Il tetris di Villa tra l’Africa e la Francia: nasce l’Italia

28.08.2025
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Tornato con soddisfazione dai mondiali juniores su pista, in cui ha affiancato Salvoldi e Bragato, Marco Villa adesso fa rotta verso il doppio impegno dei mondiali e degli europei su strada. Il Rwanda e la Francia chiamano corridori resistenti e forti in salita. Ma mentre per la spedizione africana bisognerà che alla crono (ugualmente dura) pensi chi poi farà anche la strada, nella sfida europea la prova contro il tempo sarà per specialisti e sarà possibile prevedere un avvicendamento.

Tiberi ha esordito al mondiale pro’ lo scorso anno a Zurigo. Ora è alla Vuelta: secondo Villa dovrebbe pensare di più alle classiche
Tiberi ha esordito al mondiale pro’ lo scorso anno a Zurigo. Ora è alla Vuelta: secondo Villa dovrebbe pensare di più alle classiche
Si è molto ragionato, la conclusione è che il gruppo mondiale e quello europeo non saranno identici?

No, non saranno due gruppi uguali. Quando due mesi fa ebbi il primo contatto con Ciccone, mi disse che a lui il mondiale capitava bene, dopo la Vuelta, però poi aveva Emilia e Lombardia nel programma (i due sono insieme in apertura al Tour of the Alps, ndr). E l’Emilia si corre il giorno prima dell’europeo, quindi non si riesce.

Hai già in testa le due rose diverse?

Col mondiale mi ero mosso, con gli europei mi sono detto che avrei potuto aspettare anche la Vuelta. Inizialmente per il Rwanda sembrava che avremmo avuto cinque nomi ed era abbastanza facile individuarli. Dovevo tenere presente che due di loro dovevano essere cronoman e serviva anche il terzo per fare il Team Relay. Quindi solo due sarebbero stati stradisti puri, ma avrei avuto cronoman in grado di dare una mano su quel percorso. Adesso invece la prospettiva è di avere sette o anche otto nomi, quindi qualcuno che a malincuore avrei dirottato sull’europeo, ora potrei tirarlo dentro.

Quando ci sarà l’ufficialità?

Un meeting tra presidente, segretario generale, Amadio e il vicepresidente è stato fatto a Torino sabato mattina, prima della partenza della Vuelta. Qualcosa hanno già deciso e preventivato, però probabilmente si dovrà passare per il Consiglio federale. In attesa, a me è stato comunicato che c’è la volontà di aprire ad altri atleti.

Recuperare Caruso è l’auspicio di Villa: dipenderà dalla sua possibilità di tornare in condizione
Il Giro ha dato a Caruso il quinto posto e un grosso carico di soddisfazione personale
Per il tuo primo mondiale su strada l’idea è di avere un leader unico?

Con cinque corridori il discorso sarebbe stato diverso, ma l’idea rimane, perché Ciccone ha dimostrato che su certi percorsi sa vincere, sa provare a vincere. Non nascondo che farei fatica a definire Tiberi un gregario. Ad Antonio ho detto che mi piacerebbe portarlo come seconda punta. Però, secondo me, corre poco nelle prove di un giorno. Anche in funzione del fatto che i prossimi tre mondiali hanno tutti caratteristiche simili, mi piacerebbe formare un gruppo e Tiberi potrebbe essere la figura del campione che deve acquisire esperienza correndo i mondiali e altre corse di un giorno. Ad ora si concentra tanto sulle corse a tappe, ma con le sue caratteristiche potrebbe perfezionare un po’ l’attitudine alle prove singole.

Pensi di poter recuperare Caruso dopo la caduta per cui ha saltato la Vuelta?

Inutile nascondere che Caruso come regista ha trovato il pieno consenso anche da parte di Ciccone. Sono amici e si fida, in più Caruso in squadra è l’uomo spalla di Tiberi. Sarebbe l’uomo giusto per quel ruolo. Adesso vediamo quello che si può fare. Ci siamo sentiti e mi è sembrato di capire dall’entourage della squadra che ci sia margine per lavorare in questi giorni. Gli ho dato 7-8 giorni in cui capire se riesce ad allenarsi, se riesce a ritornare e fare qualche gara, nel calendario italiano, forse anche il Canada. Io mi fido perché ha grande personalità e ha dimostrato di sapersi allenare. Quando abbiamo parlato, mi disse che sarebbe venuto, ma dopo due mesi senza correre, era curioso di vedere come sarebbe rientrato a Burgos. E’ andato e ha vinto.

Quanto è brutta la frattura della mano?

Il giorno dopo è andato in bici, riusciva a tenere il manubrio in una certa posizione, ma non a fare tutto quello che può capitare in gruppo durante una gara. E così ha rinunciato. Per questo penso che possa allenarsi e magari in 10-12 giorni possa tornare a correre. L’ho trovato molto determinato, entusiasta del ruolo che gli ho dato e di questa possibilità di maglia azzurra. Per questo ci spero anche io fino alla fine.

Pellizzari, al pari di Tiberi, ha bisogno di esperienza nelle corse di un giorno: Villa lo vorrebbe a Kigali
Pellizzari, al pari di Tiberi, ha bisogno di esperienza nelle corse di un giorno: Villa lo vorrebbe a Kigali
I tre cronoman che farebbero anche la strada sono Cattaneo e Sobrero, con l’aggiunta di Tiberi?

Esatto. I primi con cui ho parlato sono questi. Sobrero inizialmente avrebbe dovuto fare il Tour, ma è andato al Polonia ed è andato forte e adesso sta facendo bene alla Vuelta. Lui e Cattaneo possono dare una mano anche su strada, perché vanno forte in salita. Tiberi l’anno scorso non sembrava tanto dell’idea di fare il Team Relay, vediamo se cambia opinione. Al momento è tutto concentrato sulla Vuelta e non voglio stressarlo più di tanto. Abbiamo la coincidenza che la cronometro è per scalatori, perché se fosse stata veloce e avessi portato un Ganna, su strada avrebbe potuto aiutare poco. Invece agli europei la crono è per specialisti e la strada per scalatori, ma siamo vicini e si possono fare due gruppi che si interscambiano, così costi e stanze in hotel restano invariati.

Se avessi qualche posto in più per il Rwanda, Pellizzari sarebbe un nome da aggiungere?

Pellizzari era già una richiesta di sacrificio che avevo chiesto alla Federazione e ad Amadio che l’avrebbe portata avanti, per un discorso parallelo a quello di Tiberi. Abbiamo tre mondiali duri e Pellizzari è un altro che in questi tre anni può crescere, ci può far comodo e può diventare un leader. Mi piacerebbe già a questo mondiale. Abbiamo parlato, era un po’ titubante.

Come mai?

Abbiamo parlato dei vaccini e del livello degli ospedali, gli ho detto che l’UCI ha dato delle garanzie precise. Era il periodo dell’incidente di Baroncini, comprensibile che esitasse. Infatti poi si è tranquillizzato e mi ha dato l’okay per esserci. Adesso aspettiamo di avere i numeri definitivi, ma almeno per il sesto già ci sto lavorando.

Cattaneo, terzo agli europei crono 2024, è uno dei candidati di Villa a strada e prova contro il tempo ai mondiali
Mattia Cattaneo, terzo agli europei crono 2024, è uno dei candidati a strada e prova contro il tempo ai mondiali
Se il blocco del mondiale non si può replicare agli europei, qual è l’orientamento?

Mi piacerebbe fare un blocco XDS-Astana. Ulissi, Scaroni, Lorenzo Fortunato, Velasco, Conci sono tutti atleti che sto tenendo d’occhio. Stiamo valutando anche con Ganna, anche perché Cattaneo e Sobrero rientrano martedì dal Rwanda e la crono c’è di mercoledì e il team relay il giovedì. Affini mi ha chiesto di non considerarlo perché gli nasce la bimba, così per la crono ho allertato Lorenzo Milesi. Tornando alla strada, mi piace come si sta muovendo Frigo, da capire se per mondiale o europei, come pure Aleotti. Quello che cambia, se andiamo al mondiale in più di sei, è che qualcuno della strada potrebbe correre anche l’europeo. Ci sono 4 giorni dal rientro e magari c’è lo spazio per recuperare.

Hai una scadenza per dare i nomi?

Non c’è un termine come per le Olimpiadi, ma certo servono i nomi per i biglietti aerei. Per cui aspettiamo le conferme sul numero effettivo e poi tirerò fuori la squadra.

Le juniores e poi le grandi: i mondiali chiamano le azzurre

19.08.2025
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I mondiali juniores da domattina e quelli delle grandi dal 16 ottobre: la stagione da tecnico di Diego Bragato entra nel vivo. Stamattina l’allenamento si è svolto dalle 9 alle 10,30 nell’Omnisport di Apeldoorn. L’impianto è una delle mete abituali del circus, che dal 2011 ad oggi vi ha disputato due mondiali e tre europei.

La pista delle azzurre vive la stagione post olimpica con molte delle protagoniste impegnate su strada. Eppure nelle rare occasioni in cui le campionesse olimpiche e mondiali sono spuntate a Montichiari, l’effetto sulle più giovani è stato ogni volta un tornado di emozioni e voglia di fare.

