Il Cassani della moto parte da Nibali e sgrana il rosario

30.05.2021
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Cassani sulla moto azzurra ha vissuto un Giro davvero speciale. Chiunque abbia seguito una corsa in moto lo sa bene. E’ come essere in gruppo. Vedi gli sguardi. Senti le voci. Impari i gesti. Riesci a scambiare poche parole. E semmai vedi cose che alle telecamere sfuggono e ti permettono, se hai un ruolo come il suo, di approfondire il discorso dopo le tappe. Cassani infatti non ha raccontato tutto, ma di certo sul suo taccuino sono finiti i nomi per le Olimpiadi. Gli azzurri di Tokyo usciranno dal Giro e non dal Tour. Del resto, se il percorso ha una salita di 6 chilometri al 10 per cento, non puoi prescindere dagli scalatori. Già, ma chi portare?

Dalla moto Rai, Cassani ha potuto osservare al meglio i suoi azzurri
Dalla moto Rai, Cassani ha potuto osservare al meglio i suoi azzurri

Come sta Nibali?

Quando ci si trova fra giornalisti a parlare della squadra per le prossime Olimpiadi, il primo nome su cui ci si sofferma è quello di Vincenzo Nibali. Una sorta di diritto all’azzurro che gli viene dalla storia e dalla sete di rivalsa sulla sfortuna di Rio. Si disse che il siciliano avesse prolungato la carriera proprio per prendersi la rivincita olimpica, ma le cose non stanno andando secondo i suoi disegni. La frattura del polso prima del Giro d’Italia gli ha impedito di esprimersi come avrebbe voluto. Cassani lo sa.

«Più o meno sto ricevendo le risposte che mi aspettavo – dice il commissario tecnico azzurro – ma con Vincenzo dovrò fare una chiacchierata. Sono stato molto chiaro, ora dobbiamo verificare, come lui per primo ha raccontato due giorni fa al Processo alla Tappa. Quel Nibali ora non c’è e non so se si ritroverà. Però è uno che lotta, per questo voglio parlarci chiaramente nei prossimi giorni».

Caruso ha conquistato con il coraggio, la personalità l’ha sempre avuta
Caruso ha conquistato con il coraggio, la personalità l’ha sempre avuta

Conferma Bettiol

Se aver vinto grandi corse è un titolo preferenziale, alla rosa degli azzurri si aggiunge subito il nome di Bettiol, re del Fiandre 2019, su cui Cassani ragiona in modo concretissimo.

«Certo che aver vinto grandi corse è importante – sorride – non credo che uno che non ha mai vinto possa pensare di cominciare dalle Olimpiadi. Con Alberto sono rimasto sempre in contatto e a parte l’ultimo periodo un po’ spento, non aveva più dato grossi segnali in salita, cosa che invece qui al Giro ha fatto alla grande. Mi ha impressionato in un paio di situazioni per il lavoro fatto con Carthy. Sul Giau e soprattutto a Sega di Ala se lo è portato sulle spalle. E poi ha vinto. Uno così non lo puoi lasciare fuori, ma ricordiamoci che il risultato in una corsa come quella viene solo se si mette insieme una grande squadra. E’ per questo che devono essere uomini speciali ed è per questo, ad esempio, che cinque anni fa uno come Damiano Caruso faceva già parte della spedizione».

Bettiol ha vinto, ma soprattutto ha dato grandi segnali in salita
Bettiol ha vinto, ma soprattutto ha dato grandi segnali in salita

Caruso, capitano vero

Già, come non parlare del Damiano nazionale che ieri ha fatto venire i brividi all’Italia del ciclismo? Per dare al pezzo un po’ di sapore di Giro, vale la pena annotare che l’intervista con Cassani si è fatta tentando di scendere da Campodolcino verso Chiavenna, in una coda interminabile provocata dalla rottura di uno dei camion che trasportano le transenne (altro che pullman), proprio nella serata di gloria di Caruso.

«Mi è piaciuto – dice Cassani, che ha seguito anche la tappa di Valle Spluga sulla moto – perché in una situazione per lui nuova, in cui tutti pensavamo avrebbe gestito, ha dato più di quanto anche lui si aspettasse. Non ha avuto paura, ha rischiato. Ha ragionato da capitano vero, lui che in fondo capitano di strada lo è sempre stato. E a margine di tutto questo, non si è mai snaturato, è sempre stato se stesso. Oggi (ieri, ndr) ci ha regalato una tappa bellissima».

Moscon è uno di quelli su cui il cittì conta: «Lo conosco bene»
Gianni Moscon è uno di quelli su cui il cittì conta: «Lo conosco bene»

Moscon e gli altri

Il quarto di cui si parla è Moscon, quello del Tour of the Alps più che quello di fine Giro, dove una caduta l’ha un po’ messo fuori gioco.

«Gianni è partito bene – dice Cassani – poi la caduta gli ha messo un po’ di sabbiolina negli ingranaggi. Con lui ho sempre avuto uno splendido rapporto e anche molto chiaro. Ci sono stati anni in cui nessuno gli dava fiducia e lui ha tirato fuori due mondiali coi fiocchi a Innsbruck e Harrogate. E anni come lo scorso in cui mi sono reso conto che non stava bene ed è rimasto a casa. Con Gianni so parlare, è un punto di forza. Ma come ci siamo detti, non è la sola alternativa a Nibali.

«Sto prendendo in considerazione anche Formolo, che per caratteristiche è uno da classiche e vorrei tanto sapere perché, dopo aver detto che avrebbe puntato alle tappe, si è messo a far classifica. E poi ci sono De Marchi, con cui comunque voglio parlare, Ciccone sperando che si rimetta presto e Ulissi che ha fatto vedere qualcosa di buono. Mi servono dei fondisti e non avendo fra i nostri cinque un favorito per l’oro, bisognerà correre in base ai corridori che abbiamo».

