GOSSAU (Svizzera) – Un colpo di genio. Forse meno dell’attacco con cui Pogacar ha conquistato il mondiale, ma comunque un colpo imprevisto che ha portato all’Italia l’oro olimpico della madison. Roba seria, insomma. Il colpo di genio è l’attacco con cui in la sera del 9 agosto alle porte di Versailles, Vittoria Guazzini ha guadagnato il giro, gettando la base per la vittoria. L’ha fatto con l’istinto e in barba alle raccomandazioni con cui Chiara Consonni le aveva appena raccomandato una tattica meno aggressiva.
Tutti stanchi
Perciò, approfittando di un momento di attesa prima della cronometro di Zurigo 2024, abbiamo intercettato Vittoria, cercando di capire come nasca effettivamente un colpo di genio. Da quale combinazione di istinto e calcolo. Soprattutto avendo di fronte una cronoman e un’inseguitrice di valore internazionale, abituata a scandire le sue prestazioni con il ritmo del cronometro. Lei ascolta e sorride, è raro che la “Vitto” non sorrida. E forse questa leggerezza di spirito è stata la molla per l’attacco.
«Sicuramente la madison è una gara diversa dal quartetto e dalle crono – dice – perché lì è tutto un po’ più matematico, numeri, watt. Serve tanta intesa con la compagna e poi un po’ di estro, mettiamola così. Quella di Parigi è stata una gara tirata dall’inizio e già da un po’ mi ero accorta che quasi tutte facessero fatica. Non potevamo essere stanche solo noi. Avevo visto che le altre nazioni avevano fatto tutti gli sprint quindi a un certo punto ho pensato che fosse arrivato il momento. E mi sono detta: “Adesso attacco. E se va male, ricomincio come prima”».
Una trappola per Chiara
Sembra facile, non lo è affatto. La madison è un girare frenetico e per cogliere l’attimo giusto serve avere le gambe e la capacità di leggere nei movimenti degli avversari. Serve l’istinto del velocista e la rapidità d’esecuzione del chitarrista rock. Vittoria è più quella che improvvisa o quella dei secondi e dei millesimi?
«Dipende – ride – Vittoria si trasforma in base a quello che la gara richiede. Sicuramente in una crono come qui in Svizzera, non so quanta improvvisazione ci sia, soprattutto se il percorso è impegnativo e c’è da spingere. E’ stato bello vivere quelle emozioni a Parigi. Ed è vero che Chiara mi avesse detto di non fare colpi di testa, infatti io non le ho detto niente. Ho pensato: “Vedrai, quando sono lì, il cambio me lo deve dare!”. Però sapevo che aveva la gamba, quindi non l’ho detto solo per non turbarla mentalmente. Non avevo dubbi che ce l’avremmo fatta».
Tornare a mani vuote
Alla fine Consonni ha apprezzato, inevitabile che fosse così. Anche lei si era accorta dei movimenti delle altre coppie ed è stata ben contenta alla fine di assecondare il gioco della compagna, che intanto continua il suo racconto.
«Erano tante volate che le altre nazioni continuavano a buttarsi dentro – ricorda – e si era sempre tutti al limite, quindi era da un po’ già che ci pensavo. Dicevo fra me e me: “Sto qui, sto qui, sto qui e quando vedo, parto!”. E quando siamo arrivati che mancava una quarantina di giri, ho ritenuto che fosse il momento giusto e sono andata. Venivamo dal quartetto, una grande delusione per tutti, perché ci speravamo. Sono tanti anni che lavoriamo insieme, inutile dire che ce lo meritassimo perché penso che tutti i quartetti se lo meritassero. Nessuno arriva lì per caso. Però mi sembrava che non ci meritassimo di tornare a casa a mani vuote. Diciamo che quella delusione è stata una motivazione in più per dare tutto».
Fra Balsamo e Consonni
Il fuori programma, oltre l’attacco, è che l’abitudine della madison azzurra negli ultimi anni ha visto Guazzini in coppia con Balsamo più che con Consonni. Il rammarico di Tokyo forse fu proprio aver smontato la coppia che aveva appena vinto i campionati europei della specialità. Ma qui il discorso si innesta sui trascorsi comuni in maglia Valcar e gli anni nella nazionale sin dagli juniores, che hanno fatto di questo gruppo una banda molto affiatata.
«Diciamo che Elisa e Chiara – dice – sono molto veloci rispetto a me, che magari sul passo ho qualcosa in più. Quindi come caratteristiche ci completiamo. E’ vero che forse ho corso più con Elisa, soprattutto nell’ultimo periodo. Però con Chiara c’è una grande intesa sia su che giù dalla bici, quindi poi alla fine non è stato così difficile adattarci. Sono molto diverse anche per il carattere, Chiara è più estroversa. Però poi sulla bici, si tira tutti fuori la giusta cattiveria agonistica.
«Ho capito che avevamo vinto le Olimpiadi quando ho preso l’ultimo cambio. Eravamo lì con le olandesi, mentre le inglesi erano avanti e avrebbero preso gli ultimi dieci punti, ma ne avevano più di dieci di distacco, quindi a quel punto era fatta. Mi sono goduta veramente a pieno gli ultimi giri. Ho capito che avevamo vinto la gara, però da lì a realizzare di aver vinto le Olimpiadi è stato qualcosa di incredibile. Guardavo sugli spalti le ragazze, i ragazzi, i miei genitori che erano lì e pensavo che questa volta l’avevamo combinata grossa».
Ha rivisto la gara una sola volta, almeno finora. «La mattina con Chiara – ammette – perché siamo rientrate in hotel che era mattina. Abbiamo fatto una doccia e poi ci siamo dette: “Dai, guardiamo la gara, che non ci abbiamo capito niente”. Poi è capitato di vedere qualche spezzone che hanno mandato qua e là. Adesso per finire la stagione su pista mancano i mondiali di Copenhagen. Ma non saranno quelli che ci permetteranno di rifarci della delusione del quartetto. Quello potremo farlo solo a Los Angeles, ma è presto parlarne adesso».