Formolo, un altro buon motivo per tirare fuori la testa

06.12.2022
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La ruota legata alla rete sul Col de Castillon, come ultimo saluto per Rebellin, lungo la strada che da Mentone sale verso l’interno. “Sarai sempre al mio fianco in ogni singola uscita in bici…”, ha scritto Davide Formolo su Instagram e assieme a lui hanno posato gli amici di tanti allenamenti. Trentin e Covi, i fratelli Bonifazio, Troìa e due amatori. Poi il discorso passa a un’altra foto. In questa c’è Formolo, 21 anni, e accanto Rebellin che ne ha già 43.

«Siamo noi due insieme al Turchia – dice – le prime vere fatiche. Lì mi chiese in che anno fossi nato, così non ho più dimenticato che il 1993 era stato anche il suo primo anno da professionista. Non ci capitava di allenarci troppo spesso insieme, con i programmi d’allenamento al giorno d’oggi è difficile combaciare con gli altri. Però se potevo, quando lo vedevo mi giravo sempre. Davide era come un libro aperto per me. E poi caratterialmente mi sembrava anche molto simile a me, sinceramente…»

Primo anno da pro’ per Formolo, 43 anni per Rebellin. I due si conoscono così, su un podio in Turchia
Primo anno da pro’ per Formolo, 43 anni per Rebellin. I due si conoscono così, su un podio in Turchia

Si riparte

A breve sarà il tempo di chiudere la prima valigia e poi Formolo partirà per il primo ritiro europeo del UAE Team Emirates. Per il veronese della Valpolicella quella in arrivo sarà la decima stagione da professionista, con un biennale in tasca e tanta voglia di riprendersi qualcosa che pensa di aver lasciato lungo la strada.

«L’ultimo è stato un anno molto particolare – dice – soprattutto la prima parte di stagione. A gennaio mi sono rotto la mano, ho iniziato a correre e appena dopo la Sanremo mi sono preso l’influenza, perciò ho fatto la settimana a letto. Il tempo di rimettermi in piedi e sono andato ai Baschi. Ma non avendo toccato la bici per una settimana, mi è venuta la tendinite al ginocchio che mi ha tenuto fermo due settimane. Poi sono direttamente al Giro d’Italia. L’ho finito e due giorni dopo ho preso il Covid. Non è stata proprio una bella inizio di primavera.

«A quel punto abbiamo fatto un break estivo per prepararci bene per le classiche di fine stagione, dove finalmente sono tornato ad essere il Davide a cui era abituato, perché è stato un inizio di stagione veramente complicato e molto sofferto anche a livello emotivo».

Appena tre giorni prima della morte di Rebellin, anche Formolo era con lui a Monaco per Beking
Appena tre giorni prima della morte di Rebellin, anche Formolo era con lui a Monaco per Beking
Perché a livello emotivo?

Purtroppo correvo ed ero infortunato e questo per un corridore è la cosa più brutta. Andare alle corse senza poter dare il massimo. Quindi adesso si riparte sperando che vada tutto bene. Cerchiamo di imparare dagli errori e di curare ancora di più i dettagli rispetto a quello cui siamo abituati. D’altronde il nuovo ciclismo ci insegna questo. Che già a novembre abbiamo la tabella di nutrizione e quella di allenamento a 360 gradi. Non si può lasciare nulla al caso neanche nei mesi invernali.

Alla Cannondale parlavano di te come l’erede designato di Basso: grandi Giri e maglie di leader. Soddisfatto di come è andata finora?

A me piacerebbe senz’altro venire fuori di più. Però è anche vero che, guardandomi attorno, siamo in una squadra così forte che per ogni gara cui andremo, abbiamo un capitano che può vincere la classifica, oppure uno sprinter che può vincere le volate. Se io potessi fare la mia corsa, sarei felice onestamente se potessi entrare nei primi 5 delle classifiche generali. Abbiamo dei capitani così forti, che non possiamo giocarci le nostre carte. E alla fine anche questo è un ruolo che mi piace, sinceramente.

Si può essere soddisfatti anche lavorando per gli altri?

A me piace vincere. Quello in cui ho sempre fatto fatica quando facevo classifica per conto mio era difendermi nel giorno in cui non ero super. Perciò mi piace vincere, mi piace l’emozione dell’arrivo dopo la vittoria. E  se riesco a fare un buon lavoro per un capitano che poi porta a casa la vittoria, emozionalmente per me è come aver vinto.

Al Lombardia, Formolo ha lavorato per Pogacar che poi ha vinto per il secondo anno consecutivo
Al Lombardia, Formolo ha lavorato per Pogacar che poi ha vinto per il secondo anno consecutivo
E non ti manca la vittoria di Davide?

Certamente ogni tanto mi piacerebbe, magari andare in fuga e vincere qualche tappa. Sono convinto che riuscirò a ritagliarmi anche qualche piccolo spazio per me.

Ai ragazzini che passavano una volta si diceva: resetta tutto e si ricomincia da capo. Adesso non resettano niente, come com’è stato quando sei passato tu?

Molto diverso. Al primo anno era vietato fare un grande Giro, al giorno d’oggi passano e fanno il podio al primo anno. Ayuso quest’anno alla Vuelta, Tadej due anni fa. O comunque Remco (Evenepoel, ndr) al Giro d’Italia: l’anno scorso è caduto, ma quest’anno alla Vuelta, il secondo grande Giro, ha vinto. E’ un nuovo ciclismo e anche noi ci dobbiamo adattare. Certamente con gli strumenti che abbiamo al giorno d’oggi, hanno un database di watt, calorie bruciate per giorno, metodo di allenamento… Oramai con un database così importante, riescono a estrarre il massimo da ogni corridore, anche di giovane età.

Poco fa, hai fatto il nome di alcune grandi eccezioni: ti rendi conto che non sono la regola?

Sono fenomeni, sono campioni. Se fosse passato cinque anni fa, magari Remco ci avrebbe messo due stagioni in più per vincere la Vuelta, se non addirittura 5-6. Invece ha vinto a 22 anni. E questo significa che lui e pochi altri sono avanti di tre anni sui tempi.

In allenamento con Tadej, si capisce che è un fenomeno?

Lui è un altro mondo, perché i watt che ha già al medio sono tanta roba. Ovviamente per avere una soglia così alta, vuol dire che ci sono anche un medio e una base a tutt’altro livello rispetto agli altri.

Dove vorresti far bene l’anno prossimo?

