli under 23. Anche in Liquigas, dove avevamo corridori come Kreuziger e Sagan, abbiamo tenuto la stessa ideologia. Prima almeno un anno di esperienza nella categoria giovanile. I corridori possono anche aver talento ma hanno bisogno di una crescita umana e fisica. Anche i nostri giovani che arrivano dalla squadra under 23 avranno bisogno di adattarsi alle corse. Non vogliamo caricarli di pressioni o aspettative troppo alte».

«Il percorso per i ragazzi che arrivano da noi – continua il diesse della Eolo – è di partire da corse più semplici. Poi si passa a quelle di qualità superiore e si prova a vedere come reagisce un ragazzo nel correre da protagonista. Dalla mia esperienza posso dire che un ragazzo arriva ad avere risultati tra i 24 e i 25 anni. Nibali stesso ha fatto tanta esperienza maturando, successivamente ha ottenuto i risultati che tutti conosciamo. Serve un’attività continua ma equilibrata: una cinquantina di giorni di corsa sono giusti. La cosa migliore è dare ai ragazzi delle pause e farli recuperare, senza creare buchi troppo grandi nel calendario, altrimenti si perde il lavoro fatto. Ora ai giovani è concesso meno sbagliare, non è corretto nei loro confronti perché li si sottopone a pressioni maggiori. Forse devi essere più forte mentalmente per fare il corridore ora».

Juniores e corse a tappe. Parola al Capecchi “cittì”

28.12.2022
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Pianeta giovani. Nell’ultimo editoriale abbiamo parlato del ciclismo che cambia e dei nuovi metodi anche tra i giovani. Oggi vi proponiamo un esempio concreto, che passa soprattutto attraverso le corse a tappe. E lo facciamo con Eros Capecchi, responsabile dei ragazzi del Comitato Regionale dell’Umbria. Insomma il cittì dell’Umbria.

Un esempio concreto che ci riporta a questa estate quando l’ex pro’ della Bahrain-Victorious ha preparato con gli juniores il campionato italiano e il Giro della Lunigiana. Una storia che in parte vi avevamo accennato, ma che Capecchi ci ha raccontato ancora meglio, soprattutto per quel che riguarda le corse a tappe e ciò che ne consegue.

Eros Capecchi (classe 1986) è stato professionista per 17 anni. E’ sempre stato in grandi squadre, l’ultima delle quali la Bahrain-Victorious
Capecchi (classe 1986) è stato professionista per 17 anni. E’ sempre stato in grandi squadre, l’ultima delle quali la Bahrain-Victorious

Test tricolore

Questa estate Capecchi ha fatto fare ai ragazzi un piccolo ritiro prima del campionato italiano. E glielo ha fatto fare con metodologie “nuove”, nuove almeno per quei giovani atleti. I ragazzi erano stimolati e gasati. Tanto che dopo questo miniraduno non volevano più tornare a casa. Si sono divertiti. «E mi sono divertito anche io. C’era bisogno di usare sistemi nuovi», ha detto Capecchi.

Nuovi sistemi dunque, ecco di cosa parla Eros. «Di quelli usati dai pro’… riadattati agli juniores. Il presidente regionale mi ha chiesto cosa volessi fare. Io gli ho risposto che avrei avuto piacere di vederli, di conoscerli prima del tricolore, anche al di fuori delle corse. Volevo starci a contatto. Anche perché poi avevo chiamato quasi tutti ragazzi di primo anno e me li sarei ritrovati in futuro.

«Il mio intento era di vedere cosa facevano, come si allenavano, come si alimentavano. Così il presidente regionale mi ha dato una carta di credito e la fiducia nel mio operato. Ricordo i 200 euro per la spesa per la prima colazione… ma abbiamo allestito un menu idoneo e di qualità».

In quella manciata di giorni, Capecchi ha dato ai ragazzi un vero boost di novità. Sveglia tutti insieme, subito una camminata di una mezz’oretta a digiuno, quindi colazione, esercizi… «Ho contribuito ad apparecchiare la tavola con il cuoco, con il quale avevo parlato, per avere delle omelette, del pane tostato… e subito ho capito che si alimentavano male.

«E oggi, anche in base alla mia esperienza da pro’ posso dire che l’alimentazione è la cosa che conta di più in questo ciclismo. E infatti mi piacerebbe fare degli incontri con la nutrizionista Erica Lombardi per esempio, anche per le categorie più piccole. Per dargli un’infarinata sin da subito». 

