Gavazzi: il Bernal “piemontese” e quel sorriso ritrovato

27.08.2025
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Sorridente, disponibile, disteso, con la battuta sempre pronta, in una sola parola: felice. Egan Bernal ha messo piede in Italia per la partenza della Vuelta Espana con un piglio che sembrava aver quasi perso. Si era assaporato un po’ di quel buon umore al Giro d’Italia, ma si vedeva che l’animo del corridore colombiano era differente. Sulle terre piemontesi, che lo hanno visto sbocciare nel suo grande talento, Bernal sembra essersi totalmente ritrovato. Su queste strade ci ha vissuto per tanti anni, sono state loro ad accoglierlo quando era arrivato in Italia alla corte dell’Androni Giocattoli di Gianni Savio. 

Il sorriso sul volto di Bernal non è mai mancato, ma alla partenza della Vuelta, sulle strade piemontesi, ha un sapore speciale
Il sorriso sul volto di Bernal non è mai mancato, ma alla partenza della Vuelta, sulle strade piemontesi, ha un sapore speciale

Un sorriso per tutti

Egan Bernal era approdato nella professional italiana da perfetto sconosciuto, ad accoglierlo aveva però trovato la figura di Francesco Gavazzi. Il valtellinese, ritiratosi nel 2023, ora sta studiando per ottenere l’abilitazione UCI e diventare direttore sportivo. Nel frattempo lavora come gommista nell’azienda che prima era del nonno e ora è in mano ai suoi cugini. L’obiettivo è di salire in ammiraglia a partire dalla prossima stagione, ma questo è un’altra storia che ci auguriamo di avere modo e piacere di raccontare più avanti. 

«Anche dopo aver vinto il Tour de France – racconta Gavazzi nella sua pausa pranzo – Bernal non è mai cambiato di una virgola. E’ sempre stato un ragazzo umile e aperto, forse troppo. Ha sempre concesso un sorriso e un autografo a tutti, e in alcuni casi eravamo noi a dovergli dire di muoversi perché la gara stava per iniziare. Adesso non lo vedo più dal vivo, ma quello che si vede in televisione o nelle poche gare alle quali assisto, è un ragazzo professionale e disponibile».

La serenità ritrovata di Bernal può essere un fattore chiave in questa Vuelta
La serenità ritrovata di Bernal può essere un fattore chiave in questa Vuelta
Com’è stato il tuo primo incontro con Bernal?

Eravamo in ritiro a Padova, nel novembre del 2015. Stavamo facendo un po’ di prove per i materiali e avevamo programmato un’uscita in bici. Gianni (Savio, ndr) era venuto da noi presentandoci questo ragazzo colombiano di diciotto anni. Ci aveva detto che arrivava dalla mountain bike e che era davvero molto forte. Poi siamo partiti con la pedalata.

Che è successo?

Ci ripetevamo di andare piano, dovevamo fare un giro sui Monti Berici e tornare indietro. Appena abbiamo approcciato una discesa, dopo tre curve, ci troviamo Bernal a terra. Lui si era rialzato subito, però dentro di noi abbiamo pensato: «Chissà che fine fa questo». Gli sono bastate poche settimane per farci capire che aveva doti fuori dal comune. 

A Limone Piemonte, primo arrivo in salita, il colombiano è quarto
A Limone Piemonte, primo arrivo in salita, il colombiano è quarto
Ha “rimediato” subito…

Non una presentazione in grande stile, ma in gruppo ci ha fatto vedere che sapeva stare. Seguiva i corridori più esperti e quando c’era da limare non si tirava indietro. Inoltre, fin da giovane, ha dimostrato un carattere solare e deciso. Non ha mai avuto paura di parlare ed esporsi. 

Sicuro di sé?

E delle sue idee. A quel tempo c’erano tanti corridori esperti in squadra, compresi Frapporti e io, lui non aveva paura a dire la sua. Ha sempre avuto le caratteristiche del leader, senza sovrastare gli altri. Sono doti che ho riscontrato anche in altri grandi campioni come Nibali e Pogacar. Questi corridori in bici si divertono, non li vedi mai stressati o rabbuiati. 

Bernal è arrivato in Piemonte grazie a Gianni Savio che dalla Colombia lo ha portato all’Androni Giocattoli nel 2016
Bernal è arrivato in Piemonte grazie a Gianni Savio che dalla Colombia lo ha portato all’Androni Giocattoli nel 2016
Hai notato questa cosa anche nel momento più difficile, dopo l’incidente del 2022?

Sinceramente sì. Non l’ho vissuto molto, anche perché l’anno successivo mi sono ritirato, ma non ha mai dato l’impressione di aver perso quelle sue caratteristiche umane che lo contraddistinguono. Magari ha perso serenità in bici, però con se stesso no. 

In questi primi giorni in Piemonte sembra ancora più sorridente, se possibile.

Ci sono luoghi che ti danno delle sensazioni positive, una scarica di energia unica, e improvvisamente ti senti ancora più forte e sicuro. Il Piemonte per Bernal è una seconda casa. La sua stella è nata lì, in tanti anni ha costruito amicizie e ha trovato tanti tifosi intorno a lui. 

Nonostante i suoi diciannove anni Bernal è diventato uno dei volti di riferimento del team di Savio insieme a corridori come Chicchi, Gavazzi e Pellizotti
Nonostante i suoi diciannove anni Bernal è diventato uno dei volti di riferimento del team di Savio insieme a corridori come Chicchi, Gavazzi e Pellizotti
Un qualcosa che può spingerlo per tutta la Vuelta?

Credo che Bernal potrà andare forte anche una volta arrivati in Spagna, è partito bene e questa cosa gli ha dato morale. Lui è un corridore che nella terza settimana migliora, serviva partire con il piede giusto. Gli ho sentito dire in un’intervista che si augurava potesse andare tutto bene, di non cadere o avere problemi. Evitare queste complicazioni lo farà sentire ancora più sicuro. Credo che il podio sia alla portata di Bernal. 

E domani iniziano le salite…

La testa è importante, ma come ho detto prima ha dimostrato di essere forte da questo punto di vista. Atleticamente Egan ha dalla sua ottime qualità sulla distanza e in salita.  

Il Giro torna in Valtellina, Gavazzi ci fa da Cicerone

09.03.2025
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Il Giro d’Italia torna in Valtellina anche quest’anno con arrivo di tappa a Bormio e la partenza del giorno successivo da Morbegno. Due momenti chiave per la Corsa Rosa, che sarà da poco entrata nella sua terza e fatidica settimana di fatiche. Nella frazione numero diciassette il gruppo partirà da San Michele all’Alpe e arriverà appunto a Bormio dopo 154 chilometri e tre gran premi della montagna rispettivamente di seconda, prima e terza categoria. 

Dalla provincia di Trento a quella di Sondrio passando da Brescia. La prima difficoltà di giornata sarà il Passo del Tonale e dopo una lunga discesa le biciclette dei corridori torneranno a guardare il cielo per scalare il Passo del Mortirolo. L’ultima difficoltà di giornata sarà rappresentata dal GPM de Le Motte, poi un rapida discesa fino al traguardo. 

