Cronoman alla larga dal Rwanda e Velo sbotta

15.01.2025
6 min
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D’accordo che manca una vita, però dei mondiali in Rwanda si parla da un pezzo. E se gli scalatori, Pogacar in testa, sanno di avere nella prova su strada nuovamente un’occasione ghiotta, sul fronte dei cronoman l’entusiasmo è sparito nel momento in cui hanno preso in mano l’altimetria della prova contro il tempo. 40,6 chilometri con 680 metri di dislivello per i professionisti. 31,2 chilometri e 460 metri di dislivello per le donne elite. 42,4 chilometri e 740 metri di dislivello per il team time trial. La prima a fare un passo indietro è stata Vittoria Guazzini e a ruota è presto arrivato anche Ganna. Nessuna voglia di finire come a Tokyo, quando i chilometri furono 44,2 chilometri e il dislivello di 800 metri.

Il tema sta molto a cuore a Marco Velo, tecnico della crono azzurra. Già nei mesi scorsi non erano mancate le sue osservazioni molto critiche sul tema e la scelta tecnica per la prova del Rwanda contribuisce solo a rincarare la dose.

«Noi saremmo anche messi bene – dice – perché comunque abbiamo Cattaneo, Sobrero ed Elisa Longo Borghini. Ma non posso essere contento perché è da Tokyo che ho in mente un’idea, che secondo me l’UCI dovrebbe adottare piuttosto che pensare ad altre cose che esulano da quello che effettivamente dovrebbe essere una cronometro».

Europei di Hasselt 2024, Velo con Affini che ha vinto e Cattaneo che ha preso il bronzo
Europei di Hasselt 2024, Velo con Affini che ha vinto e Cattaneo che ha preso il bronzo
Come deve essere fatta una cronometro?

Una prova per cronoman, cioè atleti con certe attitudini e caratteristiche. Sennò è come organizzare una gara dei 100 metri di atletica e metterci in mezzo una curva, perché lo stadio è fatto così. Oppure una maratona con tre salite. Un conto è la crono del Giro d’Italia, le corse a tappe esulano dalla specialità vera e propria, ma quando si tratta di una prova titolata…

Quale idea hai in mente da Tokyo?

La proposta che vorrei fare all’UCI, magari questo articolo può essere l’inizio di un dibattito, è dire che è difficile al giorno d’oggi trovare 30-40 km completamente piatti, non lo pretendo nemmeno. Però inserirei un range per il dislivello. Per crono da 0 a 30 chilometri, puoi arrivare al massimo a 250 metri. Dai 30 ai 40 chilometri, puoi arrivare a 300-350 metri. Ma non 700 come in Rwanda oppure 800 come a Tokyo, altrimenti è una cronoscalata. Come mettono il limite di chilometri nella lunghezza delle tappe, potrebbero valutare anche questo criterio, per non penalizzare chi investe nella specialità.

Zurigo andava bene, secondo te?

No, era al limite. Erano 46 chilometri con 413 metri di dislivello. Se fosse stata meno, magari Evenepoel avrebbe vinto comunque, ma ho dei dubbi. Per come è andato Ganna nel finale, che gli guadagnava 1″200 a chilometro, lo passava di sicuro. Pippo ha perso dopo la salita, dove c’erano due strappi duri da fare e l’altro pesa 20 chili in meno. La salita più o meno l’hanno fatta alla pari, c’erano 3″ di differenza.

Come dire che sarebbe bastato meno dislivello…

Zurigo con 100 metri di dislivello in meno significava avere molto probabilmente Ganna campione del mondo. Come volava pure Tokyo e chiuse a 2 secondi dal bronzo. Allora vinse Roglic, questa volta potrebbe vincere Pogacar o Van Aert se decide di farla a tutta. Dovrebbero regolarsi come per la prova su strada. Un anno fai la crono con 50 metri di dislivello, l’anno dopo la fai con 350 che va bene per tutti. Mi dispiace che a Zurigo non abbia potuto correre Cattaneo…

Elisa Longo Borghini e Gaia Realini, due atlete che potremmo rivedere in azzurro ai mondiali del Rwanda
Elisa Longo Borghini e Gaia Realini, due atlete che potremmo rivedere in azzurro ai mondiali del Rwanda
Perché?

Perché speravo che Affini fosse iscritto di diritto in quanto campione europeo, invece non era possibile. Ma per il prossimo mondiale lui ci sarà, mentre il percorso è troppo duro per campioni come Ganna e Affini. Abbiamo Cattaneo e Sobrero e potremmo avere anche Baroncini. L’anno scorso era stato interpellato per la crono mista, dato che era dura, ma non ha accettato. Ma anche su quello, vi pare normale fare un team time trial sul percorso della strada, dove il solo pezzo in pianura era quello che portava all’arrivo? Salita, discesa, curve e quando ci stai nella posizione da crono? E’ assurdo. Eppure eravamo lì e abbiamo perso solo per 6 secondi.

Avevamo una bella squadra.

Se fosse stato un percorso piano, dico che la vincevamo. Cattaneo, Affini e Ganna avrebbero lasciato alle ragazze un minuto da gestire, eppure hanno fatto ugualmente i miracoli, per chiudere sui tempi dei migliori su un percorso così duro. Per stare dietro a Cattaneo che tirava in salita, Affini ha sputato sangue (foto di apertura, ndr) e lo stesso ha fatto Ganna, però hanno volato e stiamo parlando di tre atleti di grossa taglia, Mattia un po’ meno. L’Australia aveva O’Connor che ha fatto secondo nella prova in linea. Purtroppo abbiamo beccato Soraya Paladin in una giornata no, perché quello è stato, altrimenti eravamo ancora lì a giocarcela.

Il percorso duro di Kigali (Rwanda) riporta in primo piano le doti da cronoman leggero di Matteo Sobrero
Il percorso duro di Kigali (Rwanda) riporta in primo piano le doti da cronoman leggero di Matteo Sobrero
Visto che il percorso di Kigali è così duro, vale la pena chiedere di indurire i campionati italiani?

Bisogna dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Intanto bisogna capire dove verrà fatto l’italiano, ma forse non serve indurirlo. Può essere utile per le categorie giovanili, mentre per i professionisti ci saranno altre occasioni di vederli. E poi non andrei oltre 300-400 metri di dislivello per non penalizzare anche noi chi investe sulla crono e gli stessi organizzatori che magari avrebbero pochi partenti se il percorso fosse troppo duro.

Ganna a Gran Canaria, ore e chilometri puntando la Sanremo

10.01.2025
4 min
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Ganna si trova a Gran Canaria sotto la guida di Leonardo Basso, cercando sole e macinando chilometri (in apertura foto Ineos Grenadiers). Dario Cioni ci ha spiegato quali saranno i grandi obiettivi del 2025, sottolineando come la stagione sarà incentrata sulla strada e su tre sfide che, ciascuna a suo modo, rappresentano per il piemontese dei conti in sospeso: la Sanremo, la Roubaix e il Tour de France. Dopo il ritiro di dicembre, ecco pertanto quello delle Canarie e a seguire di nuovo in Spagna si rifinirà il lavoro prima del debutto.

«L’unica cosa in comune fra Sanremo, Roubaix e Tour – dice Pippo sorridendo – è che non le ho mai vinte, neanche una tappa, proprio niente. Quindi su questo sono un po’ indietro e spero che il 2025 sia l’anno giusto per mettere le spunte giuste vicino a questi tre nomi».

Tornano alla memoria il Ganna sfrontato e potente che vinse la tappa di Camigliatello Silano al Giro del 2020, come pure il guerriero che sul Poggio ha tenuto testa per due anni consecutivi alle sfuriate di Pogacar. Un Ganna capace di dire la sua anche al di fuori della sfera delle cronometro che lo vede da anni fra i dominatori mondiali. Il Ganna che i tifosi si aspettano, che i giornalisti esortano e che forse anche lui non vede l’ora di tirar fuori, per sottolineare (come farà in chiusura di intervista) che finora la sua non è stata solo una carriera da pistard.

Gran Canaria, un piccolo gruppo di corridori al lavoro (foto Ineos Grenadiers)
Gran Canaria, un piccolo gruppo di corridori al lavoro (foto Ineos Grenadiers)
Partiamo dalla Sanremo. In due anni hai dimostrato che sul Poggio riesci a tenere le accelerazioni. Il lavoro per questa prima gara è sulla resistenza, salita o sullo sprint?