Durante i giorni del ritiro in altura, anche esercizi a secco prima di partire in bici
Durante i giorni del ritiro in altura, anche esercizi a secco prima di partire in bici

In sella da pro’

Capecchi ha impostato il suo mini-ritiro facendo quella che in gergo viene chiamata una tripletta mascherata, vale a dire due giorni di carico e uno di “scarico”. «Volevo vedere come rispondevano anche in vista delle corse a tappe».

La storia vuole che con qualche aggiustamento e con metodi di lavoro provenienti dal WorldTour, ma come detto adattati alla categoria, le cose abbiano subito preso una piega diversa. E infatti un buon atleta come Edoardo Burani è giunto secondo agli italiani. E parliamo di un corridore che sin lì non aveva colto grossi risultati. Mentre nel resto della stagione è stato uno dei più costanti.

«Giancarlo Montedori, il suo direttore sportivo – spiega Capecchi – mi ha detto che è un ragazzo che tiene molto alla scuola e sin lì non aveva fatto troppo. Così appena finita la scuola l’ho portato in ritiro. Ma sempre il suo diesse, mi ha poi chiesto se poteva portarlo via un giorno prima in quanto voleva portare i suoi ragazzi ad una corsa a tappe, il Giro della Valdera.

«Io gli ho detto subito di sì. Sai che gamba avrebbe avuto dopo il ritiro e tre giorni di corsa consecutivi? E infatti è andata bene».

Edoardo Burani del Team Fortebraccio, secondo al campionato italiano di questa estate. Il primo squillo dei ragazzi di Capecchi
Edoardo Burani del Team Fortebraccio, secondo al campionato italiano di questa estate. Il primo squillo dei ragazzi di Capecchi

Metodi da pro’

E qui si entra nel nocciolo della questione. Le corse a tappe servono per la crescita e al tempo stesso per la preparazione? Il racconto di Capecchi continua…

«Dopo questo risultato all’italiano, Massimo Alunni, il presidente del comitato mi dice: “Eros e per il Lunigiana cosa si fa?”. Dopo l’italiano era gasato anche lui (segno che serve a tutti un certo modo di lavorare, ndr)! Io gli ho risposto che bisognava fare corse di livello internazionale o comunque più alto perché poi è con quello standard che ci si va a misurare. Così ho programmato un ritiro a Livigno di 11 giorni e una serie di corse importanti a seguire». 

«Ho sentito un massaggiatore e ho chiesto una mano alle squadre. Il resto lo ha pagato il Comitato regionale. Undici giorni in altura, con massaggiatore al seguito… come i grandi.

«Finito il ritiro ho cercato un hotel in Versilia, tramite un amico. Siamo stati lì 3-4 giorni, nei quali abbiamo visionato le tappe del Lunigiana. E anche lì avevamo il massaggiatore. Insomma ho cercato di fare una cosa fatta bene, da pro’… che infondesse nei ragazzi un certo metodo di lavoro. Ci è mancata la vittoria, ma è questione di tempo».

Per Capecchi era importante vedere i ragazzi anche al di fuori delle corse
Per Capecchi era importante vedere i ragazzi anche al di fuori delle corse

Corse a tappe: sì

«Se servono dunque le corse a tappe per gli juniores? Certo che servono – spiega Capecchi – Premessa: io sarei per il lato romantico secondo cui i ragazzi andrebbero lasciati tranquilli, senza pressioni e quant’altro. Poi però c’è da fare i conti con il momento storico che viviamo, con la realtà. E la realtà è che lo sport non aspetta più i ragazzi. E quindi se mi chiedete se servono le corse a tappe rispondo come ho detto a Salvoldi: «Dino, servono eccome. Ci sono juniores che hanno fatto esperienze alla Ineos-Grenadiers prima del Lunigiana. Hanno 4-5 corse a tappe nelle gambe. Io ne avevo solo uno che aveva preso parte al Valdera, di appena tre giorni».

«La corsa a tappe ti fa fare uno step in più… Contano come per i pro’, solo che a 17 anni sono ancora più ricettivi».

«Io credo che la  nostra nazionale sia ancora un riferimento con le nostre conoscenze, solo che viviamo ancora di questa cosa che noi siamo italiani e abbiamo la nostra tradizione inamovibile. E’ un bene, ma al tempo stesso un male. Sento dire: “Dobbiamo aspettare il talento anche noi. Gli altri hanno i campioni, noi no”. Io non credo sia così. I corridori li abbiamo anche in Italia. Ci sono allievi anche da noi che nei test sviluppano 6 watt/chilo, quindi il talento c’è. Sta a noi tirarglielo fuori facendoli lavorare in un certo modo».

