Una delle notizie che riguarda il mondo giovanile è che in questa stagione il team di sviluppo della Q36.5 Pro Cycling non ci sarà più. Tra le figure che lavoravano nella formazione continental svizzera c’era Daniele Nieri, il quale andrà a rimpolpare lo staff della professional. Il diesse svolgerà il solito ruolo di gestione del team e di supporto alle corse, ma avrà anche una nuova mansione: quella dello scouting. Le motivazioni della chiusura della squadra continental non sono ancora note, ma il progetto giovani non perde forza. Qualcosa cambierà, e ce lo racconta lo stesso Daniele Nieri (in apertura insieme a Nahom Zeray, vincitore della Piccola Sanremo 2024, photors.it).
«Nel 2025 passerò alla formazione professional – spiega il diesse toscano – nella quale continuerò a seguire i giovani che hanno proseguito il cammino con noi. In più avrò modo di andare a cercare e vedere le gare juniores e under 23 alla ricerca di ragazzi sui quali puntare».
Sondare il terreno
Quella del ruolo di talent scout non è una novità totale per Daniele Nieri. Il tecnico toscano per anni ha visto e osservato giovani ragazzi in rampa di lancio, li ha seguiti e fatti crescere. Questo compito farà ancora parte delle sue mansioni nella Q36.5 Pro Cycling, ma con una sfumatura diversa.
«Seguirò come diesse – continua a spiegare Nieri – le gare dei nostri giovani, ci sono dei profili interessanti: Joseph Pidcock (fratello di Thomas, ndr), Enekoitz Azparren, Fabio Christen, Nicolò Parisini e Walter Calzoni. Sarò accanto a loro nelle gare alle quali parteciperanno. Ma, il ruolo predominante, sarà quello di scouting. Andrò a vedere le corse riservate ai giovani, quelle di categoria .1 e anche le gare juniores e under 23. cambierà un po’ il target».
In che senso?
Diciamo che sarà più ampio. Non avendo più la formazione intermedia, ovvero quella development, potremo prendere anche corridori elite. Il nostro focus saranno corridori in fase avanzata, già cresciuti o comunque pronti al salto nel mondo dei professionisti.
Cosa cambierà nell’approccio?
All’inizio faremo una ricerca non per trovare corridori ma per monitorare la crescita dei giovani. Raccoglieremo dati, sia psicologici che tecnici, per capire che corridori abbiamo davanti. Studieremo la loro evoluzione, anche di quelli che non correranno con noi. Sarà un lavoro più “curioso” all’inizio, nel quale potrò creare una lista interna di corridori possibili.
Andrai alle corse con quale occhio?
Prima ci andavo per trovare i ragazzi da inserire nel devo team, ora per cercare i profili più interessanti. Alzeremo un po’ l’età media dei corridori che monitoreremo. Restando intorno a ragazzi di età compresa tra i 22 e i 24 anni.
Come mai?
Per due motivi. Il primo è perché ormai è sempre più difficile prendere ragazzi di 18 o 19 anni. Su di loro arrivano i devo team del WorldTour. In secondo luogo perché per alcuni il salto da juniores a professionisti è troppo ampio. Per quel che ho visto in questi anni i giovani italiani hanno bisogno di fare un passaggio intermedio e di correre da under 23. Un progetto interessante è quello della Vf Group-Bardiani, che prende i giovani ma fa fare loro un calendario dedicato.
Pensi sia replicabile?
Difficile. Anche perché i Reverberi riescono a proporre una crescita graduale.
Quella della Q36.5 é una scelta in controtendenza nel momento in cui tutte le squadre inseriscono un devo team.
Vero. Ma bisogna anche essere realistici. Il rischio maggiore è che le formazioni WorldTour arrivino e si aggiudichino i corridori migliori, mettendoli nei devo team. Un altro rischio è che noi come formazione development cresciamo un ragazzo e poi arriva lo squadrone a portarselo via, così non raccogliamo i frutti del nostro lavoro.
Tornando al discorso dell’età, cercherete corridori più maturi?
In generale, anche nel devo team, difficilmente arrivavamo a prendere ragazzi direttamente dalla categoria juniores. E se lo abbiamo fatto erano stranieri, non italiani.
Perché?
I ragazzi italiani a 18 anni non sono pronti a fare la vita da corridore, devono fare un passaggio intermedio. Mentre i giovani stranieri, come gli spagnoli o i colombiani, sono mentalmente predisposti. Però da un lato penso sia meglio tutelare i giovani e proporre loro un percorso più morbido. Fare un anno tra gli under 23 è utile, per attutire il colpo e permettergli di emergere alla lunga. Fornendogli i mezzi per avere carriere durature.