Diciamo che c’è tanto lavoro, stiamo già lavorando. Stiamo cercando di aumentare i carichi di lavoro, facendo un po’ più di ore. Siamo qui a Gran Canaria con Leonardo Basso anche per questo, a fare ore, fare un lavoro di endurance per colmare il divario e arrivare freschi sotto i Capi. E da lì riuscire poi a essere competitivo come gli scorsi anni sul Poggio e poi vedere cosa si può fare una volta che si arrivasse in volata.

La Roubaix: due anni fa il primo assalto preparato per bene. E’ una gara al limite del selvaggio, ma quanto conta la cura dei dettagli?

La Roubaix è uno di quegli sport diversi, non è ciclismo secondo me. E’ un misto tra farsi del male e soffrire tanto, ma il ciclismo è un’altra cosa. Però è nel cuore di tanti sportivi, di tanti professionisti, di tanti ex corridori e dei nuovi che verranno. E’ una gara selvaggia, come dite voi, e ha bisogno della cura del dettaglio per arrivare al meglio. Poi trovi Sonny (Colbrelli, ndr) che ha fatto tutto a modo suo ed è riuscito a vincere la prima volta che si è presentato. Comunque in gara, che sia una classica o una corsa qualsiasi, la parte istintiva esce sempre. Quindi devi essere freddo e calcolatore, ma altre a volte devi seguire il tuo istinto.

Per preparare Sanremo e Roubaix servirà lavorare anche sulla bicicletta?

Credo che le due bici saranno uguali. Forse le uniche cose che cambiano per la Roubaix saranno i copertoni un po’ più grandi, sul 28 oppure 30, e anche un doppio giro di nastro manubrio, con il gel che assorbe le vibrazioni per risparmiare le braccia. Poi per il resto la bicicletta è quella.

«Ce n’è sempre uno- si legge su Instagram – e di solito è Filippo Ganna» (foto Ineos Grenadiers)
«Ce n’è sempre uno- si legge su Instagram – e di solito è Filippo Ganna» (foto Ineos Grenadiers)
Resta il Tour…

L’obiettivo intanto è cominciare a partire, arrivare là in forma, motivati, con le gambe pronte per far fatica. Una volta che si sarà in Francia, si penserà come agire giorno per giorno. Sicuramente le crono sono difficili, la seconda è una cronoscalata, quindi la escludiamo a priori. Vediamo cosa ci sarà per me.

La pista rimane nella preparazione, che cosa c’è di diverso dovendo puntare a obiettivi su strada?

Mi pare che dal 2017 faccio pista, ma corro anche su strada. Quindi non è che io corro su strada per preparare la pista o corro in pista per preparare la strada. Cerco di fare le due cose contemporaneamente e mi pare che ho vinto anche tappe al Giro d’Italia, tappe alla Vuelta, tappe anche nelle corse minori. Ho fatto 33 vittorie su strada, fra cui anche due corse a tappe, non mi pare che siano il bilancio di un corridore che corre solo in pista.

Come aver messo i puntini sulle “i”, casomai ce ne fosse bisogno. La preparazione prosegue. A Gran Canaria il tempo è buono e lo spirito è alto. L’Australia ha già aperto le danze con i campionati nazionali, presto sarà tempo di Tour Down Under. L’esordio di Ganna avverrà in Europa, probabilmente all’Etoile de Besseges dove vinse tre tappe fra il 2021 e il 2022. La lunga attesa è ormai agli sgoccioli.

Castelli e FCI: insieme fino al 2028, la maglia azzurra è ancora sua

07.01.2025
3 min
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Lo scorso 20 dicembre, a Milano, in occasione del consueto Giro d’Onore, si è aggiunto un nuovo capitolo a una partnership importante ed oramai storica che incarna la passione e l’orgoglio per lo sport italiano. Castelli e la Federazione Ciclistica Italiana hanno difatti annunciato il rinnovo del loro reciproco legame tecnico per altri quattro anni, ufficializzando che il celebre logo dello scorpione continuerà a vestire tutte le Nazionali azzurre fino al 2028.

Negli ultimi anni, Castelli ha accompagnato la Nazionale nei momenti più gloriosi, contribuendo a scrivere pagine memorabili della storia del ciclismo italiano. Tra i successi più importanti si annoverano l’oro olimpico di Elia Viviani nell’omnium maschile a Rio 2016 e i trionfi mondiali del 2021 nelle Fiandre, con Filippo Ganna nella cronometro maschile elite ed Elisa Balsamo nella prova in linea femminile. Anche le competizioni su pista hanno regalato grandi emozioni: l’inseguimento a squadre ha conquistato l’oro alle Olimpiadi di Tokyo 2020, mentre la madison femminile ha visto Chiara Consonni e Vittoria Guazzini salire sul gradino più alto del podio olimpico a Parigi 2024.

Una passione condivisa

«Quando pensiamo all’Italia del ciclismo – ha dichiarato Alessio Cremonese, CEO di Manifattura Valcismon – pensiamo a Castelli. Rappresentare il nostro Paese è per noi motivo di grande gioia. Questa partnership non è solo una questione di marchio o innovazione, ma è alimentata dalla passione per lo sport italiano. Il nostro obiettivo è continuare a vedere gli italiani vestiti in azzurro, celebrare nuovi successi e portare l’Italia sul tetto del mondo, innovando costantemente il futuro del ciclismo».

«Siamo orgogliosi di proseguire la collaborazione con un marchio che rappresenta l’eccellenza del ciclismo italiano – ha ribattuto il Presidente dell Federazione Ciclistica Italiana Cordiano Dagnoni – e questo rinnovo è il frutto di una fiducia reciproca e di un impegno condiviso per portare la Nazionale a nuovi traguardi. Con Castelli condividiamo la passione per lo sport e l’attenzione all’innovazione e alla sostenibilità, elementi fondamentali per il futuro del ciclismo azzurro».

Steve Smith, Brand Manager Castelli
Steve Smith, Brand Manager Castelli

Tecnica e sostenibilità

Sul fronte dell’abbigliamento, Castelli conferma il proprio ruolo di riferimento per quanto riguarda l’innovazione. Gli atleti azzurri continueranno a indossare capi di punta della collezione, come la maglia Aero Race 8S, il body Sanremo S Speed Suit e la giacca Gabba R, progettati per garantire aerodinamicità, leggerezza e massimo comfort sia in gara che in allenamento. L’impegno verso la sostenibilità rappresenta un ulteriore pilastro della collaborazione: molti capi Castelli sono difatti realizzati con tessuti in fibre riciclate ad alte prestazioni, dimostrando che performance e rispetto per l’ambiente possono ben coesistere.

Con questa visione condivisa, Castelli e la Federazione Ciclistica Italiana guardano al futuro, pronte a scrivere nuove pagine di successo per il ciclismo italiano, oltre ad ispirare le prossime generazioni di campioni.

Castelli

Sanremo, Roubaix e Tour: il 2025 di Ganna prende forma

31.12.2024
7 min
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Dopo i mondiali di Zurigo, le ultime corse, le vacanze e il primo ritiro, ci sarà il tempo di festeggiare degnamente il capodanno, poi Filippo Ganna partirà per le Canarie. Dalle sue parti è troppo freddo per proseguire la preparazione. Per lo stesso motivo, nei giorni scorsi è andato in pista a Montichiari, ma per trovare la giusta intensità su strada, il piemontese ha organizzato un ritiro assieme a Dario Cioni, che lo raggiungerà di lì a pochi giorni. E proprio con il suo allenatore abbiamo fatto l’ultima chiacchierata del 2024 per capire in che direzione stia andando la preparazione del Pippo nazionale.

Il 2025 non dovrebbe vedere impegni agonistici in pista o quantomeno, se anche ci saranno, non saranno preminenti rispetto all’attività su strada, come invece è stato nel 2024. E’ il destino di tutti i pistard. Le squadre reclamano il diritto di averli a tempo pieno e anche per loro si aprono le porte su sfide di diversa forma e rinnovate ambizioni. Fra le novità della nuova stagione c’è già stata la nuova sede del primo ritiro. Dopo anni a Palma de Mallorca, infatti, la Ineos Grenadiers si è spostata su Oliva, in Costa del Sol, dividendo l’hotel con la Visma-Lease a Bike.

«Era già un pochino che se ne discuteva – spiega Cioni – e alla fine i corridori che sono in squadra da più tempo avevano fatto presente che si facevano sempre i soliti giri. Era nell’aria che avremmo cambiato per provare qualcosa di diverso».

Mondiali 2023, Cioni al lavoro sulla bici di Ganna con Matteo Cornacchione
Mondiali 2023, Cioni al lavoro sulla bici di Ganna con Matteo Cornacchione
E allora, visto che si parla di qualcosa di diverso, come è stata tracciata la stagione di Filippo?