«Quando ci sono fanno la differenza – osserva Bragato – perché comunque per i titoli, per il carisma e per l’esperienza, le più giovani sono ben contente di dividere gli spazi e il lavoro con loro. Si nota quando ci sono, anche se sono venute a spot, organizzandosi fra loro, anche in base ai calendari di ciascuna».

Da quest’anno Diego Bragato è il tecnico della pista donne (foto FCI)
Da quest’anno Diego Bragato è il tecnico della pista donne (foto FCI)
E quando loro non ci sono, sta venendo fuori qualche nuova figura di riferimento?

Si sta consolidando Venturelli, che è giovane ma ormai va considerata tra le big, perché ne ha tutte le potenzialità. Nel gruppo under 23 lei è il riferimento. Con le juniores invece stiamo facendo un bel lavoro di costruzione. Abbiamo un bel vivaio di ragazze sia di secondo che di primo anno. E alla luce dei primi test che ho visto, anche nel 2026 ci sarà un bel gruppo di ragazze su cui vale la pena investire per costruire un futuro importante. Credo che i numeri ci siano e un paio di atlete come Sanarini e Pegolo si stanno dimostrando due figure di riferimento.

Il loro tecnico è Salvoldi, ma anche fra gli juniores uomini si sta lavorando bene…

Anche secondo me stiamo facendo un buon lavoro. Magagnotti è il riferimento e in questi mondiali può dare un segno di maturità e far vedere che può essere il riferimento di questa categoria. Dimostrando di avere i numeri per essere ammesso alla categoria superiore.

A proposito di questo aspetto, c’è la volontà che il travaso avvenga oppure si cerca di non bruciare le tappe?

Io credo che nel maschile si sia creata una filiera abbastanza… densa per poter lavorare senza bruciare le tappe. Perché dietro ai ragazzi più grandi, quelli delle medaglie per intenderci, ci sono già Manlio Moro e tutto il resto del gruppo. Boscaro, Favero, Giaimi e atleti di annate con cui continuiamo a fare risultati a livello internazionale. Quindi c’è il gruppo che ti permette di fare un travaso moderato.

La vittoria nell’inseguimento U23 agli europei ha ridato fiducia a Venturelli, diventata un riferimento
La vittoria nell’inseguimento U23 agli europei ha ridato fiducia a Venturelli, diventata un riferimento
Invece con le ragazze?

E’ un po’ più difficile. Tolte le big e Venturelli, non abbiamo un gruppo molto omogeneo e ricco, quindi dobbiamo richiedere alle giovani di entrare subito in scena, come è successo con la Baima. Dalle juniores l’abbiamo catapultata subito tra le grandi perché c’è stata e c’è ancora la necessità di accelerare un po’ i processi di crescita.

Il gruppo è meno ricco perché di fatto non esiste una categoria U23 delle ragazze?

Esatto. Le nostre ragazze sono forti da juniores, ma quando diventano under 23, vengono già catapultate in gare impegnative. Per cui diventa difficile metterci dentro un calendario della pista e stentiamo, come è successo agli europei di Anadia. Abbiamo fatto fatica a creare un quartetto di under 23 perché c’era il Giro d’Italia, perché fanno mille gare e per me è veramente difficile adesso lavorare con questa fascia di età.

Alla luce di questo, in che modo preparerete il mondiale in Cile dal 16 al 20 ottobre?

Partiamo dal presupposto di aver detto alle ragazze che nell’anno post olimpico non avremmo chiesto grossi impegni, se non appunto il mondiale a fine stagione. In ogni caso sono venute spesso in pista, si sono ritrovate, si sono organizzate tra di loro per esserci anche insieme. Questo mi fa piacere perché vedo un bel gruppo. Per i mondiali inizieremo a lavorare da settembre, con un calendario condiviso e dei lavori mirati. Fino ad ora non l’abbiamo fatto, lasciandole libere ai loro impegni con le squadre, quindi sarà un mondiale preparato nell’ultimo mese e mezzo.

Assorbita la delusione dei Giochi di Parigi, Elisa Balsamo ha intensificato la presenza in pista
Assorbita la delusione dei Giochi di Parigi, Elisa Balsamo ha intensificato la presenza in pista
Ci saranno anche le prime della classe?

Le avremo, non per una preparazione top, ma ci saranno perché il loro apporto mentale sarà prezioso. Sull’aspetto fisico avremo il tempo di lavorarci, però le sto vedendo bene. Sono più serene e le abbiamo scaricate un po’ come volumi di lavoro. Sto vedendo bene Guazzini, Consonni, Fidanza e Alzini. Anche Elisa Balsamo è venuta regolarmente in pista e ci tiene a far parte del gruppo. Se anche non facesse il mondiale, perché ha i suoi impegni su strada, probabilmente la vedremo nelle Coppe del mondo.

In teoria a ottobre a quel punto il grosso della stagione su strada sarà andato…

Fino a un certo punto. Avremo meno di un mese, per lavorare con ragazze che dovranno correre in Cina. Alcune hanno dei raduni per la nuova stagione poco prima del mondiale, altre hanno ancora gare vicino casa, che portano via solo una giornata. Quindi la strada ci sarà ancora, ma per quest’anno va bene così e secondo me arriveremo comunque bene perché stiamo facendo un lavoro sul gruppo.

In che modo?

Stiamo affiatando le ragazze. Abbiamo già iniziato con l’europeo, proseguendo il lavoro già fatto con le Olimpiadi e gli scorsi mondiali. Stiamo parlando tanto con Elisabetta Borgia (la psicologa della nazionale, ndr) perché siano affiatate tra loro e mature per gestire la pressione. Il mio intento è quello di costruire un gruppo solido, non solo fisicamente ma anche mentalmente, per Los Angeles. Affinché arrivino lì pronte a gestire lo stress, la gara, i riscaldamenti, le routine. Passo dopo passo voglio vederle più solide, anche mentalmente.

Agli europei di Anadia, Linda Rapporti ha realizzato il record del mondo dell’inseguimento, poi battuto dalla danese Fiale (foto FCI)
Agli europei di Anadia, Linda Rapporti ha realizzato il record del mondo dell’inseguimento, poi battuto dalla danese Fiale (foto FCI)
Tornando alle juniores: l’obiettivo è la medaglia o la prestazione?

Guardo alla prestazione, anche se si corre sempre per vincere. Voglio vedere i tempi e come corrono, devono imparare a gestire tutti gli aspetti. Sarei contento se migliorassimo qualcosa rispetto agli europei, perché già ero contento dei tempi degli europei.

Quali ad esempio?

Linda Rapporti ha fatto il record del mondo nell’inseguimento individuale e poi ha trovato la danese Ida Fialla che gliel’ha battuto subito. Anche il quartetto è andato forte, ma in finale le inglesi hanno fatto il record del mondo. Finché per batterci devono fare il record del mondo, vuol dire che stiamo bene. La medaglia sarà pure d’argento, però guardo i tempi e sono contento. Qui vorrei vedere uno scalino in più sia come tempo, ma soprattutto nelle prove di gruppo, come maturità e come gestione della gara. Se abbiamo quello, poi abbiamo gli anni per costruire la prestazione.

EDITORIALE / Più punti al De Gasperi che al Giro d’Italia

16.06.2025
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Tsarenko ha vinto il Trofeo Alcide De Gasperi che quest’anno da Cismon del Grappa è arrivato a Pergine Valsugana (in apertura sul podio con Jasch e Cretti, immagine Instagram/EliteWheels). Corsa internazionale di classe 1.2 che ha dato al vincitore 40 punti UCI. Il De Gasperi è stata per anni una classica dei dilettanti, ma da quando è stata inserita nel calendario internazionale è diventata appannaggio anche delle squadre pro’. Da quando è stata inserita nel calendario internazionale, ma soprattutto da quando la centralità del ranking ha aperto la caccia sfrenata ai punti. Prima le professional si vergognavano di andare alle corse dei dilettanti, ora sono fra le loro preferite. Nell’elenco dei partenti, oltre alle continental e i devo team, c’erano due sole professional: Vf Group-Bardiani e Solution Tech-Fantini.

Quaranta punti sono quelli che si è messo in tasca Carlos Verona, arrivando settimo a Sestriere: ben più dei 25 che nello stesso giorno ha conquistato Pellizzari. Quaranta punti li ha fatti Fiorelli ad Asiago e anche Vingegaard arrivando secondo alle spalle di Pogacar nelle tappe del Delfinato. Tsarenko (che ha poi vinto anche al Giro di Slovenia e che citiamo solo ad esempio, augurandogli una carriera luminosa) ci sarebbe riuscito?

Sestriere, penultima tappa del Giro: 45 punti per Marcellusi (6°), 40 per Verona (7°). Per la VF Group alla fine 400 punti
Sestriere, penultima tappa del Giro: 45 punti per Marcellusi (6°), 40 per Verona (7°). Per la VF Group alla fine 400 punti

Le prime trenta

Dal prossimo anno per partecipare a Giro, Tour e Vuelta e poter ambire alle wild card bisognerà rientrare fra le prime 30 squadre del ranking. Al momento la VF Group-Bardiani naviga in acque abbastanza tranquille, con il 27° posto. La squadra dei Reverberi infatti prende parte al Giro Next Gen, poi sarà al Val d’Aosta, avendo individuato nel calendario degli U23 un utile bacino di approvvigionamento.