«Non è che i nostri ragazzi non crescono bene, crescono lentamente. E oggi uno juniores, che piaccia o no, si deve allenare in un certo modo visto che poi passa pro’ direttamente o al massimo dopo un anno tra gli under 23. E se non ha certe basi il rischio è che si demoralizzi».

Nasce una squadra ucraina: la sua storia da raccontare

03.12.2022
4 min
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Da una tragedia può nascere una cosa buona. La tragedia è la guerra in Ucraina, la cosa buona è la squadra che sta prendendo vita. Una squadra, la Ukraine Cycling Academy, di ragazzi ucraini che sono già da noi in Italia, più precisamente sulle sponde del Lago d’Iseo. Pedalare, essere corridori… possono continuare a sperare. E possono farlo grazie anche all’aiuto di Yan Pastuschenko.

Yan non è poi così più grande di loro ed è un biker professionista. Vestiva i colori della Cicli Taddei e passerà allo ZeroZero Team. E’ lui uno dei tre factotum di questo team: allenamenti, logistica, ricerca degli sponsor…

Yan, raccontaci di questo progetto. Come nasce?

Il tutto nasce da una vecchia squadra continental ucraina, la Eurocar Grawe Ukraine che per i motivi che conosciamo, la guerra, è sparita. Gli sponsor si sono tirati indietro. In Ucraina poi non c’è più un giro per certe iniziative. Nell’ultimo anno abbiamo portato quei corridori in Italia e aggiunto forze nuove.

Dove vi trovate?

In Lombardia e più precisamente ad Iseo. Siamo qui da sette mesi. Abbiamo portato fuori dai confini ucraini diversi ragazzi. Stiamo in una casa, ma ne stiamo cercando una più grande. Stiamo cercando di partire, ma non è facile. Stiamo cercando degli sponsor, del sostegno. Per ora ci hanno dato una mano Limar, FSA-Vision, Nalini, ProAction. Stiamo comprando 14 bici da Cicli Bettoni, un negozio di Lovere, nel bergamasco. Alfio Bettoni, il direttore di questo negozio, aveva delle bici a noleggio. Queste bici gli stanno rientrando. Ci fa un super prezzo e le prendiamo. Prendiamo ciò che possiamo.

Qual è il vostro scopo?

Far uscire dall’Ucraina più corridori possibile, per salvarli prima di tutto. Poi per allenarli, farli crescere e fargli fare delle esperienze all’estero. In tal senso anche l’UCI ci sta aiutando. Per esempio ci ha dato le ammiraglie. Ammiraglie svizzere.

L’UCI?

Sì, di fatto noi siamo la nazionale ucraina. Ma siamo anche una squadra di club, così da poterci mettere degli sponsor. In Italia correremo come squadra, all’estero come nazionale ucraina. L’UCI è d’accordo. 

I ragazzi durante una delle loro camminate in montagna
I ragazzi durante una delle loro camminate in montagna
Qual è il tuo ruolo? Sei il team manager?

Diciamo di sì. Ho 26 anni, sono un biker professionista. Io vivo in Toscana. A portare avanti la squadra siamo in tre: un meccanico, il presidente ed io. Di più non saremmo in grado. 

E come fai a seguirli se sei in Toscana?

Eh, non è facile. Infatti faccio la spola. Vado su 3-4 giorni. Li seguo, poi torno giù e dopo qualche giorno riparto. Gli do una mano per gli allenamenti, camminate in montagna, palestra, logistica… Non è facile stare in casa. Questi ragazzi dormono, mangiano, pedalano, ma hanno le famiglie, le fidanzate a casa e sono isolati, staccati da loro.

Yan, sei giovanissimo, come mai ti sei ritrovato in questa storia e ricopri un ruolo così importante?

Perché qualche tempo fa mi chiamò Oleksiy Kasyanov, l’attuale presidente. Lui è stato un buon corridore, ha corso anche in Italia e in Cina. Sapendo che ero in Italia, mi ha chiesto un piccolo aiuto, ma io gli ho detto che avrei potuto fare qualcosa di più. Allora lui mi ha detto: «Okay, ma io non posso pagarti!». Ho risposto che non faceva nulla. Qui c’è da aiutare altri ragazzi.