Un po’ di cose erano già state dette a metà dell’anno scorso. Ad esempio, il discorso delle classiche. Per via delle Olimpiadi, nel 2024 non abbiamo fatto la Roubaix, perché Filippo voleva fare bene il Giro. Si disse subito che fosse solo rimandata e così l’abbiamo inserita come grande appuntamento per il prossimo anno. Come la Sanremo e anche il Tour, che l’anno scorso non era entrato nei suoi piani perché non coincideva con la programmazione olimpica. Filippo ha voglia di tornare in Francia dopo la prima esperienza. Nel 2022 non era andata come ci si aspettava, quindi penso che voglia cimentarsi in un Tour preparato bene. Stessa cosa per la Roubaix. L’aveva preparata un po’ meglio due anni fa, ora l’idea è di tornare perché delle classiche del Nord è quella che secondo noi gli si addice di più. E prima però c’è la Sanremo: vuole tornarci per vincere.

Il fatto di non avere gare su pista è importante?

Non cambia tanto, perché comunque la pista fa parte del suo modo di allenarsi, tanto è vero che anche l’altro giorno era a Montichiari. Sul discorso delle gare, è chiaro che le Olimpiadi, specialmente il quartetto, richiedono del tempo per lavorare insieme e quella forse è stata la difficoltà maggiore. Far coincidere i programmi di 4-5 corridori per fare le sessioni specifiche in cui trovare l’affiatamento e gli automatismi. Quello richiede del tempo in più, che quest’anno invece sarà a nostra disposizione.

In cosa sarà diverso il suo avvicinamento alle corse?

Nel 2024, che era un anno olimpico, era stata fatta una partenza un pochino più rilassata. Invece in qualsiasi altra stagione che ha fatto con il Team Sky e poi Ineos, Filippo era partito sempre bene e ha sempre anche vinto se non nella prima gara a tappe, almeno nella seconda. Quindi sarà importante partire bene e per farlo devi passare un buon inverno. Fra l’altro l’anno scorso non era andato proprio benissimo, perché si era ammalato. Ora è più avanti, anche per il fatto che si è allenato di più e ha ripreso anche prima. A fine 2023 aveva preso l’influenza e a dicembre era andato peggio di quest’anno e poi era partito per l’Australia.

Il fatto di non partire con l’Australia vi permetterà di lavorare meglio in ritiro?

Se non fai l’Australia, la prima corsa che puoi fare in Europa è la Valenciana o Besseges e la squadra le fa entrambe. Non conta tanto la data di quando cominci, ma come arrivi alla prima gara. Da tutti gli anni si impara qualcosa e così, visto com’era andata l’anno scorso, abbiamo affrontato l’inverno in modo diverso. Per questo si andrà alle Canarie, per non essere rallentati dal meteo delle sue zone. Sai che là è bello tutti i giorni, non perdi un giorno per l’acqua, non perdi un giorno per la neve, non perdi un solo giorno di allenamento. Sai che per due settimane non ti devi preoccupare del meteo e puoi andare avanti con il programma. Se devi fare un po’ di intensità, un inverno freddo come quello che sta facendo in Europa rischia di complicare parecchio le cose. Sarà un ritiro di qualità dove verrà fatto anche un po’ di lavoro dietro moto.

Il fatto di avere questi obiettivi importanti significa che si andranno a fare anche delle recon sui percorsi?

Penso che un salto alla Sanremo si farà, anche se non è stata ancora fissata una data, perché il calendario è piuttosto fitto. Quindi potrebbe decidere di non andarci perché si sente a posto o si fa una puntata come l’anno scorso, quando partimmo parecchio da lontano e ci fermammo sul Poggio. Invece andrà a vedere la Roubaix, probabilmente alla fine del primo blocco di classiche al Nord, che spezzerà in due parti.

Esisterà un gruppo Ganna per la Sanremo?

Proprio per Ganna non penso. Il gruppo classiche della nostra squadra non è amplissimo, quindi i ragazzi che fanno le classiche, magari sapendo che Filippo ha due obiettivi importanti a Sanremo e Roubaix, correranno in suo appoggio.

Sanremo 2024, Ganna resiste alla selezione su Cipressa e Poggio, ma viene fermato da un problema meccanico
Sanremo 2024, Ganna resiste alla selezione su Cipressa e Poggio, ma viene fermato da un problema meccanico
In tutto questo le cronometro restano un motivo d’attenzione?

Sì, nel senso che al Tour comunque l’obiettivo della crono c’è. E’ anche vero che quest’anno con quel tipo di mondiale in Rwanda avremo un obiettivo in meno. Quindi ci saranno tante occasioni di vincere a cronometro, ma non ci sono in giro percorsi troppo congeniali a uno specialista come lui, come appunto il mondiale.

Non lo correrà?

Non è ancora stata presa una decisione, però vedo difficile che Filippo ne farà un appuntamento. Il percorso è duro, ci sono costi non indifferenti e mille aspetti da considerare. Quello di Zurigo non era un percorso proibitivo, ma certo non era velocissimo. Le crono invece saranno da specialisti al Giro, quelle sì.

Secondo te avere davanti sfide così diverse in cui dare tutto, non a crono e non in pista, è una motivazione per Ganna?

E’ molto motivato. La Sanremo non è una novità, perché sono due anni che arriva davanti. Due anni fa fece secondo e quest’anno se non ci fossero stati la foratura e il problema meccanico nella discesa, aveva comunque retto bene alla selezione sul Poggio. Era nel gruppo che si andava a giocare la vittoria. Alla Sanremo sa già quello che deve fare, penso abbia le idee molto più chiare. La Roubaix sarà più da scoprire. Due anni fa era nel gruppo dei migliori, ma subì un po’ la corsa. Quest’anno spera di essere davanti per giocarsela. 

Perché fare la Roubaix e non il Fiandre?

E’ stata fatta la scelta di puntare tutto su una. Visto il Filippo di oggi, si pensa che la Roubaix sia più adatta. E provare a farle entrambe poteva andare a scapito della Roubaix. Le gare che farà al Nord prima della Roubaix vanno definite: potrebbe esserci la Gand, ma è da vedere. Quel che si può dire è che prima della Roubaix, farà due o tre gare al Nord.

Dopo le Canarie tornerete in ritiro in Spagna col resto della squadra?

Esatto. Filippo passerà per qualche giorno da casa e poi raggiungerà i compagni a Denia. Andremo dal 22 gennaio e da lì si partirà direttamente per le prime gare. Cos’altro dire? Buon anno e speriamo che tutto vada come speriamo.

Crono, cosa c’è dopo Ganna? Malori vede già l’erede

12.12.2024
7 min
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Le cinque medaglie azzurre conquistate dagli uomini nelle crono individuali dei tre eventi principali del 2024 hanno avuto un grande valore per il nostro movimento, soprattutto se contestualizzate nel momento in cui sono arrivate. Tuttavia hanno evidenziato all’orizzonte “una coperta” che si sta accorciando.

Vale la pena iniziare a prevedere un dopo-Ganna in maniera mirata? Oppure lasciamo tutto il peso sulle spalle del totem verbanese, col rischio di gravarlo ancora di eccessive pressioni? Giusto per dare un riferimento, tra europei, mondiali e Giochi a cinque cerchi, Pippo ha conquistato 8 delle 13 medaglie ottenute dall’Italia dal 2017 (anno del suo passaggio tra i pro’). E’ stato ed è tutt’ora il capostipite di una specialità che non si può improvvisare, oltre ad essere un riferimento per i più giovani.

Tante considerazioni e tante risposte le abbiamo chieste ad Adriano Malori. Uno che della cronometro ha fatto una filosofia di vita fin dalle categorie giovanili. E come sempre il vice-campione del mondo di Richmond ci ha dato tanti spunti, sbilanciandosi su un nome in particolare come futuro faro azzurro.

Per Malori bisogna prevenire il dopo-Ganna lavorando più a fondo nelle categorie giovanili
Per Malori bisogna prevenire il dopo-Ganna lavorando più a fondo nelle categorie giovanili

Meriti attuali

Abbiamo già detto più volte che quest’anno Ganna ha dovuto staccare la spina dopo Parigi, saltando le prove continentali in Limburgo, per ripresentarsi rigenerato psicofisicamente a Zurigo. Per lui due argenti dietro ad un Evenepoel inarrivabile. Eppure parallelamente – e fortunatamente per i colori azzurri – ha trovato in Affini un compagno che ha tenuto altissima la bandiera.