Mi piace molto la Strade Bianche. Mi piace molto, per dire, anche il Giro d’Italia. Oppure la Sanremo. Che sia per vincere o comunque per fare un lavoro importante, per me è un sogno. Vincere dopo aver fatto un lavoro con i controfiocchi è proprio come se vincessi io…

EDITORIALE / Il ponte, Rebellin e le ciclabili cancellate

05.12.2022
5 min
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Mentre abbiamo appena saputo che il 13 dicembre si svolgerà l’autopsia di Rebellin e poi finalmente Davide potrà avere il riposo e l’onore che merita, siamo qui a comunicarvi una grossa novità. Forse avremo il Ponte sullo Stretto (immagine di apertura tratta da La Gazzetta del Sud). Il Governo infatti ha riattivato o proposto di riattivare la Società che dovrebbe portare alla sua costruzione. Ad aprile avremmo soffiato sulle 10 candeline dalla sua messa in liquidazione, con centinaia di milioni spesi per non concludere nulla, invece no.

La bicicletta di Rebellin, il simbolo drammatico della nostra fragilità
La bicicletta di Rebellin, il simbolo drammatico della nostra fragilità

Scusate la prima persona e il tono di questo editoriale di qui in avanti. Chi mi conosce sa che sono spesso in Sicilia e ho più volte inveito contro le ore in attesa di quel traghetto. Sarei il primo a festeggiare per la costruzione del ponte. Ma non è questo il punto, oppure stavolta la misura è davvero colma.

I fondi spariti

Mentre propone di costruire il ponte della mia gioia, infatti, il Governo avrebbe fatto in modo di cancellare dal bilancio dello Stato per il 2023-2024 quei 94 milioni di euro che erano rimasti nel Fondo per lo sviluppo delle reti ciclabili urbane e non erano stati ancora assegnati. Il fondo era stato istituito dalla legge di bilancio del 2019. Tra le sue finalità c’era l’agevolare la transizione ecologica delle nostre città, oltre a presentare la non trascurabile possibilità di incidere sul numero dei morti della strada.

La realizzazioni di ciclabili urbane è il modo di ridurre il contatto fra ciclisti e il traffico cittadino
La realizzazioni di ciclabili urbane è il modo di ridurre il contatto fra ciclisti e il traffico cittadino

Già, i morti di cui non importa nulla a nessuno e di cui s’è parlato per qualche giorno solo a causa della morte brutale di Davide Rebellin. Prima che i mondiali di calcio e altre tematiche riprendessero il sopravvento.

Per qualche giorno la grande informazione ha letto i numeri e ha mostrato orrore per gli oltre 200 ciclisti che alla fine di quest’anno avranno perso la vita a causa di conducenti poco accorti. I corridori hanno scritto a Mattarella. Ciascuno di noi, attingendo a conoscenze dirette o indirette con qualche parlamentare, ha provato a spingere per una legge o un tavolo di lavoro. Ma ad ora nulla pare muoversi (sarei ben contento di essere smentito!).

La meritocrazia degli altri

A questo punto, sono molto curioso di scoprire se questo Paese avrà prima il Ponte sullo Stretto oppure una legge che tuteli gli utenti deboli della strada.

Se confermata, la cancellazione di quei fondi fa capire che, almeno per ora, questo Governo si è trovato davanti a un Paese con mille criticità. Solo che, anziché riprogettarlo, ha scelto di tappare qualche buco e puntellare qualche muro. E qui scatta la riflessione successiva.

Il Parlamento dovrà votarela cancellazione dei fondi già stanziati per realizzare le ciclabili urbane
Il Parlamento dovrà votarela cancellazione dei fondi già stanziati per realizzare le ciclabili urbane

Per riprogettare uno Stato serve essere molto preparati. Serve avere una visione. Pretendiamo da tutti l’eccellenza, la competenza e la specializzazione. Parliamo di meritocrazia. Il Capo non ha più ragione per definizione, rispetto agli anni in cui ce l’aveva anche e soprattutto quando aveva torto. Oggi i genitori devono essere capaci di argomentare bene le proprie decisioni davanti ai figli. I giornalisti devono accrescere le proprie competenze. Gli insegnanti sono costretti ad aggiornarsi per tenere testa ad alunni che si informano su internet. I direttori sportivi fanno fatica nel seguire i corridori più giovani, che non a caso hanno eletto come riferimento i preparatori (giusto o sbagliato che sia).

Perché in questo quadro di ricerca dell’eccellenza, quelli che guidano il Paese (da destra a sinistra, con esiti identici) possono essere approssimativi, cambiare poltrona con disinvoltura passando dalla sicurezza alle strade, dall’economia alla cultura senza un briciolo di competenza?

Davide Rebellin è stato travolto e ucciso da un camion il 30 novembre: aveva 51 anni
Davide Rebellin è stato travolto e ucciso da un camion il 30 novembre: aveva 51 anni

Giustizia per Davide

Se è vero che uno Stato è tanto più forte quanto più sa prendersi cura dei suoi cittadini più deboli, allora poveri noi. La morte di Rebellin, come quella di Scarponi, di Amilcare Tronca, Silvia Piccini e di tutti gli altri che non hanno un nome ma compongono le statistiche, non sarà l’ultima. 

Forse ha ragione Gianluca Santilli, presidente dell’Osservatorio Bike Economy intervistato ieri da Sky Tg24, nel dire che la svolta si avrà se e quando qualcuno di costoro andrà a leggersi i numeri dell’indotto a due ruote e capirà che il bacino dei ciclisti può diventare anche un interessante bacino di elettori.

Fino ad allora, rimarremo carne da macello: vittime di bulli cui si è scelto di darla vinta e certi che il Parlamento non si prenderà cura di noi. E anche quelli che ne fanno parte e sono probabilmente amanti della bicicletta, saranno costretti al silenzio o lo adotteranno per non essere messi da parte.

Fra qualche giorno ci troveremo tutti a Madonna di Lonigo per piangere un amico. Diremo maledizioni, ricorderemo aneddoti, daremo abbracci, già assuefatti e rassegnati alla possibilità che Davide non avrà mai giustizia. E che la sua morte, come altre, non sarà servita a niente. Verrebbe da chiedersi cosa direbbero o farebbero se tutti i ciclisti d’Italia, dopo Madonna di Lonigo, decidessero di parcheggiarsi a oltranza sotto ai palazzi di Roma.

Rebellin, Casartelli e i ricordi di Gualdi: l’ultimo dei tre

03.12.2022
8 min
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Il camionista. Le telecamere. I testimoni. La giustizia. La Germania. I cicloturisti che portano fiori, le telecamere, ma il vuoto resta. Da mercoledì, ogni chiamata o messaggio inizia da Rebellin che non c’è più. Per questo con Gualdi vogliamo provare a sentirlo più vicino. Il suo messaggio di quel giorno continua a risuonare nella testa come un grido di aiuto: «Sono distrutto. I miei 2 amici di Barcellona in cielo…».

Mirko è l’ultimo dei tre: Casartelli, Gualdi e Rebellin. Le maglie celesti chiare per combattere il caldo spagnolo, i vent’anni. E di colpo ti rendi conto che il bergamasco è il custode di quei ricordi e hai quasi paura di dirglielo, temendo come potrebbe reagire.

