Cornegliani, un oro che vale anche come esempio

15.09.2024
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L’inno italiano, Fabrizio Cornegliani l’ha sentito suonare tante volte in suo onore. Ma quella aveva un sapore speciale. A Parigi, ai Giochi Paralimpici, primo (e alla fine unico) oro della spedizione olimpica del paraciclismo, che ha dato comunque un contributo importante al sesto posto nel medagliere tanto clamoroso quanto sottovalutato nel giudizio dei media.

Fabrizio Cornegliani è nato a Miradolo Terme (PV) il 12 marzo 1969. Ha iniziato a gareggiare nel 2017
Fabrizio Cornegliani è nato a Miradolo Terme (PV) il 12 marzo 1969. Ha iniziato a gareggiare nel 2017

I sacrifici dietro un oro olimpico

Per il pavese di Miradolo Terme è il culmine di una carriera nata per caso come per tanti costretti (ma come si vedrà questo verbo neanche si attaglia troppo bene al suo destino) allo sport paralimpico. Fabrizio lo sport l’ha sempre avuto nel sangue. Istruttore di arti marziali, un giorno è stato vittima di una caduta sfortunata, una gran botta alla schiena, un verdetto inappellabile: tetraplegia. Lo sport, il ciclismo in questo caso, lo ha riportato a galla, è diventato la sua vita, ben oltre un oro olimpico.

Argento tre anni prima a Tokyo, Cornegliani è partito per Parigi con un’idea sola in testa, un’idea dorata: «E’ difficile raccontare un oro olimpico perché dietro ci sono sacrificio e lavoro interminabili. La mia olimpiade posso dire che sia iniziata due mesi prima, nel senso che da allora ho fatto solo il ciclista e devo dire grazie alla mia famiglia perché quest’oro è soprattutto loro, dei sacrifici che hanno dovuto fare per sostenermi».

Fabrizio con la moglie. Il supporto della famiglia è stato decisivo nell’approccio olimpico
Fabrizio con la moglie. Il supporto della famiglia è stato decisivo nell’approccio olimpico

Il racconto di un giorno speciale

Cornegliani ha ben stampato nella mente ogni singolo momento di quel giorno d’oro: «Ci siamo svegliati alle 4 perché dovevamo fare un’ora di trasferimento in pullman e per me è stato un viaggio, con le macchine della polizia con i lampeggianti davanti e dietro. Nel buio faceva un certo effetto, anche un po’ inquietante. Siamo arrivati presto, sistemandoci nel parcheggio, poi io ho iniziato tutta la trafila di impegni che precedono una cronometro, legati al riscaldamento. Un rituale che è sempre lo stesso: i rulli di preparazione, la scelta delle ruote, la pressione giusta, il cambio delle batterie per i comandi… Un processo che nasconde sempre tante incognite e quando sei all’appuntamento principale del quadriennio, sai che ti giochi tutto anche per una sciocchezza».

La parte più difficile è il momento del via: «Oltretutto ci avevano anche anticipato il controllo dell’handbike e questo ha aggiunto stress a stress. Prima di partire ho guardato gli altri, lo staff azzurro: la tensione era palpabile. Io sapevo di giocarmi una medaglia, ma bisognava capire di quale colore. All’inizio il sudafricano Du Preee andava più forte ma era preventivato, è più leggero, poi la classifica si è assestata con la lotta fra me e il belga Hordies, come nell’ultima prova di Coppa del Mondo. Io però non mi sentivo a posto, non mi ero riscaldato bene e infatti i wattaggi erano inferiori a quel che pensavo.