L’ultima volta che il Giro è arrivato a Bormio, Landa e Nibali si giocarono la vittoria di tappa in volata, la spuntò il siciliano
L’ultima volta che il Giro è arrivato a Bormio, Landa e Nibali si giocarono la vittoria di tappa in volata, la spuntò il siciliano

La Corsa Rosa torna a Bormio

La voce tecnica per guidarci all’interno delle tappe valtellinesi del Giro è un ex-corridore del calibro di Francesco Gavazzi. Sedici anni da atleta e poi due stagioni vissute accanto ai ragazzi della Polti VisitMalta (ex Eolo-Kometa con la quale ha chiuso la carriera). Valtellinese DOC, nato a Morbegno, che su queste strade ha corso e si è allenato per tanti anni

«Quella che porterà il gruppo a Bormio – racconta Gavazzi – non è una vera e propria tappa di montagna di quelle dure da far paura, ma raccoglie tante insidie. Il profilo è interessante ma l’ultimo GPM impegnativo, che è il Mortirolo, si trova a poco meno di 50 chilometri dal traguardo. Pensare di vedere l’azione decisiva su quelle rampe è difficile, però il fondo valle è complicato. Credo sia la classica tappa con due gare in una, la fuga che si gioca la vittoria e dietro gli uomini di classifica».

La squadra può giocare un ruolo fondamentale nel tratto di fondo valle che porterà il gruppo fino a Bormio
La squadra può giocare un ruolo fondamentale nel tratto di fondo valle che porterà il gruppo fino a Bormio
Pronti via e il gruppo sale verso il Tonale…

Penso sia difficile che una squadra provi a tenere chiusa la corsa gestendo il distacco sulla fuga. Servirebbero corridori molto forti e nonostante tutto si rischierebbe di arrivare corti in cima al Mortirolo, finita la discesa inizia un’altra corsa.

Mortirolo che il gruppo prenderà da Monno, che salita è?

Una signora salita, con gli ultimi tre chilometri davvero impegnativi. Però non nascondiamoci, non è il lato più duro. La prima parte, che misura 8 chilometri, è regolare. Poi spiana per un paio di chilometri e infine arriva il tratto duro. Comunque non penso scollineranno più di 15 corridori. Vedere azioni personali è difficile anche perché in quei 25 chilometri di fondo valle fino a Le Motte e poi i restanti 9 per arrivare Bormio non sono semplici. 

Il Giro affrontò il Mortirolo dal versante di Monno anche nel 2022, in rosa c’era Carapaz
Il Giro affrontò il Mortirolo dal versante di Monno anche nel 2022, in rosa c’era Carapaz
Quali scenari si aprono?

Innanzitutto la differenza vera la faranno le condizioni del vento appena si scende dal Mortirolo. Appena si torna sul fondo valle le situazioni sono due: il vento è favorevole oppure contrario. Di solito nelle mie zone, a Morbegno che si trova una cinquantina di chilometri indietro, il vento la mattina va verso sud mentre al pomeriggio gira e spinge a nord. 

I corridori però scenderanno a Grosio…

Trovandosi già in alta valle le condizioni del vento sono più imprevedibili, basta poco affinché il vento cambi direzione. L’ultimo dubbio le squadre se lo toglieranno alla partenza, da lì capiranno che tattiche potranno mettere in atto. 

Uno dei più attesi quest’anno è Piganzoli, corridore di casa qui scortato da Fabbro proprio sul Mortirolo
Uno dei più attesi quest’anno è Piganzoli, corridore di casa qui scortato da Fabbro proprio sul Mortirolo
Raccontaci di questi chilometri nel fondo valle, come sono?

Tosti. Prima di Bormio c’è uno strappo molto duro, anzi due. Fare velocità è difficile anche perché la strada sale costantemente. Se la fuga rimane numerosa può arrivare al traguardo. Dietro i capitani dovranno stare attenti, avere un uomo al loro fianco sarà importante per non stare al vento a tirare. Saremo solamente all’inizio della terza settimana, buttare via energie inutili non avrebbe senso. 

Sappiamo che stai facendo il corso per il patentino di terzo livello, facciamo un gioco: da tecnico cosa diresti?

Di non attaccare mai sul Mortirolo, ma di seguire le azioni e lo sviluppo della corsa. Il vero trampolino di lancio sarà lo strappo de Le Motte, che misura due chilometri ma è impegnativo. Penso che non essendoci corridori del calibro di Pogacar la classifica sarà corta, quindi ogni secondo conta. Una bella azione può portare a guadagnare parecchio. 

Da Morbegno il Giro partì anche nel 2020, era la diciannovesima tappa, Kelderman era in rosa
Da Morbegno il Giro partì anche nel 2020, era la diciannovesima tappa, Kelderman era in rosa
E’ una tappa dove se qualcuno non sta bene può pagare tanto?

Quei 25 chilometri di fondo valle non perdonano e rischiano di sembrare infiniti. C’è un tratto, nella zona de Le Prese, dove la strada si impenna per un chilometro con punte fino al 16 per cento. Ricordo che anche in allenamento sembrava infinito: la strada è larga, sale e ti sembra di essere fermo. Dopo sedici tappe a qualcuno potrebbe anche arrivare il conto da pagare

Il giorno dopo, per la tappa numero diciotto, si parte da casa tua: Morbegno. 

Quella è una frazione molto più semplice, ma allo stesso tempo impegnativa. Sulla carta potrebbe esserci un arrivo in volata. Però i velocisti dovranno reggere nella parte centrale che è molto mossa ed esigente. Il vero obiettivo sarà capire che ritmo potrà tenere il gruppo perché se la fuga prende margine poi si hanno pochi chilometri per ricucire. Dall’ultima salita al traguardo ci saranno solamente 50 chilometri. Arrivare in volata non sarà scontato. 

Gavazzi: il mondo giù dalla bici e i consigli a Piganzoli

19.10.2024
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«Diciamo che questo primo anno giù dalla bici me lo aspettavo più traumatico. Dopo una vita che ti alleni e hai sempre degli obiettivi a cui puntare, mi aspettavo un maggiore disorientamento. Invece a casa ho occupato bene il tempo con la famiglia e con la squadra ho viaggiato parecchio. Alla fine quello delle corse è stato il mio mondo per anni e non mi sono distaccato totalmente. Me lo sono goduto in maniera serena e felice. Il ciclismo mi manca, vero. Ma non ho mai detto: “Mi piacerebbe correre”. Questo vuol dire che ho smesso nel momento giusto. E che a questo sport ho dato quel che dovevo, fino all’ultimo».

A parlare è Francesco Gavazzi. Dopo 17 anni passati nel mondo del professionismo, l’anno scorso ha appeso la bici al chiodo, correndo la sua ultima gara in carriera alla Veneto Classic, in maglia Eolo-Kometa. Tuttavia il valtellinese non ha abbandonato il team, che nel frattempo è diventato Polti Kometa (in apertura, foto Maurizio Borserini). 

Francesco Gavazzi è rimasto vicino agli ex compagni di squadra, seguendoli per una sessantina di giorni di gara (foto Maurizio Borserini)
Francesco Gavazzi è rimasto vicino agli ex compagni di squadra, seguendoli per una sessantina di giorni di gara (foto Maurizio Borserini)

365 giorni dopo

Un anno dopo, quelle righe iniziali racchiudono il suo pensiero sull’addio al ciclismo e su questo 2024 vissuto nel team ma con un ruolo diverso. 