«Guarda quando penso a questo – le lacrime arrivano e la voce si strozza – quando penso a questo, dico che mi sarebbe piaciuto davvero sedermi ancora una volta con loro due e anche con Fusi e Zenoni. Rifare quella cena con la paella che avevamo mangiato la sera della vittoria alle Olimpiadi, tutti insieme a Barcellona. Ti dici che un giorno lo faremo, invece alla fine non se ne fa mai niente. E quando succedono questi disastri, poi ti chiedi perché non l’hai fatto…».

Mirko compirà 54 anni il prossimo 7 luglio: lo stesso giorno di Zabel, scherza, ma al Tour facevano gli auguri soltanto al tedesco. Fabio ne avrebbe avuti 52, Davide ne aveva compiuti 51 ad agosto (in apertura sul traguardo dei mondiali di Stoccarda 1991, chiusi con l’argento).

Gualdi Caruso 1990
Nel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistra
Gualdi Caruso 1990
Nel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistra
Cosa hai pensato quando hai saputo che Davide era morto?

La prima reazione è stata chiedersi perché. Poi monta la rabbia. Quindi cerchi di metabolizzare e cominci a ragionare. Finché a un certo punto ti dici di essere stato fortunato, perché tutto sommato dopo tanti anni in bici, t’è andata bene. Io ho smesso perché un’auto di fronte ha girato nella strada laterale e mi ha preso in pieno. Io però posso raccontarlo e ringrazio il cielo.

Come l’hai saputo?

Avevo appena finito l’influenza ed ero a casa in smart working. A un certo punto mia moglie arriva e mi dice: «Hai visto? E’ morto Rebellin!». Cosa dici? Ho aperto subito internet e ho visto tutto, saranno state le tre del pomeriggio. E da quel momento, non ho fatto più nulla fino alle sei di sera. Ero in una sorta di trance. La cosa assurda è che ero sullo stesso divano di quando morì Fabio. Ero arrivato dall’allenamento. Mia moglie era davanti alla tele in lacrime. «Si è fatto male Fabio – mi dice – è caduto al Tour». Mi ricordo che deve essere tornata la sera alle 20 per dirmi che bisognava cenare e di andare prima a farmi la doccia, perché ero ancora vestito da bici. Penso che dopo tante cose e tante fatiche, nessuno dei due ha potuto godersi la propria storia. Nessuno di loro ha avuto la fortuna di godersi la paternità… 

Da quanto non parlavi con Davide?

Ci scambiavamo messaggi su Instagram. La settimana scorsa mi chiama Mauro Consonni e mi dice: «Mirko, guarda, qua a Como nessuno ha ricordato i trent’anni dalle Olimpiadi. Voglio organizzare una serata al Panathlon, una cena con te, Rebellin e Giosuè Zenoni, per parlare di quel mese». Gli ho risposto subito: «Guarda, è bellissimo. Giosuè vado a prenderlo io, così non guida di notte. E Davide, se vuoi cerco il numero da qualche parte, lo contattiamo». Ero felicissimo di poterlo vedere.

Olimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè Zenoni
Olimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè Zenoni
Cosa ricordi della preparazione alle Olimpiadi?

Ho in testa l’immagine di loro due sul letto e io in fondo, perché dormivo in un’altra stanza. Eravamo in altura al Maloja, c’erano i letti matrimoniali alla tedesca coi sacchi sopra. Io ero in singola, quindi andavo da loro a rompere le balle. Fabio era simpaticissimo, una macchietta. Si rideva, si scherzava e si sparavano le solite cavolate da ventenni. Davide rideva sempre e stava al gioco. Eravamo dei ragazzi che in quel momento condividevano lo stesso sogno. Ognuno sapeva di avere le proprie carte. E sapevamo anche che unendo le forze, uno dei tre avrebbe potuto riuscirci.

Ci riuscì Casartelli…

Fu festa grande, per tutti e anche per me, anche se non vinsi. Anzi, vi dirò di più. Dopo la premiazione, accompagnai Fabio e Annalisa alle televisioni e feci un po’ da tutore. Gli dicevo che cosa gli avrebbero chiesto, cosa avrebbe dovuto fare, perché avendo vinto il mondiale due anni prima, ricordavo le cose. Li mettevo anche un po’ in guardia. 

Davide forse era il più controllato…

Inizialmente c’era un grande divario. Invece col passare dei giorni, lui forse aveva più fondo, ma per un percorso come quello di Barcellona, la condizione di Fabio e la mia iniziarono a diventare più affidabili. Pensavamo che il caldo avrebbe fatto più differenza, invece no. Quando attaccavo sulla salita e arrivava il momento di dare la botta decisiva, la salita era già finita. Perciò, quando nella fuga in cui ero io rientrò Fabio e poi attaccò, feci di tutto per stoppare gli inseguitori. Erano in fuga in tre, pedalavano verso una medaglia. Nessuno si voltò. La foto dei tre a braccia alzate sull’arrivo è l’essenza delle Olimpiadi.

Barcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfetta
Barcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfetta
Quanto eravate professionisti nel vostro essere dilettanti?

Ai tempi, c’era un dilettantismo bello. Però a suo modo era già un professionismo, nel senso che comunque eravamo tutti in ritiro con le nostre squadre, facevamo tutti uno o due allenamenti settimanali con i compagni. C’era chi, come Fabio, era costretto da Locatelli. Chi come me che era costretto a stare in ritiro dalla distanza. E poi Davide che tutto sommato aveva un gruppo di corridori vicino a casa, che si aggregavano a lui quando dovevano fare chilometri.

Era forte?

Era nato per essere un atleta e poi un ciclista. Io penso che la sua colazione da atleta l’avrebbe fatta sempre e comunque in ogni momento della sua vita. La colazione, la ginnastica per la schiena, lo stretching… Non era un sacrificio per lui e io per questo lo ammiravo tantissimo. Era veramente forte e lo vedevi che si stava già preparando per il professionismo. La regola era che finivi le superiori, poi facevi il militare e dal secondo/terzo anno cominciavi a stringere i tempi. Dovevi menare, passare entro il quarto anno al massimo, sennò dopo eri vecchio. Poi successe che nel 1990 fermarono me e tutti quelli di interesse azzurro con il blocco olimpico, altrimenti saremmo passati prima.

C’era fiducia che poteste vincere una medaglia?

Corremmo in tre il Giro dell’Umbria del 1992, facendo battaglia. C’era Pantani che aveva appena vinto il Giro d’Italia, ma cadde prima della crono di apertura e nemmeno partì. Era la corsa a tappe dopo il ritorno dall’altura e quindi dovevamo metterci in crisi. Voleva dire soprattutto non guardare al risultato e cercare di far fatica. Quindi attaccare, andare in fuga, correre di squadra. Non si andava fortissimo e noi percepivamo di aver fatto tanto carico. Così erano già cominciate le voci su cosa avremmo potuto combinare alle Olimpiadi, ma noi sapevamo che il lavoro sarebbe venuto fuori. Vedevamo la tranquillità di Zenoni e di Fusi. E avendo vissuto negli anni precedenti quello che succedeva a livello di condizione atletica, ero tranquillo anche io. Sapevamo che la gamba sarebbe arrivata.