Più in basso è invece il Team Polti-VisitMalta che ha disputato il Giro, ma si trova in 30ª posizione con 24,7 punti più della Solution Tech-Fantini. Se la battaglia si giocherà sul filo di pochi piazzamenti, la differenza verrà colmata con ogni genere di competizione, anche quelle dei dilettanti di un tempo, nei cui confronti il team di Basso e Contador finora non ha mai mostrato grande interesse. Giustamente, diremmo. Tuttavia se il criterio dei punti è predominante, prepariamoci ad assistere a battaglie senza esclusione di colpi e anche a scelte anacronistiche.

Il Team Polti-Kometa ha partecipato al Giro, con 412 punti portati a casa
Il Team Polti-Kometa ha partecipato al Giro d’Italia, con 412 punti portati a casa

Si chiude un’epoca

Fino a ieri, la partecipazione delle nostre professional al Giro era legata alla loro voglia di andare in fuga e a qualche talento da lanciare. Facevano spettacolo, tenevano desta l’attenzione, spesso a discapito degli ordini di arrivo. Quando il gruppo li prendeva, raramente i loro corridori riuscivano ad avere gambe per rilanciare e le tappe finivano in tasca agli squadroni. Ma se questo modo di essere non è più previsto dall’ordinamento mondiale del ciclismo, dobbiamo prepararci a non avere più le piccole squadre italiane al Giro d’Italia, ritrovandole invece in tutte le gare minori in cui hanno maggiori possibilità di fare punti.

Il risultato finale a ben vedere sarebbe la netta delimitazione fra serie A e serie B del ciclismo: l’esclusione dei piccoli sarà assicurata dai punti e dai soldi. Come nel calcio. Se così sarà, godiamoci il ricordo di Pellizzari che si scambia la maglia con Pogacar: corridori e scene così saranno presto impedite dal ranking. Con grave danno per il ciclismo italiano, che non ha altri difensori al di fuori dei suoi appassionati.

Pogacar regala a Pellizzari la sua maglia rosa a Monte Pana: Giro 2024. Per quanti anni sarà ancora possibile una scena come questa?
Pogacar regala a Pellizzari la sua maglia rosa a Monte Pana: Giro 2024. Per quanti anni sarà ancora possibile una scena come questa?

Un messaggio dalle Marche

«Prendiamo ad esempio un ragazzo dal sicuro valore come Tarozzi – ci scrive il marchigiano Francesco Andreani – che nel 2025 ha vinto la classifica dei GPM alla Tirreno e al Giro è stato il corridore che ha percorso più chilometri in fuga. Tirando le somme, ha solamente 8 punti nella classifica UCI. Un ragazzo che si piazza sesto al De Gasperi ne conquista 10. Il rischio è che corridori come Tarozzi saranno sempre meno appetibili ed è un peccato».

Ha ragione. Sembra un percorso irreversibile ed è un peccato che non crei allarme in chi guida la Federazione e potrebbe agire a livello internazionale per regolamentare, ad esempio, la possibilità di passaggio all’estero di corridori minori e non professionisti.

Un premio per i tanti chilometri di fuga di Tarozzi, ma quanti punti? Eppure la sua presenza ha impreziosito il Giro d’Italia
Un premio per i tanti chilometri di fuga di Tarozzi, ma quanti punti? Eppure la sua presenza ha impreziosito il Giro d’Italia

L’inerzia federale

Non lo fanno perché probabilmente non ne sono capaci. Oppure perché non hanno interesse a farlo. Allo stesso modo in cui hanno rinunciato a schierare ragazze azzurre U23 nella prima edizione del mondiale di categoria: perché non ci sono i soldi per portarle.

E così si va avanti. Gli agenti pescano nel mare, con lo sbarramento dei watt che rendono i giovani corridori attendibili e redditizi. Li portano nei devo team o direttamente nelle WorldTour, perché è giusto che rincorrano i migliori guadagni possibili. E per le squadre italiane resta davvero poco, portano a correre le terze scelte, con risultati ovviamente incapaci di grosse sorprese, vista la prevedibilità del ciclismo. Fatti salvi 2-3 nomi, la loro presenza al Giro d’Italia è stata leggera. Il richiamo del De Gasperi diventerà presto molto più forte di quanto non sia già adesso. In attesa di sapere cosa ne pensano i loro sponsor.

Cornegliani pronto per entrare nella commissione del paraciclismo

06.02.2025
4 min
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Ci sono ancora cariche da assegnare, ma lui è l’uomo giusto al posto giusto. Con le sue tredici preferenze, Fabrizio Cornegliani è stato il primo eletto tra i consiglieri degli atleti (l’altra è Maria Giulia Confalonieri) e sarebbe perfetto per seguire tutta l’attività che riguarda il paraciclismo.

Inizialmente il 56enne di Miradolo Terme era nella squadra di Daniela Isetti, poi le votazioni finali lo hanno fatto entrare nel consiglio di Cordiano Dagnoni, il quale dovrà decidere come coprire tutti i reparti. E’ indubbio che sarebbe un peccato non sfruttare le competenze di Cornegliani, considerando che soprattutto l’oro olimpico vinto a Parigi (in apertura, foto CIP/Pagliaricci) lo ha proiettato in una ulteriore dimensione. Ciò che ha provato lui è trasferibile ad altri paratleti in vista dei prossimi eventi fino a Los Angeles 2028. Non più solo watt da sprigionare, ma anche un percorso mentale da intraprendere per approcciarsi meglio alle gare che contano. E se l’ultima volta gli avevamo chiesto com’era stato essere docente per un giorno, stavolta siamo noi che abbiamo ascoltato la sua lezione.

In attesa di conoscere i ruoli nelle commissioni, il neoconsigliere Fabrizio Cornegliani è la persona più giusta per il paraciclismo

In attesa di conoscere i ruoli nelle commissioni, il neoconsigliere Fabrizio Cornegliani è la persona più giusta per il paraciclismo
Fabrizio ti aspetti di entrare nella commissione del paraciclismo?

Dovrò trovarmi col presidente Dagnoni per discuterne e vedremo. La logica e il mio curriculum ventennale mi portano lì, però non c’è ancora niente di definito. Di sicuro, questo l’ho detto subito a Cordiano, se un atleta della categoria H1, la più fragile della categoria del paraciclismo, è entrato nel Consiglio, credo sia un bel segnale per tutti. Significa che gli altri altrettanto fragili non si sentiranno più soli come prima.

Stai pensando quindi di non correre più?

Per ora ho intenzione di finire questa stagione, poi vedremo le prossime annate. Voglio restare nel mio settore, però se la Federciclismo dovesse darmi l’incarico di seguirlo, allora avrei meno tempo di gareggiare. Bisogna dire che se uno ha smesso da poco o fa ancora attività, rimane molto più sul pezzo rispetto ad altri. Questo è quello che sta succedendo nel nostro mondo all’estero, perché gli altri non stanno a guardare. Guardate la Francia com’è cresciuta grazie a Patrick Moyses, ovvero un ex campione paralimpico, diventato cittì.

Patrick Moyses, argento alla Paralimpiadi di Seul 1988 nel nuoto, è il cittì della Francia preso come esempio da Cornegliani
Patrick Moyses, argento alla Paralimpiadi di Seul 1988 nel nuoto, è il cittì della Francia preso come esempio da Cornegliani
Avresti già un’idea su come intervenire?

Certo. Non dovremmo più lasciare nulla al caso. Come migliorano le tecnologie della bici, dovremmo migliorare l’approccio mentale alla gara. Se e quando ci metteremo attorno ad un tavolo, io vorrei che la nazionale potesse avvalersi di uno psicologo dello sport. Finora avevamo solo i fisioterapisti, ma è importante anche avere quella figura. Anche perché adesso l’asticella si sta alzando. Questo implicherebbe cercare di far convivere tanti atleti con compiti e obiettivi precisi in corsa. E sono consapevole che non potrà essere immediato.

Cornegliani crede molto nei buoni rapporti e nello spirito di squadra per raggiungere i traguardi più importanti
Cornegliani crede molto nei buoni rapporti e nello spirito di squadra per raggiungere i traguardi più importanti
Quanto tempo potrebbe richiedere tutto ciò?

Il concetto è molto sottile per gestire questo tipo di rapporti con gli atleti e tra atleti. Purtroppo nel nostro settore c’è ancora chi è invidioso di chi va più forte o vince più di lui. Invece è una mentalità da cambiare. Se sistemiamo certe condizioni, tutti gli atleti possono rendere al massimo. Lavoriamo per loro, deve essere uno stimolo. Per me l’obiettivo sarebbe quello di collaborare tutti assieme anche per vincere una sola medaglia, ma sentirsi tutti contenti e parte di quel progetto.

Il ruolo del cittì diventerebbe ancora più rilevante, giusto?