«Senza contare Pippo, che è sempre una garanzia – spiega Malori – anche Affini ormai è una certezza e l’ho sempre detto che era un buon cronoman. L’oro all’europeo e il bronzo al mondiale sono meritati ed Edoardo ha dimostrato di essere davvero il vice-Ganna. La differenza tra i due è che Affini alla Visma | Lease a Bike è un super gregario che lavora tantissimo, a scapito di qualche sua carta da giocare ogni tanto. Invece Ganna alla Ineos Grenadiers è diventato un capitano in molte gare o tappe. Lo stesso discorso vale anche per Cattaneo che ha raccolto un bel bronzo europeo vedendo ripagati i suoi sforzi nella Soudal-Quick Step. Detto questo però iniziano un po’ di note dolenti, se andiamo a vedere cosa c’è dietro di loro».

Ganna e Affini (qui col cittì Velo) sono rispettivamente il leader ed il vice della specialità in Italia (foto FCI/Maurizio Borserini)
Ganna e Affini (qui col cittì Velo) sono rispettivamente il leader ed il vice della specialità in Italia (foto FCI/Maurizio Borserini)

Eredità da raccogliere

Il “Malo” prima di elencarci chi potrebbe essere il successore, fa più di un passo a ritroso per spiegare cosa bisognerebbe fare per allevare nuovi cronoman. Perché, gli chiediamo noi, per una nuova leva raccogliere il testimone da Ganna e i suoi fratelli è uno stimolo oppure una zavorra?

«Sinceramente – risponde Adriano con la solita lucida franchezza – credo che possa essere un grosso peso perché inevitabilmente verranno fatti dei paragoni. Nel 2015 quando io ho vinto l’argento mondiale si fecero grandi titoli. Erano più di vent’anni che un italiano non prendeva una medaglia a crono. E’ vero, andavo forte ed ero cresciuto molto, però non avevo alcuna eredità da raccogliere. E di fatto posso dire che Ganna l’ha raccolta da me e sono ben felice che abbia poi vinto due mondiali di fila.

«Ma pensate se adesso un nostro giovane dovesse inanellare una serie di podi importanti, che cosa gli direbbero tutti, dal pubblico agli addetti ai lavori. Avrebbe sempre il confronto con Pippo che rischierebbe di essere controproducente. So bene che dovrebbe essere una grande motivazione cercare di raggiungere i livelli di Ganna o di Affini, ma in Italia manca la pazienza. Così come stiamo aspettando di trovare un nuovo Nibali, rischiamo di fare altrettanto con il dopo-Ganna se non si inizia a fare qualcosa con i giovani».

Allenamento imprescindibile. Malori per migliorare e vincere nelle prove contro il tempo faceva tante ore da solo sulla bici da crono
Per migliorare e vincere nelle prove contro il tempo, Malori faceva tante ore da solo sulla bici da crono

Ore in solitaria

Quello moderno è un ciclismo che assomiglia molto alla Formula Uno, dove si ricercano i dettagli per andare più forte. Figuratevi per chi vuole diventare un cronoman competitivo. Galleria del vento, abbigliamento, materiali e soprattutto tante, tante e tante ore di allenamento. Malori potrebbe avere una cattedra sull’argomento in questione.

«Il livello italiano nelle categorie giovanili – chiarisce Adriano – non è veritiero. Da juniores e da U23 si confonde la forza generica con leventuali predisposizione per le crono o ad esempio per la salita. In Italia purtroppo non si ragiona in prospettiva. I giovani si allenano tanto per la categoria che fanno. Potenzialmente ce ne sono tanti che potrebbero essere portati per le prove contro il tempo, ma bisogna vedere chi ha veramente voglia di mettersi lì a pedalare per delle ore da solo, con metodo e concentrazione.

«Sempre nel 2015 – ricorda – dopo la crono di apertura che vinsi alla Tirreno, a quattro secondi da me arrivò a sorpresa Oss. Gli suggerii di insistere nella disciplina. Però lui mi rispose sorridendo che più di dieci, massimo 15 minuti a tutta non riusciva a tenere perché poi saltava di testa. E capivo benissimo il suo ragionamento. Ecco perché è facile perdere col passare degli anni tanti talenti a crono».

Eredità pesante. Dal 2017 ad oggi, Ganna ha raccolto 8 medaglie su 13 conquistate dall’Italia tra europei, mondiali e Olimpiadi
Eredità pesante. Dal 2017 ad oggi, Ganna ha raccolto 8 medaglie su 13 conquistate dall’Italia tra europei, mondiali e Olimpiadi

Investire sulle crono

Investire nelle crono è il mantra ricorrente quando se ne parla a livello giovanile. Un discorso che ci fece anche Marco Velo, il cittì delle crono, prima e dopo le prove degli ultimi europei nelle quali gestisce uomini e donne dagli juniores ai pro’.

«Sono d’accordo con quello che sostiene Marco – va avanti Malori – perché non ci sono molte cronometro nelle categorie giovanili, fatti salvi i campionati italiani e in qualche giro a tappe. Purtroppo è un problema economico per gli organizzatori ed anche per le squadre che devono avere una bici adatta. Adesso molti direttori sportivi vedono le crono come una mezza rogna perché bisogna investirci tempo e denaro. E sappiamo che non tutti ce li hanno, tenendo conto dello stress sempre più dilagante che condiziona i giovani.

«Ovvio, non tutte le realtà sono così per fortuna, ma ora è difficile trovare chi crede veramente in un potenziale cronoman. A meno che, e lo dico brutalmente, non si faccia come Finn che è andato a correre in un team tedesco e satellite della Red Bull-Bora Hansgrohe. Ed è diventato campione italiano su strada e a crono, investendoci tanto».

Milesi per lo scettro

Gira e rigira la lancetta batte dove la cronometro duole. Il dopo-Ganna bisogna anticiparlo cercando di farsi trovare pronti. Malori non ha dubbi su chi potrebbe prendere lo scettro di Pippo, a patto che si facciano le cose a modo.

«Per me Lorenzo Milesi – ci dice Adriano – ha tutte le carte in regola per raccogliere quella famosa eredità da Ganna. Non si vince un mondiale a crono U23 per caso, considerando che quella categoria ormai è piena da anni di atleti molto forti di team WorldTour. Purtroppo quest’anno ha avuto una stagione non semplice, raccogliendo pochi risultati anche a crono, ma può capitare. Ha 22 anni, è ancora molto giovane e può crescere ulteriormente. Tuttavia gli consiglio quello che consigliai allo stesso Ganna quando era nella prima UAE, la ex Lampre in cui ero stato per diversi anni. Ovvero cambiare squadra se vuoi fare il salto di qualità a crono».

Lorenzo Milesi per Malori può raccogliere l’eredità di Ganna, ma deve sperare che la Movistar torni ad investire nella crono
Lorenzo Milesi per Malori può raccogliere l’eredità di Ganna, ma deve sperare che la Movistar torni ad investire nella crono

«Pippo alla Ineos lo ha fatto – conclude – mentre l’attuale Movistar di Milesi non è la stessa di quando c’ero io. Non ci credono come prima. L’unica sua speranza è che la Movistar (con cui Milesi ha firmato fino al 2026, ndr), voglia nuovamente investire risorse importanti in quella specialità. Hanno Mas per i Grandi Giri e Ivan Romeo, successore di Lorenzo in maglia iridata.

«Sotto di lui, tra gli altri giovani italiani c’è il Milesi della Arkea (Nicolas, non sono parenti, ndr). E’ arrivato due volte secondo al tricolore U23 e sembra ben predisposto. Però per entrambi e per tutti gli altri direi di vedere come andrà il 2025. Eventualmente faremo nuovamente questo discorso fra dodici mesi, se non prima».

Viviani, la pista, la Ineos, l’editoriale: diciamocela tutta

21.10.2024
7 min
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Viviani sta viaggiando dalla Danimarca verso casa. I mondiali della pista si sono conclusi ieri e volevamo sottoporgli gli spunti da cui abbiamo tratto l’editoriale di oggi. La medaglia d’argento dell’eliminazione è un bel trofeo, anche se il veronese aveva lasciato casa per puntare all’oro. Per cui è ripartito con il senso della conquista, ma la consapevolezza di non avere la pancia del tutto piena.

«Sicuramente la medaglia conferma il fatto che se punto a qualcosa ci arrivo – dice – anche se soddisfazioni su strada non sono arrivate. Speravo dopo l’Olimpiade di riuscire a raccogliere qualcosa, ma non aver staccato dopo Parigi non ha funzionato. E’ palese che ne siamo usciti provati. Le pressioni sono alte, la preparazione è stata intensa. E quando tutto è finito, le squadre hanno chiamato. Probabilmente la cosa migliore da fare era fermarsi e ripartire per il finale di stagione, però non avevamo tanta scelta. Quindi siamo arrivati in fondo con le energie misurate. Questo era l’anno della pista e le medaglie sono arrivate, quindi non posso essere scontento né recriminare niente».