L’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscente
L’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscente
Aver condiviso questa avventura ha creato un rapporto prezioso?

C’era come un filo che ci teneva uniti, anche se poi si stava a lungo senza vedersi. Davide lo vissi quando venne alla Polti e facemmo anche un Giro d’Italia insieme. Fabio a quel punto non c’era già più, ma ero sempre rimasto in contatto con Annalisa. In realtà più Maria, mia moglie. Scherzando diciamo che Annalisa vuole più bene a lei che a me. Quando morì Fabio, pochi giorni dopo Maria andò a casa da lei che era là da sola col bambino. E lei si lasciò andare, parlavano di tantissime cose, senza che mia moglie mi abbia mai raccontato niente. E probabilmente in quei momenti si creò anche questo doppio legame. Che poi, diciamocelo chiaramente, eravamo tre esponenti di tre squadre molto rivali fra loro. Io poi ero andato via da Locatelli e avevo vinto il mondiale, quindi quando ci si incontrava alle gare, c’era proprio una guerra aperta. Non potevi essere amico dei corridori di Locatelli.

Chi era Fabio Casartelli?

Fabio era un bravo ragazzo, determinato come noi altri due. Eravamo una squadra e sebbene fossimo stati scelti da un altro tecnico, alla fine in quella camera nacque la complicità per vincere le Olimpiadi.

C’erano punti in comune fra voi?

Anche se sotto diversi punti di vista, eravamo tutti e tre simili. Un po’ della mitezza di Davide me la sento anch’io nel carattere e ce l’aveva sicuramente anche Fabio. Si rideva e si scherzava, eravamo sempre gentili con i meccanici. C’era un bel tasso di bontà d’animo, ma non crediate che fossimo remissivi. Davide era sagace, sottile. Eravamo tutti e tre innamorati di quello che facevamo e intelligentemente sottili nel nostro modo di essere. Avevamo il fuoco che ardeva dentro e la serenità nell’affrontare le cose.

Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991
Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991
Di quei tre sei rimasto soltanto tu…

Ho smesso nel 2000 e Fabio non c’era già più. Davide aveva la sua strada. Ho tifato per lui da lontano. Sapete quante volte ho pensato che sarebbe stato bello lavorare per lui quando era alla Gerolsteiner? Sarebbe stato bellissimo e l’ho pensato tante volte quando ho smesso, ma non l’ho mai detto nessuno. Lui era uno che gratificava i compagni, basta vedere quello che hanno detto tutti in questi giorni. Aveva un bel modo di fare

Era davvero così buono Rebellin?

L’unico difetto che aveva, una caratteristica che rifletteva il suo essere mite, era che in alcuni casi era portato ad attendere per paura di aver sopravvalutato la propria forma, la propria condizione. Non si rendeva conto di essere lui uno dei più forti del gruppo. Una volta ai Paesi Baschi nella riunione pre gara disse che si sarebbe mosso quando anche quelli forti fossero partiti. Lo guardammo e gli dicemmo che era lui il più forte e che gli altri aspettavano lui. Però era la traslitterazione del suo carattere, nel suo atteggiamento in gara. Se avesse avuto il coraggio di perdere, il mondiale 1991 l’avrebbe vinto lui. Quando è partito Ržaksinskij, se gli fosse andato dietro lui, l’altro si sarebbe rialzato e Davide avrebbe potuto anche vincere la volata di quelli dietro.

Hai parlato con Zenoni?

A lui ho detto: «Giosuè, accetta il mio abbraccio, come quello di un figlio che abbraccia un padre». Io non ho più un papà, lui non ha avuto figli, ma so che Davide era particolare. Ho voglia di vederlo e di stare insieme anche a Fusi che non vedo da tantissimo. Credo che andremo insieme al funerale. Il viaggio verso Madonna di Lonigo sarà il momento di stringersi ancora di più.

Kreuziger: la sicurezza stradale parte dal rispetto

02.12.2022
6 min
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Kreuziger ovviamente non poteva immaginare che la presentazione della sua iniziativa sulla sicurezza stradale – Dam Respekt, darò rispetto – sarebbe arrivata alla vigilia della morte di Rebellin, ma forse oggi più che mai l’impegno di tutti diventa cruciale. A Monaco domenica si stava bene e in giornate come quella fai fatica a pensare alle bruttezze della vita. Davide era uno del gruppo, con la sua maglia Work Service, mentre Roman vestito con la tenuta nera del Team Bahrain Victorious aveva appena illustrato il suo progetto e da lì eravamo partiti per raccontare il primo anno sull’ammiraglia.

«Abbiamo iniziato tre anni fa – raccontava Kreuziger – dopo quello che era successo in Italia con Michele. Mia moglie, un suo collega ed io. Abbiamo visto che sulle strade c’è mancanza di rispetto e così ci siamo messi a pensare cosa si potesse fare. Sono nati dei video, uno spot di pubblicità in televisione, in cui abbiamo messo gli autisti e i ciclisti. Perché alla fine tanta gente li divide e non vuole metterli nello stesso gruppo, però la strada è una e bisogna unirci e rispettarci. Quindi il nostro motto è che non dobbiamo amarci, però rispettarsi già sarebbe importante. Ognuno deve partire da se stesso e dare l’esempio, perché è facile lamentarsi che la colpa sia degli uni o degli altri, in realtà riguarda tutti».

Riguarda tutti: potrebbe essere il prossimo slogan…

I nostri comportamenti finiscono sugli altri, quindi ognuno deve partire da se stesso. Così abbiamo preparato tanti altri video contenuti nel nostro account Youtube e siamo in contatto con le autoscuole, che così cominciano a far crescere la cultura della gente. Abbiamo coinvolto la Polizia, l’Autoclub della Repubblica Ceca, abbiamo tanti ambasciatori di altri Sport, dal tennis al ciclismo, cantanti e artisti. Qui a Monaco c’ero stato l’ultima volta a gennaio per fare i video con Elia, con Jasper Stuyven, con Lizzie Deignan, Wout Poels, Valgren…

Come si va avanti?

L’idea è di portarlo più avanti e sperare di condividerlo con altri Paesi. E’ una strada molto lunga, perché se uno guarda le statistiche sui social media, sembra che ci sia la guerra assoluta. Però guardandole com’erano prima che il progetto partisse, la situazione sta migliorando e questo mi fa piacere. Ma sicuramente non possiamo accontentarci, c’è ancora tanto da fare…

Anche perché nel mezzo c’è il nuovo lavoro di direttore sportivo…

Mi considero fortunato. Ho deciso di smettere e sono entrato in un ambiente di gente che conosco da tanti anni. Mi hanno aiutato tanto, non è un lavoro semplice. Se l’anno scorso non sapevo cosa affrontare, dopo un anno ho capito quanto lavoro c’è per far correre una squadra. Da corridore è molto più semplice. Ti alleni le tue 4-5 ore invece qui sei operativo 7-24 e devi pensare a mille cose. Da corridore non capivi che cosa avessero i direttori da essere stanchi. Adesso è chiarissimo, però penso anche che sono entrato bene e sono contento di continuare a farlo.