Grazie Rai e Fci

Ultimi due capitoli, l’avvicinamento e la crono. «Il Tour lo faranno in pochi – dice – fra quelli che puntano alle Olimpiadi. I nostri sono seri professionisti, per cui immagino una fase di altura e semmai la Settimana Italiana in Sardegna per rifinire. Quanto alla partenza per Tokyo, stiamo valutando due date, perché c’è il dubbio che, una volta là, non ci permettano di allenarci su strada. Mentre per la crono, a Ganna si potrebbe affiancare Bettiol che va molto bene. E’ tutto scritto negli appunti di questo Giro, durante il quale ho avuto la grande opportunità della moto grazie alla Rai e alla Federazione. Sono riuscito a restare concentrato sul mio ruolo, sono stato un Cassani diverso da quello degli anni in postazione. E’ stata un’esperienza bellissima, che ha aggiunto tasselli importanti al mio lavoro. Non mi ha deconcentrato, mi ha permesso di farlo a un livello superiore».

Ghirotto entra in Fci. A lui la commissione del fuoristrada

16.05.2021
4 min
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Massimo Ghirotto è definitivamente un pezzo importante del ciclismo italiano: corridore, team manager, diesse, radiocronista e adesso anche presidente della commissione fuoristrada della Federazione ciclistica italiana. 

Coerente con la sua serietà, l’ex dirigente Bianchi (nella foto d’apertura con Gerhard Kershbaumer) ha lasciato la Trek-Pirelli, uno dei team italiani di Mtb più in crescita che fa doppia attività marathon e cross country. Massimo vi era entrato circa un anno fa proprio per seguirli in Coppa del mondo. Ma con questa nomina si è chiamato fuori.

Ghirotto in questi giorni è al Giro per commentarlo dalla moto di Radio Rai
Ghirotto in questi giorni è al Giro per commentarlo dalla moto di Radio Rai

L’investitura da Dagnoni

La nomina è arrivata nel consiglio federale che si è tenuto a ridosso del via del Giro d’Italia. Un consiglio che ha visto le prime grandi mosse nel neopresidente Cordiano Dagnoni.

«Non mi aspettavo questa nomina – dice Ghirotto – E’ stata una piacevolissima sorpresa e anzi colgo l’occasione per ringraziare pubblicamente Dagnoni. Chiaramente ne avevamo già parlato. A lui serviva una figura esperta del mondo della Mtb. Voleva sfruttare le mie conoscenze nel mondo del fuoristrada. In più ho la mia esperienza amministrativa di quando ero nel team di Gimondi dove tenevo anche i contatti con le aziende per dire…».

A Verona si è da poco tenuta una gara di Coppa Europa di Bmx
A Verona si è da poco tenuta una gara di Coppa Europa di Bmx

Tante discipline

Ghirotto andrà a sostituire Paolo Garniga, che ha tenuto questa posizione per otto anni. Ma qual è poi nello specifico il ruolo del presidente della commissione fuoristrada?

«E’ un ruolo importante perché abbraccia tutte le discipline dell’offroad che non sono poche: cross country, downhill, enduro, marathon, ciclocross, Bmx, freestyle… è un volume di lavoro enorme. Cosa facciamo? Approviamo le gare, promuoviamo gli eventi, valutiamo le norme attuative… 

«Deve essere un lavoro di squadra e proprio su questo aspetto mi hanno colpito le parole di Dagnoni. Cordiano mi ha detto: credo molto nel lavoro di squadra. Che poi è sempre stato il mio motto. Se tutti tirano nella stessa direzione allora si è forti, se invece ognuno tira dalla parte sua non si va da nessuna parte».

Ghirotto collaborerà a stretto giro con Giancarlo Masini. I nomi della commissione non sono stati resi noti, ma Massimo ci anticipa questo nome. Lui è un azzurro paralimpico e sarà un interlocutore importante per interfacciarsi con tutte le discipline. Enduro, e-bike, Dh sono state accorpate e avranno un referente, cross country e marathon ne hanno un altro. E così le altre.

«Sarà importante – riprende Ghirotto – essere sul campo, assicurare che tutto sia idoneo allo svolgimento della gara ed eventualmente dare un supporto».

La Mtb ha numeri importanti. Quest’anno all’Elba (Capoliveri) si terrà il mondiale marathon
La Mtb ha numeri importanti. Quest’anno all’Elba (Capoliveri) si terrà il mondiale marathon

La difesa della Mtb

Ma poi c’è un altra missione molto importante. Far crescere il movimento, in generale il ciclismo, ma nello specifico di Ghirotto quello del fuoristrada. E qui la fetta più grossa è quella della Mtb che con il ciclocross recita la parte maggiore. Potrà avere il fuoristrada più peso politico in seno alla Federazione?

«Questa è una questione che mi piace. La quota dei tesserati off road sono ben oltre il 50% e bisogna levare gli scudi in favore della Mtb che è la base di tutto.

«Molti ragazzi iniziano con questa bici.  Il settore giovanile al Nord va abbastanza bene, va incrementato anche al Centro e al Sud, anche se poi in Sicilia c’è molta attività. Ma come si fa a far crescere il settore? Organizzando gare. Tutti abbiamo iniziato così. Ci vorrà del tempo, ma questa è la via».

«E poi le strutture – conclude Ghirotto – penso alla Bmx e agli impianti che ci sono a Padova e Verona. Lì si possono organizzare gare di livello nazionale e internazionale. I ragazzi possono avere un campo sicuro. Penso alla pump track, al settore gravel che è in forte crescita. Tanti genitori oggi hanno paura a mandare i loro figli per strada. Sono progetti a lungo termine. Il mio sarà un approccio in punta di piedi, ma mi prendo le mie responsabilità».

