Sembrava che Cian Uijtdebroeks neanche dovesse partire per la cronometro iridata. Invece lo junior belga non solo è partito, ma è stato anche sesto alla fine. Perché non avrebbe dovuto prendere il via? Perché è stato vittima di una rapina in casa. Il malfattore lo ha anche ferito ad una gamba (la destra) nel tentativo di forzare la porta. Una storia incredibile.
Cian è ritenuto da molti l’erede di Remco Evenepoel, anche più del connazionale Alec Segaert. Anche se poi addetti ai lavori e colleghi belgi ci dicono che è sì bravo ma non è paragonabile a Remco. «Pensate solo come ha vinto i mondiali ad Innsbruck», ci dice Guy Van Landeghem. Ma tra i due ci sono delle similitudini. Entrambi vanno forte su tutti i terreni ed entrambi sembrano essere portati per le corse a tappe.
Cian nella mix zone al termine della gara contro il tempo (fatta a 6,1 watt/chilo)Cian nella mix zone al termine della gara contro il tempo (fatta a 6,1 watt/chilo)
Dalla rapina alla crono
«Il giorno della crono – spiega con grande calma Uijtdebroeks – non è stato il mio giorno migliore per quel che riguarda la forma. Ma ho dato tutto lo stesso, credetemi. Con la mente non ero ancora del tutto in gara. Avevo addosso un’adrenalina enorme per quel che mi era successo. E’ stato surreale a tratti. In più, mentre pedalavo guardavo il computerino e vedevo che la potenza tra le due gambe era differente. Spingevo molto di più con la sinistra che con la destra. Si sentiva il problema che avevo avuto».
Cian aveva fatto secondo a Trentino 2021, proprio dietro al compagno Segaert. In cuor suo avrebbe voluto vincere e infatti appena tagliato il traguardo ha ammesso di essere un po’ deluso. Ma è bastata quella manciata di minuti per far raffreddare la mente e si è reso conto che vista la situazione era stato più che bravo.
Cian Uijtdebroeks (a sinistra) e Alec Segaert rispettivamente 2° e 1° agli europei a crono di Trento Cian Uijtdebroeks (a sinistra) e Alec Segaert rispettivamente 2° e 1° agli europei a crono di Trento
Mente alla strada
Il giovane talento belga però è sorridente. Veramente fa impressione vederlo così disteso in volto, sapendo cosa gli è successo. E la crono, lo ammette lui stesso, gli è servita per entrare in clima mondiale e scrollarsi di dosso il fattaccio.
«Un po’ ho sentito la pressione. Corriamo in casa e si aspettano molto da noi. La gara contro il tempo è andata così. In questi tre giorni abbiamo recuperato per la prova su strada e sarà un’altra storia. La crono poi era piatta e non era adattissima a gente del mio peso (poco più di 60 chili, ndr). La gara in linea è più mossa e anche se non sei totalmente in condizione qualcosa puoi fare. A crono invece non puoi nasconderti».
Con lui e Segaer, i belgi si annunciano come gli uomini da battere. Conoscono bene queste strade e hanno il pubblico dalla loro che, credeteci, si fa sentire tantissimo. Lo stiamo constatando di persona ad ogni gara. E anche francesi e danesi non scherzano. Per i ragazzi di De Candido sarà una bella gatta da pelare.
Gli azzurri si sono appena alzati da tavola, il mattino è stato bello ma impegnativo. Nel solo giorno in cui si poteva provare il percorso della corsa su strada, gli uomini di Cassani sono usciti di buon’ora. Da Anversa sono arrivati a Leuven. Si sono preparati. E finalmente hanno iniziato a girare sul tracciato dalle mille curve che nei prossimi tre giorni assegnerà cinque maglie iridate. Clima mite, un po’ di vento. Quando il Belgio ti accoglie in questo modo, ti verrebbe da venirci a vivere. Poi ricordi le giornate gelide d’inverno e ti dici che non è il caso.
Colbrelli: rischio vento
Colbrelli parla poco. Oggi per lui c’è stata una bella razione di chilometri e nell’ottica di arrivare alla corsa senza rimpianti, ogni energia va preservata con cura.
«Provandolo senza traffico – dice – il percorso è molto veloce, ma con tanti rilanci e tante curve. Gli strappi in città non sono duri, sono molto brevi. Invece il circuito a metà, quello dei quattro giri e gli strappi in pavé, è già diverso. E’ abbastanza veloce, ma oggi c’era un po’ di vento in cima agli strappi dove si farà la differenza e lì fa male.
«Fa male – dice dopo una breve pausa – perché se esci dopo la ventesima posizione, sono cavoli. Bisogna correre nelle prime 20-30, altrimenti rischi di rimanere fuori se una squadra attacca».
Per lui che può attaccare e giocarsela in volata, le attenzioni dovranno insomma essere doppie. E comunque vedendolo passare nel tratto cittadino, non è passato inosservato il fatto che abbia provato rapporti e traiettorie. Il campione d’Italia e d’Europa è super concentrato, lo lasciamo al riposino pomeridiano.
Colbrelli e Nizzolo sono due probabili frecce all’arco di CassaniColbrelli e Nizzolo sono due probabili frecce all’arco di Cassani
Trentin: tanto veloce
Però arriva Trentin, che ha ugualmente voglia di riposare, ma si ricorda generosamente degli amici.
«Ero venuto a vederlo dopo il Giro di Slovenia – dice – ma non mi ero reso conto di quanto fosse veloce. Aumenta la velocità e di riflesso aumenta la tecnicità. La prima parte da Anversa sarà il classico trasferimento da Fiandre o da mondiale, a meno che domenica non ci sia vento. Mentre il circuito fuori si farà sentire, ma oggi il vento era… stupido. Contrario in cima al primo strappo, laterale sul secondo e a favore nel venire verso Leuven…».
Se piove, un’altra Glasgow
Par di capire, sentendolo parlare che i giochi si faranno nel tratto cittadino, fra gli strappi e le tante curve del percorso.
«Quando entri in città – dice – resti a lungo nella posizione che hai preso. E con un Van Aert così forte, bisogna stare attenti che il Belgio non provi a portarlo in carrozza sino alla fine. Vedo una volata di gruppetto, su un rettilineo in cui conta avere le gambe più che essere veloci. Ma vedo anche il colpo di mano, perché negli ultimi 7-8 chilometri ogni punto è buono. Non escludo affatto che Van der Poel possa attaccare da lontano, ma non avrà troppa libertà, lo seguirebbero in tanti. E comunque, se va via la fuga, c’è un solo pezzo di 2 chilometri in cui inseguire. Il resto è da mal di testa.