Ti ispiri a qualche direttore del passato?

Io penso che ognuno ha il suo carattere e non si può copiare qualcun altro. Però a me è sempre piaciuto Bjarne Riis, come lavorava coi corridori, il feeling che aveva con loro e con il personale. Secondo me, quando credono in un direttore, si fa la differenza, perché non dubitano di quello che gli proponi.

Fra i testimonial riportati nel sito di Dam Respekt, Peter Sagan occupa un posto di rilievo
Fra i testimonial riportati nel sito di Dam Respekt, Sagan occupa un posto di rilievo
Secondo te essere sceso di bici da un anno è un vantaggio nel parlare con i corridori?

Sì, sicuramente c’è un muro più piccolo. Anche se i corridori dopo un po’ capiscono che sei dalla parte del management, quindi accettano che sei direttore e non puoi concedergli sempre tutto, sicuramente ti sentono ancora vicino. Da noi adesso siamo in due ad essere appena scesi da bici. Vedi le cose in modo diverso, vieni da diverse squadre e anche se al Bahrain c’è una bella struttura, puoi sempre aggiungere qualcosa. Quindi aver smesso da poco è sicuramente un vantaggio.

Da direttore sono più belle le classiche o i Giri?

A me piacciono sempre i grandi Giri, però negli ultimi anni preferivo le corse di un giorno. Per cui in un programma ideale, mi piacerebbe ripartire di nuovo con le Ardenne, perché le sento, le conosco. E sicuramente se il direttore fa le gare di cui era appassionato da corridore, anche dalla macchina riesce a dare qualcosa di più.

Kreuziger è passato in ammiraglia da inizio 2022. Qui alla Vuelta
Kreuziger è passato in ammiraglia da inizio 2022. Qui alla Vuelta
Nelle WorldTour ci sono tante professionalità molto specifiche, il direttore deve sapere un po’ di tutto?

A me interessa un po’ tutto. Lo staff è sicuramente cambiato rispetto a quando sono passato io, quando i corridori erano più attaccati ai direttori, mentre adesso la persona di fiducia è il coach e si fanno tanti meeting. Però io sono dell’idea che sentire i corridori è importante come pure non avere solo un certo gruppo. Se ti dicono che hai un gruppo di 5-6 corridori e poi non li vedi durante tutto l’anno, le cose non vanno. Quindi una volta che hai il programma, è importante sentirli e capire le loro idee. Perché una cosa sono i numeri che ti dicono i coach, altro il feeling del corridore con la gara.

Prima della corsa studi il percorso o cosa fai?

Abbiamo una struttura in cui si osservano certi protocolli. Sai cosa ti aspetta, devi studiare più che altro gli avversari e la squadra che hai. Io ad esempio ero uno che nei grandi Giri faceva tanti calcoli. Invece nelle gare di un giorno bisogna essere più aperti e non avere paura. C’è da rischiare e avere corridori giovani lo rende più facile, perché quelli vecchi sanno già come vanno le cose. I giovani sono più flessibili.

Kreuziger Amstel 2013
La vittoria dell’Amstel 2013, oltre a San Sebastian 2009, è il miglior risultato di Kreuziger nelle classiche
Kreuziger Amstel 2013
La vittoria dell’Amstel 2013, oltre a San Sebastian 2009, è il miglior risultato di Kreuziger nelle classiche
Tu sei stato uno junior fortissimo e poi sei passato a 19 anni. Gli junior fenomenali di adesso somigliano a quel Roman?

Secondo me sono molto più avanti, perché gli juniores di oggi sono quasi corridori fatti. Hanno già conosciuto nutrizionisti e allenatori. Da un lato penso che sia bene che tutto si sposti un po’ più avanti. Dall’altro però è sbagliato, perché secondo me non bisogna scordarsi che gli juniores e prima gli allievi devono prima finire le scuole. Non possono diventare tutti i professionisti, invece secondo me qualcuno se ne sta dimenticando. E questo è un errore.

EDITORIALE / Rebellin e gli altri, una strage da fermare

30.11.2022
6 min
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Di colpo sembra tutto vuoto. Il pezzo su Evenepoel in ricognizione sulle strade del Giro, la fretta per uscire. Di colpo cade la voglia di fare, se ne perde il senso. Davide Rebellin travolto e ucciso da un camion che ha tirato dritto a Montebello Vicentino. Come Silvia Piccini lo scorso anno, perché il conducente aveva fretta e magari dirà di non essersi accorto, se mai lo prenderanno o sceglierà di consegnarsi. La bicicletta accartocciata toglie il fiato.

Accanto a Bonifazio e Trentin, facendo foto ai bambini sul percorso di Beking
Accanto a Bonifazio e Trentin, facendo foto ai bambini sul percorso di Beking

Insieme a Fabio

Domenica a Monaco c’era un bel sole e mentre guardavamo il girare dei bambini, non ci eravamo accorti che Davide si era fatto sotto per un saluto.

«Ciao giovane, alla fine ce l’hai fatta ad andartene in pensione…».

La solita risatina garbata e timida, le rughe attorno agli occhi.

«Bè, giovane, dai… Forse rispetto a te!».

Ci si conosceva dal 1992, tre anni scarsi di differenza, da quando il gruppo degli azzurri di Zenoni iniziò la rincorsa alle Olimpiadi di Barcellona. Andarono in tre, di loro oggi resta soltanto Mirko Gualdi a guardarsi intorno. Fabio Casartelli se lo portò via il Tour, Davide se lo sono preso oggi.

«Durante tutta la preparazione per le Olimpiadi di Barcellona – raccontò qualche anno dopo – risi molto. Dividevo la camera con Fabio Casartelli, un ragazzo tranquillo, con cui mi trovavo bene. Aveva dei numeri importanti, anche se fino alla corsa olimpica io ero quello che andava di più. Zenoni giocò proprio su questo. Approfittò del controllo su di me e fece andare Fabio in fuga. Lui anticipò e vinse le Olimpiadi. Pensare che non ci sia più e che neanche Marco ce l’abbia fatta è spesso un motivo di dolore».

Nel 1992, Fabio Casartelli vinse le Olimpiadi di Barcellona. Divise la stanza con Rebellin
Nel 1992, Fabio Casartelli vinse le Olimpiadi di Barcellona. Divise la stanza con Rebellin

La molla della rivalsa

Di colpo sembra tutto vuoto, anche il doverne o volerne scrivere, come automi chiamati per forza a dire qualcosa. Pensi a quanti ne hai visti cadere e hai quasi paura di fare torto a qualcuno non citandone il nome. Torna il sorriso di Michele, tornano tutti a galla. Allora acchiappi il flusso dei ricordi e ti lasci portare via.