Cassani, il ciclismo bandiera dell’unità nazionale

12.05.2021
4 min
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Apparentemente molto distanti tra loro, ciclismo e unità nazionale sono due mondi che si sono incontrati in più occasioni e che tuttora si intrecciano. La partenza da Torino del Giro 2021 è stata dedicata all’anniversario dell’Unità d’Italia (160 anni), così come lo furono le edizioni del 2011 e del 1961 (rispettivamente 150 e 100 anni dall’unificazione del Paese). La stessa carovana del Giro, che in oltre un secolo di storia ha attraversato in lungo e in largo lo Stivale, ha contribuito a creare identità e unione tra popolazioni che fino a 70-80 anni fa faticavano persino a comprendersi reciprocamente

Bartali e Togliatti

L’episodio sicuramente più clamoroso che sancisce il legame tra ciclismo e unità nazionale accade pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’attentato a Palmiro Togliatti, il 14 luglio 1948, provoca disordini civili diffusi, occupazioni di fabbriche, scontri e anche alcuni morti. Molti temevano si potesse scatenare persino una guerra civile. Alcide De Gasperi, allora Presidente del Consiglio dei ministri, telefona a Gino Bartali, che sta correndo il Tour de France, ma è staccatissimo dalla maglia gialla Louison Bobet, e gli chiede l’impresa. Non si sa con certezza se quella telefonata l’abbia fatta davvero lui, fatto sta che Bartali rimonta, tappa dopo tappa. Recupera venti minuti a Bobet sull’Izoard, si impone anche nelle due tappe successive e vince clamorosamente il Tour a 34 anni, dieci dopo il suo primo successo. La grande vittoria contribuì a calmare gli animi e a placare le tensioni: l’unità nazionale era salva.

I mondiali di Imola 2020 sono stati un bel segnale di gestione dello sport in epoca Covid
I mondiali di Imola 2020 sono stati un bel segnale di gestione dello sport in epoca Covid

La maglia azzurra

Oggi quello spirito unitario è ben rappresentato dalla squadra nazionale. Ce lo conferma Davide Cassani, dal 2014 cittì della nazionale italiana.

«In questi anni – dice – ho sempre trovato dei ragazzi fantastici perché, nonostante siano dei professionisti, hanno una dedizione particolare per la maglia azzurra e l’hanno sempre onorata nel migliore dei modi».

Da diversi anni la nazionale italiana è chiamata “La squadra” (proprio col termine italiano) anche dagli stranieri, segno, per Cassani «che è sempre stata un punto di riferimento di unità, coesione e attaccamento alla maglia». Il cittì confessa che «consegnare delle maglie azzurre ha un significato particolare, sento sempre una grande responsabilità. Molti corridori cercano in tutte le maniere di convincermi a convocarli per partecipare a europei, mondiali e Olimpiadi: tutto questo è molto bello».

«Le vittorie ai campionati europei – continua Davide – ottenute negli ultimi tre anni sono la testimonianza di una squadra unita, dove si è corso per vincere, senza guardare alle individualità».

Nel 2019 Viviani, già olimpionico su pista a Rio 2016, vince l’europeo su strada
Nel 2019 Viviani, olimpionico su pista, vince l’europeo su strada

Il mondiale

Anche per gli appassionati e per chi il ciclismo lo segue solo saltuariamente, alcune competizioni hanno un significato che va al di là del semplice evento sportivo.

«Il campionato del mondo – dice ancora Cassani – è seguito anche da persone che abitualmente non guardano il ciclismo, ma si appassionano per la nazionale, come nel calcio e in tutti gli altri sport. La gente mi chiede di vincere un campionato del mondo, c’è sempre un’attenzione particolare verso la squadra».

L’orgoglio di appartenere alla nazionale unisce i nostri ragazzi
L’orgoglio di appartenere alla nazionale unisce i nostri ragazzi

Ciclismo e Covid

In questo momento storico, nel quale la pandemia rischia di disgregare i rapporti sociali e l’unità stessa del Paese, il ciclismo può avere un ruolo importante.

«Non possiamo pensare che il nostro sport sia la soluzione dei problemi – puntualizza il cittì – possiamo però dire che è un esempio, perché l’anno scorso e quest’anno le corse ci sono state. Sono stati osservati i protocolli, le bolle hanno funzionato, i contagi sono stati veramente bassi. E devo dire che, grazie agli organizzatori, alle squadre e ai corridori, abbiamo avuto la possibilità di assistere a gran belle competizioni. Che possono aver sollevato e dato coraggio anche a chi non appartiene a questo mondo».

Il ciclismo, si sa, è uno sport di fatica e per Cassani «può contribuire a stimolare positivamente tutte quelle persone che hanno avuto difficoltà di salute e lavoro per colpa della pandemia».

Suzuki consegna al presidente FCI Dagnoni

Suzuki e FCI, un rapporto di valori condivisi

11.05.2021
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Suzuki rilancia con forza la propria collaborazione con la Federazione Ciclistica Italiana. Per la stagione in corso, il marchio automobilistico nipponico, sempre attento al mondo dello sport e dei grandi eventi, è presente in grande evidenza sulle divise delle Nazionali di ciclismo azzurre di tutte le discipline.

La prima consegna

Il sodalizio fra Suzuki e la Federazione Ciclistica Italiana è stato ribadito a Torino, presso la sede Italiana del marchio automobilistico. In questa occasione è stata consegnata al Presidente federale Cordiano Dagnoni (a sinistra nella foto di apertura) una Suzuki ACROSS Plug-in. La prima di una specifica flotta ibrida che consentirà allo staff, ai tecnici e agli atleti di spostarsi in modo rapido, sicuro e soprattutto rispettoso dell’ambiente.