Assolutamente sì. Ora c’è Pierpaolo Addesi con cui ho avuto un bel biennio di avvicinamento a Parigi. Riprendendo quello che dicevo prima, sarebbe bello che nei due anni precedenti a Los Angeles si potesse lavorare bene con tutti come è stato fra noi due. Ci vuole una linea più moderna, tracciando un percorso per i prossimi Giochi Olimpici. Devo parlare col cittì, anche perché lui continua a sentirsi instabile, mentre è un buon tecnico.

Non solo watt: Cornegliani vorrebbe anche un psicologo dello sport nello staff della nazionale di paraciclismo
Non solo watt: Cornegliani vorrebbe anche un psicologo dello sport nello staff della nazionale di paraciclismo
Quanto ci crede il consigliere Fabrizio Cornegliani in un ulteriore salto in avanti del paraciclismo italiano?

Tantissimo, perché so che è fattibile e perché è una situazione che ho vissuto. E’ un mio sogno. Dobbiamo pensare che quando indossiamo la maglia azzurra siamo al top e quindi dovremmo avere anche diritto al top per tante figure in nostro supporto. Cerchiamo di sistemare gli attriti tra dirigenti e atleti senza dover imporre i ruoli ai secondi. E cerchiamo di portare una istruzione di base nel nostro settore. Los Angeles adesso sembra lontana, ma non facciamoci ingannare dal tempo.

La sfida di Selleri, dalla Romagna alla politica federale

25.11.2024
6 min
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Il 19 gennaio 2025, presso l’Hotel Hilton Rome Airport di Fiumicino, si eleggerà il nuovo presidente della FCI. I candidati sono venuti allo scoperto nelle scorse settimane. Il presidente federale Dagnoni ha ammesso di sentirsi in campagna elettorale da tre anni e ha previsto per il 20 dicembre una conferenza stampa a Milano in occasione del Giro d’Onore. A sfidarlo troverà Silvio Martinello, Daniela Isetti e Lino Secchi, con l’annunciata frammentazione del voto che, in caso di ballottaggio e in base agli accordi dell’ultima ora, sposterà il baricentro verso un candidato o l’altro. Anche l’ultima volta andò così e Martinello, che in proporzione aveva ottenuto più voti, si vide sconfitto proprio per gli accordi consumati in quello stesso hotel. 

Da Metti a Selleri

In attesa di raccontare i quattro programmi elettorali, è interessante segnalare la candidatura di due uomini della base per il ruolo di vicepresidente federale. Dalla Toscana arriva l’ex presidente regionale Saverio Metti, mentre dalla Romagna si segnala Marco Selleri: l’uomo del Giro d’Italia Giovani U23, del mondiale di Imola e del Giro di Romagna (foto di apertura). Se la prima è il prosieguo di un cammino iniziato da anni, la discesa in campo di un organizzatore costituisce un’anomalia. Perché Selleri vuole scendere in politica?

«E’ una candidatura tecnica – precisa – più che per la politica federale in sé. Credo di aver raggiunto la maturità per sviluppare delle idee. Ho un’esperienza a 360 gradi. Ho vissuto prima da organizzatore del Giro delle Pesche Nettarine. Poi il Giro d’Italia U23, le settimane tricolori e i campionati del mondo. Quando è così, a un certo punto decidi di metterci del tuo, ma devi conoscere la materia al 100 per cento. Cioè il punto di vista dei corridori, dei direttori sportivi, di chi organizza le gare. Ho imparato a riconoscere parecchie lacune del nostro movimento, che non produce ricambio. C’è bisogno di un cambiamento profondo. Di ragionare in maniera diversa. Sfruttare i ragazzi che smettono a 22-23 anni perché non hanno i mezzi, però mantengono la passione. Ci lamentiamo perché non andiamo a fare reclutamento nelle scuole, ma se in questi giorni si guardano le persone che partecipano alle assemblee regionali, si vede che l’età media è molto alta. Siamo bloccati e non riusciamo a superare il modo di fare ciclismo degli ultimi 20 anni, che non funziona più».

Marco Selleri è stato il direttore generale del Giro U23: si candida come vicepresidente federale
Marco Selleri è stato il direttore generale del Giro U23: si candida come vicepresidente federale
Quando qualcuno si candida per la vicepresidenza, cosa fa?

Per il momento non faccio parte di nessuna squadra. Anche se, navigando nei programmi e nella storia delle persone che hanno fatto il ciclismo negli ultimi 10-15 anni, l’unico che a mio avviso possa cambiare qualcosa è Silvio Martinello. Sostengo lui perché vedo che è molto più vicino alle mie idee. Siamo di fronte a sfide importanti come la riscrittura dello statuto federale. Qualcosa per fortuna si sta muovendo nella Lega Ciclismo Professionistico con Roberto Pella, che si è buttato capofitto in questo settore nuovo per lui. E io vedendo tutto questo mi sono chiesto: perché stare sempre alla finestra? Le cose non cambiano da sole. In caso di mancata elezione, nessun problema. Nel caso invece di un esito positivo a mio favore, lavorerò con il Consiglio Federale, dando il massimo come quando si lavorava con Davide Cassani.

Davide ormai non c’è più da un pezzo…

Negli anni in cui rilanciammo il Giro d’Italia U23, con lui era partito un programma ben dettagliato. Era lui che trovava le risorse per portare avanti il Giro e di conseguenza anche noi ci siamo ritirati perché la presenza di Cassani non era più prevista dalla Federazione di Dagnoni. Quel programma è stato sostituito da altre strategie e anche il nostro impegno si è arrestato.

Alla fine del 2021 si è interrotta la collaborazione tra la Federciclismo di Dagnoni e Davide Cassani
Alla fine del 2021 si è interrotta la collaborazione tra la Federciclismo di Dagnoni e Davide Cassani
Dici che i giovani non si avvicinano alla politica sportiva: c’è un consiglio che potresti dare al futuro presidente?

I giovani andrebbero innanzitutto inseriti in un contesto completamente diverso da quello che si sta portando avanti. Devono essere formati per parlare con i bambini e fare le stesse cose che si stanno attuando in altri sport, come il tennis o la pallamano. C’è un ragazzo del mio paese, stipendiato dalla Romagna Handball, una squadra di A2 a Mordano, che viene mandato nelle scuole a fare lezioni e appassionare i bambini. Stessa cosa fa Davide Bulzamini, che abita nella stessa zona ed è il capitano della nazionale. Capisco che il ciclismo sia un po’ diverso, però dal punto di vista politico bisogna formare e mettere a libro paga i giovani più volenterosi, perché vadano in giro a raccontare lo sport a ragazzi poco più giovani di loro. Quattro in Romagna, quattro in Lombardia, quattro in Veneto, da una parte bisogna pure cominciare, anche perché le nascite stanno diminuendo ed è ovvio che va fatto un lavoro più profondo. Prima il ciclismo era lo sport numero due in Italia, adesso non lo è più. E a me sinceramente non interessa dire che non abbiamo la squadra WorldTour. Neanche in Slovenia ce l’hanno, eppure qualcosa hanno fatto. Qualcuno è andato a studiarlo? Qualcuno è andato a vedere come lavorano in Inghilterra?

Tu hai qualche conoscenza in questo senso?

Il mondiale di Imola mi ha fatto conoscere in maniera abbastanza profonda le persone dell’Unione Ciclistica Internazionale, dove ho dei rapporti buonissimi. Abbiamo lavorato insieme agli organizzatori del Tour de l’Avenir perché siamo rimasti ovviamente amici con Laurent Bezault e Philippe Colliou, le due persone che mi hanno affiancato a Imola per venti giorni. L’anno scorso mi chiesero se potevano fare qualcosa qui da noi e le conoscenze e la serietà delle persone hanno fatto sì che abbiamo portato il Tour de l’Avenir in Italia e ci tornerà fino al 2027.

Il Tour de l’Avenir 2024 si è chiuso in Italia, sul Colle delle Finestre, con vittorie di Blackmore e Bunel
Il Tour de l’Avenir 2024 si è chiuso in Italia, sul Colle delle Finestre, con vittorie di Blackmore e Bunel
E’ piuttosto raro che organizzatori diversi collaborino fra loro.

Perché noi siamo un po’ guerrafondai, un popolo spesso invidioso. Anziché lavorare insieme, è sempre una gara. La politica è diventata come il Milan contro la Juve: sempre in lite, con la quasi impossibilità di collaborare davvero. Porto l’esempio del mio vicino di casa, Adriano Amici. Ha ceduto alla Coppa Agostoni la data del Memorial Beghelli, piuttosto di prendere il telefono e telefonarmi, dato che avevamo in ballo il Giro di Romagna. Non si poteva collaborare per tenerle vicine? In qualche modo bisognerebbe essere chiamati a rispondere del capitale che si ha in mano, perché le corse hanno una storia ed è un capitale pure quello. E poi c’è una cosa che ho detto alla riunione del comitato regionale emiliano romagnolo.

Che cosa?