La maglia del team da cui il gruppo trae origine (foto Miche)
La maglia del team da cui il gruppo trae origine (foto Miche)
Però per avere dei rapporti con l’UCI qualcuno vi avrà anche aiutato. Magari la vostra Federazione…

Noi siamo in stretti rapporti con Andrey Grivko, che è il presidente della Federazione ciclistica ucraina. Lui non figura in nessuna carta, lavora in ombra, ma ci sentiamo tutte le sere. Siamo sempre al telefono. Andrey ci aiuta tanto, ma lui… non altri. Perché il Ministero dello sport ucraino non è proprio limpidissimo, diciamo così. Da loro non è arrivato un rimborso, un sostegno. Grivko è andato all’UCI, gli ha raccontato del nostro progetto e dei nostri piani e l’UCI ha deciso di aiutarci. Con le ammiraglie, come abbiamo visto, ma anche con i test ai corridori, con il poter correre all’estero, con l’ospitarci nella loro sede di tanto in tanto.

Che squadra dunque state cercando di allestire?

Di fatto sono due squadre: una juniores e una under 23. Quella juniores per adesso conta otto ragazzi, ma a breve dovrebbero arrivarne una decina dall’Ucraina. Mentre gli under 23 sono sei. Ma vorremmo aggiungere anche qualche italiano, pensiamo cinque ragazzi: un po’ perché siamo in Italia e un po’ perché senza italiani non vai troppo lontano.

Ci sono anche alcuni dei ragazzi che erano a L’Aquila?

Sì, per ora due. Ma magari ne arriveranno altri da lì.

Che dire Yan, un grosso in bocca al lupo a tutti voi!

Crepi il lupo. Noi ce la metteremo tutta e se qualcuno volesse aiutarci… è il benvenuto!

La carezza e lo schiaffo: parlando di giovani con Visconti

16.11.2022
9 min
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Prendi le ultime giornate belle e “calde” di questo autunno. Mettici un bosco, le colline toscane. Aggiungici un campione che la sa lunga e ha appena smesso di correre e il risultato è: una passeggiata nel bosco con Giovanni Visconti. Una passeggiata in cui si parla dei giovani. Del ciclismo che sarà. Anche se si parte da quello che è stato.

Giovanni ci viene a prendere al bar L’indicatore di San Baronto. Un caffè e sa già dove condurci. Magari si becca anche qualche fungo. Il panorama si apre sotto di noi, ma presto viene inghiottito dal bosco. Castagni, qualche grosso masso d’argilla, un viandante di tanto in tanto e una panchina, che doveva essere la nostra meta, ma che non si trova più!

L’autore dell’articolo con Visconti, a spasso nei boschi che sovrastano San Baronto, nel pistoiese
L’autore dell’articolo con Visconti, a spasso nei boschi che sovrastano San Baronto, nel pistoiese
Se chiudi gli occhi cosa ti resta di questa stagione? Qual è la tua immagine?

Non è facile. Io ho finito in malo modo. Avrei voluto farlo diversamente. Quindi ho passato i primi mesi con la testa fra le nuvole. Ho seguito “poco” il ciclismo. Non che fossi arrabbiato, ma insomma… Se proprio dovessi scegliere un momento, me ne viene in mente uno. Uno che racchiude tutti i momenti: l’abbraccio tra Valverde e Nibali. E’ la chiusura di un ciclismo che era anche il mio. E questo porta con sé altri argomenti. Si è chiuso un ciclismo okay, ma di là cosa c’è?

Cosa c’è?

C’è tanta confusione. Penso che noi italiani abbiamo tutte le carte in regola per avere un ciclismo forte. Ma le carte sono disordinate. Bisognerebbe fare un po’ di ordine e far rendere questo patrimonio. Non abbiamo dei brocchi: abbiamo giovani forti nei professionisti ed altri più giovani ancora che hanno numeri pazzeschi e sono stati testati anche dalla nazionale. E non li perdi dall’oggi al domani. Per questo mi viene in mente la passerella di Nibali e Valverde, perché bisogna passare ad un altro ciclismo. Quelle immagini sono una carezza e uno schiaffo. «Caro ciclismo noi siamo Nibali e Valverde e ce ne stiamo andando. Ora fai qualcosa». 

Per Visconti l’abbraccio tra Valverde e Nibali è il simbolo del definitivo passaggio di testimone al ciclismo dei giovani
Per Visconti l’abbraccio tra Valverde e Nibali è il simbolo del definitivo passaggio di testimone al ciclismo dei giovani
Questo ciclismo che verrà ha un’eta media più bassa. E’ sempre più il ciclismo dei giovani?