La medaglia d’argento di ieri nell’eliminazione è un oro sfumato, nella volata finale contro Hansen
La medaglia d’argento di ieri nell’eliminazione è un oro sfumato, nella volata finale contro Hansen
Secondo te Ineos è stata contenta di aver avuto per tutto l’anno a mezzo servizio te, Ganna ed Hayter?

L’ha accettato come negli anni scorsi, non hanno fatto una piega. Ci hanno lasciato liberi. Io l’anno scorso ero a correre e ho vinto in Cina, però non hanno detto nulla. Secondo me quello che è cambiato è il valore che hanno avuto queste medaglie. Ho come la sensazione che negli anni precedenti, a Rio come a Tokyo, la mia medaglia olimpica valesse molto di più per il team. Invece adesso è stato come se avessero detto, fra virgolette: “Libertà agli atleti, però non è che di queste medaglie olimpiche ce ne facciamo qualcosa”. Questa è la differenza che ho colto.

E’ così perché è cambiato il management? In fondo Brailsford ed Ellingworth venivano proprio dalla pista…

Penso di sì. L’Olimpiade cambia di persona in persona. Qualcuno ci tiene e per qualcun altro ti porta via dal lavoro vero. Che se poi avessimo vinto 50 corse, il problema neppure si sarebbe posto…

Non hai la sensazione che l’oro olimpico di Martinello sia stato valorizzato dall’ambiente più di quanto sia successo di recente con voi?

Dipende dall’impresa, perché la vittoria individuale fa molto più di quella di squadra. L’ho vissuto su di me. Adesso che non vinco gare importanti su strada, sono ancora Elia Viviani che ha vinto l’oro di Rio, ben più di Elia che ha vinto quattro tappe al Giro, una al Tour, una alla Vuelta. Quindi probabilmente la sua vittoria e anche la mia sono state esaltate perché era tanto che non si vinceva in pista. Sono un po’ il bollino per sempre di Silvio e anche mio. Ho visto però la differenza con i ragazzi, la vittoria del quartetto ha avuto meno impatto. Per chi segue, è stato un boom clamoroso, perché vincere un oro con il quartetto, per quello che significa, è stato immenso. Però è vero che la sensazione di maggior risalto per l’individuale rimane.

Viviani_Oro_omnium_rio2016
Rio 2016. La caduta, la rimonta e l’oro nell’omnium: la svolta nella carriera di Viviani
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Rio 2016. La caduta, la rimonta e l’oro nell’omnium: la svolta nella carriera di Viviani
Non ci si accontenta mai…

Se rimettono nel programma olimpico l’inseguimento individuale, la vittoria di Milan avrebbe grande eco. Jonathan quest’anno ha vinto 11 corse, ma fra poco non basterà più neanche quello e si conterà il numero di tappe che vincerà al Giro. Guarderanno se batterà i record di Petacchi o di Cipollini. Il ciclismo moderno è fatto da dominatori. Nel 2018 e 2019 vinsi 18 e 11 corse. Philipsen l’anno scorso ne ha vinte 19, Pogacar quest’anno 25. E’ un ciclismo che va ad annate.

Tu pensi che dedicarti alla pista ti abbia penalizzato su strada?

Negli ultimi tre anni, sicuro al 100 per cento. Quando sono passato alla Cofidis non le ho dato troppa importanza, ma visto che nel 2020 e 2021 le cose non erano andate, mi sono buttato su Tokyo per far vedere che c’ero ancora. Invece negli ultimi tre anni con la Ineos, ho messo la strada in secondo piano. Sapevo che non mi avrebbero portato al Giro, quindi non avrei potuto pormi dei grandi obiettivi. 

Milan ha vinto l’inseguimento col record del mondo, ha avuto il giusto risalto?

Secondo me, se avesse vinto il mondiale e basta, sarebbe passata quasi sotto silenzio: un’altra medaglia, bravo. Con il record però ha dimostrato di aver battuto anche Pippo, anche se non c’era, e ha fatto un’impresa notevole. Secondo me ha avuto la giusta risonanza. Dall’altra parte la gente non si ricorda neanche quali e quante tappe abbia vinto al Giro. Per questo ai ragazzi dico sempre che il nostro punto forte deve essere scegliere i periodi giusti per fare le cose migliori.

Viviani e Villa, una coppia che nelle ultime tre Olimpiadi ha portato sempre medaglie all’Italia
Viviani e Villa, una coppia che nelle ultime tre Olimpiadi ha portato sempre medaglie all’Italia
Vale a dire?

Nelle nostre chiacchierate, gli dico spesso che devono mettere i mattoncini della loro carriera, per comporre il proprio murales. E’ chiaro a tutti che Milan l’anno prossimo deve andare al Tour. Prima deve provare a vincere la Gand-Wevelgem in cui quest’anno è scattato a 50 dall’arrivo, stando in fuga da solo. Poi il Tour, per vincere anche lì e dimostrare di essere il velocista più forte al mondo. Il mattoncino di Pippo invece è concentrarsi su una classica monumento, la vittoria che gli manca. Anche lui il Tour l’ha provato solo una volta e probabilmente deve tornarci. Per entrambi, ma soprattutto per Pippo visti i suoi 28 anni, i prossimi due anni devono essere quello che per me furono il 2018 e il 2019. Nel frattempo verranno fuori i percorsi delle Olimpiadi e magari, se saranno duri, li vedremo tornare alla pista.

Un ritorno di fiamma?

Riguarda uomini e donne, visto che anche loro hanno un ciclismo professionistico di altissimo livello. Non è escluso che tornino, perché il richiamo per chi ha già vinto una medaglia è fortissimo. In più pare che UCI e CIO siano convinti che il percorso di Parigi fosse morbido, per cui chi può dire come sarà quello di Los Angeles? E questo gruppo potrebbe tornare in pista, dato che già hanno fatto la storia. E’ uno scenario credibile ed è per questo che dobbiamo ricostruire un’ottima base di giovani che arrivano da sotto.

Milan, Ganna, Consonni, Moro, Lamon hanno avuto te come riferimento: chi ci sarà per i giovani che arrivano, ora che questa “band of brothers” sta per sciogliersi?

Toccherà a Marco Villa, comunque alla Federazione, e dovranno lavorare tanto. Intanto per richiamare giovani e spingere ancora sulla multidisciplina, sennò c’è il rischio che si crei un buco. E’ ovvio che non può chiudersi tutto qui. L’altra cosa che dico io, avendo visto l’ottimo materiale che ci arriva dagli juniores, bisogna stare attenti allo scalino juniores-under 23, che è quello che spaventa tutti anche su strada. Non saranno più seguiti e coccolati dal tecnico del paese, diventerà una vita un po’ più individuale e purtroppo capita che qualcuno possa mollare. A mio parere i ragazzi ci sono. So quanto sia duro fare un 3’51” oppure 3’53” nel quartetto e se lo fanno da juniores, vuol dire che con degli step giusti, possono entrare nei nostri quartetti olimpici.

Proprio in questi giorni, Viviani e il suo manager Lombardi stanno definendo la squadra per il 2025
Proprio in questi giorni, Viviani e il suo manager Lombardi stanno definendo la squadra per il 2025
Quale sarà il tassello per completare il murales di Elia Viviani?

Voglio tornare al Giro, questa è la mia priorità. La possibilità che vedo è di restare alla Ineos, dove stiamo vivendo una fase di transizione. Sarebbe difficile cambiare e cominciare un altro progetto a 35 anni, anche perché le squadre stanno prendendo altre direzioni. La cosa più grossa sarà dimostrare che un velocista può darti qualche vittoria più di oggi, visto che quest’anno ne abbiamo fatte 14. E’ stata l’annata peggiore, quindi se dimostro che preparando qualcosa, io ci posso arrivare, al Giro potrei fare delle belle cose. Che sia l’ultimo oppure no.

Quindi Elia si vede ancora a braccia alzate, non diventare l’ultimo uomo di qualcun altro come Morkov?

No, è una scelta che ho fatto. Diventare il leadout di qualcuno avrebbe avuto senso se lo avessi fatto dopo gli anni della Cofidis. Farlo per un solo anno con uno sconosciuto non avrebbe senso. Non ho bisogno di allungarmi la carriera. Non perché non abbia l’umiltà di tirare le volate, probabilmente l’unico per cui avrei potuto farlo è Milan perché abbiamo un rapporto di fratellanza in nazionale. Ma ci sono troppi dubbi di natura tecnica su come si affronta quel ruolo e in un anno non lo impari. Lo abbiamo visto con Consonni alla Cofidis: non fu facile, ma cinque anni dopo lui è uno dei più forti al mondo in quel ruolo. Per cui Elia vuole fare le volate per provare a vincerle. E’ questo il mattoncino che ancora mi manca.