Cornegliani ha preceduto il belga Hordies di 21″ e il sudafricano Du Preez, campione uscente, di 1’16”
Cornegliani ha preceduto il belga Hordies di 21″ e il sudafricano Du Preez, campione uscente, di 1’16”

L’impostazione delle curve

«Le difficoltà erano legate al percorso, ai sampietrini, all’impostazione delle curve. Con i nostri mezzi bisogna essere precisi, non puoi correggere. Oltretutto io ho i freni all’altezza dei gomiti, quando la bici è lanciata puoi fare ben poco, per questo conta molto conoscere il percorso. Io comunque iniziavo a preoccuparmi, non vedevo le cifre che volevo, oltretutto non avevo voluto la radio per non essere condizionato da quel che facevano gli altri. So che ho fatto brontolare qualcuno… Dopo la prima salita finalmente ho visto che il riscaldamento era completato e i numeri erano quelli giusti. A quel punto ho visto che le telecamere mi avevano raggiunto, era il segno che stavo andando bene. Mancava la parte finale, l’ultima salita: ero sotto di 5” ma non mi sono preoccupato, sapevo di avere più fondo e infatti nell’ascesa finale ho rifilato al belga più di 25”».

Il lombardo vanta 12 medaglie mondiali (5 d’oro), 4 europee (2 d’oro) e un oro e un argento olimpico
Il lombardo vanta 12 medaglie mondiali (5 d’oro), 4 europee (2 d’oro) e un oro e un argento olimpico

Il problema delle categorie

Arrivato al traguardo, non era finita: «C’era da attendere un minuto e mezzo per sapere se ero davanti al sudafricano e quei 90 secondi sono sembrati ore, poi è iniziata la festa, piangevano tutti. Io mi sono liberato di un peso enorme, mi sono passati davanti agli occhi tutti i sacrifici fatti per settimane e settimane, coinvolgendo tutti coloro che mi sono intorno. Mi sono ripreso quel che mi era sfuggito a Tokyo e qui, in mezzo alla gente, è stato ancora più bello. Anche perché avevo solo quest’occasione».

Qui è bene fare una specifica, perché Cornegliani era in gara anche nella prova in linea, «ma lì era solo per fare atto di presenza, io come tutti gli altri della mia categoria. Noi gareggiamo come H1 insieme agli H2, ma è un controsenso, è come mettere una Panda insieme a una Mercedes, non c’è competizione. Sono disabilità diverse, infatti nella categoria di Mazzone sono velocità molto maggiori e un diverso controllo del mezzo. Il Cio applica una regola assurda, noi facciamo la partenza e dopo poco ci fermiamo».

Il pavese e gli altri medagliati a Casa Italia con la Presidente del Consiglio Meloni
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E ora? I mondiali…

Questo introduce il tema della disabilità: «Noi non sentiamo le pedivelle, anzi con tutta l’imbracatura e il blocco delle mani la sensibilità scende ancora. La categoria H1 comprende tutti i tetraplegici, abbiamo quindi gli stessi tutori e lo stesso tipo di frenata, almeno partiamo tutti ad armi pari, ma per questo è folle accomunarci ad altre categorie. Per noi è fondamentale l’impostazione delle curve perché non possiamo ritoccare velocità e direzione, bisogna prevedere tutto prima».

La stagione di Cornegliani non è finita: «Ora ci aspettano i mondiali, dove so che ci sarà una crono piatta, meno adatta alle mie caratteristiche. Ma non sono proprio tipo da rilassarmi, sarà un’altra battaglia da combattere».

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Lo sport come protocollo riabilitativo

Fabrizio non ha intenzione di smettere, anche perché il rapporto con la bici è talmente radicato che fa parte integrante della sua vita: «Per me è stato fondamentale per la ripresa e anzi secondo me andrebbe inserito come protocollo riabilitativo di base. Attraverso lo sport raggiungi livelli mai visti: la fisioterapia va bene, ma ti tiene impegnato un’ora, per il resto del tempo? La bici mi ha dato uno scopo, ha risvegliato il mio corpo, mi ha fatto affrontare la scala del recupero raggiungendo vette che nelle mie condizioni erano impensabili. E’ il metodo riabilitativo per eccellenza»