Sì, sì… lo è da qualche anno già. E quando parlo di quel momento, penso al ciclismo italiano perché in altre nazioni già si puntava sui giovani. Il fatto che la carriera si sia accorciata è anche un vecchio modo di dire. Okay si è accorciata, ma cosa cambia? Buon per loro, si godranno la vita prima, ma è anche vero che iniziano prima a fare certi sacrifici. Io da junior scappavo dal ritiro a mezzanotte per andare a mangiare la pizza o dalla ragazza. Cose che oggi si sognano, almeno gli juniores forti che sanno già che passeranno pro’.

Quindi alla fine i tempi si anticipano, non si accorciano le carriere?

Esatto. Se vuoi fare il ciclista c’è da anticipare i tempi. Avranno guadagnato soldi prima, saranno maturi prima e si fermeranno prima. Le carriere finiscono prima? E dove sta il problema? Oggi sono seguiti in ogni cosa, al millesimo. L’atleta finirà un po’ più stressato di testa, ma perfettamente integro per il resto. Non so se è per il bianco e nero, ma nelle foto del passato i venticinquenni di una volta sembrano i quarantenni di oggi.

Che poi non è solo nel ciclismo. Anche nel calcio. Tu che sei del Milan lo sai bene: avete una squadra giovanissima…

Tutto va avanti. Anche le tecnologie e gli strumenti. I ragazzi di oggi crescono con queste conoscenze, non con quelle di una volta. Se a un sedicenne oggi dici che le carriere finiscono prima, quello ti guarda e ti chiede: «Ma di cosa stai parlando?». Sono discorsi nostri, che dovremmo smettere di fare. I ragazzi devono crescere con le leggi di ora.

De Pretto ha fatto uno stage con la BikeExchange. E’ uno dei talenti del ciclismo italiano. In gruppo si è mostrato subito pronto
De Pretto ha fatto uno stage con la BikeExchange. E’ uno dei talenti del ciclismo italiano. In gruppo si è mostrato subito pronto
La tua ultima squadra, Giovanni, la Bardiani Csf Faizané, ha avviato un progetto sui giovani. Li hai anche visti in gruppo: hai notato queste differenze che hai detto?

Assolutamente sì, tanto che mi risultava difficile il mio ruolo da chioccia. Perché per fare la chioccia non basti tu, ma serve anche gente che è propensa ad ascoltarti e crede in te. Che parli la tua lingua. Io un po’ riuscivo a parlarci, ma avevo addosso l’indole del vecchio ciclismo. Dovevo insegnarli qualcosa, ma per esempio non potevo dirgli che non dovevano allungare troppo in allenamento. Primo, perché ormai i 18-20enni devono andare forte. Secondo, perché sanno già come allenarsi.

Non era facile neanche per te…

Alla fine mi ero buttato sul fare gruppo, che invece deve restare. Oggi ci si messaggia. Le squadre fanno le tattiche via mail. E già da anni. Quasi non c’è più bisogno di fare la riunione prima di partire. E l’armonia, quel filo che li lega, sono necessari. I team building avventurosi servono. Invece a dicembre ci si ritrova al primo ritiro e tutti vanno come moto, perché tanto è così. Se una volta facevi il medio, ora fai soglia. Se facevi soglia, fai fuori soglia. Poi è il nuovo ciclismo e va bene, anche perché a gennaio corrono, ma medierei un po’.

Facciamo invece un po’ di nomi. Chi è tra questi che ti ha colpito. Prima “a taccuino chiuso”, tra gli altri è emerso Alessandro Covi…

Covi quando ha avuto le sue giornate di gloria ha fatto dei numeri pazzeschi. Magari ci si attendeva un po’ più di costanza. Ha iniziato forte la stagione. Idem da Andrea Bagioli. Alterna momenti in cui può lottare con chiunque, e quando dico chiunque intendo tutti per davvero, a momenti in cui dovrebbe esserci e non c’è. Penso ai due mondiali: Imola e quest’anno.

L’impresa di Covi sulla Marmolada all’ultimo Giro d’Italia
L’impresa di Covi sulla Marmolada all’ultimo Giro d’Italia
Forse non sono costanti proprio perché sono giovani…

Sì, ma anche gli altri sono giovani! I giovani di oggi sono diversi. Che poi, giovani… Questa parola, come pure neopro’, andrebbe eliminata. Il neopro’ lo fa lo junior forte. Andate a vedere Evenepoel cosa faceva da junior. Tutti vogliono fare come lui, solo che non hanno lo stesso motore. Oggi le squadre testano molti ragazzi, poi magari quelli più bravi lì tengono lì, ma gli fanno fare la vita da professionisti. I primi 10 di ogni Nazione sono pro’ e sono quelli che passano. Anche in Italia. Vanno nelle development o addirittura in prima squadra.