EDITORIALE / Se il pubblico non capisce, il ciclismo non cresce

21.10.2024
6 min
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Ci sono tre punti fra cui, mettendo mano a questo editoriale, la mente continua a rimbalzare. La fine dei mondiali su pista di Ballerup, il pubblico e una canzone degli Stadio del 1988. Saranno in qualche modo collegati? Andiamo con ordine e cerchiamo di capire.

Il miracolo di Villa

L’Italia è un Paese (in cui il ciclismo è) fondato sulla strada, quantomeno nel gusto popolare. Il miracolo di Marco Villa e di chi gestiva la Federazione dopo Londra 2012 fu quello di intravedere le potenzialità di una generazione di pistard e dare fiducia alla cocciutaggine di Viviani. Con il velodromo di Montichiari appena aperto, si iniziò a soffiare su quella brace che nel giro di 12 anni ha portato titoli olimpici e mondiali, con il testimone raccolto dalla successiva gestione che ha agito in continuità con la precedente. Al netto di tutte le considerazioni di merito che si possono fare, senza il lavoro di chi c’era prima, sarebbe toccato ai nuovi partire da zero e oggi magari parleremmo d’altro.

L’Italia è un Paese fondato sulla strada, per cui la scelta di Viviani di puntare così forte sulla pista ha avuto per lui, almeno negli ultimi tre anni, conseguenze sulla carriera da stradista. Vuoi gli anni che passano, vuoi aver lasciato l’infallibile treno della Quick Step, vuoi pure il Covid, il veronese ha visto calare drasticamente la propria quotazione: in termini di punti e di riflesso agli occhi del pubblico che non lo ha più visto lottare per la vittoria. Dall’essere il corridore numero 9 al mondo a fine 2019 con 2.392 punti, Elia chiude il 2024 in 425ª posizione con 212 punti.

Nel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazione
Nel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazione

Fra Martinello e Milan

Come lui, sono nel mirino altri nomi di riferimento. Ganna viene messo spesso in discussione per il rendimento nelle classiche, sebbene continui a volare in pista e nelle crono. La necessità di farsi trovare sempre pronto lo ha portato a un 2024 che lo ha lasciato sulle ginocchia. Chi lo gestisce dirà pure che non è vero, ma dovendo accontentare la squadra e la nazionale – per la strada, le crono e la pista – Pippo probabilmente non ha mai raggiunto veramente il top in una specialità o l’altra. L’argento è meglio del bronzo, ma vedere che altri hanno preso gli ori, concentrandosi su una specialità per volta, potrebbe indurre in riflessione. Mentre Milan, fresco di iride nell’inseguimento individuale con tanto di record del mondo, si salva per le sue volate su strada (11 nel 2024).

Silvio Martinello, candidato alla prossima presidenza federale, ha vinto su strada 14 volte in 14 stagioni da professionista. Ha però vinto un oro olimpico e 5 mondiali su pista, convertendosi nel frattempo nell’ultimo uomo di Cipollini. Quello che in qualche misura sta facendo Simone Consonni, che lancia Milan in volata e cerca gloria personale in pista. Martinello però ha sempre goduto di un credito eccezionale e la celebrazione del suo oro olimpico del 1996 è sempre parsa più solenne di quanto accada negli ultimi tempi. Forse l’oro di Viviani a Rio ha avuto un’eco simile, non certo quello del quartetto a Tokyo.

Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Dopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifesto
Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Dopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifesto

Multidisciplina a rischio?

Oggi è diverso e accade qualcosa di insolito. A fronte di stradisti italiani che faticano a farsi vedere, il tifoso italiano non si lega a quelli che vanno forte altrove. La vittoria di Milan al mondiale e il suo record del mondo, che gli ha permesso di battere il primato di Ganna, vale quando un successo di Sinner. Eppure passa sul giornale, il pubblico applaude e il giorno dopo sparisce. Addirittura, sui social ci si chiede quando finiranno i mondiali della pista. Non perché domani ci sia un’altra corsa su strada, ma semplicemente perché non si ha voglia o non si è in grado di seguirli e di conseguenza non si coglie la grandezza dei loro protagonisti.

La conseguenza più immediata di questo è che la multidisciplina, che a fatica si stava facendo largo, piano piano viene rimessa in discussione. E se già avevamo incassato, ad esempio, il ritiro dal cross di De Pretto e Olivo, siamo prossimi a registrare anche quello di Paletti, dopo aver visto mollare Silvia Persico. Casi distinti, ciascuno con la propria motivazione, incluso lo scarso gradimento di certe squadre nei confronti di chi vuole dedicarsi ad altro rispetto alla strada. E’ chiaro che su questo la FCI deve tenere alta l’attenzione, ma un ruolo pedagogico potrebbero averlo anche i media. Il pubblico va in qualche modo abituato, si potrebbe dire persino educato. E qui veniamo alla canzone degli Stadio.

Alfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passato
Alfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passato

Chi erano i Beatles

«Chiedi chi erano i Beatles»: questo il suo titolo. Se incontri una ragazzina di 15 anni di età e gli chiedi chi fossero i Beatles – questo in sintesi il testo del brano – lei ti risponderà che non lo sa. Non lo sa perché non conosce la storia, sa a malapena quello che le succede attorno. Non sa di Hiroshima, suo padre le ha detto che quaranta anni fa l’Europa bruciava nel fuoco. Ha la memoria breve dei ragazzi che volano lievi su tutto.

Quando la canzone fu scritta, non c’erano i social, per cui si era quantomeno capaci di ascoltare il racconto di chi sapeva chi fossero i Beatles e si leggevano i giornali. «Voi che li avete girati nei giradischi e gridati – prosegue la canzone come un appello dei ragazzi a chi c’era – voi che li avete ascoltati e aspettati, bruciati e poi scordati. Voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole: chi erano mai questi Beatles, ma chi erano mai questi Beatles?».

Oggi l’informazione arriva attraverso canali non convenzionali ma potentissimi e l’assenza dei media diventa ancora più rumorosa. Una volta la presenza dei giornalisti italiani a un mondiale era oceanica, oggi ci conti sulle dita della mano. Alcuni hanno rinunciato al ciclismo, altri lo seguono con mezzi non più competitivi e limitano la loro azione a un pubblico non più giovane

Pogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anni
Pogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anni

Il linguaggio dello sport

«Con tutte le cose – dice la canzone – non solo a parole». Non si tratta più di spiegare al pubblico più giovane chi fossero i Beatles, come Pantani oppure Indurain. Alfredo Martini, che non smette di insegnare neanche adesso che non c’è più, diceva che un giovane ha bisogno di sentirsi dire cosa accadrà, non cosa accadeva. Però chi ha l’esperienza di ieri, deve rendere fighi il presente e il futuro. Pretendere di imporre le regole del passato fa crollare il ponte che da sempre unisce le varie epoche dello sport. Mostrare una via alternativa per lo sviluppo ha invece un senso diverso. Occorre una visione. Serve gente competente, nei media e nei palazzi.

La sensazione invece è che si mettano i dischi dei Beatles per non ascoltare la musica del presente. Che è sincopata, dialettale e sghemba, ma è viva e forte. E non retrocede certo in onore della memoria: semplicemente preferisce ignorarla e andare avanti. Il ciclismo si inchina a Pogacar perché è forte, giovane e figo: la FCI in che modo può rendere giovane e attraente la sua proposta? Le società giovanili chiudono perché sono ferme al passato e chi le guida non ha i piedi nel presente né lo sguardo nel futuro. Sta a noi, con garbo e il linguaggio giusto, spiegare al pubblico e ai giovani atleti che le radici, sia pure lontane, fanno parte dello stesso albero. E allora magari scopri che tua figlia è fissata per Geolier, ma quando meno te la aspetti canta parola per parola quella canzone di De André che tu avevi quasi dimenticato.

Voci e umori azzurri dopo il bronzo nella crono dell’Australia

25.09.2024
8 min
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ZURIGO (Svizzera) – La grandezza della prova degli azzurri nella crono a squadre e nello specifico di Gaia Realini sta nei sette secondi di ritardo con cui Affini, Cattaneo e Ganna chiudono la loro frazione. Avevamo sperato che i ragazzi avrebbero lasciato un bel gruzzolo da gestire alle ragazze, senza considerare che il percorso del team relay era tutto fuorché il tracciato per una cronometro a squadre.

