Quando si pensa ad un Giro d’Italia, ad una corsa o a un training camp si pensa quasi sempre solo ai corridori. Ma i personaggi che fanno parte del circus per metterli “in pista” sono tanti. Massaggiatori, medici, cuochi, ds… Uno di loro è Federico Borselli, storico autista del bus Astana, un toscanaccio Doc, dal sorriso sempre sul volto. Uno di quelli che ti ispira fiducia anche se non lo conosci.
Questo mestiere gli è capitato quasi per caso. Iniziò con la squadra di Franco Gini, la Mercatone Uno Medeghini. A fare il suo nome al compianto tecnico toscano fu un suo amico e ds, Bruno Vicino.
«Non è che vi serve un autista – racconta Borselli – chiesi a Bruno mentre eravamo in Mtb. Accadde che l’autista di Gini s’infortunò, Franco mi chiamò e così tutto ebbe inizio».
Sui suoi bus ne sono passati di campioni. Cipollini, Gotti, Bartoli, Cunego, Casagrande… fino ai più recenti Nibali, Aru e Fuglsang.
«Con tutti loro sono andato sempre d’accordo. La mia fortuna credo sia dovuta anche al mio carattere. Tutti mi hanno dato grandi soddisfazioni, ma se proprio devo scegliere allora dico Cipollini, Simoni e Nibali».
Cipollini in Irlanda
«Nel 1998 il Tour parte dall’Irlanda. Cipollini cade e sta arrivando al bus tutto sbucciato, praticamente era nudo. Una folla immensa con tanti ragazzini gli corre incontro. Io sono al suo fianco. Mario spaventato per istinto tira su la bici e io altrettanto per istinto faccio per prendergliela. Lui si volta e mi dice secco: non farlo mai più. Al che replico: Mario, vai sul bus. Passarono due giorni di silenzio. Al terzo giorno mi venne vicino e mi fece: allora Fede come va? Io bene e tu? Ci chiarimmo. Lui mi disse che non se lo aspettava e io gli dissi che volevo proteggerlo. Se poco poco avesse colpito un bambino con la bici sai che caos sarebbe scoppiato?
«Un altro momento con Mario che ricordo fu pochi giorni prima del mondiale di Zolder. Eravamo nello spiazzo dell’hotel, sapete quello di Piva su in Belgio. Una mattina prima di un allenamento scende, mi guarda e fa: quest’anno il mondiale lo vinco io. Mi colpì la sua sicurezza, la determinazione con cui lo disse. Una sicurezza che poi trasmetteva anche anche ai compagni e allo staff. E infatti andò tutto secondo programma. In riunione disse fermamente: voi lavorate tutti per me, io mi prendo tutte le responsabilità
«Mario era così: con lui non esisteva né A né C. Se aveva detto B, quello doveva essere. Punto. Però sapeva riconoscere il tuo lavoro. Lui come altri».
Eh sì perché chi guida il bus non fa solo quello. Deve aiutare i meccanici, sistemare il frigo secondo le esigenze dei singoli atleti, pensare alla manutenzione dei mezzi…
Simoni e… la pipì
«Ah Gibo ce l’ho nel cuore. E’ come un fratello. Tu potevi fare mille gare con lui, ma poi arrivavi a 10 giorni dal Giro e cambiava. All’improvviso diventava concentrato, come un cavallo coi paraocchi. C’era solo il Giro. Alla prima tappa si presentava sempre con due valigie: una per i vestiti e una con tutti i pezzi per la bici. Un maniaco. Lì dentro c’erano: guaine superleggere, attacchi manubrio fatti appositamente per lui, viti in titanio… Se gli spostavi qualcosa di un millimetro se ne accorgeva. Oggi la bici non va bene, ti diceva. Era peggio di Cipollini! Erano terribili in tal senso».
Però con Simoni i ricordi sono anche più tristi. Come quella volta che lo squalificarono dal Giro d’Italia e Borselli dovette riportarlo via dalla partenza di Campobasso. Era il 2002.
«Se avesse avuto un carattere meno burbero ne avrebbe vinti cinque di Giri. Magari non lo avrebbero squalificato, né altre squadre ci avrebbero corso contro, quando lo perse per 28” da Savoldelli. La mattina della squalifica stavamo scendendo verso l’Adriatico. Volle venire con me. Dietro di noi ci saranno state 100 macchine, quasi tutti giornalisti. Mi chiede, allora: ma ci stanno seguendo? Io gli risposi di sì. Mi disse: facciamo una cosa, accosta, scendo e faccio finta di fare la pipì. E così quando mi fermai in una piazzola tutti vennero lì e restarono meravigliati. Non se l’aspettavano. Però arrivati in hotel fu triste. Lo vennero a prendere per riportarlo a casa e io piansi».
A Nibali niente coppa!
«Che periodo quello. In quell’Astana c’era un gruppo unico e con tanti di quei campioni… Vincenzo è una persona bellissima. Mai una parola fuori posto, sempre posato anche quando le cose non andavano bene. Con lui si rideva e si scherzava sempre e poi quando arrivava Scarponi, ancora peggio. L’anno del suo secondo Giro fui l’unico a dirgli: Vincenzo credici. Vincenzo il Giro non è chiuso. Il dottor Magni può testimoniare. E Nibali mi rispondeva: eh tu la fai facile, ho 5′ di ritardo. E insistevo: oh le gambe come fanno male a te, fanno male anche agli altri. Dai tutto e via…
«Ero con lui sul podio di Torino e quando scendemmo gli dissi: questo, il Trofeo Senza Fine, lo prendo io. Ma che dici? Mi rispose spiazzato. Sì, sì, viene via con me. Me lo portai persino a letto. Organizzai una cena con degli amici con questo trofeo a tavola, lo feci vedere a dei ragazzini… Quattro giorni dopo, mentre dalla Svizzera viaggiava verso casa dei suoceri, Nibali mi chiamò, uscì dall’autostrada a Barberino del Mugello e gli restituii la sua coppa. Fu molto carino a permettere tutto ciò».
Scarponi nel cuore
Federico è stato autista della nazionale per quattro anni, ha visto campioni, sul bus si è ritrovato vip e vallette, amici, ha portato persino 35 persone tutte insieme ad una festa organizzata da Cannondale, ma quando poi gli parli di Michele Scarponi senti quasi che gli si rompe la voce dalla commozione. E’ lui che mette la targa della crono con su il nome Scarponi davanti al parabrezza del bus.
«Ho perso i miei genitori: beh Michele è molto vicino a loro. Manca a me e a tutto l’ambiente. Gli volevano bene tutti. Il suo posto era nel sedile alla mia destra. Si sedeva e mi diceva: allora Fede, come stanno i morti? Riferendosi ai corridori. E lui come lo vedi? Riferendosi a Nibali. Allora io che stavo al gioco ribattevo: eh, mica tanto bene. Allora – ribatteva – mi sa che dovrò stargli vicino pure oggi. E così ogni volta a scherzare…
«Anche con lui fu indimenticabile il Giro del 2016. Ricordate che si era fermato verso Sant’Anna di Vinadio per aiutare Vincenzo? La mattina dopo il ribaltone gli chiesi davanti a Nibali: scusa Michele ma sei partito prima ieri? E lui: sai com’è con questi corridori… mi sono fermato a fare merenda, li ho aspettati e sono ripartito. Io avevo assistito alla riunione e sapevo come avrebbero dovuto correre. Quel giorno prima di andare in partenza Scarpa mi fa: oggi li faccio dannare, ci si diverte!».