La maglia della Nazionale con lo sponsor Suzuki
La maglia della Nazionale con lo sponsor Suzuki
La maglia della Nazionale con lo sponsor Suzuki
Suzuki sarà presente sulle maglie delle Nazionali di ciclismo

Una collaborazione attiva dal 2016

«Siamo davvero entusiasti della partnership attiva con Suzuki – ha commentato il Presidente della Federazione Ciclistica Italiana Cordiano Dagnoni – una collaborazione avviata nel 2016 e che abbiamo scelto di proseguire. Suzuki è a tutti gli effetti un marchio molto vicino allo sport e che incarna valori in cui ci riconosciamo. Ha un grande occhio di riguardo nei confronti dell’ambiente, è tecnologico ed innovativo, proprio come il ciclismo di oggi. Suzuki inoltre sviluppa prodotti in grado di supportarci al meglio nei tanti chilometri che ogni giorno percorriamo lungo le strade del grande ciclismo internazionale. Un partner dunque sempre al nostro fianco nel cammino che ci condurrà ad una serie di importanti appuntamenti, come i Campionati Europei, i Mondiali e le Olimpiadi di Tokyo».

La Suzuki Across Plug-in che sarà data in dotazione alla Federazione Ciclistica Italiana
La Suzuki Across Plug-in
La Suzuki Across Plug-in che sarà data in dotazione alla Federazione Ciclistica Italiana
La Suzuki Across Plug-in che sarà data in dotazione alla Federazione Ciclistica Italiana

Sicurezza e rispetto ambientale

«Suzuki è orgogliosa di confermare il supporto alla gloriosa Federazione Ciclistica Italiana – ha ribadito il Presidente di Suzuki Italia Massimo Nallila presenza della nostra S sulla maglia azzurra degli atleti del ciclismo italiano è una vera e propria medaglia sul petto per il marchio Suzuki. Lavorare per un obiettivo, dare il massimo in una competizione, rispettare le regole e l’avversario, sono valori comuni sia del ciclismo che del marchio di Hamamatsu. La gamma 100% ibrida del marchio giapponese sposa temi molto cari a tutti i ciclisti: sportività, attenzione alla sicurezza stradale e rispetto della natura. Sulla strada rispettiamoci! La nostra libertà finisce dove inizia il rispetto di quella altrui. E tra le esigenze da soddisfare non dimentichiamo quelle del pianeta: la bicicletta sarà una delle soluzioni del futuro».

Stessi valori e stesso impegno

«La nostra ACROSS Plug-In è l’emblema dell’approccio alla mobilità sostenibile. Equipaggiata con sistemi di sicurezza efficaci che tutelano anche gli altri utenti della strada, ha una autonomia da best in class in modalità elettrica, senza emissioni nocive dallo scarico. Suzuki ritrova nel mondo dello sport, e in particolare in quello del ciclismo, i valori di cui si fa portatrice nella società e quando si cimenta in prima persona nelle competizioni motoristiche. Gli sportivi sanno bene quanto la volontà e la tenacia siano determinanti per superare i propri limiti e per raggiungere i traguardi più ambiziosi. L’impegno di chi spinge sui pedali ricorda quello profuso dai tecnici di Suzuki quando sono chiamati a studiare nuove tecnologie per permettere di offrire prodotti tecnologici ed efficienti, in grado di rendere migliore la vita dei nostri clienti e di primeggiare nelle corse, oltre che sul mercato».

suzuki.it

Due mesi dopo l’elezione, il presidente cosa fa?

21.04.2021
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A due mesi dall’elezione, Cordiano Dagnoni non si tira indietro quando si tratta di raccontare il suo impegno, ma il dato oggettivo è che le cose da fare sono tante e il tempo è tiranno.

«Sono a tutta – dice – attacco la mattina alle 8 e non me ne vado dall’ufficio prima delle 20. Questa è la prima telefonata extra. C’è tanto da fare. Pensavo di trovare una situazione più a posto. Tante cose erano ferme, come in un’azienda in cui non hai investito sulle macchine e la produzione è calata. Per dare una scossa, ho messo mano al settore della comunicazione perché il mondo viaggia veloce e dobbiamo stare al passo coi tempi. Ho chiamato Roberto Amadio alla Struttura Tecnica. E assieme a Mannelli dei Revisori dei Conti e Castellano, abbiamo già lavorato alla semplificazione per gli aspetti amministrativi rispetto ai Comitati provinciali e regionali. Modifiche, devo dire, molto apprezzate».

Assieme ad Amadio e Cassani alla Coppi e Bartali
Assieme ad Amadio alla Coppi e Bartali
Andiamo con ordine, come sei arrivato al nome di Amadio?

Sono amico fraterno con Mario Scirea, ci allenavamo insieme. Abbiamo la stessa età. Mi ha fatto lui il nome. Ha detto, ricordandolo dagli anni alla Liquigas, che era la persona giusta per gestire il gruppo e il budget. Roberto si è dimostrato subito entusiasta. Ha seguito la campagna elettorale restando dietro le quinte e il suo nome è stato uno dei primi che ho portato avanti dopo l’elezione. E’ una figura che si integra bene con le altre, apprezzato da tutti: un vero valore aggiunto. E’ partito con molto entusiasmo.

La comunicazione?

E’ il modo per diventare visibili, appetibili, richiamare nuovi sponsor. Lavoriamo in stretta coordinazione. E poi sono molto fiero di Marcello Tolu, il Segretario Generale, come dire l’amministratore delegato dell’azienda, che da quattro anni era segretario della FitArco, la federazione del tiro con l’arco. Un romano a Roma, per me che sono a Milano è fondamentale, anche se martedì è stato tutto il giorno su con me.

Lo hai scelto tu?

Il Segretario viene nominato dal presidente, ma ha bisogno dell’avallo del Coni. Così qualche tempo dopo l’elezione sono andato a parlare con Malagò. Gli ho detto che avevo una richiesta e non poteva dirmi di no. Quando gli ho fatto il nome, si è buttato indietro sulla poltrona e mi ha chiesto come avrebbe fatto a portarlo via dal tiro con l’arco. Io ho ribadito che ne avevamo bisogno. E visto che in passato la Fci qualche grattacapo l’ha dato, Malagò mi ha chiesto di dargli 10 giorni e alla fine Tolu è venuto con noi.