Che sponsor privati non ce ne sono più, quindi ci troviamo spesso a organizzare con soldi pubblici e questo vuol dire avere una base economica solida, perché i soldi pubblici arrivano dopo. Il problema è che nessuno ha costruito qualcosa con l’Istituto per il Credito Sportivo, per immaginare di concedere un fido agli organizzatori che così potrebbero portare avanti le loro corse. Si è preferito far smettere Moreno Argentin, che si trovava in questa stessa posizione e voleva organizzare le sue gare. Avrebbe avuto bisogno di ossigeno, invece si è preferito affossarlo e far sparire la sua corsa. Anche noi abbiamo avuto bisogno, però c’era una gestione federale attenta, che ha trovato il sistema di aiutarci anziché affossarci.

Morgado vince il Giro di Romagna 2024: la corsa è organizzata da Marco Selleri per Extra Giro
Morgado vince il Giro di Romagna 2024: la corsa è organizzata da Marco Selleri per Extra Giro
Sei dalla parte di Martinello, hai ricordi evidentemente positivi della gestione Di Rocco, perché non sostenere Lino Secchi che fa parte della stessa storia sportiva?

Perché abbiamo bisogno di ringiovanire, sono già vecchio io. Però ovviamente io sono un romagnolo di sangue caldo, di conseguenza dico quello che penso. Oggigiorno se vuoi andare avanti e sbloccare situazioni devi dire quello che pensi. Possiamo prendere delle persone che abbiano fatto il bene del ciclismo, d’accordo, però attenzione secondo me è davvero necessario cambiare direzione.

Buda un anno dopo. Miglior dilettante italiano, ma non passa pro’

06.11.2024
6 min
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Con Simone Buda un anno dopo. Il corridore romagnolo è stato il miglior dilettante dell’anno. Per il corridore della Solme-Olmo, 30 top 10, 20 top 5 e ben cinque vittorie. Questo lo ha portato ad avere il miglior punteggio in graduatoria. Eppure, per Buda tutto ciò non basta per passare professionista. Come mai?

A quanto pare la “colpa” è di essere del 1999, pertanto, è considerato “vecchio” per questo ciclismo. Un anno fa, lo stesso Simone ci disse che era difficile migliorare e che si trovava di fronte a un bivio. Ha tenuto duro ed è migliorato ancora. Ma, sul filo dei 25 anni, la strada verso il professionismo non è in salita: è verticale per lui. Ora si sente definitivamente maturo e si percepisce, e non poco, anche da come parla.

Simone Buda (classe 1999) quest’anno ha ottenuto 5 vittorie
Simone Buda (classe 1999) quest’anno ha ottenuto 5 vittorie
Allora Simone, partiamo da questa tua stagione: il miglior dilettante italiano…

Direi che come è andata lo dicono i numeri. Sinceramente, ad oggi sono deluso e stanco di parlarne. Quel che ho fatto è sotto gli occhi di tutti. Lo scorso anno, nonostante la mia buona stagione, mi fu chiesto di migliorare ancora. Ho accettato, nonostante lo scetticismo di molti, increduli che a 23 anni si potesse migliorare ancora. Ci sono riuscito.

Cosa non ha funzionato secondo te?

Io i miei problemi li ho avuti. Di fatto ho perso le mie stagioni migliori con il Covid. Il terzo e quarto anno da dilettante, quando s’inizia davvero ad andare forte, in pratica non ho corso. Nei due anni precedenti ero al servizio dei compagni. Mettiamoci anche l’accelerata da parte dei giovani ed ecco che di colpo le cose per quelli come me sono peggiorate.

Per assurdo, ti sarebbe convenuto essere del 1998: in quel caso la Federazione tese una mano ai ragazzi nel periodo del Covid…

Vero, però siamo di nuovo ai “se e ai ma”. A quel punto cosa potevo fare? Ci credevo e sono andato avanti fino a diventare élite. Ho lavorato tanto, sapevo dove potevo arrivare. Quando dico una cosa la mantengo. Lo scorso anno di questo periodo ero lì, lì per smettere. Mi fu detto di provare ancora. Se dovevo farlo però avrei dovuto dare il 101 per cento. Al team manager Forcolin dissi che avrei vinto cinque gare. Mi prese per matto. Ma io sono così: determinato. Se faccio una promessa la mantengo.

Grande affiatamento nella Solme-Olmo di Forcolin, al centro con i suoi ragazzi (Avigh Foto)
Grande affiatamento nella Solme-Olmo di Forcolin, al centro con i suoi ragazzi (Avigh Foto)
Ora come sei messo?

Ambire ai pro’ è difficile, ma io ho fatto tutto quello che potevo e dovevo. Mi è stato chiesto di migliorare e l’ho fatto. Di vincere più gare e l’ho fatto. Mi sono stati chiesti dei test di un certo livello ed ho risposto alle aspettative. Mi è stato chiesto di migliorare nelle corse più dure e ho fatto anche quello. Davvero, non so più cosa potrei fare. Se non trovo una squadra, chiuderò da numero uno. Poi rifletto anche su una cosa.

Quale?

Se il ciclismo italiano è così ben messo da perdere il suo dilettante migliore, allora mi faccio da parte. Certo, correre mi piace, potrei farlo fino a 35 anni, ma non ne varrebbe la pena. Bisogna guardare in faccia la realtà. Con certi risultati devi fare il salto di categoria; se non lo faccio, dico basta. Poi magari potrei essere il peggior professionista del mondo, anche se non credo, ma a quel punto lascerei tutto. Ma una risposta l’avrei avuta. Quel che mi spettava l’avrei ottenuto.

Veniamo ad aspetti più tecnici: hai parlato di migliorare nelle corse più dure. Come sei migliorato?

Per il corridore che sono (un passista molto veloce, ndr) non andavo piano, ma insieme al mio coach Giovanni Pedretti e al supporto della squadra ho aumentato la tenuta nelle corse più mosse e importanti. Ero stato accusato sulla qualità delle mie vittorie. Ebbene, quest’anno, nelle internazionali, ho sempre fatto bene. Ho vinto in Ungheria, ho fatto secondo al Circuito del Porto e alla Popolarissima. La squadra mi ha supportato al 100 per cento. Ha creduto in me, i compagni hanno creduto in me. Nonostante corressi, e corressimo, con il dito puntato, visto che avevo già più di 23 anni.

Solo nelle ultime due stagioni Buda ha vinto 9 corse, ottenendo 36 top 5 (foto AV)
Solo nelle ultime due stagioni Buda ha vinto 9 corse, ottenendo 36 top 5 (foto AV)
Al Porto ha vinto un certo Jakub Mareczko

Se devo dirla tutta, quel giorno sono caduto a 6 chilometri dall’arrivo e ho fatto la volata col 14. Alla Popolarissima in volata c’è stato un problema con delle transenne spostate… Non ho la prova per dire che sarebbe andata diversamente, quindi sto zitto. Ma è successo anche questo. Lo accetto: certe cose accadono correndo in bici. Ma tutto il resto?

Possibile, Simone, che davvero non ci sia stata neanche una trattativa, un interessamento di qualche team?

Tante parole, ma poi nulla di fatto. Contatti con dei procuratori, anche importanti, che poi sono spariti.

Perché secondo te?

Sinceramente non lo so ed è quello che mi chiedo. Da parte mia, ho sempre voluto far parlare la strada, tenendomi lontano dalle polemiche. Dal management della mia squadra ho cercato di farmi proteggere il più possibile, facendomi stare lontano da eventuali trattative, voci… Volevo avere la serenità e la mente libera: un atleta per rendere ne ha bisogno, non gli bastano solo le gambe. Poi è chiaro che qualche notizia me la davano. Però, per dire, anche in questo caso volevo tenermi lontano dalle polemiche e restare concentrato solo sul ciclismo. Ma pongo io una domanda.

Vai…

Okay i giovani, ma una squadra prende chi va forte o chi potrebbe andare forte? Chi vince o chi potrebbe vincere? Se così fosse, i Ballan, i De Marchi e in qualche modo anche Vingegaard… per dire, non ci sarebbero.

Buda, sprinter, è migliorato anche nelle corse più mosse
Buda, sprinter, è migliorato anche nelle corse più mosse
O anche Tarozzi per restare ad esempi più concreti e vicini…

Tarozzi è praticamente un fratello. Usciamo sempre insieme. Siamo stati anche compagni. Ci siamo visti anche ieri sera. Pensate che gente come lui, ma soprattutto coetanei di altre squadre, rivali, se così possiamo dire, mi chiamano e mi chiedono: «Allora, novità?». Io rispondo: niente. E questo credo sia spaventoso anche per loro. Anche loro sono increduli. Immagino si domandino: «Ma come, se lui che è stato il numero uno della stagione non passa, noi cosa facciamo?».

Prima ti abbiamo chiesto delle trattative e poi ti abbiamo interrotto…

Qualche team continental, italiano e straniero, si è fatto avanti. Mi davano anche dei buoni soldi, ma non accetto questa via, non mi accontento dopo quel che ho fatto. Io voglio diventare professionista. Vorrei che la mia esperienza fosse un insegnamento. Che senso avrebbe se il prossimo anno mi ripresento alla San Geo (una delle prime gare stagionali, ndr)? Cosa direi al Simone Buda ragazzino del 2013?