Pensavamo che si potesse vincere, ma il bronzo è un bellissimo traguardo che si somma agli ottimi risultati degli europei e a quelli di questo avvio di mondiale. L’Italia sa andare forte contro il tempo e prende medaglie anche quando la selezione da parte di Velo avviene in un campo di candidati limitato per indisponibilità o problemi di salute.

Alla fine per gli azzurri arriva un ottimo terzo posto a 8″ dall’Australia e a 7″ dall’argento
Alla fine per gli azzurri arriva un ottimo terzo posto a 8″ dall’Australia e a 7″ dall’argento

Troppe defezioni

Gli australiani hanno chiuso la prima parte con un piccolo margine, mentre le loro ragazze hanno mantenuto il margine fra sé e gli altri. Saremmo stati secondi alle loro spalle, se le ragazze della Germania non avessero tirato fuori la prova della vita chiudendo con 85 centesimi di ritardo dalle australiane. Il podio è tutto qui: Australia, Germania e Italia. Arriva così l’ennesima vittoria per Grace Brown che doppia l’oro della cronometro individuale ed è ad una sola gara dal ritiro.

In questo mondiale così costoso, al fronte di una sala stampa vuota di giornalisti (che verosimilmente arriveranno nel weekend per le gare su strada), il Belgio, la Gran Bretagna, il Portogallo e l’Olanda hanno deciso di non partecipare alla sfida per squadre. E così alla fine, vuoto per vuoto, la conferenza stampa dei team del podio salta perché non ci sarebbero abbastanza giornalisti per fare domande. Così, riservandoci di raccontare semmai in un altro momento le parole degli australiani, aspettiamo gli azzurri nella mixed zone. Prima che anche loro riprendano la via del pullman e dell’hotel.

L’ironia di Cattaneo

Cattaneo racconta dei ruoli e dell’impegno. «Non auguro una crono come questa neanche a Lello Ferrara – dice Cattaneo sorridendo all’indirizzo dell’ex corridore al nostro fianco – perché era una crono impegnativa anche se fosse stata individuale. Penso che sia stata una delle più difficili che io abbia mai fatto. Bisognava spingere tanto in salita, ma poi non potevi provare a tirare un po’ il fiato in pianura. Tutto il giorno a tutta quindi, senza mai mezzo momento di recupero. Ma soprattutto in salita dovevi andare sempre un pochettino di più di quello che era il tuo limite e questo ha reso la crono molto molto impegnativa.

«Abbiamo cercato di sfruttare il più possibile le caratteristiche di ognuno. Io ho tirato il più a lungo possibile in salita, Pippo ed Edo hanno macinato metri in pianura e nei pezzi in cui la strada tirava in giù, mantenendo la velocità più alta possibile. Per cui ognuno era al limite nella parte che meno gli si addiceva, è stato molto duro…».

Cattaneo è forse l’azzurro più adatto al percorso di Zurigo, estremamente duro
Cattaneo è forse l’azzurro più adatto al percorso di Zurigo, estremamente duro

Un percorso sbagliato?

Affini ha il solito pragmatismo mantovano, cui si è aggiunto il rigore olandese. E questa crono proprio non gli è andata giù. «Cattaneo tirava in salita – dice – e c’è stato un momento che veramente volevo dirgli di calare, perché mi stava mettendo non al gancio, di più… Ho tenuto e siamo riusciti a scollinare. Pippo faceva proprio delle tirate da bestia. Poi quando all’ultimo chilometro Cattaneo ha dato l’ultimo cambio, ho chiuso gli occhi e mi immaginavo di essere già all’arrivo, invece mancavano ancora mille metri. Ho cercato di dare tutto, penso che abbiamo fatto tutti e tre una bella crono.

«Non credo fosse un percorso da crono – aggiunge – infatti è il percorso della gara su strada ed è duro: un motivo ci sarà. Per me è abbastanza semplice: se fai un percorso così, che a farci nove giri domenica verrà una gara tostissima, non ha senso farlo in tre con la bici da crono. A parte la durezza in sé, c’erano tantissime curve che non davano il ritmo della cronosquadre, come invece è stata quella degli europei. Lì potevano mettere anche qualche salita in più, però mantenendo la linearità. E’ come se per organizzare un mondiale per scalatori, non avessero messo le salite…».

Affini ha cambiato rapporti. Dal 68 degli europei, ha fatto la crono di domenica con il 60, oggi ha il 58
Affini ha cambiato rapporti. Dal 68 degli europei, ha fatto la crono di domenica con il 60, oggi ha il 58

Le tirate di Ganna

Colpito e affondato! Giusto in tempo per l’arrivo di Ganna, colui che a detta di Affini faceva delle tirate da bestia. Pippo stamattina ha chiesto di smontare la borraccia: un atteggiamento cattivo, segno che sarebbe partito con idee bellicose. Ora ha girato un po’ le gambe sui rulli e ha riordinato le idee. «Alla fine – sorride – ho provato a uscire dalla sua ruota, ma mi sono detto: “Ma chi me lo fa fare?! Resto dietro che sto bene”. In due momenti ho guardato il misuratore di potenza: non lo avessi mai fatto, aveva ragione Amadio. Ci ha detto che oggi avremmo fatto meglio a non guardarlo, infatti così abbiamo fatto. Cattaneo ci ha portato al limite senza però farci andare oltre, non ci ha mai messo in difficoltà al punto di farci scoppiare. Ci ha lasciato girare sul fuoco, come l’asado, ci ha cucinato alla brace, a fuoco lento. E’ stato bravo.

«Le mie sensazioni? A fine stagione credo che le sensazioni cambino ogni giorno, non credo che fare un confronto con domenica sia possibile. E’ un anno che siamo in bicicletta a far fatica, sempre al limite. Prima con Edoardo scherzando ci siamo detti che il ciclismo agonistico di sicuro non aiuta la salute. E’ bello uscire, farsi una passeggiata, fare anche il percorso di oggi in amicizia. Ma al livello in cui lo facciamo noi, è meno bello…».

Ultima crono di stagione per Ganna, che arriva al team relay dopo l’argento della individuale
Ultima crono di stagione per Ganna, che arriva al team relay dopo l’argento della individuale

Longo di buon umore

Le ragazze arrivano insieme: Longo Borghini, Realini e Paladin. Sono passate davanti a Ettore Giovannelli e i microfoni RAI, che le ha aspettate con il collegamento in chiusura. Poi sono venute a parlare italiano. «E’ andata bene – dice Longo Borghini – sono contenta di me stessa, ma soprattutto sono contenta della nazionale. Alla fine ce la siamo giocata fino in fondo e più di così non potevamo fare.

«Come ho appena detto alla RAI – ridono entrambe – ho scoperto che stare a ruota di Gaia non è un grande risparmio, perché comunque ho sempre la testa un po’ scoperta. Infatti, quando lei passava davanti in salita, pensavo: “Ok, dai, adesso mi riposo un attimo e poi almeno tiro forte in pianura”. E poi invece avevo sempre un po’ d’aria che mi arrivava».

Longo Borghini e Realini rimangono sole presto e chiudono con un tempo notevole
Longo Borghini e Realini rimangono sole presto e chiudono con un tempo notevole

Realini e la crono

Realini sta al gioco, le battute sul suo essere minuta la accompagnano da sempre, ma ha imparato a rispondere mettendole tutte in fila sulle salite. «Non sono un’ottima compagna di crono – ammette – però ho cercato di dare il massimo nei punti a me più favorevoli, cioè le salite. E poi si è dato tutto anche dove bisognava spingere. Anche Soraya nella prima parte, nonostante abbia avuto una giornata no, ci ha dato una grande mano. Quindi come nazionale possiamo essere fieri di questo risultato e ce lo godiamo fino in fondo.

«Sinceramente – sorride – ho saputo che sarei venuta qui una settimana prima della gara. Pensavo fosse tutto uno scherzo, perché chiamare me per una crono… Ho chiesto a Velo se avesse sbagliato numero però mi ha detto di no, che le ragazze erano contente che io facessi parte del team. Allora ho detto: “Ok, proviamo questa nuova esperienza”. E ho dato il massimo, diciamo che un terzo posto al mondiale cronosquadre non è da buttare».

Soraya Paladin correrà anche su strada. Il suo contributo nel team relay ha risentito di una giornata storta
Soraya Paladin correrà anche su strada. Il suo contributo nel team relay ha risentito di una giornata storta

Grinta Paladin

Soraya Paladin ha lo sguardo basso, lo aveva così anche sul podio. La giornata non è stata delle migliori, ma conoscendola siamo certi che si rifarà sabato su strada. «Per me – ammette – ci sono emozioni contrastanti. Ovvio, è una medaglia, quindi fa sempre piacere salire sul podio, soprattutto perché è la prima volta che salgo su un podio mondiale. Però personalmente sono un po’ dispiaciuta per come è andata. Non posso farci niente. Loro andavano fortissimo in salita, sapevo che era un po’ la mia parte debole e così è stato.