«E se piove, viene fuori un’altra Glasgow (la corsa in cui vinse i campionati europei del 2018, ndr). Non è un problema di asfalto, ma se già sull’asciutto prendi una frustata, figuratevi col bagnato. La vittoria mi ha tranquillizzato, sapevo di stare bene, ma così è diverso. E se serve, la responsabilità della corsa posso prenderla anche io. L’ho sempre fatto».
Trentin arriva ai mondiali di Leuven forte della vittoria al Trofeo MatteottiTrentin arriva ai mondiali di Leuven forte della vittoria al Trofeo Matteotti
Nizzolo, occhio alle scelte
Se Colbrelli e Trentin sono i due guastatori, all’appello non può mancare l’uomo veloce del gruppo, quel Giacomo Nizzolo anche lui campione europeo. Che sta bene, ma va cauto con le dichiarazioni per evitare fraintendimenti.
«Il percorso è molto tecnico – dice – non troppo duro, ma selettivo anche con le tante curve. Verrà fuori una grande selezione, per cui sarà bene non andare più indietro della 40ª posizione, altrimenti diventa veramente difficile. Non so cosa deciderà Cassani nella riunione, ma la sensazione è che sia meglio fare la corsa che subirla. Io sto bene, vedremo che tipo di consegna mi sarà assegnata. E intanto sto pensando ai materiali. Io sono di quelli delle scelte estreme. Cerchi altissimi, gomme gonfie al limite, rapporti lunghi. Forse questa volta, viste le curve e i rilanci dovrò rivedere qualcosa. Ma non la guarnitura, al 54 non rinuncio…».
Il Belgio correrà tutto per Van Aert o Evenepoel farà per sé?
Pogacar ha provato qualche scatto, forse il percorso di Leuven è troppo veloce
E poi c’è “Peterone”, che gira sornione e a Leuven medita il colpo
Il Belgio correrà tutto per Van Aert o Evenepoel farà per sé?
Pogacar ha provato qualche scatto, forse il percorso di Leuven è troppo veloce
E poi c’è “Peterone”, che gira sornione e a Leuven medita il colpo
Puccio, Belgio spaccato
E poi, dopo tre potenziali protagonisti, arriva la fanteria. Chi tira su un percorso così nervoso se c’è da chiudere un buco? Puccio se la ride, non si sa ancora quali saranno le riserve, ma se c’è da lavorare…
«Il percorso in città – dice il luogotenente di lusso del Team Ineos – è veloce e pieno di curve, ma mi preoccupa più il tratto sui muri. Lo fai quattro volte e anche il pezzo di raccordo con la città si fa rispettare. Quando ci sono quelle strade, in Belgio non c’è mai nulla di scontato, soprattutto col vento. Non so se valga la pena entrare nelle fughe o aspettare, dipende da che corsa vuoi fare, perché è lungo (il mondiale misura 268,3 chilometri) e rischi di scoprirti troppo. Bisognerà capire il Belgio, che ha un problema. Non so se correranno tutti per Van Aert, qualcuno pensa che Evenepoel potrebbe attaccarlo. E in quel caso, sommato alla paura di Wout di fare secondo, per noi è un vantaggio. Ma se devo dire, credo che le azioni decisive ci saranno l’ultima volta che si faranno i muri e si rientrerà nel circuito con due giri e mezzo da fare. A quel punto la corsa sarà chiusa per quelli dietro e davanti se la giocheranno…».
Nella ricognizione di stamattina ad un tratto è sfrecciato dietro ad una curva Filippo Baroncini. Di preciso era l’ampio tornante dell’ultimo strappo nel circuito di Leuven e il corridore della Colpack-Ballan ci era arrivato un po’ lungo. Tanto che aveva lanciato un “gridolino” a metà curva, in piena piega. Qualche minuto dopo sono passati gli altri ragazzi.
La gara U23, scatta alle 13:25. Misura 161 chilometri e 1.049 metri di dislivello
Poco dopo Baroncini ecco gli altri azzurri in ricognizione. Qui, lo strappo a meno di 2 chilometri dalla fine
La gara U23, scatta alle 13:25. Misura 161 chilometri e 1.049 metri di dislivello
Poco dopo Baroncini ecco gli altri azzurri in ricognizione. Qui, lo strappo a meno di 2 chilometri dalla fine
Strappi brevi ma duri
«Eh, non me l’aspettavo una curva così – ci racconta Baroncini a meno di 24 ore dalla sua prova – Ero al primo passaggio in assoluto su questo circuito. E cosa dire: è un bel percorso. Su carta non sembra duro, ma alla fine verrà fuori una corsa tosta, tirata e con tanta selezione. Una selezione che si farà soprattuto nel circuito più grande, quello fuori Leuven. Lì gli strappi non sono troppo lunghi, ma duri, duri. E le differenze si faranno soprattutto sul falsopiano a seguire».
Baroncini parla di strappi, ma lo incalziamo dicendogli che sì sono duri, ma forse sono sin troppo brevi. A parte quello tipico della Freccia del Brabante, che tra l’altro è anche in pavé, poi difficilmente si supera il centinaio di metri di lunghezza.
«Per me però, per la nostra categoria almeno, faranno selezione e nel finale si faranno sentire. Per esempio quello ai meno 6 chilometri dall’arrivo in città non è facile, certo non è super ripido ma potrebbe decidere la corsa. Quello è uno dei pochi punti in cui togli il 53. Lì, sullo strappo dritto, il più tosto, nel circuito Flanders e nello strappo più lungo in pavé (quello del Brabante, ndr)».
«Io credo sia importante essere davanti, perché tante volte si passa dalla strada larga a quella stretta. La differenza la fai soprattutto nell’uscita dalle curve, che sono tante: se sei intorno alla decima posizione okay, ma se ti ritrovi 30°-40° poi diventa dura».
Nella crono iridata dell’altro giorno Baroncini è arrivato al nono posto a 57″ dal vincitoreNella crono iridata dell’altro giorno Baroncini è arrivato al nono posto a 57″ dal vincitore
Condizione al top
«Come mi sento? Molto bene. E’ la miglior condizione di quest’anno di sicuro. L’altro giorno nella crono ho fatto registrare i miei record di potenza in assoluto e non a caso ho fatto nono. L’aver corso con i grandi come alla Sabatini mi ha dato quel pizzico di sicurezza in più».
Baroncini infatti con la maglia azzurra ha disputato la Coppa Sabatini e lì ha chiuso al quarto posto, ma tenendo fino all’ultimo le ruote di gente come Valgren e Colbrelli.