Chiaro…

Ci pensavo proprio qualche giorno fa. Anche da esordiente vinsi la classifica dell’anno. Ho sempre vinto molto. Quel ragazzino aveva il sogno di migliorarsi, la gioia di andare in bici e di passare professionista. E ora? Cos’è il ciclismo italiano? Se uno vince la Serie B, l’anno dopo passa in Serie A. Idem con la Formula 2 e il passaggio in Formula 1. Perché noi no? Cosa dimostra il ciclismo italiano? Davvero, non so più cosa dire e cosa pensare… Perché non ho un procuratore? Perché non ho soldi?

Come stai passando questi giorni?

Anche se non so cosa farò, come andranno le cose, ho ripreso ad allenarmi. Ho fatto 20 giorni di stacco. Ho corso dal 27 febbraio all’8 ottobre. Adesso magari non faccio sei ore di bici, ma ho ripreso con la corsa a piedi, la palestra…

Come vendere il prodotto ciclismo. Pozzato dice la sua

24.10.2024
5 min
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Il progetto è sempre lì. Filippo Pozzato non ha riposto nel cassetto le speranze di costruire un team tutto italiano che possa avere un futuro nel WorldTour, anzi si è consociato con Davide Cassani (che aveva espresso una volontà simile all’indomani del suo addio dalle responsabilità tecniche azzurre), ma per ora siamo ancora nel campo delle possibilità future, nulla di più. E dalle sue esperienze emergono tutte le difficoltà del ciclismo italiano attuale, assolutamente non al passo con i tempi.

Pozzato insieme al presidente Uec Della Casa. Per l’organizzatore italiano bisogna lavorare molto sulla comunicazione
Pozzato insieme al presidente Uec Della Casa. Per l’organizzatore italiano bisogna lavorare molto sulla comunicazione

Pozzato, reduce dalle fatiche organizzative delle classiche venete rese monche dal cattivo tempo, sottolinea come al momento il problema principale riguardi la ricerca di fondi: «Sto girando l’Italia proponendo la mia idea a molte aziende e questo mi permette di capire qual sia il gradimento del ciclismo. Devo dire che l’attenzione verso la nostra proposta non manca, il problema vero è legato alle cifre e al corrispettivo che ottiene chi investe nel nostro mondo. Per questo dico che c’è un disagio generale: non sappiamo vendere il nostro prodotto perché siamo ancorati a un approccio vecchio».

Che cosa chiede chi dovrebbe investire?

Vuole avere innanzitutto ritorno d’immagine, visibilità, regole certe. Se vado da uno sponsor per fare una squadra che ambisce a entrare nel WorldTour, devo chiedere un investimento di svariati milioni di euro per almeno un quinquennio. La risposta è sempre: «Ma a fronte di una simile esposizione che cosa ho in cambio?». E lì emergono tutte le nostre difficoltà perché non basta certo far vedere la maglia nella ripresa Tv a soddisfare le richieste, oggi che siamo nell’era dell’immagine.

Bisogna riportare la gente sulle strade, soprattutto i giovani, raccontando loro le storie dei protagonisti
Bisogna riportare la gente sulle strade, soprattutto i giovani, raccontando loro le storie dei protagonisti
Tu però parlavi anche di regole…

Il regolamento Uci non è assolutamente chiaro. Si è voluto introdurre il sistema di promozioni e retrocessioni: può anche andar bene, se non hai mezzi e capacità per competere al massimo livello è giusto lasciar posto ad altri. Quel che è meno giusto è “congelare” la situazione per anni, far scannare i team per tre stagioni impedendo agli altri di fare investimenti. Fai come negli sport di squadra, promozioni e retrocessioni ogni anno con regole certe anche per la partecipazione alle gare. Ma il problema non riguarda solamente le WorldTour.

Ossia?

Guardate quel che avviene nelle continental: noi in Italia abbiamo una visione falsata a questo proposito perché non puoi certo fare una squadra continental con 200 mila euro. Che attività puoi fare con un budget tanto risicato? Che cosa puoi dare ai tuoi atleti? Per questo dico che siamo ancorati a schemi vecchi quando il ciclismo è andato avanti, è diventato uno sport costoso, di primo piano. Per fare una continental seria si parte dal milione di euro in su, c’è poco da fare, perché giustamente sono aumentate le professionalità che devi coinvolgere, dal nutrizionista al preparatore.

Basso è per Pozzato un modello di come costruire un team su base aziendale, ma servono budget maggiori
Ivan Basso è un modello di come costruire un team su base aziendale, ma servono budget maggiori
Come si fa a vendere un proprio progetto in un simile ambito?

E’ difficile, lo vedo e per questo ammiro molto gente come Ivan Basso e gli sforzi che fa. Dobbiamo renderci conto che è una questione di marketing, di saper vendere quel che si ha. C’è una generale carenza nella comunicazione: come è possibile che dopo il mondiale di Zurigo arrivano il campione del mondo Pogacar e il suo rivale Evenepoel in Italia, a correre non solo il Lombardia ma anche corse come Emilia e Tre Valli Varesine e lo sappiamo solo noi addetti ai lavori?

In altri tempi, sulla “rivincita dei mondiali” sarebbe stata fatta una campagna di stampa enorme…

Già, poi vedi nel contempo che la sfida fra Sinner e Alcaraz per un torneo d’esibizione diventa martellante, ne parlano tutti i canali, tutti i media, tutti i social. Allora capisci che siamo noi – e ci metto tutti dentro – a non saper vendere il nostro lavoro. Una responsabilità in tal senso ce l’ha l’RCS, la Gazzetta che ha abbandonato il ciclismo, non segue più gli eventi, ma questo avviene anche con i suoi: le pagine per il Giro d’Italia sono drasticamente ridotte e gli inviati anche.

Sinner e Alcaraz: le loro sfide ormai coinvolgono tutti, anche per semplici esibizioni (foto Getty Images)
Sinner e Alcaraz: le loro sfide ormai coinvolgono tutti, anche per semplici esibizioni (foto Getty Images)
Per imitare il fenomeno tennis, servirebbe che avessimo un Pogacar?

Sì, quando avevamo Pantani tutti ne parlavano, ma rendiamoci conto che di Pogacar ne nasce uno al secolo e chissà dove… Io guardo il fenomeno tennis, Sinner è il frutto di almeno 15 anni d’investimenti nei tecnici, nei settori giovanili. Dietro il numero uno ora abbiamo una decina di tennisti fra i primi 100. C’è un movimento. Noi abbiamo latitato proprio in questo e continuiamo a farlo.

Un problema di gestione federale?

Sicuramente, ma è uno dei tanti. Andrebbero fatti investimenti nei settori senza attendersi subito risultati. Io credo che il ciclismo paghi anche il retaggio di una comunicazione sbagliatissima quando si è dato troppo spazio al doping senza investire sui giovani, sulle vittorie pulite. E’ stato fatto passare un brutto messaggio che ora, unito al problema sicurezza sulle strade, fa del ciclismo un soggetto meno appetibile. Le aziende che investirebbero ci sono, io ne avevo trovata una davvero grande, ma poi ha deciso di spendere quei soldi in un altro sport…

Secondo Pozzato, al ciclismo italiano servirebbe un Pantani capace di risvegliare l’attenzione dei media
Al ciclismo italiano servirebbe un Pantani capace di risvegliare l’attenzione dei media
Eppure di messaggi positivi questo mondo continua a diffonderne…

Io sono convinto che i personaggi ci sono, le storie da raccontare ci sono. Ma su personaggi come Pellizzari, tanto per fare un nome, ci devi investire, lo devi raccontare, far conoscere anche a chi non è del settore, perché poi al passaggio sulle montagne del Giro la gente a incitarlo ci sarà. I giornali continuano a credere che il popolo italiano sia calciofilo e basta: non è più così. il calcio attira meno e ha lasciato spazi importanti, noi potremmo coprirli, ma dobbiamo andare incontro alle nuove generazioni.

EDITORIALE / Se il pubblico non capisce, il ciclismo non cresce

21.10.2024
6 min
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Ci sono tre punti fra cui, mettendo mano a questo editoriale, la mente continua a rimbalzare. La fine dei mondiali su pista di Ballerup, il pubblico e una canzone degli Stadio del 1988. Saranno in qualche modo collegati? Andiamo con ordine e cerchiamo di capire.

Il miracolo di Villa

L’Italia è un Paese (in cui il ciclismo è) fondato sulla strada, quantomeno nel gusto popolare. Il miracolo di Marco Villa e di chi gestiva la Federazione dopo Londra 2012 fu quello di intravedere le potenzialità di una generazione di pistard e dare fiducia alla cocciutaggine di Viviani. Con il velodromo di Montichiari appena aperto, si iniziò a soffiare su quella brace che nel giro di 12 anni ha portato titoli olimpici e mondiali, con il testimone raccolto dalla successiva gestione che ha agito in continuità con la precedente. Al netto di tutte le considerazioni di merito che si possono fare, senza il lavoro di chi c’era prima, sarebbe toccato ai nuovi partire da zero e oggi magari parleremmo d’altro.