«Vivere le corse da fuori – continua Gavazzi – è bello, ho gestito l’area hospitality della squadra e mi sono goduto il ciclismo. Vedere un Giro d’Italia da fuori è fantastico, una festa continua. Te lo godi per l’evento che è: un viaggio bellissimo in bici nel nostro Paese. Mi sono goduto tante piccole cose che negli anni da corridore non potevo fare, ad esempio mangiare ogni prodotto tipico delle regioni in cui eravamo (ride, ndr). Poi in Polti ho un rapporto speciale con tutti, un’amicizia stretta che mi ha permesso di restare a contatto con i corridori. Mi piace parlare con loro prima di cena, sentire cosa pensano, quali sono le loro sensazioni. Mi sono sentito nel prosieguo della carriera agonistica ma senza la fatica di pedalare, che non è male (ride ancora, ndr). 

Davide Piganzoli (classe 2002) è arrivato a Roma 13° in classifica generale
Davide Piganzoli (classe 2002) è arrivato a Roma 13° in classifica generale
Tra i tanti ragazzi della Polti c’è un valtellinese come te: Piganzoli. L’anno scorso gli avevi lasciato dei consigli, quest’anno come lo hai ritrovato?

Proprio al Giro è andato forte, ha provato a tenere duro e fare classifica durante tutte e tre le settimane. In alcuni giorni ha un po’ pagato lo sforzo, non ha avuto la brillantezza per provare a vincere una tappa. Cosa che Pellizzari, altro giovane promettente come lui, ha fatto. 

Il tenere duro di Piganzoli lo ha messo meno sotto i riflettori. 

Sono scelte diverse. Pellizzari un giorno è stato male ed è uscito di classifica, la sua condotta di gara nell’ultima settimana è stata giusta. “Piga” invece non ha avuto giorni di crollo e ha fatto un Giro solido. Penso che la sua sia una stata una scelta utile in chiave futura. 

Piganzoli ha corso il Giro d’Italia provando a fare classifica, una scelta utile per il futuro
Piganzoli ha corso il Giro d’Italia provando a fare classifica, una scelta utile per il futuro
In che senso?

Voleva capire cosa voglia dire correre un Giro d’Italia per fare classifica. Gestire tre settimane di corsa è una cosa che non puoi capire finché non lo vivi. Da under 23 al Giro Next Gen o al Tour de l’Avenir al massimo corri per 9-10 giorni. Da un certo punto di vista la scelta di Piganzoli sarà utile perché nel 2025 lui saprà cosa aspettarsi dal Giro, Pellizzari meno. 

Poi eri anche all’Emilia, vero?

Sì. E lì Piganzoli ha fatto un numero esagerato. Lo ha pagato un po’ al Lombardia forse, più dal punto di vista psicologico. Nel senso che forse lui stesso si aspettava qualcosa in più dal punto di vista del risultato. Penso abbia pagato la distanza, d’altronde 250 chilometri non sono facili da digerire a 22 anni. C’è tempo per crescere. 

Dopo l’ottima prestazione dell’Emilia il valtellinese aveva buone aspettative per il Lombardia
Dopo l’ottima prestazione dell’Emilia il valtellinese aveva buone aspettative per il Lombardia
Perché dici che lo ha pagato dal punto di vista psicologico?

Finita la gara, sul pullman, non era il solito Piganzoli. Lui è uno che ride e scherza con tutti, ma sabato era scuro in volto. E’ un ragazzo molto ambizioso, con una mentalità da grande corridore. Quando sale in bici si trasforma. Mi ricorda un po’ Nibali per certi versi, vive le gare con tranquillità e con il giusto distacco, quello che non gli fa pesare il grande evento. 

Nelle gare di un giorno potrà dire la sua?

Penso che lo abbia dimostrato all’Emilia. Se c’è dislivello lui si mette in mostra e può fare molto bene. La batosta del Lombardia l’ha presa, ma questo perché lui da se stesso si aspetta tanto, come fanno tutti i grandi corridori. Ha preso le misure e ha capito cosa vuol dire correre in certe gare e cosa serve per essere competitivo. 

Ma per certi appuntamenti come il Lombardia servono ancora tanti chilometri e altrettanta esperienza
Ma per certi appuntamenti come il Lombardia servono ancora tanti chilometri e altrettanta esperienza
Visto che si è parlato di Pellizzari, lui andrà in una WT nel 2025, Piganzoli rimane da voi. Che ne pensi?

Credo che Piganzoli, ora come ora farebbe fatica in una formazione WorldTour buona. Non perché non abbia le qualità, anzi. Però negli squadroni è sempre complicato, soprattutto se non arrivi con un certo status. Qui da noi farà la Tirreno, il Giro e il Lombardia e avrà modo di tornare a queste gare come leader. C’è dell’altro. 

Cosa?

Credo che Piganzoli ora scalpiti per andare in una WorldTour, ma fare un altro anno con noi sarà utile. Se ne renderà conto in futuro. Lui è destinato a crescere e migliorare nei prossimi tre, quattro anni, è un fatto di sviluppo. E’ giovane e ha tanto da capire, anche tatticamente. In più fare il professionista non è solamente andare alle gare e pedalare, ma anche gestire la vita a casa e imparare a capire il proprio fisico. Magari un anno cambi preparazione per vedere se il tuo corpo reagisce meglio o se cresci in un certo aspetto. Si tratta di affinare. 

Un altro anno alla Polti sarà la via giusta per crescere e migliorare, in bici e fuori
Un altro anno alla Polti sarà la via giusta per crescere e migliorare, in bici e fuori
Insomma, servono i passi giusti. 

Assolutamente, anche perché il ciclismo ora è molto stressante, sia mentalmente che fisicamente. Tanti giovani fanno fatica, si abbattono e poi si arrendono. La differenza la fa la testa, oggi più di prima. Perché in tanti vanno forte, ma non tutti sono in grado di reggere la pressione. 

Lui sì?

Piganzoli si mette pressione da solo, ma non si fa travolgere da quella esterna. Però fino ad ora non è mai stato troppo sotto i riflettori. Mentre l’anno prossimo ci sarà gente che da lui si aspetta qualcosa e restare in un ambiente che conosce e che lo conosce gli farà solo bene.

Gavazzi rimane alla Polti: un ponte tra passato e futuro

01.02.2024
4 min
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Nelle diverse interviste di inizio stagione i ragazzi della Polti-Kometa ci hanno detto spesso che Gavazzi non aveva definitivamente abbandonato il gruppo (foto Borserini in apertura). Certo, ha smesso di correre, e questo ve lo abbiamo raccontato. Ma proprio la sua esperienza, e quei consigli preziosi dati ai giovani, hanno fatto in modo che Gavazzi risultasse ancora importante per il team di Basso e Contador

«Mi sono preso un anno di transizione – dice Gavazzi mentre si gode la pace di casa – rimango con i bambini e mi godo la famiglia. Lavoro con mio cugino, che fa il gommista, gli do una mano. Mi serviva, troppo tempo a casa non mi avrebbe fatto così bene».

Gavazzi è rimasto nell’organico della Polti-Kometa, per dare supporto alla squadra con la sua esperienza (foto Maurizio Borserini)
Gavazzi è rimasto nell’organico della Polti-Kometa, per dare supporto alla squadra con la sua esperienza (foto Maurizio Borserini)
E così sei rimasto nel mondo del ciclismo…

La Polti-Kometa voleva tenermi, anche senza un posto ufficiale, con loro mi sento come in famiglia. Abbiamo trovato un compromesso, rimango in trasferta per una sessantina di giorni all’anno, tra ritiri e corse. Voglio rimanere vicino ai corridori, quelli con cui ho condiviso il cammino fino ad ora, ma anche ai nuovi. 

Sei già stato con la squadra?