In gruppo come sono? Timidi, spavaldi…

Qualcuno scherza, per esempio Pinarello. Passano dopo due anni vissuti “da pro’” e sono più sicuri, più pronti. Sanno quel che devono fare. Anche nell’atteggiamento. Quando toccò a me, solo a dire che ero un pro’ mi emozionavo. E quando vedevo qualcuno che si avvicinava per la foto, mi preparavo. Ora per loro è scontato. Si aspettano che tu gli chieda la foto. Hanno immediatamente un atteggiamento da pro’ affermato. E neanche gli puoi chiedere di essere umili. Per noi era un sogno, qui il loro sogno è scontato, è un percorso.

Torniamo ai nomi, uno dei giovani che hai vissuto di più è Filippo Zana

Pippo ha dei margini enormi. Ha già fatto vedere qualche numerino, senza strafare. Per me è cresciuto nel modo giusto e ha avuto la fortuna di trovare una squadra come la Bardiani che ti fa crescere così. Guardiamo Colbrelli. Se fosse stato nel ciclismo di oggi avrebbe vinto la Roubaix? Non avrebbe avuto tempo di dimostrare di essere un ottimo corridore. Idem Zana. Filippo ha fatto tre anni in Bardiani.

Già tre anni. Il primo ricordo di lui risale al Giro d’Italia del 2020: era stanchissimo, ma lo ha finito…

Il primo anno non si è quasi mai visto, poi sempre meglio. Ma per me è ancora lontano il suo salto. E queste fondamenta che ha creato alla Bardiani se le ritroverà alla BikeExchange. Anche perché per certi aspetti in gruppo avrà vita più facile. E’ la legge non scritta che le professional non possono stare davanti. In Bardiani ci stavo solo perché si accorgevano che ero io. E queste situazioni ti rendono la vita più difficile. Penso anche a Fiorelli in tal senso. Sapete quante energie in meno spenderebbe per arrivare a fare la volata? Fagli prendere una salita davanti a Zana…

Andrea Piccolo, magari lo conosci poco, ma lo hai visto all’italiano…

La miseria che corridore! Ci messaggiamo spesso. C’è una stima reciproca. Gli mandai un complimento e mi disse che era stato un onore ricevere un mio messaggio. Lui è un fuoriclasse e te ne accorgi anche dall’atteggiamento. In gruppo è un po’ mattarello, non presuntuoso, ma ha un suo mondo. E’ diverso da altri giovani. Per esempio Bagioli è più chiuso, lui invece è più spavaldo, ma al tempo stesso tranquillo. 

E tu hai qualche nome che vorresti dire?

Non è più giovanissimo, ma dico Lorenzo Rota: ci ho anche corso insieme. Questo ha classe, ragazzi. Quest’anno ha fatto un bel salto di qualità. Deve vincere una corsa più seria che gli darà sicurezza e farà ancora meglio. Poi mi piace come persona. Si tratta di un atleta serio, dedito al lavoro… Senza contare che ha passato momenti davvero difficili. Lorenzo stava per smettere. E non una volta. E ciò dimostra come ci sia bisogno di ricambio. Non può essere che uno come lui abbia dovuto bussare a più porte per continuare. Cambia la generazione del ciclista? Allora deve cambiare la generazione di chi gli sta intorno.

E’ cambiata oggi la figura del corridore da corse a tappe?

Già da un po’, direi. Lo scalatore puro per me non esiste più. Sto seguendo i giovani e mi rendo conto che tipo di atleta serve. Quando vedi un corridore da 55 chili, ti chiedi cosa può fare. Se vai al Tour, stacchi tutti in salita, arrivi da solo e vinci la tappa okay, ma se non arrivi da solo? Ti è servito? No… In volata perdi. In pianura non puoi neanche aiutare. A crono le prendi. Il corridore modello attuale è il corridore completo. Guardiamo Vingegaard, tra i top rider è l’unico che ha il fisico da scalatore puro, ma poi a crono va forte. Pogacar non è così. Evenepoel non è così.