L’Italia è un Paese fondato sulla strada, per cui la scelta di Viviani di puntare così forte sulla pista ha avuto per lui, almeno negli ultimi tre anni, conseguenze sulla carriera da stradista. Vuoi gli anni che passano, vuoi aver lasciato l’infallibile treno della Quick Step, vuoi pure il Covid, il veronese ha visto calare drasticamente la propria quotazione: in termini di punti e di riflesso agli occhi del pubblico che non lo ha più visto lottare per la vittoria. Dall’essere il corridore numero 9 al mondo a fine 2019 con 2.392 punti, Elia chiude il 2024 in 425ª posizione con 212 punti.

Nel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazione
Nel 2023 di questi tempi Viviani vinceva a Guangxi. Quest’anno ha puntato sulla pista con l’argento nell’eliminazione

Fra Martinello e Milan

Come lui, sono nel mirino altri nomi di riferimento. Ganna viene messo spesso in discussione per il rendimento nelle classiche, sebbene continui a volare in pista e nelle crono. La necessità di farsi trovare sempre pronto lo ha portato a un 2024 che lo ha lasciato sulle ginocchia. Chi lo gestisce dirà pure che non è vero, ma dovendo accontentare la squadra e la nazionale – per la strada, le crono e la pista – Pippo probabilmente non ha mai raggiunto veramente il top in una specialità o l’altra. L’argento è meglio del bronzo, ma vedere che altri hanno preso gli ori, concentrandosi su una specialità per volta, potrebbe indurre in riflessione. Mentre Milan, fresco di iride nell’inseguimento individuale con tanto di record del mondo, si salva per le sue volate su strada (11 nel 2024).

Silvio Martinello, candidato alla prossima presidenza federale, ha vinto su strada 14 volte in 14 stagioni da professionista. Ha però vinto un oro olimpico e 5 mondiali su pista, convertendosi nel frattempo nell’ultimo uomo di Cipollini. Quello che in qualche misura sta facendo Simone Consonni, che lancia Milan in volata e cerca gloria personale in pista. Martinello però ha sempre goduto di un credito eccezionale e la celebrazione del suo oro olimpico del 1996 è sempre parsa più solenne di quanto accada negli ultimi tempi. Forse l’oro di Viviani a Rio ha avuto un’eco simile, non certo quello del quartetto a Tokyo.

Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Dopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifesto
Marco Villa, Silvio Martinello, Sydney 2000
Dopo l’oro di Atlanta nella corsa a punti, per Martinello il bronzo di Sydney nella madison con Villa: la pista è il suo manifesto

Multidisciplina a rischio?

Oggi è diverso e accade qualcosa di insolito. A fronte di stradisti italiani che faticano a farsi vedere, il tifoso italiano non si lega a quelli che vanno forte altrove. La vittoria di Milan al mondiale e il suo record del mondo, che gli ha permesso di battere il primato di Ganna, vale quando un successo di Sinner. Eppure passa sul giornale, il pubblico applaude e il giorno dopo sparisce. Addirittura, sui social ci si chiede quando finiranno i mondiali della pista. Non perché domani ci sia un’altra corsa su strada, ma semplicemente perché non si ha voglia o non si è in grado di seguirli e di conseguenza non si coglie la grandezza dei loro protagonisti.

La conseguenza più immediata di questo è che la multidisciplina, che a fatica si stava facendo largo, piano piano viene rimessa in discussione. E se già avevamo incassato, ad esempio, il ritiro dal cross di De Pretto e Olivo, siamo prossimi a registrare anche quello di Paletti, dopo aver visto mollare Silvia Persico. Casi distinti, ciascuno con la propria motivazione, incluso lo scarso gradimento di certe squadre nei confronti di chi vuole dedicarsi ad altro rispetto alla strada. E’ chiaro che su questo la FCI deve tenere alta l’attenzione, ma un ruolo pedagogico potrebbero averlo anche i media. Il pubblico va in qualche modo abituato, si potrebbe dire persino educato. E qui veniamo alla canzone degli Stadio.

Alfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passato
Alfredo Martini ha sempre ribadito la necessità di costruire il futuro guardando avanti e non cercando ponti col passato

Chi erano i Beatles

«Chiedi chi erano i Beatles»: questo il suo titolo. Se incontri una ragazzina di 15 anni di età e gli chiedi chi fossero i Beatles – questo in sintesi il testo del brano – lei ti risponderà che non lo sa. Non lo sa perché non conosce la storia, sa a malapena quello che le succede attorno. Non sa di Hiroshima, suo padre le ha detto che quaranta anni fa l’Europa bruciava nel fuoco. Ha la memoria breve dei ragazzi che volano lievi su tutto.

Quando la canzone fu scritta, non c’erano i social, per cui si era quantomeno capaci di ascoltare il racconto di chi sapeva chi fossero i Beatles e si leggevano i giornali. «Voi che li avete girati nei giradischi e gridati – prosegue la canzone come un appello dei ragazzi a chi c’era – voi che li avete ascoltati e aspettati, bruciati e poi scordati. Voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole: chi erano mai questi Beatles, ma chi erano mai questi Beatles?».

Oggi l’informazione arriva attraverso canali non convenzionali ma potentissimi e l’assenza dei media diventa ancora più rumorosa. Una volta la presenza dei giornalisti italiani a un mondiale era oceanica, oggi ci conti sulle dita della mano. Alcuni hanno rinunciato al ciclismo, altri lo seguono con mezzi non più competitivi e limitano la loro azione a un pubblico non più giovane

Pogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anni
Pogacar è forte, non parla del passato e si rivolge ai bambini con la freschezza dei suoi 26 anni

Il linguaggio dello sport

«Con tutte le cose – dice la canzone – non solo a parole». Non si tratta più di spiegare al pubblico più giovane chi fossero i Beatles, come Pantani oppure Indurain. Alfredo Martini, che non smette di insegnare neanche adesso che non c’è più, diceva che un giovane ha bisogno di sentirsi dire cosa accadrà, non cosa accadeva. Però chi ha l’esperienza di ieri, deve rendere fighi il presente e il futuro. Pretendere di imporre le regole del passato fa crollare il ponte che da sempre unisce le varie epoche dello sport. Mostrare una via alternativa per lo sviluppo ha invece un senso diverso. Occorre una visione. Serve gente competente, nei media e nei palazzi.

La sensazione invece è che si mettano i dischi dei Beatles per non ascoltare la musica del presente. Che è sincopata, dialettale e sghemba, ma è viva e forte. E non retrocede certo in onore della memoria: semplicemente preferisce ignorarla e andare avanti. Il ciclismo si inchina a Pogacar perché è forte, giovane e figo: la FCI in che modo può rendere giovane e attraente la sua proposta? Le società giovanili chiudono perché sono ferme al passato e chi le guida non ha i piedi nel presente né lo sguardo nel futuro. Sta a noi, con garbo e il linguaggio giusto, spiegare al pubblico e ai giovani atleti che le radici, sia pure lontane, fanno parte dello stesso albero. E allora magari scopri che tua figlia è fissata per Geolier, ma quando meno te la aspetti canta parola per parola quella canzone di De André che tu avevi quasi dimenticato.

Bennati, terzo mondiale: l’Italia di Ciccone, Tiberi e Ulissi

20.09.2024
8 min
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Bennati racconta che la lista degli uomini per Zurigo era piuttosto lunga. Ha aspettato la Vuelta e le prove canadesi. E a quel punto, chiusa la parentesi degli europei, ha affinato la ricerca e tirato fuori i nove nomi per i mondiali del 29 settembre. Bagioli. Cattaneo. Ciccone. Frigo. Rota. Tiberi. Ulissi. Zambanini. Zana. Uno di loro sarà riserva.

In questi giorni un post di Alberto Bettiol conferma che il toscano si sia tirato fuori dalla mischia. Nonostante fosse anche andato a vedere il percorso, Alberto ha sentito di non avere le gambe giuste, ne ha parlato con il cittì e alla fine ha rinunciato. Un esempio per tutti i corridori, fa capire Bennati, che forse discende dalle sue stesse parole quando affrontammo insieme la disamina della corsa di Parigi.

«Un Bettiol al 100 per cento – ragiona Bennati – fa sempre comodo in una nazionale. Ho apprezzato il suo ragionamento, che può essere di esempio per chiunque si trovi in una situazione simile. Dopo questo passaggio, è nata la squadra. Non c’è un capitano designato. Ci sono corridori importanti, è una squadra omogenea e ambiziosa. Più o meno tutti possono aspirare a fare qualcosa di buono, a patto di essere uniti e avere un obiettivo chiaro. Dovremo correre da squadra e spero che saremo capaci di far divertire la gente. Non possiamo permetterci di aspettare il finale quando si muovono i grossi calibri…».

Per Bennati, il mondiale di Tiberi sarà un obiettivo, ma anche un investimento
Per Bennati, il mondiale di Tiberi sarà un obiettivo, ma anche un investimento
In effetti pensare di sfidare Pogacar, Evenepoel, forse Van der Poel e magari Roglic potrebbe sembrare un’impresona…

Credo che sarà difficile utilizzare tutti in fase di attacco. Vedremo come si metteranno le cose, però magari qualcuno dovrà sacrificarsi prima e altri si ritroveranno ad aspettare il finale. Penso che Tiberi e Ciccone potrebbero provare a tenere l’ultimo o il penultimo giro, quando si muoveranno quelli forti. In una situazione secca come la gara di un giorno, in salita non vanno tanto più piano.

