CORCOLLE – Martin Marcellusi ci apre le porte di casa. Siamo nella periferia Est di Roma. Da una parte la città, dall’altra i primi Appennini, nel mezzo colline dolci e verdeggianti puntinate di paesini più o meno moderni. Dietro il portone c’è uno dei tanti trofei conquistati da Martin. E’ la coppa della Firenze-Empoli, quella a cui forse tiene di più.
«E’ stata la mia prima vittoria da under 23, anzi la mia prima corsa da under 23. Io non amo tenere troppi cimeli, maglie o ricordi. Alla fine i ricordi quelli veri restano. Le Coppe invecchiano, vanno spolverate».
Dopo essere stati a casa di Luca Covili, eccoci a bussare dal laziale. Il corridore della Green Project-Bardiani è pronto per affrontare il suo primo Giro d’Italia. Martin è rientrato da poche ore dal Gp Francoforte che lo ha visto protagonista il primo maggio e sta rivedendo la corsa assieme a mamma Nunzia e papà Giulio.
Anche loro sono emozionati per la corsa rosa. «Una bella responsabilità», dice il papà. «Un’emozione grande», aggiunge la mamma.
Martin, partiamo da Francoforte. Una grande prestazione tanto più che scendevi dall’altura…
Eravamo rimasti in venti sulla salita lunga e mancavano ancora 100 chilometri più o meno. Dietro c’erano i velocisti e le loro squadre ci hanno chiuso. Però ci hanno messo parecchio perché noi avevamo un minuto. In quell’istante ho capito che era il momento giusto per fare un’azione. Io però pensavo di portar via un gruppetto di 3-4 corridori.
Invece sei andato via da solo.
A quel punto mi sono detto: «Anticipo lo strappo, perché comunque c’è gente come Hirschi che è difficile da tenere. Ho pensato: «Di schiaffi in faccia ne ho presi tanti, ne prenderò uno anche oggi». Però è andata bene. Quando ho visto che sotto lo strappo avevo 1’20” di vantaggio sapevo che avrei scollinato davanti. Così ho fatto a tutta il tratto più duro e poi ho rallentato un po’. Giusto quel tanto per mantenere un pizzico di gamba per quando fossero arrivati. E infatti mi hanno ripreso giusto dieci metri dopo il Gpm.
Perfetto!
A quel punto ho detto: «Ora mi metto a ruota e non do più un cambio». Anche se ad un certo punto volevo tirare, però dall’ammiraglia mi hanno detto di restare a ruota e di fare la volata. Ma nel finale ero stanco, stanco.
Ora siamo qui. Tra poche ore partirai per il Giro d’Italia, ma ripercorriamo la tua storia. Come ti sei avvicinato al ciclismo? O meglio, perché il ciclismo e non il calcio, visto che siamo a Roma e regna il “Dio pallone”?
Beh, io dovevo cominciare col calcio in realtà. Ma ero troppo piccolo per fare l’iscrizione nella squadra locale, il Ponte di Nona. Mio fratello Daniel, più grande di me, fece una gara di mtb e portò a casa una coppa. Io ne rimasi affascinato. Ero anche un po’ geloso, se vogliamo. Allora ho detto: «Vabbè dai, corro anch’io». Alla prima gara ho fatto terzo. Ero G1 e da lì in poi non mi sono più fermato.
Ciclismo in tutto e per tutto. Eri di quelli che a scuola scriveva sul diario “Oggi comincia il Giro”?
In realtà no. Io il ciclismo in televisione ho cominciato a seguirlo tardi, da under 23. Prima semmai vedevo gli ultimi chilometri. Adesso invece le seguo tutte!
Cosa hai imparato, secondo te, nelle nelle categorie giovanili?
Una cosa importante: saper andare in bici. E’ da piccolo che impari a stare in gruppo, a stare davvero in sella. Se cominci tardi, ti mancherà sempre un minimo di dimestichezza.
E da quel bambino G1 ne è passata di acqua sotto i ponti. Sei appena rientrato da una gara WorldTour e sei pronto a ripartire…
E’ tanta roba! Un po’ me lo aspettavo e un po’ no. Quest’anno ho avuto un po’ di sfortuna ad inizio stagione (Martin si è rotto la clavicola nelle primissime gare, ndr). Ma ho avuto la fiducia della squadra e anche io non sono andato piano. Vengo da questo decimo posto a Francoforte, e ora vado al Giro… con qualche aspettativa, ma senza pressione da parte della squadra. Anche loro sanno che è difficile.
Cosa metti in questa valigia per il Giro?
L’entusiasmo, l’emozione. Se me l’avessero detto qualche anno fa, non so se ci avrei creduto. Ma finché non sono lì, secondo me non mi renderò conto veramente di quanto grande sia. Un po’ come l’anno scorso ai mondiali. Ma in questa valigia ci metto anche un po’ di preoccupazione perché è vero che è una bella esperienza, però è dura. Saranno 21 giorni e chi ha mai fatto questi sforzi? Mi dicono che alla fine è una gara come le altre. Vedremo…
Insomma ci pensi prima di andare a dormire?
Per adesso no, almeno fino a due giorni prima della gara non ci penso. Ma la notte prima della corsa mi tormento! Non dormo, è impressionante.
Quando quando te l’hanno detto del Giro? E cosa hai provato in quel momento?
Già dallo scorso dicembre mi avevano accennato che facevo parte dei papabili del “gruppo Giro”, mentre la conferma è arrivata poche settimane fa. Mi avevano fatto intendere che se al rientro dall’infortunio avessi fatto qualcosa di buono, mi avrebbero portato.