Ho partecipato ai ritiri di dicembre e gennaio, sono stato in Spagna una decina di giorni complessivamente. Poi penso di partire dalla Strade Bianche, Tirreno, Sanremo, forse il Tour of the Alps e sicuramente il Giro, ma non tutto. 

Com’è guardare tutto da fuori?

Mi piace, è più rilassante, più tranquillo. E’ un modo per rimanere nel gruppo, ho pedalato con i miei ex compagni, ma mai più di tre ore. Devo ammettere che non mi è dispiaciuto. Ho un ruolo nuovo, con stimoli diversi. Ho scoperto tante cose che non sapevo sul mondo dei diesse e ho capito che non è facile far combaciare tutto. 

Gavazzi ha avuto modo di seguire i suoi ex compagni dall’ammiraglia, imparando tanto del mondo dietro la bici (foto Maurizio Borserini)
Gavazzi ha seguito i suoi ex compagni dall’ammiraglia, imparando tanto del mondo dietro la bici (foto Maurizio Borserini)
Con i tuoi ex compagni che rapporto hai?

Sono sempre andato d’accordo con tutti, quindi li avevo sentiti anche durante l’inverno. Con “Piga” (Davide Piganzoli, ndr) ho un rapporto molto bello, siamo vicini di casa, ci sentiamo spesso. Lo stesso con Sevilla e Maestri, ma anche con tutti gli altri mi sono sempre trovato bene. Quello che voglio fare è dare una mano a tutti, e devo ringraziare Ivan e Fran per questa occasione. 

I giovani scalpitano…

Piganzoli e Tercero sono due che hanno voglia di fare. Già nel 2023 sarebbero voluti andare al Giro, ma non era il caso. Al primo anno da pro’ era meglio adattarsi a questo mondo e crescere. Hanno imparato a programmare i lavori e sono pronti per le corse importanti. 

Il Giro è una grande occasione.

Saranno parte della bozza della squadra. Piganzoli si preparerà al meglio per essere al via del Giro. La squadra dovrebbe essere composta da uno “zoccolo duro” con Maestri e Sevilla e da qualche giovane.

I giovani scalpitano in cerca di un posto e di esperienze importanti: in foto Piganzoli (a sinistra) e Tercero (foto Maurizio Borserini)
I giovani scalpitano, in foto Piganzoli (a sinistra) e Tercero (foto Maurizio Borserini)
Senza dimenticare i nuovi arrivati.

Con Restrepo e Fabbro abbiamo fatto il salto di qualità. Fabbro si è ambientato subito, ha un bel carattere, è deciso e senza peli sulla lingua. E’ un professionista a 360 gradi, il 2024 per lui è un anno importante, da non sbagliare. Ho già avuto modo di parlarci.

E cosa vi siete detti?

Mi ha chiesto un po’ di cose, con chi parlare, il programma, qualche dettaglio sulla bici. Poi abbiamo parlato dei suoi problemi in Bora e cosa non ha funzionato. Infine mi ha raccontato cosa si aspetta da questo 2024.

Cosa si aspetta?

Spero riesca a confermare le sue qualità, ha un’esperienza tale che gli permette di conoscersi in maniera totale. Penso che il Giro sia l’appuntamento ideale per lui, un corridore del suo calibro minimo punta ad una vittoria di tappa. 

Fabbro esordirà in maglia Polti-Kometa alla Vuelta a Andalucia il 14 febbraio (foto Maurizio Borserini)
Fabbro esordirà in maglia Polti-Kometa alla Vuelta a Andalucia il 14 febbraio (foto Maurizio Borserini)
Davvero la squadra, come ha detto Basso, è più forte dello scorso anno?

A livello individuale è una squadra forte. I giovani come Tercero, Piganzoli e Martin possono far fare all’ambiente un salto di qualità notevole. Sostituire Fortunato e Albanese non è facile, ma secondo me ci siamo riusciti. Fabbro e Restrepo sono due profili molto interessanti, che possono dare tanto. La stagione è appena iniziata, vedremo dove riusciremo ad arrivare.

Gavazzi smette: ecco i suoi consigli al giovane Piganzoli

03.10.2023
5 min
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LISSONE – Francesco Gavazzi si aggira tra i pullman delle squadre con la disinvoltura di chi ha passato una vita in questi spiazzi. Alla partenza della Coppa Agostoni, davanti al pullman della Eolo-Kometa, è pieno di gente: parenti e persone venuti a salutare i corridori. C’è anche la famiglia di Gavazzi, con uno dei due figli che gioca con la sua bici. Ricordiamo che lo stesso Francesco aveva detto di voler smettere con le gare, ma di non voler abbandonare l’ambiente. I giovani, ci aveva detto Ivan Basso, sono il miglior acquisto per la prossima stagione. L’essere riusciti a trattenere ragazzi promettenti permette loro di addolcire l’addio di corridori del calibro di Fortunato e Albanese

«Dopo l’Agostoni – dice – mi restano la Bernocchi (corsa ieri, ndr), il Piemonte e le due in Veneto, se non cambieranno i programmi. Avvicinarsi al finale di carriera mi rende tranquillo, me la sto vivendo bene. Non dico che è una liberazione, ma sapere di aver dato tutto quello che avevo mi fa sentire sereno. Sinceramente non vedo l’ora che arrivi in fretta il 15 ottobre, perché si è stanchi».

Gavazzi insieme a uno dei suoi due figli prima del via della Coppa Agostoni
Gavazzi insieme a uno dei suoi due figli prima del via della Coppa Agostoni

I consigli di “Gava”

Gavazzi ha messo alle spalle 39 primavere il primo di agosto di quest’anno. Dopo che in gruppo ha passato la maggior parte del tempo abbiamo provato a stilare quelli che sono i suoi consigli ai giovani che rimarranno in Eolo-Kometa.

«Nel ciclismo di adesso – racconta Gavazzi – non c’è tanto tempo di sbagliare, sia in corsa che fuori corsa. Sicuramente rimanere in una squadra come la Eolo che ti coccola e ti fa crescere senza stress in un ciclismo esasperato penso sia la cosa migliore. Si tratta di ragazzi di 20,21 e 22 anni, sono giovani: le pressioni sono forti. Rimanere in una squadra come la Eolo ti permette di prenderti il tuo tempo, crescere e inserirti nel gruppo. Senza però dimenticare le esperienze agonistiche, le corse a cui abbiamo partecipato sono importanti: Giro d’Italia, Sanremo e Lombardia per esempio».

Gavazzi davanti a Piganzoli, i due sono entrambi valtellinesi e buoni amici
Gavazzi davanti a Piganzoli, i due sono entrambi valtellinesi e buoni amici
Come ci si avvicina a questi appuntamenti da giovani?

A livello di professionalità non deve esserci alcuna differenza rispetto alle gare minori. E’ ovvio che a livello emotivo, invece, ha un peso e sono quelle emozioni che ti ricorderai anche negli anni futuri e che ti fanno crescere come ragazzo e corridore.

Questa estate, a Livigno, avete fatto un ritiro di squadra, un momento più leggero dove avete avuto modo di parlare?

Con “Piga” (Piganzoli, ndr) per esempio, siamo amici perché siamo anche vicini di casa, sono in confidenza. Io ho 39 anni, lui 21, quindi la differenza di età si fa sentire, però si parla delle mie esperienze passate, del ciclismo che era e che è. A tavola, in ritiro, si parla quasi sempre di ciclismo, ci sono tanti aneddoti, anche dei direttori. Sono spunti utili per i giovani per pensare ed essere consapevoli.