Sono più muscolati…

Esatto, soprattutto Pogacar ne ha di margini sul piano muscolare… E per me può ancora perdere qualche chilo. Lui ha ancora spazio per migliorare, ne sono sicuro.

La famosa panchina non si trova… e ci si siede su una roccia
La famosa panchina non si trova… e ci si siede su una roccia
Altri nomi importanti sono Baroncini e Verre: perle dell’ultima infornata under 23.

Entrambi non li conosco molto. Però a Verre ho visto fare dei bei numeri in salita. Per lui può esserci quel problema di doversi completare come corridore. Non puoi essere solo uno scalatore in questo ciclismo. Perché o trovi una squadra che ti porta in un grande Giro e cerchi di vincere una tappa (tanto la classifica non la fai), oppure sono problemi. Anche Baroncini è un grande atleta. Anche perché altrimenti non vinci un mondiale U23, tanto più come ha fatto lui. 

E Battistella?

Ecco, con lui  parliamo di un corridore importante. Che ha una certa pedalata e una certa classe. E’ uno di quei corridori che a vederli è bello. E’ completo. Però lo deve dimostrare: l’estetica non basta, ma la base c’è tutta.

Giovani e più estero, la Colpack riparte così

10.11.2022
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Il Team Colpack Ballan CSB viaggia spedito verso la stagione numero 32 della sua storia. Negli anni sono stati tanti i campioni che ha sfornato la squadra di patron Beppe Colleoni. Ma non ci si può adagiare sugli allori, bisogna sempre rinnovarsi e far fronte alle nuove esigenze.

E forse anche per questo Antonio Bevilacqua e Gianluca Valoti stanno pensando a qualche cambiamento sostanziale, anche per ciò che concerne il calendario. Proprio mentre chiamiamo Valoti, i due tecnici sono in riunione. Il 2023 è già iniziato per loro.

Bevilacqua e Valoti (a destra) con Filippo Baroncini, campione mondiale U23 a Leuven 2021, frutto della Colpack (foto Instagram)
Bevilacqua e Valoti (a destra) con Filippo Baroncini, campione mondiale U23 a Leuven 2021, frutto della Colpack (foto Instagram)
Gianluca, partiamo da una frase che emerse parlando questa estate al Valle d’Aosta: «Anche un’importante squadra giovanile come la Colpack fa fatica a prendere i ragazzi migliori». E’ così? E perché?

E’ veramente difficile. L’ultimo esempio è la Jumbo-Visma che ha preso quel ragazzino di 17 anni (Mattio, ndr). Come fai a fermarlo? Uno come lui vede la tv. Vede che quella squadra vince il Tour, che se la gioca con Pogacar, che annovera tanti campioni… è normale che abbia l’ambizione di andare in quel team così organizzato e blasonato. E in alcuni casi passano direttamente nella WorldTour e non dalla giovanile.

E allora come possono squadre tipo la Colpack, ma anche la Zalf tanto per citare l’altra grandissima, ingolosire i ragazzini?

Noi lavoriamo sempre per dare e fare il massimo. Cerchiamo di fargli vedere la nostra struttura organizzativa e mostrargli come verrebbero seguiti al 100 per cento: preparazione, alimentazione, materiali…

Stagione 2023, come sarà il vostro organico?

Rispetto allo scorso anno abbiamo preso sei juniores più Luca Cretti che è un quarto anno. Altri dieci ragazzi sono stati confermati, tra questi il gruppo dei velocisti: Persico, Boscaro, Quaranta e Della Lunga. Abbiamo preso un altro ragazzo da affiancare a Sergio Meris, che è il nostro scalatore-uomo di classifica e che è anche al quarto anno, pertanto cerchiamo di dargli una mano. Io credo che nel complesso siano ragazzi di buoni valori.

Diego Bracalente è uno degli juniores ingaggiati dalla Colpack. Proviene dalla Trodica di Morrovalle, team abruzzese
Diego Bracalente è uno degli juniores ingaggiati dalla Colpack. Proviene dalla Trodica di Morrovalle, team abruzzese
Li avete visti anche dal vivo?

Un po’ dal vivo, ma un po’ li abbiamo studiati anche con le tecnologie attuali, che consentono tra allenamenti e corse di studiare bene i file e valutare i valori di quel ragazzo. Fermo restando che poi a contare è sempre il verdetto della strada. Abbiamo scelto qualche scalatore in più, perché ormai ce ne sono pochi. Diego Bracalente, Lorenzo Nespoli, Leonardo Volpato e in parte Gabriele Casalini e Nicolas Milesi, che sono un po’ più cronoman, al Lunigiana per esempio si sono mostrati bravi in salita. Idem Luca Cretti e Pavel Novak. 