«Ma sabato sarà completamente diverso – ruggisce – ovviamente dà morale vedere che l’Italia è salita sul podio. Elisa e Gaia hanno fatto una grande performance, quindi andiamo lì ancora più cattive e pronte a salire magari più in alto. Ve lo dico io: Elisa ha la gamba!».

Con il podio del team relay si chiudono le prove a cronometro: da domani si corre su strada. Iniziano gli juniores
Con il podio del team relay si chiudono le prove a cronometro: da domani si corre su strada. Iniziano gli juniores

Sabato si combatte

Chiudiamo con le due compagne di Lidl-Trek che a fine stagione separeranno le loro strade e diventeranno avversarie. «Personalmente mi sono sentita bene – dice Longo Borghini – ho visto Gaia molto bene e onestamente una giornata no per Soraya ci può stare, ma credo che sabato sarà per noi una pedina molto importante».

«Secondo me oggi – fa eco Realini – abbiamo fatto un bel test su questo circuito. Verrà una gara molto dura perché non ci sarà un attimo di respiro. Non ci sono salite lunghissime, ma si potrà fare la differenza. E noi come nazionale siamo molto forti e giocheremo unite e ci giocheremo al meglio le nostre carte senza pressione. Questa volta insomma, quando Sangalli mi ha chiamato, non ho pensato che avesse sbagliato numero. Sabato si combatte!».

Evenepoel fa sua anche Zurigo: il bis iridato è servito

22.09.2024
5 min
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ZURIGO – Remco Evenepoel trova anche il tempo di alzare le braccia sotto lo striscione dell’arrivo. Il belga ha battuto il nostro Filippo Ganna in un confronto uno contro uno che alla vigilia era dato per scontato. E invece, sulle strade di Zurigo, di scontato non c’è stato nulla. In cima alla salita, al termine del secondo intermedio, il margine di Evenepoel era di nove secondi. Alla fine, nonostante la speranza finale alla quale si è appoggiato il team azzurro, il bis mondiale per il famelico Remco è servito. Allo scintillio dorato della sua Specialized, che ricorda il trionfo di Parigi, si aggiunge quello della seconda medaglia iridata nelle prove contro il tempo.

«Non è stato uno sforzo drastico – dice – cercavo solo di sentire la cadenza, di sentire il dolore nelle gambe e di soffrire. Credo che la salita l’avrei potuta fare più veloce, sentivo che non stavo davvero spingendo. Per fortuna ho mantenuto il mio vantaggio, anche se negli ultimi 5 chilometri ho fatto davvero fatica a mantenere la velocità e il ritmo costanti. Ganna si è avvicinato parecchio nell’ultima parte, il fatto di aver recuperato Roglic gli ha dato morale e un obiettivo da seguire. Naturalmente, in un campionato del mondo, c’è solo una cosa che conta, vincere. Alla fine il modo in cui è andata non è molto importante».

Per il secondo anno consecutivo Evenepoel è campione del mondo a cronometro, questa volta davanti a Ganna e Affini
Per il secondo anno consecutivo Evenepoel è campione del mondo a cronometro davanti a Ganna

Imprevisto al via

Il pomeriggio per il campione olimpico non era iniziato nel migliore dei modi però. La sua bici d’oro ha avuto un salto di catena sulla pedana di partenza. Momenti di tensione nei quali Evenepoel ha spinto via la telecamera della televisione svizzera, colpevole di essersi avvicinata troppo. Per un attimo è comparsa anche la bici di riserva, invece Remco è rimasto saldamente in sella alla prima spazzando via a colpi di pedale ogni dubbio sullo stato della catena incriminata. 

«E’ la seconda o terza volta – spiega il neo campione del mondo a cronometro – che mi capita una cosa del genere. Spesso ci sono così tante telecamere in giro che tolgono il segnale al misuratore di potenza. Probabilmente è una cosa che ha a che fare con la catena, perché c’era molto movimento sulla guarnitura in quel momento e abbiamo dovuto forzare un po’ il sistema per rimetterla a posto. Si è trattato di un problema di piccole dimensioni, che si sarebbe potuto ingigantire se avessi perso tempo prezioso per la gara. Per fortuna non dobbiamo pensarci. Credo che ci sia una cosa che mia moglie mi ha insegnato nel corso degli anni: ovvero che non ho nessun controllo su qualcosa che non è controllabile, e questo non era una situazione del genere. Quindi ho cercato di rimanere calmo e concentrato». 

Il contrattempo tecnico per Evenepoel è stato senza dirette conseguenze sulla prestazione, anche se ha dovuto pedalare senza misuratore di potenza. 

«Non vedere dopo pochi metri di gara, alcun numero sul mio computerino – continua – non è stato facile da gestire. Mi piace molto pedalare guardando la cadenza e la potenza media. Diciamo che oggi è stato un grande test per me, e credo di non aver fallito, per fortuna (ride, ndr)».

Una delle delusioni di giornata è stato Roglic, lo sloveno alla fine paga più di due minuti da Remco
Una delle delusioni di giornata è stato Roglic, lo sloveno alla fine paga più di due minuti da Remco

Da Parigi a Zurigo

I giorni dopo la prova olimpica su strada, per stessa ammissione di Evenepoel, sono stati parecchio complicati. Gestire le emozioni e il carico di attenzioni dopo il doppio oro di Parigi non è stato semplice, nemmeno per chi le attenzioni e le vittorie le mastica da quando era un ragazzino. 

«Ero piuttosto preoccupato dopo Parigi – ammette – perché non riuscivo a fare sforzi intensi. Poco prima del Tour of Britain, che ha sancito il ritorno alle gare, ero dubbioso sul mio stato di forma. Questo è anche il motivo per cui abbiamo deciso di non prendere parte ai campionati europei. Con il senno di poi possiamo dire che è stata una buona scelta. Se guardiamo al risultato possiamo dire che i primi due di oggi (Evenepoel stesso e Ganna, ndr) hanno un ampio margine sugli altri. La cosa che ci accumuna è l’aver saltato gli europei».

«La fiducia nei miei mezzi – riprende Evenepoel – è arrivata dopo il Tour of Britain. Gli allenamenti sono andati bene. Anche qui, nell’ultima settimana tutto è andato come previsto. Negli allenamenti dietro motore sentivo di stare bene ad alte velocità. Per fortuna, perché credo che se non avessi avuto la fiducia che ho ora, non sarei stato così performante e concentrato.  

Poco prima del traguardo l’esultanza, il casco d’oro meritava risalto ha ammesso Remco in conferenza stampa
Poco prima del traguardo l’esultanza, il casco d’oro meritava risalto ha ammesso Remco in conferenza stampa

Ancora Italia-Belgio

Con il tempo ci siamo abituati spesso a vedere uno scontro costante tra Evenepoel e Ganna. Un braccio di ferro che da un po’ verte in favore del talento belga. 

«In mezzo a Ganna e Affini – dice con una grande risata – mi sento come la mozzarella in mezzo al pane. A parte gli scherzi penso che si siano comportati ad un livello molto alto. Ho visto alcune foto di Ganna durante la settimana e ho potuto constatare che era in forma. Sulle lunghe distanze è molto forte, credo che abbia dimostrato ancora una volta che è un campione. Eravamo, e siamo sempre stati, molto vicini. Quest’anno è già la seconda o la terza volta che ci sono due ragazzi di un metro e 90 accanto a me. Meglio salire sul gradino più alto del podio perché altrimenti non rientrerei nella foto».

E’ stato fatto notare al belga come nel 2021 sul podio ci fossero un italiano, proprio Ganna e due belgi: Van Aert e lui. Quest’anno la tendenza si è invertita. 

«Non penso sia una vendetta o qualcosa del genere – conclude – Ganna, Affini e io abbiamo una buona amicizia. Nelle altre gare parliamo spesso. Credo che se oggi avesse vinto lui e io fossi stato secondo con gli stessi tempi, sarei stato contento per lui. Penso sia logico che il più forte vinca se non ha problemi meccanici o altro. Ganna dice di aver perso tempo in discesa, ma molto dipendeva da come si sarebbe arrivati in cima alla salita del secondo intermedio. Credo abbia perso tempo perché era stanco e in un tratto tecnico non riesci ad andare forte come vorresti. Questa è stata forse la chiave della mia vittoria di oggi, il fatto di essere ancora a posto in cima alla salita. Da un lato credo di essere stato fortunato perché se la gara fosse stata più lunga di altri 5 chilometri avrei perso».