«Gli anni non mi pesano – disse 14 anni fa – ma mi basta guardarmi attorno per capire che sono passati. Il ciclismo mi ha dato tanto e quindi gli devo tanto e non so neanche immaginare in che modo sdebitarmi. Non so cosa farò quando smetterò, non so neanche in che modo capirò che è giunta l’ora. Probabilmente ci sarà un segnale e dirò basta, magari per una delusione. Anche se le delusioni finora sono durate poco, poi è sempre scattata la molla della rivalsa».

Rebellin ha sempre sentito sua la medaglia d’argento di Pechino. E noi con lui (foto Cor Vos/PezCyclingNews)
Rebellin ha sempre sentito sua la medaglia d’argento di Pechino. E noi con lui (foto Cor Vos/PezCyclingNews)

Il fratello Carlo

Non sapeva ancora attraverso quali forche sarebbe dovuto passare, il motivo per cui avrebbe continuato fino a 51 anni. Caro Davide, quanto amaro hai dovuto mandare giù?

«Pechino – disse poco tempo fa – è stato un momento di snodo. Prima c’è stata la carriera dei risultati migliori e delle grandi squadre. Dopo ho rincorso un contratto per partecipare alle corse più adatte a me e un calendario normale. Sono stato discriminato, mi sono state chiuse in faccia tante porte. Ero ancora competitivo e le squadre che avrebbero voluto prendermi non hanno potuto farlo. Ho continuato a correre anche per quello. Forse se avessi potuto riprendere nel modo giusto, mi sarei fermato già da 10 anni».

C’è un dramma nel dramma: quello di suo fratello Carlo, il più piccolo. Aveva sentito dell’incidente in cui era rimasto coinvolto un ciclista e ha riconosciuto a terra la bicicletta di Davide.

L’ultima passione del veneto, il gravel. Pochi giorni fa aveva proposto a Casagrande di fare qualche gara insieme
L’ultima passione del veneto, il gravel. Pochi giorni fa aveva proposto a Casagrande di fare qualche gara insieme

Gualdi, Nando e Michele

Piovono messaggi di ragazzi diventati uomini con cui si sono divise pagine importanti. Prima Mirko Gualdi: «Sono distrutto….. I miei 2 amici di Barcellona in cielo». Chiama Michele Bartoli, incredulo: «Proprio adesso che cominciava una vita che non ha mai avuto e mai avrà. Ma come fai a immaginarti una cosa del genere?». Squilla il telefono, è Nando Casagrande. Si ha voglia di parlarne, di condividere le emozioni dopo aver condiviso strada e sfide.

«Lo avevo sentito venerdì – racconta – mi aveva chiesto se avessi voglia di fare qualche gara di gravel insieme. Eravamo rimasti per risentirci, io adesso sto di nuovo bene, si poteva anche fare. Invece adesso… Quante volte ha dovuto rialzarsi, povero Davide! Anche l’ultima volta, si era tutto rotto. Avrebbe potuto smettere, invece ha voluto rialzarsi e ripartire. Un altro di noi che se ne va, ti viene paura a pensarci…».

Come per Gilbert, con cui Rebellin sta parlando, Beking era stata l’ultima gara su strada
Come per Gilbert, con cui Rebellin sta parlando, Beking era stata l’ultima gara su strada

Cari ministri del Governo

Dopo lo smarrimento inizia a montare la rabbia. In cosa ci stiamo trasformando? In nome di quale barbarie si può immaginare una tale massa di morti senza fare nulla? Numeri peggiori di ogni altra piaga e certo non meno violenti. Più delle violenze sulle donne. Più di tutto quello di cui si parla con giustissima enfasi, mentre dei nostri morti non parla nessuno.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede ciclabili e investimenti per rendere le nostre città a misura di bici, ma intanto cosa si fa per insegnare che la strada è di tutti?

Non basta un metro e mezzo per insegnare il rispetto, servirebbero pattuglie a ogni incrocio per verificare il rispetto dei limiti di velocità, delle precedenze, del divieto di uso del cellulare. Invece in questa sorta di far west, fatto di strade abbandonate e automobilisti sempre più aggressivi, la bicicletta rischia di non trovare più posto. E a chi dice che stanno sempre in mezzo alla strada, rispondiamo con una provocazione: se un bambino infastidisce il campione del mondo dei pesi massimi, quello ha il diritto di metterlo a posto con un pugno in faccia? Il rapporto di peso e forza è lo stesso di quando un ciclista si trova sulla traiettoria di un’auto o di un camion.

Caro ministri del Governo, caro Salvini, nel mettere mano alle infrastrutture e alla mobilità sostenibile di cui dovrà occuparsi, vuole buttare uno sguardo sui nostri morti e chiedersi cosa si possa fare di più? Mi sarebbe piaciuto presentarle Davide Rebellin, forse pensare a lui in questo momento le avrebbe fatto capire meglio la gravità della situazione.

Rebellin, trent’anni di carriera e tanta voglia di pedalare

23.10.2022
6 min
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Con trent’anni di carriera professionistica alle spalle, Davide Rebellin è testimone di un ciclismo passato, ha attraversato il secolo affrontando grandi gioie e profonde delusioni. Ha conosciuto i vertici assoluti del movimento internazionale ma anche il rifiuto di quello stesso ambiente. E’ diventato un riferimento per i giovani ma anche uno pseudo intruso nelle gare Elite. A 51 anni il corridore di San Bonifacio ha deciso di chiudere con la strada, ma resterà nell’ambiente perché la voglia di competere non viene meno con gli anni che passano.

Per ripercorrere tutta la sua storia abbiamo scelto di focalizzarci su alcuni momenti, una sorta di bivi attraverso i quali si è sviluppata la sua carriera. Ogni gara è come il capitolo di un romanzo, raccontato in prima persona e che attende ancora di conoscere la parola fine…

L’ultima passione del veneto, il gravel. Al mondiale Davide è stato 39° a 12’11” da Vermeersch
L’ultima passione del veneto, il gravel. Al mondiale Davide è stato 39° a 12’11” da Vermeersch

Gli anni da dilettante

«Già da junior mi ero fatto conoscere e avevo anche vinto un oro mondiale di categoria, nella 100 Chilometri a squadre a Mosca. Passato di categoria mi accorsi subito di quanto le cose fossero cambiate, si faceva sul serio, la concorrenza era spietata. Ebbi molte cadute e vinsi una sola gara, ma non mi persi d’animo. Nel 1991 invece la situazione cambiò drasticamente: oltre 10 gare vinte, successo al Giro delle Regioni, oro ai Giochi del Mediterraneo, argento iridato su strada.