In una squadra come la vostra c’è una sorta di qualificazione…
Un po’ sì. Magari è brutto dirlo, però c’è una sorta di competizione interna per partecipare al Giro. Non abbiamo i campioni che ha una Jumbo-Visma, per esempio. Da noi chi va più forte in quel momento parte per il Giro. Ma chi resta fuori prende molto serenamente l’esclusione. Per dire, fino a ieri siamo stati con Colnaghi e lui di quella trasferta era l’unico che non faceva il Giro. Ci scherzavamo su e gli dicevamo: «Ohi ci vediamo in Abruzzo. Ah no, tu non ci sei». I classici sfottò.
Da una parte c’è la città, dall’altra le montagne: dove ti alleni? Che salite fai?
Faccio un mix, ma preferisco frequentare zone più trafficate. Sì, sembra strano, ma è così! Anche sul Maniva cercavo sempre di andare nei paesini. Forse è l’abitudine: è da quando sono piccolo che pedalo nel traffico. E infatti quando vado di là (e indica in direzione delle montagne, ndr) un po’ mi annoio. Ci vado quando devo fare salita vera.
E che salite fai?
Nella zona dei Castelli il Tuscolo, Rocca Priora, Rocca di Papa. Se invece vado verso gli Appennini Saracinesco, ma poco perché mi mette sempre in crisi! E lo stesso Monteflavio. Non mi vanno proprio giù! Da qualche anno ho “scoperto” Scalambra che è veramente dura e somiglia parecchio alle salite di un Giro o di un’importante corsa a tappe. Ma se devo fare dei lavori di forza vado a San Polo che è più pedalabile.
Come hai strutturato la preparazione? E’ cambiato qualcosa dopo che hai saputo della convocazione per la corsa rosa?
Ho chiamato Donati, il mio diesse di riferimento, e gli ho detto: «Io non so se mi porterete al Giro, però faccio una preparazione come se dovessi farlo». Anche per questo ho deciso di andare sul Maniva con Tonelli e Magli. Tonelli era sicuro di farlo, Magli invece l’ha saputo poche settimane fa come me.
Quali lavori hai fatto?
In altura ho fatto parecchio fondo. Lavori meno adatti alle mie caratteristiche, ma servivano quelli. Ho fatto salite più lunghe. Mentre prima magari le facevo da 15′, adesso lavoravo sui 24′-25′. Meno esplosività. Ma un po’ ho fatto anche quella perché nel momento in cui vai in fuga e magari c’è una tappa con l’arrivo su uno strappo, te la devi giocare. L’anno prossimo vorrei specializzarmi su questo tipo di terreni.
Parlando di tappe ce n’è qualcuna che pensi possa essere adatta a te? Che ti piace?
Quella di Napoli mi piace. Secondo me lì arriva la fuga e sarebbe bello esserci. Poi però non è facile. Magari quello è il giorno in cui il direttore ti dice: «Tu oggi stai tranquillo, provi domani». Ti ci devi anche un po’ trovare: sperare che il giorno in cui tocca a te, le gambe siano buone e che la tappa sia quella giusta. Lo scorso anno per esempio al Giro under 23 mi sono ritrovato in fuga nella tappa del Fauniera. Sapevo che non era adatta a me, ma a quel punto ci ho provato lo stesso.
Il Giro Under 23 è la corsa a tappe più lunga che hai fatto?
Sì e a fine Giro mi sono sentito bene. Ne parlavo coi compagni proprio in questi giorni e gli dicevo che avevo questa speranza. E cioè che più passavano le tappe e più la condizione migliorava. Speriamo sia così anche coi grandi! Anche perché io non devo far classifica e in qualche occasione potrò fare gruppetto e risparmiare qualche energia.
Sei un millennial, cosa sai del Giro d’Italia?
Della storia qualcosa so, tipo qualche vincitore. Ma all’interno del gruppo non ho idea proprio. Ricordo che andammo a vedere una tappa a Civitavecchia. Feci la foto con con Bettini, in maglia di campione del mondo, e con Cassani.
Parlando della gara di ieri hai ragionato con lucidità. Tempo fa Roberto Reverberi ci ha detto che Marcellusi è uno sveglio, uno agonisticamente cattivo. E’ così?
Quello della grinta è l’unico pregio che mi sono sempre dato. E’ vero, in gara riesco a capire il momento buono. Lo azzecco. Poi bisogna avere la gamba e quella non c’è sempre… Anche a Francoforte sapevo che avrei rischiato. Sapevo che se il gruppo si fosse messo subito a tirare, sarebbe stata un’azione suicida. A volte serve fortuna, ma bisogna anche rischiare. Però è vero: quel momento l’ho valutato bene prima di scattare. Anche da junior o esordiente facevo così. Magari sbagliavo tattica, ne ero consapevole, ma a me piace attaccare. Nelle categorie giovanili puoi farlo. Non hai degli obblighi nei confronti della squadra.
E tutto questo s’impara da piccoli?
Non proprio, secondo me è qualcosa che hai dentro oppure no.
E riguardo alla grinta invece? C’è una gara, anche da ragazzino, che ti ricordi per la grinta?
La Firenze-Empoli – replica secco Marcellusi – io avevo 19 anni. Sull’ultimo strappo eravamo in quattro: Bagioli, Battistella e Covi. In cima mi staccano e perdo 5”. Al Gpm non mollo mezzo centimetro: metto subito il 53 e continuo a pedalare a tutta. Rientro subito e in volata vinco. Io un mal di gambe così non l’ho più provato. Quella è stata la gara in cui ho avuto più grinta in assoluto.