Intanto lui si dice tranquillissimo. E’ sereno e come impone il “manuale del buon corridore” sta vivendo questa vigilia riposandosi “gambe all’aria” in hotel. Dove divide la camera con Marco Frigo.
Frigo (a sinistra) e Baroncini (a destra) in camera con le gambe all’aria… dopo la ricognizione di stamattinaFrigo (a sinistra) e Baroncini (a destra) in camera con le gambe all’aria… dopo la ricognizione di stamattina
Tanto lavoro
Quando un corridore arriva al top nel momento clou significa che ha lavorato bene e che anche mentalmente può stare, meritatamente, sereno. E Filippo sa bene di aver fatto il suo.
«Quest’anno ho corso davvero tanto. Giro U23, Avenir, poi il ritiro al Sestriere, il Giro del Friuli… per allenarsi c’è poco tempo. Ma soprattutto prima del Giro e dell’Avenir ho fatto molti allenamenti a sfinimento, di quelli massimali che ti distruggono sul piano fisico, ma ti tranquillizzano mentalmente. E sei fiero di averli fatti».
«Questo dovrebbe essere l’ultimo anno – dice Carminati e la voce un po’ trema – poi probabilmente non vedrete più il pullman della Mapei ai mondiali».
Finite le crono, la carovana si sposta da Bruges a Louvain e anche il pullman blu con i cubetti ha preso la via della cittadina universitaria alle porte di Bruxelles, in cui si svolgeranno le prove su strada. Giacomo Carminati, bergamasco di 69 anni, è la faccia dell’azienda milanese. Lo era accanto a Giorgio Squinzi e lo è diventato a maggior ragione da quando il dottore se ne è andato. Il pizzo ormai bianco, la solita simpatia coinvolgente, il sorriso gentile. Chiusa la squadra, Mapei allestì il pullman per portare il marchio in giro per l’Europa e Carminati smise di trasportare corridori e cominciò ad accogliere clienti e uomini d’affari. Ma voi avete idea di quanti e quali campioni hanno viaggiato con lui dal 1994 al 2003?
La campagna del Nord era un momento chiave: qui nell’ArenbergLa campagna del Nord era un momento chiave: qui nell’Arenberg
Testimone privilegiato
I guidatori dei pullman sono i testimoni della storia. Nei loro mezzi si respirano le grandi vigilie e le tensioni, i brindisi e le cocenti sconfitte. Se potessero raccontare tutto, le loro storie sarebbero best seller, ma hanno fatto voto di discrezione e per questo i corridori li adorano. Nei giorni scorsi sono passati di qui Johan Museeuw e Paolo Bettini e l’abbraccio riservato a Carminati è stato quasi toccante. Vi abbiamo raccontato di Federico Borselli e di Ezio Bozzolo, ma nessuno ha l’esperienza del bergamasco. Che lavorava alla Gatorade di Stanga e un bel giorno ricevette una telefonata…
Una telefonata che ti cambiò la vita?
Potete dirlo forte. Era novembre del 1993 e mi chiamò Marco Giovannetti, che era stato con noi fino all’anno prima. Mi disse che c’era un grosso sponsor di nome Mapei che era interessato a me per gestire il parco automezzi e mi chiese se volessi incontrarlo. Fu così che vidi per la prima volta Giorgio Squinzi, che aveva già deciso di entrare nel ciclismo. Conversammo a lungo e trovammo l’accordo, ma non dicemmo una parola sui soldi. Seppi in seguito che quando uscii chiamò l’amministrazione e disse di darmi qualunque cifra avessi chiesto.
Ricordi il primo pullman?
Ne trovammo uno usato di due anni e lo facemmo allestire dalla Vas a Firenze. Ero giù quattro giorni a settimana per seguire i lavori e così nacque il pullman che utilizzammo dal 1994 al 2002. Nel 2006 invece se ne fece un altro per i mondiali di calcio, quando Mapei sponsorizzò la nazionale.
Quanti corridori sono saliti sul tuo pullman?
Impossibile dirli tutti. Da Rominger a Ballerini, Tonkov, Bettini, Bartoli, Museeuw, Tafi… Quanti sono stati i campioni della Mapei? Erano tutti miei corridori e non ho mai avuto una discussione. O meglio, una c’è stata e con il mio corridore preferito: Gianni Bugno, che per me era Dio in terra.
Ballerini ha vinto la prima Roubaix, Bortolami si congratula, Carminati è lìBallerini ha vinto la prima Roubaix, Bortolami si congratula, Carminati è lì
Oddio, che cosa gli hai fatto?
Che cosa fece lui a me… Si arrivava in salita in una strada stretta, pioveva. I pullman non potevano salire, per cui mi feci prestare un’auto dall’hotel e andai su ad aspettarlo. Lui voleva vincere, ma finì dietro Fondriest. Quando tagliò il traguardo, mi chiese dove fosse il pullman e quando sentì che non c’era, cominciò a urlare davanti a tutti. Mi ferì. A cena gli dissi di non permettersi mai più, che sennò li avrei lasciati tutti in mezzo alla strada. Lui capì, si scusò e mi diede un abbraccio.
Come mai tanta intesa?
Forse perché ho corso fino ai dilettanti, prima che un incidente mi costringesse a smettere e quindi capisco i sacrifici che fanno. Facevo 180 giorni all’anno in giro sul pullman, con tante soddisfazioni e guidando, che era la mia passione. Prima di arrivare al ciclismo, avevo fatto sei anni guidando i bus turistici.
Il pullman è sacro?
La prima cosa che dicevo ai corridori era di badare alla pulizia e devo dire che ci sono stati sempre attenti, forse sapevo farmi rispettare. Con alcuni poi si creava un legame speciale, con Rominger per esempio. Voleva che gli preparassi io il rifornimento con la banana pelata, perché i massaggiatori la facevano la sera prima e quando apriva la stagnola, era annerita. E poi voleva che andassi io agli arrivi, facevo anche quello.
Ballerini?
Mi ricordo un anno, forse proprio il 1994, in cui si ritirò dal Giro per l’allergia. Continuavo ad andare nella sua stanza per vedere come stesse e lo trovavo sempre con un asciugamano sulla testa. Continuai a seguirlo anche quando prese la passione dei rally. Una volta tornavamo verso casa con l’ammiraglia della nazionale e gli chiedevo perché mai insistesse a rischiare con le corse. E lui rispose che aveva comprato quel famoso collare che gli avrebbe dovuto salvare la vita…
Festa Mapei per la vittoria della Roubaix di TafiFesta Mapei per la vittoria della Roubaix di Tafi
Si interrompe. Gli sguardi si incrociano. Lo ricordiamo a Roubaix quando Franco vinse per la prima volta sulle pietre. Certe ferite fanno fatica a guarire.