Le emozioni di un Giro d’Italia rimarranno sempre nel cuore di un corridore
Le emozioni di un Giro d’Italia rimarranno sempre nel cuore di un corridore
Qual è la curiosità principale che ha Piganzoli?

Chiede spesso come fosse il ciclismo quando sono passato professionista io, nel 2005. In 17 anni è cambiato tutto: non si pesava la pasta, non c’era TrainigPeaks, iniziavano ad esserci i potenziometri, mentre ora se non ce l’hai non vai nemmeno a letto. La curiosità è sapere come si è evoluto il ciclismo e come era prima. 

Essere curati è positivo da un lato ma può nascondere anche lati negativi…

Un ciclismo professionale e molto più stressante, sia in corsa che fuori. Sia come gestione che come preparazione, risulta davvero molto usurante. E’ giusto viverlo con un distacco e comunque dare il 100 per cento senza farne diventare una malattia. 

La stagione di Gavazzi è stata lunga, ora si gode le ultime gare prima del ritiro
La stagione di Gavazzi è stata lunga, ora si gode le ultime gare prima del ritiro
Tu che hai visto crescere Piganzoli, quest’anno com’è stato?

Devo dire che ha fatto tante esperienze di rilievo ma è stato anche preservato. Ha capito quali sono le gare del suo livello e ha capito come corrono quelli che vanno forte davvero. Sono convinto che questo 2023 sarà un anno che in futuro gli tornerà molto utile. Dal prossimo anno avrà un bagaglio importante.  

Hai notato qualche “difetto”?

Non lo chiamerei così, però vedo che c’è tanta fretta di crescere e di fare. Dopo la Coppa Agostoni, per esempio, era giù di morale perché non era andato come si sarebbe aspettato. Deve imparare a convivere con queste sensazioni, capita nel ciclismo, anzi sono più le volte che non vai come vorresti rispetto alle altre. Lui non si è fatto prendere troppo dallo sconforto e al Giro dell’Emilia è arrivato 16° che in una gara di alto livello come quella è un grande risultato. Senza dimenticare che lui si è preparato alla grande per il Tour de l’Avenir quest’anno, staccando dalle corse per più di due mesi. Sapete cosa?

Piganzoli (a sinistra) ha incentrato la sua seconda parte di stagione sul Tour de l’Avenir, chiuso in terza posizione (foto DirectVelo)
Piganzoli (a sinistra) ha incentrato la sua seconda parte di stagione sul Tour de l’Avenir, chiuso in terza posizione (foto DirectVelo)
Dicci…

Ora i ragazzi giovani sono abituati a vedere i loro coetanei super performanti appena passano professionisti. Ma non è sempre così, non tutti sono Evenepoel o Ayuso. Piganzoli ha tutte le carte per diventare un campione e questo primo anno da professionista gli risulterà fondamentale nella crescita.

Ha focalizzato tutta la sua seconda parte di stagione su quell’appuntamento…

E ha fatto bene, perché era l’ultimo anno in cui poteva partecipare, ed in più ha fatto un bel podio e tanta esperienza. Correre gare a tappe di alto livello come l’Avenir gli tornerà utile per il prossimo anno, quando gli obiettivi saranno corse come la Tirreno-Adriatico o il Giro d’Italia.

Come lo vedi in allenamento, abitando vicino qualche volta avrete pedalato insieme…

E’ molto tranquillo, si allena bene. E’ uno che si sa allenare, sta concentrato il giusto e questo mi piace, perché la gestione per i corridori è fondamentale, così da arrivare alle gare con la testa giusta. Ha una carriera davanti molto promettente. Poi lui, nonostante sia giovane ha capito cosa vuol dire fare il corridore, ha l’atteggiamento giusto.

Piganzoli e la Valtellina: è vero amore

21.03.2023
5 min
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Passeggiate, pedalate e panorami. Davide Piganzoli ama ogni metro della sua Valtellina e lo si percepisce dal modo in cui ce l’ha raccontata. Il classe 2002 di Morbegno, si è innamorato del ciclismo pedalando su una bici da corsa a 8 anni rivolgendo lo sguardo ai colossi da scalare che costellano la galassia della Valtellina.

La passione per la bici è di casa, infatti Davide è compaesano e compagno di squadra di Francesco Gavazzi di qualche anno meno giovane (38 anni). I due pro’ della Eolo Kometa Cycling Team viaggiano per il mondo a correre qua e là e per loro il ritorno a casa ha sempre qualcosa di magico e intimo. Saliamo in sella con Piganzoli per percepire questo attaccamento alla terra e il suo amore per le strade di casa. 

Piganzoli qualche giorno fa è andato alla scoperta della tappa di Santa Cristina al prossimo Giro U23
Piganzoli qualche giorno fa è andato alla scoperta della tappa di Santa Cristina al prossimo Giro U23

Valtellinese DOC

«Sono nato a Sondrio, ma vivo a Morbegno. Mio papà è della Val Gerola e mia mamma di Cosio. I nonni della Val Gerola». Piganzoli ha da sempre respirato l’aria pura della Valtellina, e come lui genitori e nonni. Il suo albero genealogico fonda le sue radici in questo territorio unico. 

«Ho iniziato a correre in bici a 10 anni – dice – ho iniziato da G5. Prima ho fatto un po’ di corsa a piedi e calcio. Da esordiente ho iniziato un po’ a scoprire quelle che erano le salite intorno a casa. Poi da allievo e così via. Tutt’ora ne scopro di nuove e oltre alle salite mitiche come Stelvio, Gavia, Mortirolo, mi piacciono anche quelle un po’ meno conosciute, ma altrettanto belle».

A renderlo però un valtellinese DOC, alla domanda quale sia il piatto tipico, non ha esitato un secondo, pronunciando con un sorriso: «I pizzoccheri! Su questo non ci si può di certo lamentare. Per quanto riguarda i vini invece mentre si pedala si è accompagnati dalle viti e dalle cantine che accarezzano le colline. Io non bevo e non sono un amante, ma so che il vino dalle mie parti lo sanno fare eccome».

Le salite preferite 

I passi da queste parti si “sprecano”: Passo Gavia, Passo del Mortirolo, Passo Forcola, Passo San Marco, Salita ai Laghi di Cancano, Passo dello Stelvio, Passo dello Spluga e infine Salita a Campo Moro. Salite protagoniste del ciclismo che accolgono ogni anno migliaia di ciclisti e appassionati. Luoghi che grazie all’iniziativa Enjoy Stelvio Valtellina sono pedalabili senza il traffico in totale tranquillità.

«A me piacciono molto – dice Piganzoli – le salite al nord. Quindi in direzione di Livigno, per esempio lo Stelvio. Ho la ragazza ad Aprica e quindi faccio spesso Mortirolo e Gavia. Amo fare un po’ quelle che sono le salite storiche del ciclismo. Poi ce ne sono altre un po’ meno conosciute ma belle da scoprire come quella di Teglio oppure la salita di Eita che sale da Grosio. Sono quasi tutte impegnative e pendenti come piacciono a me».

«Se dovessi consigliarne una ad un ciclista che viene da queste parti, gli proporrei sicurante Gavia e Stelvio in quanto rappresentano due colossi e che hanno scritto pagine di storia del ciclismo passato e moderno. Almeno una volta nella vita vanno fatte».

Un luogo tranquillo

Se grazie a Enjoy Stelvio Valtellina pedalare da queste parti lo si può fare con la totale assenza delle macchine, durante l’anno la Valtellina rimane un contesto poco contaminato dalle quattro ruote.