«Quella era una generazione straordinaria, con Bartoli, Pantani, Belli, ma io sbocciai prima di tutti. Nel 1992 tutti parlavano di me come del favorito per i Giochi Olimpici, ma il percorso di Barcellona non era adatto alle mie caratteristiche, anche se avevamo lavorato con Zenoni per tutto l’anno pensando a quell’evento andando anche in altura. Il tracciato non era selettivo, quando Casartelli partì con altri due corridori, rimasi lì in copertura e a conti fatti fu la scelta giusta. La vittoria di Fabio la sentii un po’ anche mia».

A Stoccarda 1991, Rebellin 2° dietro Rzaksinskij (URS) e prima di Zberg (SUI)
A Stoccarda 1991, Rebellin 2° dietro Rzaksinskij (URS) e prima di Zberg (SUI)

Le prime classiche

«Passato professionista subito dopo, ci volle tempo per emergere. Nel 1997 ero passato alla Française des Jeux, che intendeva puntare su di me per il Tour. L’anno prima ero stato 6° al Giro e 7° alla Vuelta, mi avevano preso pensando che fossi un corridore da grandi giri. Invece quell’estate non andavo proprio, finivo sempre nel gruppetto dei velocisti nelle tappe di montagna. Solo che col passare dei giorni le cose cominciarono a ingranare e uscii dal Tour con una gran gamba. A San Sebastian volavo e vinsi la corsa in volata, sette giorni dopo mi ripetei al GP di Svizzera a Zurigo beffando Ullrich che veniva dalla maglia gialla al Tour. Quelle vittorie mi sbloccarono e trasformarono: non ero più un corridore per gare a tappe, ma un cacciatore di classiche».

A Zurigo una volata imperiale, il tedesco Ullrich si piega come anche il danese Sorensen
A Zurigo una volata imperiale, il tedesco Ullrich si deve piegare (foto Cor Vos/PezCyclingNews)

Una settimana da Dio…

«Mi parlano ancora spesso di quel che avvenne nel 2004, di come feci a vincere tre grandi classiche in una settimana. Io dico che fu la mia “settimana santa”. Spesso avevo sfiorato la vittoria alla Liegi, finendo 2° nel 2001 e 3° l’anno prima. Quella settimana avevo una forma mai vista, ma venivo da un periodo abbastanza scialbo e quindi avevo anche fame di vittorie. Iniziai con l’Amstel battendo Boogerd nello sprint a due, poi alla Freccia che correvo pensando alla Liegi feci la differenza sul Muro di Huy con Di Luca a 3”. Potevo dirmi appagato, sicuramente partii per Liegi con la mente sgombra, il mio l’avevo fatto. Così le cose ti vengono ancora più facili, rischi di più senza aver nulla da perdere. Finì che battei ancora Boogerd, per lui non fu certo una settimana felice…».

La vittoria nell’Amstel 2004 battendo Boogerd, che cederà anche sette giorni dopo a Liegi
La vittoria nell’Amstel 2004 battendo Boogerd, che cederà anche sette giorni dopo a Liegi

La Freccia del 2007

«La Freccia stava diventando la “mia” gara. Col passare degli anni avevo imparato a memoria ogni passaggio di quel muro decisivo, sapevo dove scattare, perché in quel frangente è fondamentale non sbagliare. Dicono che sia una gara per scalatori ma non è proprio così, è per gente esplosiva, serve tanta potenza per domare quelle pendenze. Devi prendere la salita nella posizione giusta, non partire troppo presto, affrontare le curve nella maniera corretta. Se hai la forma giusta te la puoi giocare. Io quel giorno non sbagliai nulla, dietro finì Valverde a 6” e mi fa strano che 15 anni dopo chiudiamo insieme…».

La Freccia è stata il regno del veneto: tre vittorie (2004-07-09) e 3° nel 2005 (foto Procycling.nl)
La Freccia è stata il regno del veneto: tre vittorie (2004-07-09) e 3° nel 2005 (foto Procycling.nl)

Il dolore di Pechino 2008

«Sono passati tanti anni e la sofferenza è un po’ smussata, ma di quella vicenda mi resta tanto dentro: la grande gioia per la gara e quell’argento a un soffio dallo spagnolo Sanchez. La sospensione arrivata sei mesi dopo, le spese per i legali che hanno prosciugato i miei conti. Persi due anni e volevo rientrare da vincente, ma mi accorsi che nell’ambiente molti giravano la testa, non volevano neanche ascoltare le mie ragioni e ciò non è cambiato neanche quando sono stato assolto. Potrei riavere quella medaglia, ma dovrei fare ricorso al Tas in Svizzera e ci vogliono troppi soldi…».

Rebellin in gara a Pechino 2008. Un argento poi cancellato (foto Cor Vos/PezCyclingNews)
Rebellin in gara a Pechino 2008. Un argento poi cancellato (foto Cor Vos/PezCyclingNews)

Vittoria a 44 anni

«La Coppa Agostoni del 2015 ha un sapore particolare: a 44 anni ho dimostrato che avevo ancora tanto da dare. Fu una vittoria bellissima perché ottenuta di forza, in fuga con Nibali e Scarponi con Michele che era quello che lavorava di più e poi cedette. Mi ritrovai a giocarmi la vittoria con Vincenzo Nibali che veniva dal trionfo del Tour, ma il gruppo stava tornando sotto, infatti guardando la foto sembra che vinco uno sprint di gruppo, ma non era così…».

La vittoria Agostoni del 2015. A 44 anni Rebellin batte Nibali con il gruppo in rimonta
La vittoria Agostoni del 2015. A 44 anni Rebellin batte Nibali con il gruppo in rimonta

Le ultime stagioni

«Ne ho viste di tutti i colori: chi mi tacciava di ridicolo perché stavo ancora in mezzo a corridori con meno della metà dei miei anni, chi invece si avvicinava incuriosito, mi chiedeva perché. Tanti ragazzi mi hanno chiesto consigli, mi hanno detto che avevano visto i video delle mie vittorie. Tanti bambini e i loro genitori mi hanno avvicinato, quasi spronati dal mio esempio. Anche sui social dove come per tutti ho avuto messaggi buoni e cattivi.

«E ora? Continuerò innanzitutto a collaborare con la Dynatek, società della quale faccio parte per lo sviluppo delle loro bici, ci tengo a far crescere l’azienda e nel contempo voglio scoprire sempre di più questo nuovo mondo del gravel. Mi entusiasma la possibilità di esplorare posti diversi pedalando. Magari qualche gara la faccio ancora, con queste nuove bici, così mi tengo in forma…».

Strepitoso Lucca: davvero troppo vecchio per passare?

07.06.2022
5 min
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Taglia il traguardo in lacrime e non sa che nell’ammiraglia alle sue spalle, il diesse Contessa ha iniziato a farlo ben prima. Riccardo Lucca ha vinto di prepotenza in una corsa di professionisti e anche per lui si tratta della prima volta. Alle sue spalle un gruppo da corsa elite, perché per vincere si deve andare in fuga e non è detto che vengano sempre a prenderti. Probabilmente la caduta di Carboni nella penultima discesa l’ha avvantaggiato, ma quella curva l’avevano vista tutti e la scivolata del marchigiano parla forse di troppa foga.