Marcello Tolu è diventato Segretario Generale (foto Fci)
Marcello Tolu è diventato Segretario Generale (foto Fci)
Cosa dici del Consiglio federale che si è formato?

Mi piace, pur avendo all’interno eletti di altre fazioni. E’ un bel gruppo. Siamo coesi, tutti hanno voglia di fare bene e per questo ho deciso di dare delle deleghe vere, non per finta. Significa che mi fido. Ci siamo divisi in base alle competenze, senza stare a litigare. Io ho tenuto per me il paraciclismo (perché credo sia un settore da tenere su), i Giudici di gara, l’impiantistica (che è legata alla promozione) e la nazionale.

Si vede qualche frutto dopo due mesi?

E’ stimolante e ci sono tante cose da fare. Si comincia a vedere l’entusiasmo di aziende che si avvicinano. Già la mia elezione e il cambio di presidente aveva generato curiosità, ora si cominciano a vedere i progetti e per i manager è più facile avvicinarsi a cose concrete. Tanti contratti ce li siamo trovati già in essere, per ora vanno bene così e poi se ne riparlerà. 

Che cosa c’è da fare nell’immediato?

Le Commissioni, ma stiamo ragionando con calma per mettere le persone giuste nel ruolo giusto. Per fortuna non ho debiti elettorali, quindi posso scegliermi chi meglio ritengo e sulla base della competenza. Mi piace poter inserire qualcuno di cui mi fido. Ad esempio la Commissione dei Giudici di Gara si è fatta da sé. Ho chiesto al presidente Gianluca Crocetti di indicare lui i nomi con cui avrebbe voluto lavorare e guarda caso coincidevano con i miei. Non saranno nomine a buttar via, con due soli che lavorano e gli altri a non far nulla. Si deve creare un gruppo che funzioni.

Gianluca Crocetti è il presidente della Commission Giudici di gara
Gianluca Crocetti è il presidente della Commission Giudici di gara
Metterete mano al professionismo? Quello che è successo alla Vini Zabù non è il massimo…

Se ne è parlato. Il passaggio al professionismo merita una riflessione più serie di quanto fatto finora. Il metodo migliore a mio avviso era quello di quando correvo io, basato sui punti. Il sistema è andato in crisi quando si sono messe di mezzo le leggi sul lavoro, ma io credo che con il buon senso si possa gestire. Anche quello del pilota d’aereo è un lavoro, ma per arrivarci devi superare un esame e avere determinati requisiti fisici, non basta che il papà ti paghi il corso. Mi sembra assurdo che abbiamo speso così tante risorse per rifarci un’immagine e basta un caso così per rimettere tutto in discussione.

Com’è la vita del presidente federale?

Sono sempre a tutta, a dire tanto riesco a dedicare il 5 per cento del mio tempo all’azienda. Per fortuna ho due fratelli che sbrigano il lavoro e io posso dedicarmi alle rifiniture. Ieri c’era una riunione e ho mandato avanti loro. Io sono arrivato a riunione iniziata, loro hanno fatto il grosso e io sono arrivato per le ultime decisioni. Il prossimo appuntamento è venerdì a Riva del Garda all’ultima tappa del Tour of the Alps e poi domenica al Gp della Liberazione. Ma non mi lamento, sono contento di come stanno andando le cose.

Con Amadio i pro’ entrano in Federazione

25.03.2021
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La sua nomina ha destato molta sorpresa: nella prima riunione del nuovo consiglio federale, Roberto Amadio è stato nominato Presidente della Struttura Tecnica Nazionale Strada e Pista, acquisendo la carica da Ruggero Cazzaniga oggi vicepresidente della nuova Fci. Una scelta sorprendente soprattutto per la storia di Amadio, lungamente legato anche per trascorsi agonistici alla pista ma più facilmente identificato come uomo della strada, con un lungo e glorioso passato come direttore sportivo e team manager.

Una nomina che a molti è sembrata gettare un ponte fra la struttura federale e il mondo professionistico, spesso entità lontane e magari addirittura in contrasto, dando così seguito a quelle idee che il presidente Cordiano Dagnoni aveva specificato nella sua campagna elettorale.

«Quando ho iniziato ad avvicinarmi al mio nuovo ruolo – dice Amadio – mi sono accorto di quanto sia un compito arduo e soprattutto ampio. Riguarda regolamenti tecnici, stipula del calendario di attività, attribuzione dei campionati Italiani, gestione delle nazionali e tanto altro ancora. Il lavoro è molto, io porterò dentro e ci metterò tutta la mia esperienza acquisita in una vita, da corridore e dirigente, inserendomi in una strada già tracciata da Cazzaniga e dal segretario Giorgio Elli, che hanno già fatto molto e bene».

Amadio, qui con Davide Bramati, ha iniziato come Ds nel 1992 alla Jolly Componibili
Amadio, qui con Bramati, ha iniziato come Ds nel 1992 alla Jolly Componibili
Può essere il primo passo verso un nuovo rapporto tra Fci e mondo professionistico?

Ci dovrà essere un forte e continuo dialogo con la Lega e le squadre, ma anche con gli organizzatori. E avendo vissuto in questo mondo per tanti anni, ci metterò tutto me stesso per favorirlo. Non sono due mondi contrapposti, anche se hanno compiti diversi, bisogna trovare le giuste sinergie.

Che cosa puoi fare dalla tua posizione per favorire la crescita di un vero e proprio team italiano di WorldTour?