«Di traffico – spiega Piganzoli – in Valtellina ce n’è poco. In questi giorni mi sono allenato in Toscana e sulla riviera romagnola e devo dire, senza nulla togliere a questi posti che hanno tanti altri pregi, che c’è una bella differenza. Quando torno a casa posso pedalare in tranquillità e le strade sono bellissime e si possono percorrere in modo scorrevole. Mi piace molto arrivare in cima alla salita e apprezzare il panorama. Per me non è solo bici ma qualcosa in più, è una fortuna godere di queste viste dopo essersele guadagnate con fatica e sudore

Piganzoli per un breve periodo della sua vita e carriera è andato in Spagna alla Fundacion Contador dove ha conosciuto un’altra cultura per le due ruote. «I nostri paesaggi – spiega – specialmente quelli della Valtellina, ma ovviamente sono di parte, sono bellissimi e anzi possiamo essere orgogliosi nei confronti di tutti. Certo magari da paesi come la Spagna possiamo imparare come ci si comporta nei confronti dei ciclisti, qua a volte sembra quasi che facciamo un dispetto agli automobilisti, mentre là aspettano un tuo segnale per sorpassare».

La Valtellina un paradiso naturale tra Passi e sentieri trekking
La Valtellina un paradiso naturale tra Passi e sentieri trekking

I pro’ sotto casa

I professionisti sono approdati in Valtellina innumerevoli volte e lo hanno fatto passando sotto casa di Davide Piganzoli, facendolo incuriosire e innamorare di questo sport. «Vedere passare – racconta Piganzoli – il Giro d’Italia sotto casa ha sicuramente aiutato ad avvicinarmi al ciclismo. Quando andavo a vederlo sui passi mitici o alle partenze e arrivi, sapevo che quei momenti me li sarei portati dietro per tutta la vita. Sono andato sullo Stelvio, all’Aprica e ovviamente alla partenza da Morbegno».

“Hai voluto la bici, ora pedala”. Un proverbio vecchio e ridondante ma che da queste parti acquisisce un risvolto romantico che sembra quasi di barare nei confronti di altri luoghi. «L’estate è un vero e proprio paradiso. Le temperature fresche e il contesto la rendono un luogo magico. L’inverno quando è più freddo mi piace girare intorno a casa e fare passeggiate e trekking. Amo la montagna in ogni sua sfumatura».

Valtellina

Saliamo sul Teide alla ruota di Lorenzo Fortunato

19.02.2023
6 min
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La vetta più alta di Spagna. Con i suoi 3.715 metri, il Teide è il parco nazionale più visitato in Europa e nel mondo il secondo per numero di visitatori. Un vulcano attualmente attivo che si trova sull’isola di Tenerife, nell’arcipelago delle Canarie. Tra i turisti che ogni anno arrivano per apprezzare le sue bellezze e particolarità spicca un’alta percentuale di ciclisti, professionisti e non. Lorenzo Fortunato è tra questi, per lui è stata la prima volta e ad ascoltare le sue parole, ogni giorno è stata una scoperta di un posto magnifico e a misura di ciclista. Passeggiate mattutine nel silenzio assordante della natura incontaminata, paesaggi lunari e un rispetto del ciclista che rende questa esperienza ancora più speciale. 

A condividere il periodo in altura pre stagionale c’era Francesco Gavazzi, che durante i suoi sedici anni di professionismo non aveva mai messo le ruote sui pendii del vulcano spagnolo. Partiamo per il nostro viaggio e facciamoci trasportare dalle parole di Fortunato nel contesto unico del Teide.

Com’è andata la tua preparazione invernale?

Bene, sono soddisfatto. Ho fatto prima il ritiro con la squadra, poi due settimane in altura sul Teide. Per me è la prima volta in altura a inizio stagione. Spero di partire bene. Ho davanti un mese intenso perché dopo l’Andalucia correrò Gran Camino, Laigueglia e Tirreno-Adriatico. Poi rifiato un po’ e preparo il Giro d’Italia

Prima volta in altura pre stagionale e prima volta sul Teide. Portaci là…

Non è come la Sierra Nevada o come l’Etna. Sul Teide sei in cima al vulcano e lo vedi proprio. Arrivi giù e sei al mare. A me è piaciuto molto. La mattina era un momento speciale. La natura incontaminata. Andavo sempre a fare la passeggiata a digiuno prima della colazione. Questo non tanto perché desse particolari vantaggi, ma perché mi piaceva. Una cosa che mi ha colpito molto era l’assenza totale dei rumori alla mattina presto. Poi durante la giornata si anima e si affolla di turisti e traffico per poi alle sette di sera svuotarsi nuovamente. 

Un’esperienza unica…

Oltre che per l’aspetto altura, ciclismo e allenamenti. Ci sono persone che pagano per andare anche solo un giorno mentre noi avevamo la fortuna di starci due settimane. Mi è piaciuto molto.

Dove alloggiavi?

Ero proprio in cima, al Parador. Era davvero freddissimo sia la notte che la mattina. Fino a che non usciva il sole. 

Tutto sommato un clima piacevole?

Faceva parecchio freddo, la notte scendeva sotto lo zero. Poi quando usciva il sole e si scaldava si toccavano i 20 gradi. Più avanti è ancora più caldo. Poi dipende, la prima settimana che siamo arrivati era caldo. Poi c’è stata una perturbazione e all’ombra magari c’erano 2 gradi mentre al sole 15. 

Parlaci del panorama, cosa ti ha colpito?

Il contesto naturale è qualcosa di unico. Paesaggi lunari dovuti alle rocce lasciate dalle colate laviche. Il mare sullo sfondo e le strade bellissime.

Come hai impostato il ritiro dal punto di vista degli allenamenti?

Come tutte le alture, sono partito tranquillo per poi incrementare. Anche perché venivo dal blocco di allenamenti del ritiro. I primi giorni sono rimasto su nell’altopiano e riuscivo a fare 2-3 ore. Poi invece gli altri giorni scendevo, facevo le mie ore giù e infine risalivo su in hotel. La prassi di allenamento era sempre quella, più salivi più andavi tranquillo controllando il cuore anziché i watt, mentre sotto si spingeva come a casa. 

Che tipo di salite sono quelle che portano alla vetta?

Quelle principali sono lunghe ma regolari. Se si vogliono salite dure bisogna cercare strade secondarie, dove le pendenze sono paragonabili a quelle dello Zoncolan

Un altro aspetto oltre al clima che spinge i ciclisti al pellegrinaggio verso le Canarie è il rispetto verso il ciclista. Hai notato questa cosa?

Come traffico e come rispetto per il ciclista hanno una cultura totalmente differente. Quelli che ci suonavano quando stavamo in coppia in strade larghe, erano solo turisti italiani

Curioso ma non difficile da credere…Gli altri automobilisti come si comportavano?

Quando arrivava un locale, ci stava dietro e provocava file chilometriche dietro di noi. A quel punto eravamo noi i primi a fare segno di passare. Stava dietro senza suonare e ti ringraziava quando ti sorpassava. C’è la regola del metro e mezzo, come da noi, a differenza che lì la rispettano veramente e finché non c’è il posto per sorpassare non lo fanno. Poi ovvio, gli incidenti capitano ovunque. Quando sono tornato in Italia devo ammettere che ero impaurito nelle prime uscite. Non ero più abituato. Poi è vero che in Spagna ci sono tante strade con una densità minore di macchine. Da noi è tutto più concentrato. Non deve essere una scusa, ma le strade in Italia sono anche più strette.

