Quando finisce la carriera e non sei pronto per fermarti, fatichi a farci pace. Così Davide Villella, che alla fine del 2022 si è trovato senza squadra, è li che ragiona sui motivi che hanno spinto la Cofidis a non rinnovargli il contratto e su cosa non abbia funzionato nella sua carriera da predestinato. Quando riusciamo a ripescarlo, il discorso percorre l’asse di equilibrio fra dita da puntare e il tentativo di fare autocritica.
«Ormai è andata – dice – la situazione è questa. Non spettava a me cercare squadra, dovrebbero farlo altre persone. Però, vabbè..».
In rampa di lancio
Il suo ultimo anno da under 23, il 2013 dei mondiali di Firenze, era stato a dir poco trionfale, con sei vittorie fra cui due tappe e la classifica finale del Val d’Aosta e poi il Piccolo Giro di Lombardia. Lo aveva preso la Cannondale, in un percorso parallelo a quello di Formolo: entrambi rappresentati da Mauro Battaglini.
In quegli anni le cose sembravano funzionare. Rapporto in salita, belle accelerazioni, qualche vittoria. Poi lentamente avvenne un cambio di pelle. Pur continuando a fare i suoi piazzamenti, il bergamasco ha provato a trasformarsi in gregario di lusso. Due anni alla Astana, poi alla Movistar si è ritrovato a lavorare per Valverde e Mas, con tanto di investitura da parte di Cataldo, che lo aveva individuato come suo successore in cabina di regia nella squadra spagnola.
Finché nel 2022 Villella è approdato alla Cofidis, indicato assieme a Cimolai da Roberto Damiani, che lo preferì allo stesso Cataldo in ragione del fatto che fosse più giovane. Ma le cose non sono andate come pensava. A vederlo da fuori, sembrava che Davide avesse perso mordente, in un periodo in cui non puoi mollare un metro. La coincidenza di alcuni problemi tecnici ha composto definitivamente il quadro.
Che cosa è successo?
Ho avuto problemi meccanici in momenti poco indicati. La sella che scendeva anche di un centimetro, ad esempio. Al Tour of Oman, è successo nel momento in cui si faceva il ventaglio che ha deciso la corsa. Potevo entrare nei 10 finali e invece niente. Oppure nella tappa del Giro d’Italia a Potenza (quinto dopo 130 chilometri di fuga, ndr). Prima si è rotto il cambio. Così ho preso la bici di scorta e mi è scesa la sella. Sono rientrato sulla fuga, ho rialzato la sella, ma non abbastanza. E sono arrivato al traguardo, con 5 millimetri di altezza in meno.
Si è capito perché?
Una cosa strana. A casa avevo lo stesso modello, ci ho messo del fissante e non è mai più successo. Alle corse capitava, a me e ad altri. Non credo sia la bici, sarà stato probabilmente qualcosa legato al lavoro dei meccanici. A volte salvi la stagione anche con un giorno alla grande e Potenza è stata un’occasione buttata via non per colpa mia (sull’importanza dell’occasione sfumata per i problemi meccanici, anche il diesse Damiani si dice d’accordo, ndr).
Perché sei andato alla Cofidis e non sei rimasto alla Movistar?
Non lo so perché non sia andata avanti con Movistar. Quando mi è stata data un po’ più di libertà nel finale di stagione, ho fatto qualche piazzamento, ma ho anche aiutato Valverde a vincere una tappa al Giro di Sicilia. Alla Cofidis avevano visto quei piazzamenti e con la questione della classifica WorldTour, cercavano atleti che potessero farne ancora. Per quello mi hanno fatto un solo anno di contratto, ma mi era stato detto che avrei firmato per un altro. Si doveva solo discutere della cifra, almeno questo è quello che mi diceva il procuratore che aveva parlato con Vasseur (Alex Carera conferma che fino al Giro, la Cofidis fosse contenta di Villella. Come lui, anche Damiani, ndr).
Non può essere dipeso da te?
Forse sì. Mi sono un po’ abbattuto, nell’ultimo anno soprattutto. I problemi tecnici sono stati mazzate morali che si sono riflesse sui risultati. In più, non mi sono mai trovato con la squadra. Non ho imparato la lingua come avevo fatto con lo spagnolo e con l’inglese e quella è stata una mia pecca. Non sapere la lingua ti limita molto, ma nemmeno puoi pretendere di parlarla benissimo in così pochi mesi. Non so dire se ci siano state altre scelte che si potevano evitare, però con il senno di poi siamo tutti bravi.
Sei sempre stato un lupo solitario…
Sono uno cui piace allenarsi da solo. Quindi anche se c’è gente che conosco, a parte Formolo con cui ci si trovava quando ero a Monaco, rimango sempre abbastanza per i fatti miei negli allenamenti. A volte mi seguiva qualche amico amatore. Ho sempre fatto così, non so se sia giusto o sbagliato, però è quello che sono.
Ti sei mai sentito davvero forte?
Si parla di anni fa, era il 2016. Avevo fatto quinto al Lombardia, poi avevo vinto la Japan Cup. L’anno dopo ho vinto la maglia degli scalatori alla Vuelta. Alla fine però sono più stato un gregario più che un vincente. E per questo, in aggiunta alle mie responsabilità, sono stato anche sfortunato a capitare nella Cofidis che andava a caccia di punti.
Quando hai capito che si metteva male?
Dopo il Giro. Avevo chiesto di riposare un po’, invece la squadra ha insistito perché corressi il Giro di Svizzera. Ci sono andato, ho fatto due tappe e sono tornato a casa, perché sia fisicamente sia mentalmente ero proprio arrivato. Da lì mi sembra che non l’abbiano presa bene (Damiani però esclude che ci sia un nesso fra il ritiro e la mancata conferma, ndr).
Ne hai parlato con Damiani?
Con Roberto ho un buon rapporto, è un buon direttore e mi ha aiutato tanto. Anche con il francese, quando mi ha visto spaesato. Ma alla fine il risultato è stato questo e, per quello che so, non mi ha più cercato nessuno. Mi sarebbe piaciuto andare in una squadra come la Eolo, solo che anche lì non c’era più posto. Avevano finito il budget, perché quando gliel’hanno chiesto, era fine ottobre.
Cosa farai adesso?
Qualche mese un po’ tranquillo, per dedicarmi alle cose che non ho fatto in questi anni. Al dopo ci penserò più avanti. Non sto andando in bici, perché mi è stata ritirata. Avevo chiesto se me la potevano lasciare sino a fine anno, ma ho dovuto riportarla ai primi di dicembre. L’unico che mi abbia mandato un messaggio è stato Cimolai, che ho sentito l’altro giorno. Qualche chiamata con Damiani, ma poi zero. Alla fine non avevo fatto grandi annunci sul fatto che stessi smettendo.
Ci pensi spesso?
Molto spesso. Durante il giorno e anche la notte prima di dormire. Sapevo che prima o poi sarebbe finita, però non pensavo in questo modo. Così passo le giornate facendo qualche corsetta a piedi e cercando di tenermi occupato. Ho fatto una vacanza a New York con la ragazza e spero di farne un’altra fra uno o due mesi. Nel frattempo ho ordinato la bici, che però arriva a febbraio. Ma se anche qualcuno mi proponesse di ripartire, forse non troverei gli stimoli giusti. Mi piacerebbe entrare in un’azienda vicino casa, magari da Santini, per fare un esempio. Alla fine quella può essere una chiave per tenere un piede dentro.