Allora ti chiediamo di spiegarci le tue scelte: Bagioli, ad esempio. Forse è l’uomo da classiche più di tutti gli altri, ma quest’anno non ha brillato…

E’ vero, i risultati non sono stati dalla sua parte. Poi, come era già successo al mio primo mondiale, gli ho dato il Canada come ultimo test. Nel 2022 fece terzo a Montreal, quest’anno è andato ugualmente molto forte. Non si è piazzato, però mi hanno detto tutti che andava forte e soprattutto facile. E’ arrivato davanti. Ci ho parlato un mese fa. Gli ho chiesto se avesse mollato o pensasse di esserci per il finale di stagione e lui mi ha detto di essere motivato. Per questo mi sono sentito di dargli fiducia, perché ritengo che sia un corridore importante per questo tipo di corse. Va forte in salita e tra tutti quelli che ho convocato, sicuramente insieme a Diego Ulissi, è il più veloce.

Bagioli si è guadagnato la convocazione dopo le prove nelle gare canadesi
Bagioli si è guadagnato la convocazione dopo le prove nelle gare canadesi
Parliamo di Diego, allora, e della solita storia che nelle corse lunghe si spegne.

Secondo me non dobbiamo più pensarci. Diego ha 35 anni, è più maturo e penso che ci sia sempre una prima volta in cui dimostrare di essere all’altezza. E poi diciamo una cosa sui mondiali che abbiamo fatto insieme: lui era fra quelli chiamati prima di tutti ad aprire la corsa, chiunque alla fine sarebbe stato stanco. Stamattina ho letto che Ulissi sarà capitano, ma facciamo chiarezza sul termine. Il capitano non è per forza quello che fa risultato. Diego in questo mondiale sarà il capitano, il regista in corsa insieme a Cattaneo. Però secondo me possiamo utilizzarlo in vari modi. Come regista, appunto, e come attaccante da metà gara in poi. Ulissi nella fuga giusta può preoccupare ben più di un avversario. E poi qualche anno fa anche lui vinse in Canada.

Al Giro del Lussemburgo stiamo vedendo un Tiberi in palla. Oggi c’è una tappa dura che potrebbe essere un bel test per Zurigo?

Anzitutto credo sia giusto che Tiberi ci sia a questo mondiale. Soprattutto in prospettiva, è giusto che faccia esperienza e inizi ad assaporare questo tipo di emozioni. Anche perché, pensando al mondiale del prossimo anno, in Rwanda si correrà in quota e potrebbe essere una sfida tra quelli che si giocano i Grandi Giri. Attenzione però, quest’anno non verrà per fare la comparsa, io conto che possa essere tra i protagonisti.

Ulissi ha già corso sette mondiali da pro’, dopo averne vinti due da junior
Ulissi ha già corso sette mondiali da pro’, dopo averne vinti due da junior
Zambanini è stato il miglior italiano in entrambe le prove del Canada, in che ruolo lo immagini?

Per lui vale lo stesso discorso di Tiberi. E’ un corridore giovane e quest’anno ha avuto una stagione continua, è andato forte dall’inizio e va ancora molto bene. Credo che stia raggiungendo il suo picco di forma e mi sembrava giusto portarlo. Non sappiamo fin dove può arrivare. Da giovane aveva fatto qualche risultato, ma non era sicuramente tra i più forti. Sta vivendo una crescita graduale che mi piace e come ragazzo credo che sia molto valido.

Allora adesso parliamo di Ciccone, che si è ritirato dalla Vuelta e poi non lo abbiamo più visto…

Si è ritirato perché aveva un dolore al ginocchio, però dopo aver fatto qualche giorno di stacco è ripartito. Siamo rimasti sempre in contatto. Giulio è sempre stato super motivato per questo mondiale. Ovviamente non abbiamo il riscontro delle competizioni, però mi ha detto che preferisce preparare un appuntamento così importante allenandosi, piuttosto che andando a correre. E infatti sta facendo un grande lavoro con Bartoli. Non è andato in altura, perché non c’erano i tempi tecnici, per cui si è allenato a casa.

Zambanini continua a crescere: nelle prove canadesi è stato il primo italiano
Zambanini continua a crescere: nelle prove canadesi è stato il primo italiano
Un altro nella stessa situazione è Rota: anche lui ritirato alla Vuelta, poi volato in Canada. Ricordiamo il bel mondiale di Wollongong…

Rota sarà a Zurigo perché ho la certezza che sia motivato e mi fido di quello che mi dice. Me l’ha dimostrato negli anni scorsi. Alla Vuelta stava andando bene poi purtroppo è caduto e anche lui ha avuto male al ginocchio. Ha fatto una settimana di recupero, si è ripreparato ed è andato in Canada. Non è stato brillantissimo, non è arrivato davanti come Bagioli, però ha una condizione in crescita e ritengo che sia un corridore solido per questo tipo di competizione. Io credo che possa svolgere il ruolo che gli darò, come ha sempre fatto. E’ uno dei miei uomini di fiducia e ho voluto dargli fiducia anche quest’anno.

Rispetto alle convocazioni di una volta, in cui c’erano le indicative, sembra che ora molto si basi sul dialogo e sulla condivisione delle preparazioni.

Sì, deve esserci molto dialogo perché il ciclismo da questo punto di vista è cambiato, grazie ai nuovi metodi di allenamento. Anche a me viene difficile perché vengo da un altro periodo in cui i corridori avevano bisogno di fare più gare di avvicinamento per preparare l’appuntamento. Ho fatto fatica a entrare in questa ottica, però adesso obiettivamente le cose funzionano così. E’ anche soggettivo. Bettiol appartiene a una generazione un po’ più vicina alla mia e ha bisogno di correre prima di arrivare all’appuntamento. Invece la maggior parte di quelli che ci sono adesso e sono più giovani, preferiscono correre meno e prepararsi meglio.

Per Rota il terzo mondiale sui tre nella gestione Bennati: la fiducia è al massimo
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Quale ruolo immagini per Cattaneo?

Me lo posso giocare in vari modi. Magari non mi può dare garanzia di risultato, però per tirare o entrare in fuga e aiutare un compagno, può fare il lavoro di due. Mattia sta andando particolarmente forte, anche perché quest’anno è stato fermo a lungo e adesso è carico di energie. Alla Vuelta è andato benissimo e sono convinto che al mondiale sarà una pedina davvero fondamentale per tutto il gruppo. E’ un corridore esperto, vede la corsa e sa gestire tante situazioni che fanno parte del suo repertorio perché è abituato a lavorare per i grandi campioni. Accanto a lui potrebbe muoversi Marco Frigo, anche lui reduce dalla Vuelta. E’ uno che non ha paura di far fatica e abbiamo visto che sa anche inserirsi nelle fughe.

E poi c’è Zana, che portasti al tuo primo mondiale per rispetto verso la maglia tricolore, attirandoti anche qualche critica.

Se trova la giornata giusta, Pippo può arrivare davanti. Alla Vuelta ha fatto un bel secondo di tappa, però mi aspettavo che ci riprovasse. A fine Vuelta non ero tanto sicuro di convocarlo, finché ho parlato con Pinotti che è il suo preparatore. Gli ho detto che mi sarebbe piaciuto vederlo in una gara dopo la Vuelta, per capire se ne fosse uscito davvero bene. E così all’ultimo lo hanno inserito al Matteotti e mi hanno confermato tutti che ha fatto due belle sparate. E’ rientrato su un’azione davanti e poi ha tirato la volata a De Pretto, però non cercavo il risultato quanto la conferma che la condizione ci fosse.

Zurigo sarà il terzo mondiale di cittì Bennati, dopo Wollongong e Glasgow
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Ultima cosa, non marginale, ancora una volta correranno senza avere le radio. Il tuo ruolo di fatto si ferma alla riunione del mattino e alle poche info che eventualmente puoi fargli arrivare…

Non avere la radio agli europei, vedergli fare quello che avevamo deciso di non fare e non poter intervenite è stato frustrante. Non poter dare indicazioni in tempo reale per me è deprimente. Sono convinto che avere la radio e guidare la squadra in tempo reale contro un corridore come Pogacar sarebbe già difficile, ma almeno ti darebbe la tranquillità di essere presente. Perché in certe situazioni non è solo una questione di gambe, ma anche di convinzione. Puoi cogliere l’attimo oppure gestire delle situazioni che da terra non puoi gestire e non puoi nemmeno cambiare. Puoi mettere chi vuoi lungo il percorso, ma cosa gli comunichi? Il tempo, il distacco, oppure quando hai un minuto di ritardo gli dici di andare a tutta per rientrare? Sono messaggi che più o meno lasciano il tempo che trovano. Qualcosa puoi fare, però è sempre molto complicato.

Quando partite?

Giovedì ci troviamo a Lomazzo, in provincia di Como. Facciamo un giretto al pomeriggio e il giorno dopo andiamo su in autostrada.