Io credo che nella situazione attuale pensare a una squadra italiana al massimo livello sia prematuro, ma chiaramente bisogna lavorare tutti, nel proprio ambito, perché quest’idea un giorno si realizzi. La Fci può dare una mano e nella mia posizione farò di tutto per farlo, ma bisogna innanzitutto pensare a potenziare la Federazione in base agli impegni che le si pongono davanti: nel nostro caso specifico i grandi eventi internazionali a cominciare dalle Olimpiadi.

Con il quartetto dell’inseguimento Amadio vinse il Mondiale dell’85
Con il quartetto dell’inseguimento Amadio vinse il Mondiale dell’85

Il progetto Club Italia

Chiacchierando con Cassani e non solo, si era parlato dell’idea di importare nel ciclismo l’idea del Club Italia, una sorta di squadra nazionale permanente che agirebbe come team continental e coinvolgerebbe i migliori talenti giovani delle varie discipline ciclistiche (strada, Mtb, pista, ciclocross) per far acquisire loro esperienza su strada.

Pensi che sarebbe possibile?

Sarebbe un progetto importante, nel quale possiamo muoverci come Federazione. La strada della multidisciplina è il ciclismo del terzo millennio, questo è indubbio. Un’idea simile c’era già negli anni Ottanta e diede buoni frutti, soprattutto per la pista. Sicuramente permetterebbe ai vari tecnici nazionali di lavorare su un club gestendo al meglio la preparazione e la programmazione degli appuntamenti. Ci si può ragionare…

E’ attraverso idee simili che può ripartire la crescita del movimento italiano di vertice o ci sono anche altri passaggi da pensare?

Per tutte le specialità serve programmazione, soprattutto oggi dove scienza e tecnologia sono arrivate a livelli da Formula 1 nel supporto dell’attività. L’Italia nel complesso sta lavorando bene, basta guardare gli enormi progressi della pista. Per la strada resto convinto che bisogna partire dalla base, lavorare con cura sulle categorie giovanili, juniores e under 23, per stimolare la crescita dei giovani talenti e invogliare sempre più gli sponsor a investire sul ciclismo. A tal proposito sono sempre scettico al pensiero che arrivi qualcuno che investa una valanga di soldi per creare un team di WorldTour, per questo dico che bisogna andare per gradi.

Con Nibali, Basso e il patron Paolo Dal Lago: era il 2012, il suo ottavo anno alla Liquigas
Con Nibali e Basso: era il 2012, il suo ottavo anno alla Liquigas
Che cosa ti rimane delle tue esperienze in ammiraglia?

Tanti bei ricordi, legati soprattutto ai campioni con cui ho lavorato. Da Basso a Nibali a Sagan, ho avuto la fortuna di lavorare con loro imparando anche da loro. Questo mi ha dato una conoscenza dell’ambiente a 360°, senza dimenticare che le mie radici sono legate alla pista per la quale ho un amore inestinguibile. Spero di poter dare indietro parte di quello che ho ricevuto, attraverso questo nuovo incarico.

Che cosa ti auguri per questo quadriennio così breve?

La Federazione imposta il suo lavoro sulle Olimpiadi, noi siamo entrati in corso d’opera e Tokyo sarà frutto per lo più dell’impegno di chi c’era prima. Io guardo già a Parigi 2024 e mi piacerebbe che per allora potessimo dare importanti segnali in quelle discipline nelle quali per ora siamo ai margini, come ad esempio la velocità su pista. Tre anni sono pochi, lo so, per ottenere risultati di vertice, ma possiamo gettare una base solida, portando maturità ed esperienza nelle categorie giovanili, perché è da lì che nascono i campioni.

La maglia azzurra della nazionale italiana

FCI rinnova con Pinarello e Castelli

24.02.2021
3 min
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L’ultimo Consiglio Federale della Fci del quadriennio 2017-2020 ha rappresentato l’occasione per affrontare e definire alcune questioni ancora “sul tavolo”. Tra le delibere assunte, lo stesso Consiglio ha rinnovato la partnership per il prossimo biennio sia con Pinarello, partner fondamentale per l’attività di alto livello in pista e per dare forte continuità al progetto olimpico di Tokyo, e con Castelli per quanto riguarda l’abbigliamento tecnico. Un brand quest’ultimo oramai da molti anni vicino alla Federazione con l’obiettivo di garantire il massimo impegno per la realizzazione di indumenti altamente performanti.

A Ganna la prima Bolide

La prima Pinarello Bolide, è stata consegnata da Fausto Pinarello a Filippo Ganna, presente Davide Cassani, nel 2015. Ganna aveva sfiorato il podio ai Mondiali Juniores di Ponferrada dello stesso anno nella prova a cronometro, e questa consegna già rientrava nell’accordo tra Pinarello e la FCI, in collaborazione con la allora società di appartenenza dello stesso Ganna, per permettere all’atleta di continuare la sua attività nazionale ed internazionale con un mezzo d’avanguardia, e alla Federciclismo di portare avanti il proprio progetto dedicato ai giovani talenti.

Fausto Pinarello
Fausto Pinarello con il telaio rosa per Geoghegan Hart
Fausto Pinarello
Fausto Pinarello con il telaio rosa fatto per celebrare la vittoria di Tao Geoghegan Hart

Castelli e la maglia azzurra

«Il sodalizio con gli sponsor della Federazione, e dunque in primis della maglia azzurra – ha dichiarato il Presidente uscente della FCI Renato Di Rocco – è oramai una storia consolidata da anni che rappresenta un motivo di vanto ed orgoglio. Insieme abbiamo conquistato numerosi traguardi, ed insieme sono sicuro se ne conquisteranno altrettanti. La maglia azzurra prodotta da Castelli è sinonimo di appartenenza, e mai come nel corso di questi mesi così complicati rappresenta, ancor di più la cifra dei nostri valori e del nostro modo di essere cittadini del mondo».