Ti ricordi le prove alla Foresta di Arenberg?
Li portavo là, si cambiavano, prendevamo il caffè con i giornalisti che ci aspettavano e poi partivano per fare il finale. La campagna del Belgio era bellissima, si stava bene. Respiravi aria di ciclismo. Ci sarebbe stato bene anche Ganna in quella squadra, è un ragazzo favoloso. L’altro giorno è venuto a prendere il caffè anche suo padre, assieme a Giovanni Lombardi.
E Bettini?
Ricordo la prima Liegi che vinse. Mi abbracciò e si mise a piangere. Quel giorno iniziò la sua scalata. A Paolo sono molto legato, ogni volta che vado in Toscana, passo a trovarli tutti. Ho dormito nell’agriturismo di Tafi, ma quando ho provato a pagare ha detto che si sarebbe offeso. Ho dormito anche nell’hotel di Giovannetti, ma non mi sono fatto riconoscere. Il giorno dopo l’ho trovato a colazione e gli ho fatto una sorpresa. Sono rimasto tutto il giorno, mi ha portato a vedere l’hotel che stava per comprare.
Cosa ricordi del dottore?
Squinzi veniva tutte le domeniche a casa mia e uscivamo in bici. Era appassionato, aveva le nostre stesse sensazioni prima di una gara. Gli piaceva vedere l’impegno e la preparazione dei corridori. Aveva un modo di fare talmente garbato che riusciva a stare in mezzo a loro senza farsi notare e quando parlava, ci dava una carica pazzesca.
Dici che sarebbe mai tornato al ciclismo?
Credo di sì. Quando successe la positività di Garzelli, mi chiamò e mi disse che il giorno dopo avrei letto sui giornali che la Mapei chiudeva a fine anno. Voleva che lo sapessi da lui, era rimasto troppo deluso. Quando si seppe, Zabel venne a propormi di lavorare per la Telekom, ma il dottore si inventò il pullman commerciale e rimasi. Sono convinto che sarebbe rientrato, se ne parlava continuamente. Gli mancava la bici, era contento di uscire con noi perché con i miei amici non si parlava di lavoro. Glielo dicevamo di curarsi, lui continuava a rimandare finché non fosse finito il mandato in Confindustria.
Il racconto di una vita in Mapei, con Carminati nel salottino del “suo “pullmanIl racconto di una vita in Mapei, con Carminati nel salottino del “suo “pullman
Quando l’hai visto per l’ultima volta?
Andai a trovarlo nel 2019 prima dei mondiali di Harrogate assieme a Bugno. Era contentissimo, mi abbracciò. Poi a un certo punto ci disse di andare perché doveva prendere le sue medicine e aggiunse che non ci saremmo più visti. Sono stato per tre giorni con il mio camper fuori dalla camera ardente.
Cosa sarà di questo pullman?
Se viene confermato che non serve più, penso che sarà venduto. E’ l’ultimo superstite di una grande storia, tutti vengono a trovarci, perché è la casa di tutti. Quando arrivavamo i primi anni, si spostavano per lasciarci passare e applaudivano. Per i corridori era una comodità.
Se lo vendono, chissà quanti segreti porterà con sé…
Ho sempre assistito a tutto, so tante di quelle cose… Sembrava una famiglia più che una squadra, difficilmente c’erano discussioni. Poi le radioline hanno un po’ cambiato le cose, togliendo di mezzo l’improvvisazione. Ma se lo vendono, ai mondiali non rinuncio. Continuerò a girare col mio camper. In qualche modo continueremo a salutarci ogni anno…
I corridori, e i cronoman ancora di più, hanno sempre l’occhio lungo sui dettagli tecnici. Cosa c’è di nuovo e cosa potrebbe cambiare. E anche in questi mondiali è stato così. Ed Edoardo Affini, che uno specialista dalla A alla Z, più di un occhio ce lo ha buttato su quel che si è visto nelle crono di Flanders 2021.
La probabile scarpa che ha utilizzato Van Aert in questa seconda parte di stagione, con il Boa posterioreLa probabile scarpa che ha utilizzato Van Aert in questa seconda parte di stagione, con il Boa posteriore
Attenzione ai dettagli
«Non è facile poter scovare piccole differenze soprattutto a fine stagione – spiega Affini fresco di bronzo nel team relay – Si cerca sempre di stare attenti a quel che usano o fanno gli avversari, ma il più delle volte è difficile captare qualcosa a vista. Dietro ad una scelta tecnica, ad una posizione, ad un protocollo di riscaldamento… c’è tanto lavoro e i dettagli fai fatica a vederli sul momento. E fai fatica proprio perché sono dettagli.
«Certo la novità tecnica che ha fatto più rumore è quella di queste scarpe di Van Aert, ma sinceramente non so chi gliele produca, se sia Shimano o se Wout abbia trovato accordi con altri. Però posso dire che una scarpa simile l’avevo usata quando ero in Scott ed una scarpa che viene dal triathlon».
La differenza fra un manubrio da crono moderno, con protesi personalizzate…
E uno “vecchio” stile
La differenza fra un manubrio da crono moderno, con protesi personalizzate…
E uno “vecchio” stile
Le tendenze della stagione
«Per quanto riguarda le tendenze dell’ultimo anno, queste riguardano senza dubbio i manubri: tutto il manubrio o solo le estensioni – riprende Affini – Si va verso una personalizzazione con lo stampo del tuo braccio. In questo modo sono più aderenti, più aerodinamiche ma anche più confortevoli. Si cerca di rendere comoda una posizione aero che poi di fatto comoda non è. E per questo c’è bisogno di allenarsi tanto e anche questo fa parte dell’evoluzione.
«So che il prossimo anno ci lavorerò anch’io su questo “settore”. Quest’anno in squadra tra chi doveva vincere Tour e Olimpiadi chiaramente c’erano delle precedenze. Il team aveva cambiato bici, è passata a Cervelo, e serviva del tempo per adattarsi e rivedere i componenti».
Il casco Poc Tempor ricorda molto quelli di “Guerre Stellari” e per questo è stato ribattezzato Ufo dai corridoriIl casco Poc Tempor ricorda molto quelli di “Guerre Stellari” e per questo è stato ribattezzato Ufo dai corridori
Gomme, caschi e guanti
Ieri proprio poco prima del via, un tecnico della Jumbo-Visma ha dato un paio di ruote (basse con tanto di tre camere d’aria ad Affini), ruote che avrebbe portato a casa per allenarsi. E anche il settore delle gomme è in evoluzione. Pensate che solo ieri i nostri tre cronoman avevano tre tipologie differenti di gomme: Sobrero il tubolare, Ganna il copertoncino e Affini il tubeless.