Però sei ragazzi, Gianluca, non sono pochi. E’ una piccola rivoluzione…

Eravamo partiti con un gruppo di giovani che man mano è andato “maturando” e quindi lo scorso anno non partivamo da zero. Per il 2023 invece ripartiamo da zero e la speranza è di fare con loro un programma di almeno due-tre anni.

Eccolo, il nocciolo della questione: un programma di due-tre anni. Perché come si è visto il rischio è che al primo bel segnale (non solo vittorie) passino…

Esatto. Avere un corridore per due o tre anni è un problema ed è sempre più difficile. In più al primo anno, fino a giugno, cerchi di lasciarli più tranquilli perché hanno la scuola, per poi fargli fare qualcosa in più in vista del finale di stagione. Questa è sempre stata la politica della Colpack-Ballan CSB. Ed eventualmente quello dopo fargli fare un’attività più intensa.

Nel 2022 la Colpack ha ottenuto 16 vittorie e 36 podi totali in Italia (38 considerando anche quelli all’estero). Qui, Francesco Della Lunga
Nel 2022 la Colpack ha ottenuto 16 vittorie e 36 podi totali in Italia (38 considerando anche quelli all’estero). Qui, Francesco Della Lunga
Calendario 2023, sarà quello di sempre?

Abbiamo fatto molte richieste all’estero, come sempre del resto. Il problema è che con il Covid le squadre più importanti, a partire dalle WorldTour, restavamo molto di più in Europa. Adesso che le cose sembrano cambiare, che tornano l’Australia, l’Argentina… magari per noi c’è più spazio. Ma resta comunque difficile programmare un’attività all’estero in quanto noi continental siamo le ultime ad essere avvertite. Ci dicono all’ultimo minuto che la nostra richiesta è stata accettata. Però dai, qualche conferma è già arrivata!

Tipo?

Una gara in Olanda, la Parigi-Roubaix, le classiche delle Ardenne…

C’è qualche gara che ti piacerebbe fare?

Sì, il Tour de Bretagne gara ottima per il nostro livello direi. Innanzi tutto sono sette giorni di corsa e si avvicina molto al nostro Giro under 23 e poi i percorsi sono misti, il meteo è parecchio variabile… in una corsa così i ragazzi imparano tanto.

Eventi così e un calendario straniero più fitto, per te aumentano la capacità di attrazione dei ragazzi verso la vostra squadra?

C’è sicuramente più stimolo. Prendiamo un Persico che è al quarto anno ed è esperto. Ragazzi come lui hanno già fatto un po’ tutte le corse del panorama italiano e fare delle gare all’estero magari gli dà più grinta, più fame, più cattiveria. E immagino valga anche per quelli di primo anno. Anche se per loro anche il calendario nazionale è nuovo. Per esempio a Bracalente quando gli si parlava della Firenze-Empoli s’illuminavano gli occhi. Una gara simile l’avevano solo sentita nominare, letta da qualche parte o vista in qualche spezzone tv. E’ pur sempre un passaggio dagli juniores al dilettantismo.

Quest’anno la squadra di Colleoni ha fatto diverse corse all’estero. Purtroppo però queste trasferte sono anche costose
Quest’anno la squadra di Colleoni ha fatto diverse corse all’estero. Purtroppo però queste trasferte sono anche costose
E magari pensare ad una trasferta tipo quelle nel Mediterraneo, in Turchia o al Tour of Rhodes?

Sinceramente sono un po’ titubante e lo stesso vale per la trasferta in Argentina, dove insistendo un po’ magari ci invitano anche. Però sono grandi impegni anche organizzativi per strutture piccole come la nostra. I mezzi, le bici, il personale… E poi costano. 

E in alcune di queste gare il tasso tecnico non è super. Meglio un Sibiu Tour?

Sì, meglio. Queste corse in Romania, Bulgaria… stanno prendendo piede. Sono ben organizzate, gli hotel sono buoni e il tasso tecnico è giusto. Sono luoghi che si raggiungono in una giornata di viaggio e ai ragazzi si dà l’opportunità di misurarsi in un buon campo internazionale. Ovviamente però abbiamo fatto richiesta anche per le gare a tappe italiane, Giro di Sicilia, Coppi e Bartali… e aspettiamo il risultato. Come ho detto prima, noi continental siamo le ultime a sapere dell’invito.