Filippo Ganna nell'illustrazione Mr. Henk
Pinarello e Castelli con Filippo Ganna nell’illustrazione di Mr. Henk
Filippo Ganna nell'illustrazione Mr. Henk
Pinarello e Castelli… a bordo con Filippo Ganna nell’illustrazione di Mr. Henk

Hi-Tech per una frazione di secondo

Quando Castelli sviluppò la prima maglia aerodinamica per il ciclismo su strada, nell’ormai lontano 2006, tutti pensarono che fossero dei pazzi. A quel tempo, l’aerodinamicità si utilizzava soltanto nelle prove a cronometro. Abbigliamento performante significava solamente gestione della traspirabilità, e si poteva vincere il Tour de France con una maglia larga che era poco più di una t-shirt in poliestere. Persino gli esperti di aerodinamica si aspettavano vantaggi limitati, per questa ragione Castelli chiamò la prima maglia “Split Second” (letteralmente “frazione di secondo”).

Steve Smith, Brand Manager Castelli
Steve Smith, Brand Manager Castelli
Steve Smith, Brand Manager Castelli
Steve Smith, Brand Manager Castelli

Esattamente allora come oggi, in Castelli già si pensava che valesse la pena inseguire anche un piccolo vantaggio. Alla fine, i benefici sono stati sostanziali, e senza ombra di dubbio si può affermare che Castelli ha completamente rivoluzionato il look dei professionisti in gruppo… non a caso un valido motto del brand italiano è “never stop improving…”.

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Martinello e Isetti, analisi e sassolini nelle scarpe

22.02.2021
4 min
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Gli sconfitti della contesa elettorale, Silvio Martinello e Daniela Isetti, hanno diversi stati d’animo, legati alle diverse aspettative e alla possibilità di vincere che ciascuno a suo modo si era in qualche modo attribuito.

Rischio ballottaggio

Martinello è arrivato secondo a 22 voti da Dagnoni. Sapeva che la sua unica chance sarebbe stata vincere al primo turno. Il ballottaggio sarebbe stato fatale contro Dagnoni, mentre sarebbe stato giocabile contro Isetti. Se da un lato era evidente che gli elettori di Isetti avrebbero dato sostegno a Dagnoni, il contrario non sarebbe stato così scontato.

«In questo momento – dice – c’è la delusione per non aver centrato l’obiettivo, ma insieme la serenità di aver lavorato per il meglio. Abbiamo fatto un gran lavoro, abbiamo parlato di ciclismo e criticità. Sono felicissimo che Norma Gimondi sia diventata vicepresidente, perché non era una cosa scontata. E’ molto preparata e appassionata, chissà che questa esperienza non sia utile per un altro futuro».

Silvio Martinell e Cordiano Dagnoni si sono sfidati al ballottaggio (foto Fci)
Silvio Martinell e Cordiano Dagnoni si sono sfidati al ballottaggio (foto Fci)

L’impronta di Renato

Il dubbio che ti assale, dopo le tante… forchettate fra lo sfidante e il presidente uscente Di Rocco, è che lo stesso Renato a un certo punto abbia manovrato lo spostamento dei voti verso Dagnoni, pur di tagliar fuori Martinello. Le parole di Di Rocco, per cui si può essere soddisfatti per l’elezione di un uomo con un cammino importante in federazione, sono in qualche modo una conferma.

«E’ stata sicuramente un’elezione – conferma Martinello – con l’impronta di Di Rocco. Nel mio intervento ugualmente mi sono sentito di riconoscere il suo spessore e i suoi trascorsi. In ogni caso ora c’è un Consiglio Federale nel pieno dei suoi poteri, che non potrà certo negare le criticità che gli abbiamo mostrato».

Silvio non scappa

E adesso cosa sarà di Martinello, che in una conversazione ha sottolineato come il grande lavoro fatto non debba essere disperso?

«Non so cosa mi riserverà il futuro – dice – di certo non ho intenzione di uscire dal ciclismo, perché credo in questi mesi di aver parlato proprio di ciclismo. Sapevo che non sarebbe stato facile, soprattutto perché non ho mai fatto parte dell’establishment. E’ come alla fine di una corsa, cui hai partecipato sapendo di esserti preparato al massimo. Ho la serenità di aver fatto tutto bene. Ci sono anche gli avversari che fanno la loro corsa e se si viene battuti, occorre riconoscergliene merito».

Eccesso di onestà

Daniela Isetti mostra lo stesso distacco, ma basta guardarla negli occhi per capire che il distacco è davvero relativo.

«Quello che mi scoccia – risponde – è che non sono state mantenute le parole date. Sono stata convinta fino all’esito del voto che avrei potuto farcela, anche se per scaramanzia stavo zitta, dato che tutti mi avevano già attribuito la vittoria. L’unica cosa di cui forse potrei pentirmi è l’essere stata troppo sincera e trasparente, ma rifarei tutto, perché non posso cambiare la mia natura. Così come non posso non rivendicare le mie competenze. Non sono una persona che cova la delusione, ma devo ancora metabolizzare quello che è successo. Mi dispiace solo che la Fci perda un dirigente capace. E comunque l’Assemblea è sovrana e così ha deciso».

Ecco il nuovo Consiglio federale del presidente Dagnoni (foto Fci)
Il Consiglio federale del presidente Dagnoni (foto Fci)

Voto incoerente

Il prossimo nodo da sciogliere per quanto la riguarda è la sua candidatura, proposta da Di Rocco prima di farsi da parte, come rappresentante italiana in seno all’Uci. Proprio questa nomina è stata oggetto di una vibrante obiezione da parte di Dagnoni.

«E’ un po’ presto per dire cosa farò – dice – ma non mi accanisco per avere una carica, come abbiamo visto invece alcuni in questa Assemblea. Unica cosa che ci terrei a sottolineare è che non credo che il risultato della prima votazione sia stata coerente con i valori e il lavoro fatto fin qui. E a chi mi chiede se non fosse possibile confluire sin da subito nel progetto di Dagnoni, risponde che l’ho escluso per una richiesta di riconoscimento dei valori in campo».