«La tendenza è il tubeless – dice Affini – Io uso quelli e mi trovo molto bene. Consentono di utilizzare meglio sezioni più larghe. Noi in Jumbo, usiamo il 25 millimetri. E anche questa scelta tecnica di preferire una sezione maggiorata è derivata da studi fatti in galleria».
E poi ci sono i particolari. I caschi, che secondo Affini, hanno code sempre più corte e tendono a somigliarsi di più. «Ad eccezione del Poc – conclude Edoardo – Noi lo chiamiamo il casco da Ufo! E’ più largo. Dicono vada molto bene, ma incide un po’ sulla posizione, che resta un po’ fissa».
Ci sono stati due momenti ben precisi nella gioia di Tony Martin durante il pomeriggio di Bruges. Prima quella selvaggia quando le ragazze olandesi hanno tagliato il traguardo e la Germania ha urlato per la certezza dell’oro nella Mixed Team Relay. E uno più dolce, che gli ha inumidito gli occhi, quando sul palco il tedesco ha riconosciuto nuovamente le note dell’inno tedesco.
L’ultima volta era successo a Doha nel 2016, al termine del suo ciclo da dominatore delle crono. I quattro mondiali e le incontrastabili esibizioni contro il tempo non avevano ammesso a lungo alcuna replica. Ma ormai alle sue spalle spuntavano Dumoulin, Dennis e ora Ganna. E proprio voltandosi a sinistra e riconoscendo la sagoma del gigante azzurro, Martin ha sorriso di orgoglio.
La Germania degli uomini è andata forte, ma il capolavoro l’hanno fatto le ragazzeLa Germania degli uomini è andata forte, ma il capolavoro l’hanno fatto le ragazze
Si corre per l’oro
Si era avvicinato ai mondiali chiedendo una medaglia qualsiasi nella crono individuale e l’oro nella staffetta mista. La prima gli è sfuggita per 34 secondi, ma oggi non ha sbagliato. E i compagni di nazionale hanno confermato di aver dato anche più di quel che avevano per esaudire il suo ultimo desiderio da corridore.
«Oggi l’obiettivo non era fare del nostro meglio – racconta – ma vincere l’oro. Avevamo una buona forma e anche se l’Italia era favorita, sapevamo che le nostre ragazze erano fortissime. Il mondiale è sempre stato l’high-light della mia stagione per la sua atmosfera, per questo ho deciso che volevo esserci. Soprattutto in Belgio, dove il tifo è straordinario. C’era una folla incredibile domenica nella crono e anche oggi mi sono goduto ogni momento. Anche i minuti in cui eravamo sotto la tenda ad aspettare il risultato. E quando è stato chiaro che avessimo vinto, tutti gli altri sono venuti da me a complimentarsi e augurarmi il meglio per il futuro. Non è stato un giorno triste, è stato semplicemente perfetto».
Quest’anno Martin ha centrato il 10° campionato nazionaleQuest’anno Martin ha centrato il 10° campionato nazionale
Stanco di rischiare
La notizia del ritiro l’ha ormai masticata e digerita, anche se questo è il momento in cui si rende conto che non ci saranno più per lui momenti come questi, se non altro nella veste di atleta.
«Negli ultimi mesi – spiega – ho pensato di più a cosa verrà dopo il ciclismo. Le brutte cadute di quest’anno mi hanno anche fatto dubitare di essere pronto per continuare ad affrontare i rischi che il nostro sport comporta. A causa dell’ultima devo ancora mangiare prevalentemente cibi liquidi e posso a malapena addentare un frutto di bosco. Il ciclismo ha smesso di sembrarmi divertente, soprattutto pensando che ho due figlie. Adesso mi servirà un po’ per capire cosa sta succedendo. Stasera voglio godermi le emozioni della vittoria e poi quando sarò solo a casa mia, avrò il tempo per pensare alla mia carriera. In casa non ho maglie né trofei, ma forse verrà anche il momento di esporli».
Il primo mondiale nel 2011 a Copenhagen, davanti a Wiggins e Cancellara
Il secondo mondiale di Tony Martin arriva nel 2012 nel Limburgo
Il tris è servito a Firenze, Tony Martin corre con la Omega-Pharma
Il poker a Doha nel 2016, dopo tre anni di buco
Il primo mondiale nel 2011 a Copenhagen, davanti a Wiggins e Cancellara
Il secondo mondiale di Martin arriva nel 2012 nel Limburgo
Il tris è servito a Firenze, Martin corre con la Omega-Pharma
Il poker a Doha nel 2016, dopo tre anni di buco
Grazie a Cancellara
Le domande si susseguono e lui intanto con lo sguardo scruta la vastità della sala stampa ricavata nel backstage dell’immenso auditorium della città.
«Ogni titolo – dice – è nella mia testa, ricordo ogni corsa come fosse ieri. Ricordo Cancellara e lo ringrazio per i nostri duelli che in certi giorni hanno reso le crono meno noiose. Ricordo anche Bradley Wiggins. Ma il ciclismo ultimamente è diventato uno sport diverso. E’ cambiato il modo di allenarsi. Le potenze sono più alte di dieci anni fa. Grazie alla scienza i corridori sono migliorati. E lo vedi dai giovani, che sono subito pronti per competere con i migliori. Anche per questo forse è maturo il tempo per dire addio ed essere onesti con la mia famiglia, con i miei compagni e i miei tifosi».
I compagni di nazionale hanno dato il massimo per l’ultima recita di Tony MartinI compagni di nazionale hanno dato il massimo per l’ultima recita di Tony Martin
L’atmosfera perfetta
E così si conclude il viaggio nel ciclismo di Tony Martin, l’uomo dei quattro mondiali e delle infinite sfide contro il tempo e forse modo migliore per salutare non c’era.
«E’ stato sicuramente un anno difficile – dice – uno dei più difficili di sempre. E’ stato segnato da cadute, rimonte e combattimenti, non è stato sicuramente soddisfacente. Ma non è stato un anno di sofferenza per me. Mi sono divertito e sono stato in grado di lottare ancora. Oggi però è stato il giorno più emozionante della mia carriera. Nel 2016 vinsi il mondiale in Qatar e fu un grande ritorno che sapeva di orgoglio. Il 2011 fu l’oro della prima volta. Ma vincere oggi in combinazione con gli altri in questo mondiale è stato molto emozionante, l’atmosfera giusta per l’ultima volta».