Eri solo sul Teide?

No, c’erano Francesco Gavazzi e il nostro massaggiatore Carmine Magliaro

In cima al Teide Fortunato e Gavazzi alloggiavano con il massaggiatore Magliaro
In cima al Teide Fortunato e Gavazzi alloggiavano con il massaggiatore Magliaro
Gavazzi come te non c’era mai stato sul Teide…

In tutti i suoi anni da professionista non c’era mai stato. Prima di smettere di correre ha detto: «Dobbiamo andarci», su consiglio anche del nostro massaggiatore. Il suo sacrificio vale doppio. Con i bimbi a casa, lontano dalla famiglia è stato via per il ritiro in Spagna, corse a Maiorca e poi è venuto diretto sul Teide. Si è fatto un mese e via da casa e non deve essere stato facile. 

Sei soddisfatto della tua preparazione invernale?

Devo dire che è stato un buon inverno. Sono riuscito ad allenarmi al caldo e in altura. Credo di avere fatto tutto nella direzione giusta. Vediamo come va l’esordio per avere un primo riscontro, però devo dire che arrivo un po’ più pronto alle corse rispetto agli altri anni. 

Quindi è un arrivederci con il Teide?

Sicuramente lo terrò di nuovo in considerazione. Non l’avevo mai fatto e devo dire che mi ha soddisfatto. Approvato! Questo tipo di preparazione ti permette a dicembre di dedicarti un po’ di più alla palestra con la certezza che poi per gennaio e febbraio si va al caldo per allenarsi nel migliore dei modi. Questo ti da un po’ più di tranquillità. 

Gavazzi dal Teide: «Ellena? Un diesse di cui fidarsi»

05.02.2023
5 min
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Francesco Gavazzi (in apertura foto Borserini) lo senti e non pensi che abbia 38 anni. Non pensi che sia all’ultima stagione da pro’. Impegno, timbro di voce, voglia di fare fatica, entusiasmo… fanno pensare a tutt’altro. «Per la prima volta sono sul Teide. Dopo queste prime corse ci voleva un po’ di altura».

Entusiasmo che è ancora maggiore ora che Giovanni Ellena, diesse con cui ha condiviso tante stagioni, si è aggregato alla Eolo-Kometa.

Un selfie dal Teide. Da sinistra: Gavazzi, Magliaro e Fortunato
Un selfie dal Teide. Da sinistra: Gavazzi, Magliaro e Fortunato
Francesco, ti sentiamo benone. Hai già inanellato parecchie corse, prima il ritiro e ora l’altura…

Alla fine quando scenderò dall’altura sarà un mese che sono via da casa. Ma dividendo il tutto in tre posti posso dire che passa prima. E poi avevo una promessa in ballo con il mio massaggiatore Carmine Magliaro. Prima che smettessi mi voleva quassù e così eccomi qui con Fortunato.

Come stai? Come sono andate queste prime corse?

Ho fatto alcuni giorni di corsa a Mallorca e dire che abbiamo trovato condizioni difficili, tra vento, neve, acque, è un eufemismo… Ho iniziato presto anche negli ultimi anni, ho capito che ho bisogno di più tempo per carburare rispetto a quando ero un giovincello. Però penso di aver fatto una buona base, ho preso un po’ di ritmo con queste prime gare e adesso l’altura… credo che riuscirò a “portare fuori” una buona condizione.

E con una buona condizione riabbraccerai Ellena… Come e quando hai saputo che sarebbe venuto alla Eolo-Kometa?

In realtà non lo sapevo da prima. L’ho saputo a Oliva il giorno prima del suo arrivo, me lo ha detto Zanatta. Ho fatto all’Androni cinque anni con lui… ed è stato un periodo molto bello. A parte l’ultimo anno, quello del Covid, in cui ci sono state delle incomprensioni, ma non con Giovanni, con il team. Calendario, pagamenti… Con Giovanni mi sono sempre trovato bene, è una persona cauta. Ho un bel ricordo del periodo all’Androni, avevo il mio ruolo tra i giovani e ce ne sono stati di forti: Bernal, Vendrame, Masnada, Ballerini, Cattaneo… Ricordo tutto e tutti con affetto e lui era il direttore sportivo principale.

Ellena dopo anni e anni nel gruppo di Savio è approdato alla Eolo pochi giorni fa
Ellena dopo anni e anni nel gruppo di Savio è approdato alla Eolo pochi giorni fa
Che tipo di direttore sportivo è Ellena?

Non parla tanto, ma il giusto. Una sua caratteristica è quella di essere pacato e questo credo aiuti soprattutto i giovani che magari all’inizio sono un po’ più timidi, sono alla ricerca della loro identità. E’ un diesse paziente.

In effetti Giovanni è molto pacato… Magari per alcuni corridori anche troppo?

Mah, non credo. Io non ho mai amato quelli che per radio parlano cinque ore di seguito e ti urlano nelle orecchie perché si fanno prendere troppo dalla corsa. Quando in radio mi dici i distacchi, chi c’è davanti, mi dai le notizie sul vento… sono a posto. E in questo Giovanni è precisissimo. E poi non crediate… l’ho visto anche parecchio incavolato! Come è giusto che sia.

Quando si è saputo del suo arrivo, cosa hai detto ai tuoi compagni?

Gli ho detto che arrivava un direttore sportivo di cui ci si poteva fidare. Un diesse che è un punto di riferimento vero, non solo alle corse ma anche fuori. Uno di quelli presente anche in settimana. Non so se magari hai bisogno di qualcosa, se hai un problema con una scarpa o se devi fare un certo allenamento. E lui era così soprattutto con i colombiani che gli abitavano vicino. Molto spesso li portava a fare dietro motore. Per loro era come un secondo padre.

Come sono stati ripartiti i gruppi? Tu sarai con lui?

No, io sono con Jesus Hernandez, ma Giovanni è arrivato ora e immagino ci possa essere una ridistribuzione dei corridori in egual misura tra i direttori sportivi. Però so che dovrebbe fare la sua prima corsa in Galizia e la farò anche io. Si troverà bene anche lui con noi!

Francesco Gavazzi
Francesco Gavazzi all’Androni era un riferimento per i diesse in corsa. Ruolo che tutto sommato ricopre anche in Eolo-Kometa
Francesco Gavazzi
Francesco Gavazzi all’Androni era un riferimento per i diesse in corsa. Ruolo che tutto sommato ricopre anche in Eolo-Kometa
Ecco hai toccato un tasto interessante. Che consiglio daresti tu ad Ellena: che ambiente troverà in Eolo-Kometa?

Rispetto all’Androni sono due realtà diverse. Con Gianni (Savio, ndr) c’era un’ambiente più familiare, un team più alla vecchia maniera, ma non in senso dispregiativo… sia chiaro. Era più una squadra a dimensione di ragazzo. Lì un ragazzo che passa può crescere con i tempi giusti. Qui in Eolo invece c’è un’organizzazione più strutturata, più tendente al WorldTour, sia nell’atteggiamento che nel progetto. L’idea è quella di crescere e di diventare grandi. Quindi anche lui in qualche modo dovrà uscire dalla sua “comfort zone”. Avrà un gran da fare! Ma per certi aspetti forse per lui sarà più facile perché qui avrà sott’occhio meno persone.