Dagnoni presidente, fra progetti e commozione

21.02.2021
4 min
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Se c’è un’immagine che più di altre rimarrà negli occhi di chi ha seguito l’Assemblea Generale della Federazione, che ha portato all’elezione di Cordiano Dagnoni alla presidenza, è proprio l’abbraccio fra il presidente e Mario Valentini. Due minuti di una stretta che sapeva di conquista e dolore. Pochi sanno quanto il tecnico umbro sia stato determinante nel tessere la tela che ha portato all’elezione di Dagnoni, ma in quel momento ogni speranza di vittoria era priva di importanza. Ieri sera, infatti, il figlio Mauro si è spento dopo una lunga malattia. Aveva 53 anni.

«Credo che Mario sia venuto – dice Dagnoni a bassa voce – perché sapeva che Mauro ci teneva tantissimo. Eravamo d’accordo che se fossi stato eletto, lui sarebbe stato il mio uomo di fiducia su Roma. E questo ho tenuto a dirlo, nel primo incontro che abbiamo fatto a metà pomeriggio. Questo Consiglio Federale avrà 12 componenti: gli 11 eletti e poi Mauro da lassù».

Elezioni federali
Subito dopo la proclamazione, il nuovo presidente Fci saluta commosso Mauro Valentini (foto Fci)
Elezioni federali
Il saluto di Dagnoni a Mauro Valentini (foto Fci)

Davanti al notaio

Dagnoni è appena stato davanti al notaio per firmare l’accettazione del mandato. Alla vigilia sembrava che tutti i voti dovessero convergere come per un plebiscito sul nome di Daniela Isetti. L’emiliana era la portatrice del programma più articolato, almeno quanto quello di Martinello era ricco di fatti ed elementi che a qualcuno devono essere parsi destabilizzanti. Il programma di Dagnoni era il più magro, con quella concezione della Federazione come un’azienda che lentamente faceva breccia negli ambienti che non hanno mai digerito troppo bene la burocrazia romana.

Via la cravatta

La tensione inizia a scemare ed è il momento dei pensieri in libertà, quelli con la cravatta slacciata. Coloro che hanno provato a fare interviste su programmi e provvedimenti hanno ricavato risposte prevedibilmente vuote.

«E’ un po’ come in una gara su pista – ammette il presidente – come uno dei tre europei che ho vinto sul derny. C’è prima la fase in cui tagli la linea, che dà una gioia effimera. Poi c’è la fase delle premiazioni, in cui capisci ma non del tutto. E poi c’è la fase del giorno dopo, quando ti svegli. Io sono ancora alle premiazioni. Di programmi e il resto si comincerà a parlare da domani».

Con i suoi tre vice: Cazzola, Gimondi e Cazzaniga (foto Fci)
Con i tre vice: Cazzola, Gimondi e Cazzaniga (foto Fci)
Due giorni fa in uno scambio di messaggi, a fronte dei proclami dei rivali, ti dicevi tranquillo.

Mi sentivo che sarebbe andata bene. Partivo dalla consapevolezza di avere buona parte dei voti della Lombardia e già solo per questo gli altri partivano svantaggiati. E poi sapevo che in caso di ballottaggio con Martinello, sarei stato avvantaggiato. Chi avrebbe votato Isetti, non sarebbe confluito su Silvio.

Che cosa secondo te ha convinto i tuoi elettori?

Con il passare delle settimane, ci siamo resi conto che il profilo sobrio che avevamo scelto alla fine stava venendo fuori. Magari all’inizio non ci hanno ascoltato, perché c’era gente che faceva più rumore. Alla lunga però sono emersi i veri valori.

C’è qualcosa che hai letto nei programmi dei tuoi rivali che avresti voluto far tuo?

Posso dire quello che penso? I loro programmi erano troppo lunghi ed elaborati. Noi abbiamo voluto puntare su meno cose. Progetti concreti. Abbiamo scelto di concentrarci su quello che si può fare davvero. Per cui al momento giusto, si potrà partire.

Una firma solenne: il presidente accetta la nomina
Una firma solenne: il presidente accetta la nomina
Con gradualità o tutto insieme?

Anche insieme. Nel mio stile di lavoro c’è da sempre la delega. Se lasci che a lavorare siano diverse professionalità, hai più canali aperti. Invece magari sui progetti più complicati si può agire con tempi diversi.

Inizialmente si disse che Di Rocco fosse dalla tua parte.

All’inizio Renato si era convinto che sia Daniela sia io avessimo il profilo giusto per essere buoni candidati. Alla fine però si è sbilanciato e si è spostato su Isetti e questo mi ha avvantaggiato, perché ha fatto capire quali fossero le forze reali in campo.

Un Consiglio federale con 7 lombardi su 11 eletti: cosa significa?

Un Consiglio a sorpresa. Ma adesso, come ho appena detto a tutti loro, siamo nelle condizioni perfette per dimostrare l’impegno per un’Italia ciclistica unita. Far crescere le regioni meno strutturate della Lombardia è un progetto che merita la massima attenzione.

Il momento in cui Cordiano Dagnoni riceve la chiamata di Ernesto Colnago
Il momento in cui Cordiano Dagnoni riceve la chiamata di Ernesto Colnago

Il telefono squilla, a questa deve rispondere. E’ Colnago. Fra i due c’è una lunga amicizia. Il presidente chiede scusa e si sposta. Dopo tanti anni nel segno di Di Rocco, la Federazione torna ad essere un affare lombardo, ma la sensazione che la mano lunga di Renato non sia del tutto estranea a questa elezione rimane. Andremo avanti tenendoci il buono e lasciando giù ciò che non funziona? La sfida per Dagnoni è appena cominciata.