E quando poi fa per andarsene, la sala stampa esplode in un applauso, il tributo a un atleta sempre corretto, capace di guardarti negli occhi per qualsiasi argomento e di riconoscere il merito ai rivali. L’emozione è di nuovo fortissima. Tony saluta, la camminata fino alla porta sembra durare una vita. Di sicuro nel suo petto gonfio d’orgoglio e malinconia porterà anche quest’ultimo battere di mani.
Cian Uijtdebroeks ha vissuto un avvicinamento particolare alla crono iridata. E' stato vittima di un'aggressione in casa. Ha fatto appena in tempo a ritrovare la concentrazione...
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Cinque centesimi. Appena cinque centesimi ci hanno permesso di salire sul podio. I beffati sono stati gli svizzeri. Alla fine quei sorrisi del mattino hanno portato bene. La nazionale dei ragazzi e delle ragazze ce la siamo gustata nell’arco di tutta la giornata. La sgambata della mattina, l’attesa, il riscaldamento, la gara, il podio.
Dopo l’oro di Ganna si torna a casa con un’altra medaglia, un bronzo. Un bronzo prezioso. E un podio misto uomini e donne, in una squadra composta da sei persone è un bel termometro di quel che sta diventando questa specialità in Italia. Non ci si riferisce ad un singolo elemento, al Ganna che fa discorso a sé. Anche se c’è tanto da lavorare. Ma per i discorsi “tecnico-politici” c’è tempo.
Ganna stamattina nella “sgambata” sui rulli. Alle sue spalle si notano Elena Cecchini e Marta Cavalli, anche loro sui rulli
Elena Cecchini e Marta Cavalli al termine della sessione mattutina
Poco dopo entrano in hotel anche Ganna, Elisa Longo Borghini, Affini e Sobrero
Ganna stamattina nella “sgambata” sui rulli. Alle sue spalle si notano Elena Cecchini e Marta Cavalli, anche loro sui rulli
Elena Cecchini e Marta Cavalli al termine della sessione mattutina
Poco dopo entrano in hotel anche Ganna, Elisa Longo Borghini, Affini e Sobrero
Tra rulli e sgambata
Stamattina Ganna, Elena Cecchini eMarta Cavalliavevano optato per i rulli (con Vasco Rossi a fare da sottofondo), mentre Sobrero, Elisa Longo Borghini ed Affini avevano preferito la classica sgambata. I primi hanno fatto mezz’oretta o poco più, i secondi un’ora. Ma hanno finito tutti più o meno verso le 11. Il tempo di un po’ di relax, un leggero massaggio e alle 12 tutti a pranzo.
Poi le ragazze hanno preso la via di Bruges, visto che era lì che avveniva il cambio, mentre i ragazzi sono rimasti a Knokke-Heist. E verso le 14:30 eccoli arrivare al bus. Dove spariscono per la riunione tecnica. Un ultimo ripasso con Marco Velo.
Gli azzurri iniziano il riscaldamento. L’atmosfera è ancora scherzosa
Svizzeri super concentrati in fase di riscaldamento. Alla fine perderanno il podio per 0,05 secondi
Gli azzurri iniziano il riscaldamento. L’atmosfera è ancora scherzosa
Svizzeri super concentrati in fase di riscaldamento. Alla fine perderanno il podio per 0,05 secondi
Riunione e dettagli
«Cosa si dice in una riunione così? Si ripassa quel che si è fatto e visto nelle prove – spiega Velo – Abbiamo provato il percorso due volte. Sostanzialmente si è parlato delle curve da fare. Ce n’erano alcune nuove rispetto alla crono individuale. I ragazzi le hanno provate più volte per verificare la velocità d’entrata. E si è parlato della partenza. Sobrero si sarebbe “occupato” di quelle più strette in fase di avvio. Anche se la prima tirata l’avrebbe data in modo “dolce” Ganna.
«Poi sono professionisti, sanno bene cosa fare. Si parlano in corsa. In ogni caso Ganna e Affini dovrebbero fare trenate di 40” e Sobrero di 20”-30” a seconda delle gambe. L’importante è che diano tutto. Come ha fatto De Marchi a Trento. Quando senti che ti stai per staccare passi in testa e segnali che è l’ultima tirata. Magari è breve ma rialzi un po’ la velocità».
Il primo a scendere al riscaldamento è proprio il campione italiano, Sobrero. Poco dopo lo seguono Ganna e Affini. Ganna chiede una sedia per appoggiarci le borracce mentre esegue i suoi classici 25′ di riscaldamento.
«Sobrero – riprende Velo – scherzando ha detto a quei due giganti: ohi, ditemi quando c’è una curva che dietro di voi non vedo niente! Seguirli non è facile, neanche per me. Soprattutto da quando c’è Pippo che ha alzato l’asticella. Lui in ricognizione segna ogni dettaglio del percorso. L’altro giorno nelle crono individuale avevo due fogli di appunti: curva a destra da fare in posizione; tombino sulla sinistra… ».
Intanto le altre nazionali si recano in partenza. Non lontano dal bus azzurro griffato Vittoria, ci sono i tedeschi. In casa Svizzera invece regna grande silenzio. Mentre gli olandesi e i danesi sono molto lontani dal bus azzurro e hanno due camper più piccoli a supporto. Ma si sa: contano le gambe. I meccanici ci dicono che le bici dei nostri sono identiche a quelle utilizzate nelle crono individuali. Pippo, ha solo cambiato colore e ha preso la Pinarello Bolide “verde coleottero”. Una scaramanzia sostanzialmente ci confida Matteo Cornacchione, il suo meccanico.
Filippo Ganna, Matteo Sobrero ed Edoardo Affini: i tre azzurri hanno siglato il miglior tempo al cambioFilippo Ganna, Matteo Sobrero ed Edoardo Affini: i tre azzurri hanno siglato il miglior tempo al cambio
Tre siluri su Bruges
Come da copione i nostri due “bestioni”, Ganna e Affini, spingono in modo feroce. Sobrero fa il suo e poi si stacca. Il tempo è preso sul secondo e al cambio di Bruges, quando passano sull’arrivo il colore del cronometro è verde. Italia in testa.
«Sapevamo che sarebbe stata una gara dura – ha detto Ganna – e dovevamo dare il cambio alle ragazze con il maggior margine possibile. Bisogna fare i complimenti a Sobrero che pesa 20 chili meno di me e Affini ed ha fatto una grandissima prova. Senza contare che oggi c’era anche un bel po’ di vento».
«E’ un piacere avere due compagni di squadra come Pippo ed Edoardo, ma è anche molto difficile tenerli. Sono in grado di produrre velocità altissime e io devo fare un grande sforzo», ha aggiunto Sobrero.