Di là in effetti controllava molti ragazzi…

Tanti e poi faceva un sacco di cose. Sarà una sfida anche per lui. Quando si cambia dopo tanti anni è uno stimolo.

Francesco, chiudiamo con un aneddoto!

Ah – ride e ci pensa un po’ Gavazzi – Savio è un grande, ma tante volte stargli vicino non è facile… ci serve pazienza, tanta pazienza. E mi ricordo che a volte Gianni diceva una cosa e con Giovanni ci guardavamo alzando le sopracciglia. Per questo dico che è pacato! Ma racconto tutto ciò col sorriso sulle labbra.

L’ultimo anno di Gavazzi è una preziosa eredità

30.12.2022
6 min
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Probabilmente se l’ultimo Giro fosse andato come si aspettava, Gavazzi sarebbe a casa a costruirsi un’altra vita. Invece qualcosa non ha funzionato e al momento di tirare le somme, il valtellinese si è trovato con le tasche ancora piene e fermarsi sarebbe stato uno spreco. Così ha convinto Basso a prolungargli il contratto, scrivendo però anche la data del fine carriera: 31 dicembre 2023.

«Sarà sicuramente l’ultimo anno – sorride – avevo deciso che fino al Giro d’Italia non ci avrei pensato, poi avrei tirato le somme con calma. Ma appunto non mi è piaciuto come è andato e visto che qua ci sto proprio bene, ho deciso di continuare. Ci sono tanti giovani e mi stimolano più loro che le mie stesse prestazioni. E’ importante aiutarli a crescere, vederli in allenamento, condividere momenti insieme. In questi 2-3 anni è stato un ruolo che ho apprezzato parecchio, probabilmente il motivo principale per cui continuo».

Gavazzi ha iniziato a Oliva il suo ultimo anno da pro’ con la Eolo-Kometa. E’ nato nel 1984, è alto 1,71 e pesa 65 chili
Gavazzi ha iniziato a Oliva il suo ultimo anno da pro’ con la Eolo-Kometa. E’ nato nel 1984, è alto 1,71 e pesa 65 chili

La prima volta che ci incontrammo, Francesco aveva 21 anni e correva con la Unidelta-GLS di Bruno Leali. Era il 2005 e osservandolo mentre parla, sul suo viso si possono leggere le storie di una vita in bicicletta, passata per alti e bassi lungo strade non sempre scorrevoli.

Smetterai per restare nell’ambiente?

Non credo a un futuro da direttore sportivo. Mi piace il mio lavoro, però è stressante dal punto di vista dei viaggi e la vita fuori casa. Ho due bambini e probabilmente quando smetterò, cercherò un lavoro vicino casa. Di tanto in tanto mi farò vedere per salutare gli amici, ma il lavoro di direttore sportivo non fa per me. Anche se probabilmente ci sarei anche portato.

Come ti trovi in questo ciclismo così veloce?

Sembra una frase fatta, ma negli ultimi anni è cambiato radicalmente, con la nuova generazione di fenomeni e il loro modo di correre. Interpretare la corsa è difficile e diventa sempre più imprevedibile. A vederlo da fuori, sarà anche bello, ma capire cosa succede è sempre più difficile. I giovani devono dimostrare quanto valgono e come loro anche uno che ha 38 anni. Voglio far vedere che non sono qua per rubare il posto a uno che ha 22-23 anni, ma per fare un altro anno ad alto livello.

E’ un mondo così stressante?

Il ciclismo di quando sono passato io, aveva una misura più umana. Era meno stressante, c’era meno ansia, si andava meno alla ricerca del pelo nell’uovo. Per questo secondo me sarà sempre più difficile fare carriere lunghe. E’ importante far capire ai più giovani che nonostante tutto, lo si può vivere in modo diverso. E’ certamente un lavoro, ma anche quello che ti piace fare. Sono ragazzi fortunati. Se sei forte, guadagni molto più dei tuoi coetanei che sono a casa, lavorano e studiano. Il ciclismo è difficile, fai sacrifici e magari a volte fatichi a vederne il bello, ma è sbagliato farlo diventare un’esasperazione.

Altrimenti?

Non te lo godi più. Fai due o tre anni al vertice, poi basta un intoppo e diventa tutto difficile. Prendiamo per esempio Dumoulin, il primo che mi viene in mente. Sono casi che 10 anni fa non succedevano praticamente mai. Uno come Tom avrebbe fatto la sua carriera, invece man mano che si va avanti, ci saranno sempre più corridori che smettono di colpo. Perché se di testa non sei fortissimo, prima o poi si inceppa qualcosa. E’ un lavoro impegnativo, ragazzi, però quando al Giro d’Italia fai una tappa di 5 ore, a casa ne faresti 8 in fabbrica e non è la stessa cosa. Ci sono i tifosi, ci sono tante attenzioni. Bisogna prendere i lati positivi per allentare la tensione che altrimenti ti opprime.

Il ruolo di Gavazzi sarà ancora quello di riferimento per i giovani e regista in corsa (foto Maurizio Borserini)
Il ruolo di Gavazzi sarà ancora quello di riferimento per i giovani e regista in corsa (foto Maurizio Borserini)
Pensi mai a come sarà senza i tifosi e il resto?

Ci penso sì, per quello non ho smesso (ride, ndr). Sicuramente sarà un’altra vita, ma per il carattere che ho probabilmente non ne risentirò troppo. Non sono mai stato uno cui piace stare al centro dell’attenzione, sono abbastanza coi piedi per terra e non mi dispiace pensare a una vita… normale. Ho sempre fatto questo, lo sognavo da bambino, è ovvio che tante cose mi mancheranno. 

Che cosa ti ha dato il ciclismo?

Tanti amici e la preparazione per prendere la vita in un modo che altrimenti per me sarebbe stato difficile. Ad esempio, qualche tempo fa mi sono separato. Eppure sono andato avanti, con un’altra testa probabilmente lo avrei subìto molto di più. A 21 anni ero fuori casa, in ritiro a Brescia. Mi ha fatto crescere, mi ha fatto diventare forte. Mi ha insegnato tanti valori e a volte, pur nel mio piccolo, mi ha fatto sentire importante. Mi ha dato tanto e sono contento di quello che ho fatto finora.

Perché il Giro d’Italia non ti è piaciuto?

Mi aspettavo di andare più forte, mi aspettavo che tutti raccogliessimo qualcosa in più. Penso che la squadra sia uscita con l’amaro in bocca. E per come sto fisicamente e mentalmente, penso di poterne fare un altro all’altezza. Sia per aiutare i compagni, sia per ritagliarmi uno spazio tutto mio, se c’è proprio la giornata di grazia, e mettere la ciliegina sulla torta e sulla carriera.

E’ stato difficile chiudere la porta sul WorldTour, dopo 8 anni fra Lampre e Astana?

Ci sono treni che passano e in fondo la carriera sta nel salire su quello giusto. Io devo comunque ringraziare Savio, perché nonostante non fossi nel WorldTour, ho sempre fatto un bel calendario, con il Giro e la Tirreno. Essere nel WorldTour è bello, però ad esempio io ho passato l’ultimo anno in Astana: dovevo fare il Giro e non l’ho fatto e così con Tour e Vuelta. E’ bello, però se non trovi il tuo ruolo, è difficile gestire il calendario. E’ ovvio che certe gare come il Fiandre e la Liegi mancano. Le vedi in tivù e ti dici che vorresti essere lì, ma a parte questo si riesce a stare bene lo stesso. E ho visto che anche se sei vecchietto, qualcosa la tiri fuori.