I nostri e le nostre sul podio. Un bronzo che fa ben sperare per la disciplina in Italia
L’Olanda ha recuperato molto terreno nella frazione femminile
I nostri e le nostre sul podio. Un bronzo che fa ben sperare per la disciplina in Italia
L’Olanda ha recuperato molto terreno nella frazione femminile
Grinta rosa-azzurra
E poi è toccato ad Elisa, Elena e Marta. E a proposito di pesi leggeri, per loro non sarebbe stato facile con tanta pianura tenere a bada tedesche e olandesi.
«Grande souspence fino alle fine. Siamo riusciti a sopravanzare la Svizzera per pochi centesimi – dice il cittì Salvoldi – E’ un premio per tutti. Ragazzi e soprattutto ragazze, perché prendere 2” a chilometro dalle tedesche è come vincere. Le nostre proiezioni ci dicevano che potevano essere anche peggiori. Hanno tirato fuori l’anima. E anche con un pizzico di fortuna è arrivato questo podio. Ci tenevano molto.
«Cinque centesimi è impossibile andarli a “trovare” – riprende Salvoldi – Magari è stata l’ultima pedalata a fare la differenza».
«Difficile dirlo – gli fa eco Elisa Longo Borghini – probabilmente li abbiamo ripresi nella parte finale. Abbiamo fatto una super prestazione». «Io invece – dice Marta Cavalli – sono rimasta super concentrata tutta la gara: posizione, sforzo, quello che dovevo fare… ma quando siamo rimaste in due ho sentito la responsabilità di tagliare il traguardo insieme ad Elisa». «Sapevamo che c’erano 3-4 squadre più forti di noi – ha chiuso Elena Cecchini – Ma siamo contenti e questi ci sprona a dare sempre di più e a lavorare in questa disciplina. E poi credo al karma, due anni fa abbiamo forato, stavolta è andata bene a noi».
Le strade nella campagna fra Bruges e il mare sembrano dipinte. Casette senza recinzioni. Alberi e zone in ombra lungo i canali. Cavalli e mucche che trascorrono placidamente il tempo. Eppure, per un motivo che sarà difficile decifrare, sabato in questo quadro idilliaco di pace e verde, Chris Anker Sorensen ha perso la vita mentre era sulla bici che, pur avendo smesso di correre, portava sempre con sé.
«Amico dolce, premuroso e talentuoso – scrive Brian Nygaard su Twitter, addetto stampa alla Saxo Bank – è insopportabile pensare che non ci vedremo mai più. Eri sempre lì per tutti gli altri, anche quando stavi facendo le cose più belle per te stesso nella tua vita e nella tua carriera. Riposa in pace, Chris Anker Sorensen. Non c’è consolazione, solo amore».
Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)
Gregario col sorriso
Vinse la tappa del Terminillo al Giro d’Italia del 2010. Raramente gli riusciva di alzare le braccia, pur essendo uno di quelli sempre all’attacco, quando non aveva da aiutare il capitano. Quella volta staccò Simone Stortoni e Xabi Tondo, altro gregario dal sorriso che l’anno dopo avrebbe incontrato una fine anche peggiore. Nel 2008 invece era arrivato da solo a La Toussuire, nel Delfinato vinto da Valverde su Cadel Evans.
Però sapeva far vincere e nella Saxo Bank in cui corse gli anni migliori, non mancarono le occasioni di fatica per condurre il capitano al successo. Come alla Vuelta 2014 al fianco di Contador e il Tour del 2010, quello vinto da Contador sulla strada e poi passato a Schleck per la squalifica dello spagnolo.
E Chris Anker Sorensen era sempre pronto agli ordini di Riis, con il suo sorriso sempre in faccia. Danese che sapeva anche lasciarsi andare al confronto del ben più gelido team manager.
Alla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto ContadorAlla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto Contador
La casa a Lucca
Il dolore ha viaggiato subito sui social e ha riportato alla memoria altre storie identiche. Un uomo giovane che stava vivendo la sua passione e lascia a casa una moglie e due bimbe.
«Penso proprio alle sue bimbe – racconta Pino Toni, che di Sorensen fu a lungo l’allenatore – perché mia figlia faceva loro da baby sitter. Aveva comprato casa fuori le mura di Lucca, una bifamiliare col suo giardino intorno. La moglie aveva preso l’aspettativa dal lavoro per seguirlo in Toscana, poi quando finì di correre decisero di tornare in Danimarca. Io l’ho conosciuto che era già in Toscana e so che mi riteneva un amico. Di noi toscani aveva preso il gusto di mangiare, ma essendo un corridore alle dipendenze di Bjarne Riis non era il tipo che esagerava. Non faceva chissà quale vita fuori dalla bici, stava tanto in famiglia. Avevamo legato molto, per come si può legare con un danese».
Bennati e l’altro Sorensen
Ricorda Daniele Bennati, che con Sorensen ha corso quattro anni, che si era così radicato in Toscana da aver preso anche delle sfumature dell’accento.
«Assieme a lui – ricorda Daniele – abbiamo vinto la Vuelta del 2014 con Contador. Era uno di quei corridori che un capitano vorrebbe averse sempre, Alberto compreso. Dio solo sa quante borracce e quanti chilometri in salita gli toccò tirare, mentre Tosatto e io facevamo il lavoro in pianura. Sabato ero nel Chianti alla partenza della Gran Fondo Gallo Nero e c’era anche Rolf Sorensen, il “biondo”. Era distrutto. Il fatto era appena successo. Doveva andare anche lui in Belgio per commentare i mondiali e raccontava che la tv danese avrebbe lasciato ai suoi uomini la possibilità di scegliere se andare o fermarsi qualche giorno per assorbire il dolore».
La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)
Guida per i giovani
L’altro giorno il vincitore danese della cronometro under 23, Johan Price-Pejtersen, ha parlato di Chris Anker come di un’ispirazione per i giovani ciclisti danesi.
«E lui proprio con i giovani dava il meglio – ricorda ancora Pino Toni – perché riusciva a spronarli in modo incredibile. Ricordo che mi trovai a fare il direttore sportivo da solo nel Giro di Polonia del 2013 che partiva dal Trentino. E ricordo che grazie a lui riuscimmo a prendere la maglia di leader con Majka in cima al Pordoi, dove finiva la prima tappa. Chiaro che dei morti si parla sempre bene, ma lui era bravo davvero. L’ultima volta che l’ho visto, eravamo alla Vuelta del 2019 e mi fece un’intervista sui sistemi di navigazione delle ammiraglie».
I corridori danesi che finora hanno brillato ai mondiali del Belgio hanno rivolto una parola al gioviale gregario di 37 anni che proprio per raccontare meglio i percorsi delle cronometro che sarebbe iniziate di lì a poche ore, nella mattinata di sabato 19 settembre aveva deciso di percorrerne in bici i chilometri. In un bel mattino fresco di sole, che annunciava ignaro un’altra giornata meravigliosa…
Con la seconda media di sempre fra gli juniores, il danese Gustav Wang ha vinto la cronometro individuale degli juniores. Ha coperto i 22,3 chilometri da Knokke-Heist a Bruges in 25’37” alla media di 52,232 spingendo come massimo rapporto il 52×14. Meglio di lui fece nel 2005 un altro gigante di nome Marcel Kittel, che a Salisburgo conquistò la maglia iridata degli juniores percorrendo i 23,5 chilometri alla media di 54,757. Per dare l’idea della grandezza del risultato, nella crono di ieri fra gli under 23, un altro danese di nome Johan Price Pjetersen ha fatto registrare la media di 52,721, sulla distanza di 30,1 chilometri, ma avendo da spingere tutti i rapporti di questo mondo.
Joshua Tarling, Gustav Wang, Alec Segaert, questo il podio della crono junioresJoshua Tarling, Gustav Wang, Alec Segaert, questo il podio della crono juniores
Emozione e mascherina
Quando arriva davanti ai microfoni, Wang è molto emozionato. Parla a strappi, tronca le frasi e la mascherina sul volto rende anche difficile cogliere la mimica facciale.
«Sono partito tra i primi – dice – e questo probabilmente è stato un vantaggio. Al via ero molto nervoso, poi ho preso subito un buon ritmo, su un percorso che si è rivelato molto veloce. Era il più grande evento cui prendevo parte da tempo, dato che quelli prima sono stati tutti cancellati. E’ stato bello sentire l’incoraggiamento del pubblico. Finalmente ho trovato una buona condizione. Ai campionati nazionali di giugno sono arrivato secondo a causa di un intervento alle tonsille, ma oggi mi sono rifatto. La vittoria di ieri di Price Pjetersen mi ha motivato, mi ha consigliato di tenere bene il ritmo nel tratto finale in pavé. Ma in Danimarca non abbiamo una scuola di crono. Ci sono tanti buoni specialisti, che imparano l’uno dall’altro…».
Wang ha vinto la crono con la seconda media di sempre fra gli juniores: 52,232
Joshua Tarling, Gran Bretagna, secondo a 20 secondi da Wang
Segaert ha corso da campione europeo e ha colto il terzo posto a 29″
Wang ha vinto la crono con la seconda media di sempre fra gli juniores: 52,232
Joshua Tarling, Gran Bretagna, secondo a 20 secondi da Wang
Segaert ha corso da campione europeo e ha colto il terzo posto a 29″
Record Bonetto
In diciotto giorni, Samuele Bonetto ha vinto il mondiale di inseguimento al Cairo (3 settembre), è arrivato quinto agli europei della crono (8 settembre) e nono al mondiale della stessa specialità (21 settembre). Ma siccome a diciotto anni si digeriscono anche i sassi, è probabile che in meno di tre settimane si possano trovare le energie fisiche e nervose per tenere testa a simili appuntamenti, in un calendario che difficilmente potrebbe essere più snervante.
Il ragazzo che dopo la vittoria dell’inseguimento individuale al Cairo è stato paragonato a Ganna ed ha a sua volta svelato che il ciclismo lo ha salvato dall’anoressia, arriva dopo aver ben recuperato.
«Ho dato tutto – dice il veneto – non ho rimpianti. Dalla macchina avevo buone indicazioni e sono andato alla partenza con tanta autostima e pronto a morire sulla bici. In fondo tra un mondiale dell’inseguimento e uno della crono non c’è tantissima differenza, a parte la durata. La concentrazione si trova abbastanza facilmente, semmai è più difficile trovare la forma, che non sempre dipende da noi. Per questo forse mi sono sentito meglio a Trento, dove sono arrivato quinto, ma a 3 secondi dalla medaglia».
Tommaso Bessega, junior di primo anno, ha chiuso 24° a 1’38”
Dopo il quinto posto a Trento, per Bonetto il nono ai mondiali a 53″
Tommaso Bessegam junior di primo anno, ha chiuso 24° a 1’38”
Dopo il quinto posto a Trento, per Bonetto il nono ai mondiali a 53″
Il terzo mondiale
Venerdì Samuele sarà chiamato a un altro mondiale, quello su strada, e la cosa lo riempie di orgoglio.
«Per me la gara su strada sarà un grande appuntamento – dice – sono onorato e contento di partecipare. A volte quando esco in allenamento e mi vedo nello specchio con la maglia azzurra, mi vengono i lucciconi, figurarsi in corsa. E le motivazioni ci sono, perché dopo ogni vittoria e ogni gara, si deve azzerare tutto. Queste partecipazioni sono investimenti sul futuro. La strada è ancora lunga, i titoli che contano sono ancora lontani».
Bessega per imparare
Anche Tommaso Bessega l’ha presa come una prova generale di futuro, perché al primo anno difficilmente puoi partecipare a un mondiale con altre aspirazioni. Lui che divide la passione del ciclismo con suo fratello gemello Gabriele e fa parte della filiera della Eolo-Kometa, per arrivare fin qui al meglio ha lavorato con il suo tecnico Marco Della Vedova alla Bustese Olonia e il preparatore Mattia Garbin.
Dopo l’arrivo, Bonetto sfinito e senza rimpiantiDopo l’arrivo, Bonetto sfinito e senza rimpianti
«E’ stata una crono dura per me – dice – sono partito a tutta sapendo che il livello fosse molto alto. Il percorso forse non era il più adatto alle mie caratteristiche, con quei drittoni infiniti. Avrei preferito qualche curva in più, ma per essere la prima esperienza va bene così. Ho lavorato bene, ho corso il Lunigiana che mi ha dato una buona gamba e credo di essere arrivato giusto all’appuntamento e alla fine di una stagione che come ultima difficoltà avrà i campionati italiani di cronosquadre del 9 ottobre».
Calendari troppo pieni?
Anche Bonetto vi prenderà parte vestito della maglia della Uc Giorgione con cui corre. Ed è vero che a 18 anni si digeriscono i sassi e si trovano le motivazioni per correre tre mondiali, un europeo e anche un campionato italiano della cronometro a squadre in un mese, ma a qualcuno verrà in mente che forse è un po’ troppo? L’Uci, la Uec, la Fci e chiunque abbia il potere di redigere calendari forse qualche domandina se la potrebbero anche porre.
Era possibile prevedere il bis iridato di Alaphilippe? Secondo Bramati che lo guida c'erano chiari segnali. E per come ha corso, è sembrato davvero Bettini