Corsa al riscatto

E’ la corsa di chi vuole far sentire la propria voce e Lucca è uno di quelli che s’è abituato a camminare con i sassi nelle scarpe. L’anno scorso ha vinto sei corse con la maglia della General Store, ma ha pagato caro il fatto di avere già 24 anni. Come Alfio Locatelli si sentì dire da un procuratore che alla stessa età era già vecchio, il trentino di Rovereto ha semplicemente trovato le porte chiuse.

«Ieri è stata una brutta giornata – dice – ho pagato caro il Grappa. Ho perso più di 7 minuti e in classifica stamattina ne avevo quasi 10. Per questo sono entrato in quella fuga così numerosa. Ero convinto che ci avrebbero preso, invece si sono fermati. Prima di me ha provato Carboni, ma è caduto. E io arrivando, piangevo…».

Gregario da WorldTour

Il suo nome salta fuori dalle cronache delle ultime tappe e dai successi degli anni passati e di colpo la vittoria mette in fila i vari tratti e compone l’identikit di un corridore forte che magari si è fatto scivolare sopra il tempo nei primi anni di carriera.

«Sapevamo tutti delle grandi qualità di Riccardo – dice Davide Rebellin sfinito sul traguardo – ha un grande motore e merita di proseguire a un livello superiore, perché è un ragazzo vincente che sa anche fare lavoro di squadra. Merita una chance».

Sulla stessa lunghezza d’onda è Ilario Contessa, che con Lucca aveva già lavorato nella sua prima parentesi nella marchigiana Work Service.

«Il primo giorno – racconta al settimo cielo – era il più forte di tutti, ma ha pagato l’inesperienza di essere l’unico atleta continental e non è riuscito a gestire il finale. Va bene che ha vinto l’amico Scaroni, ma quel giorno non è andata bene. Alla luce di oggi però, ce la facciamo bastare ugualmente. Riccardo potrebbe essere un buonissimo gregario per una WorldTour, speriamo che almeno possa provarci in una professional».

Le porte chiuse

Lucca adesso non piange più e quando dice che nessuno l’ha ancora cercato per passare professionista, lo fa allargando le braccia.

«Forse ho perso del tempo – dice – ma certo i miei anni da junior sono stati gli ultimi in cui non facevano passare ragazzi così giovani. Adesso quei miei errori li uso per farli vedere ai nostri under 23, per correggerli quando è necessario. La squadra sta andando nella giusta direzione, abbiamo vinto quattro corse con quattro diversi corridori e adesso gli U23 andranno al Giro, mentre io avrò il Giro del Veneto e poi i campionati italiani su una distanza che non ho mai fatto. Ci saranno i corridori più forti, sarà comunque un’esperienza. Nessuno mi ha cercato, mentre tanti continuano a passare. Poi però vedo che tanti passano presto, non trovano il giusto colpo di pedale e sono in difficoltà».

Attacco frontale

Sirolo si specchia nell’Adriatico in un primo accenno di vacanze e spiagge. Antonio Nibali, sfinito dopo il traguardo, ha raccontato di averci provato e che la sua idea fosse più o meno la stessa messa in atto da Lucca. Scollinare con 5-6 secondi al penultimo passaggi sul Gpm e poi tirare dritto. Perché la discesa, diceva, si faceva meglio da soli che in gruppo.

Il finale ha proposto l’attacco frontale di Tesfatsion a Zana, che però ha risposto senza particolare affanno. E mentre il vicentino pedala verso l’attesa vittoria, il corridore eritreo cresce ogni giorno sul piano della fiducia. Chissà se anche su di lui ha già messo gli occhi qualche squadrone.

Contessa e il bilancio dei primi mesi in Work Service

20.05.2022
6 min
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Ilario Contessa è sempre indaffarato. Alla Work Service le cose da sistemare e mettere a posto per questa seconda parte di stagione sono tante e lui non è uno che si tira indietro.

«Stavo preparando le cose per questo weekend – dice Contessa appena alzata la cornetta – sarà pieno di gare. Sabato si corre il Marchigiana e domenica gli junior sono impegnati in due corse: Strade Bianche ed una qui in provincia di Padova».

Il diesse, innamorato del ciclismo, è tornato alla Work dopo una parentesi di due anni alla Zalf, con lui tracciamo un punto su questi primi, intensi, mesi di corse.

Alla prima tappa della Settimana Internazionale Coppi e Bartali Giovanni Bortoluzzi ha conquistato la maglia del Gpm
Alla prima tappa della Settimana Internazionale Coppi e Bartali Giovanni Bortoluzzi ha conquistato la maglia del Gpm

Tanti podi, poche vittorie

«La stagione della squadra è partita bene, abbiamo fatto qualche podio di troppo e qualche vittoria di meno – dice ridendo – ma sono soddisfatto. Il Giro di Sicilia è stato super, siamo andati davvero bene. Abbiamo ottenuto un bellissimo piazzamento con Venchiarutti nella terza tappa vinta da Miholjevic. Nella seconda tappa con l’arrivo a Caltanissetta Lorenzo Ginestra si è piazzato quindicesimo, sono davvero contento per lui, è giovane e questi risultati danno morale».

Venchiarutti Pontedera 2022
Il podio di Pontedera, con Venchiarutti fra De Pretto (2°) e Di Felice (3°) (foto Federciclismo)
Venchiarutti Pontedera 2022
Il podio di Pontedera, con Venchiarutti fra De Pretto (2°) e Di Felice (3°) (foto Federciclismo)

Il ritorno alla vittoria di Venchiarutti

Nicola Venchiarutti e Riccardo Lucca sono i due corridori su cui ci eravamo concentrati ad inizio stagione. Ora, dopo qualche mese, i primi risultati si sono visti, anche se i margini per migliorare ci sono ancora. 

«Venchiarutti è partito bene – racconta Ilario – ha vinto a Pontedera e si è piazzato al Giro di Sicilia, dopo il quale ha preso una maledetta bronchite che lo ha fermato per un po’. Meglio averla presa ora che era in un periodo di “riposo” piuttosto che in altri momenti della stagione. I prossimi appuntamenti che sta preparando sono l’Adriatica Ionica Race, il campionato italiano e poi con la nazionale farà i Giochi del Mediterraneo».

«La vittoria gli ha fatto bene, all’inizio della stagione ha avuto qualche tentennamento proprio per la disabitudine a vincere. Si è sbloccato e questo gli ha dato il giusto morale. Con noi sta bene, non se lo sarebbe aspettato neanche lui, anche se siamo una continental si lavora sodo e con grande professionalità. E’ chiaro che rispetto agli anni scorsi ha fatto un passo indietro ma con noi è sempre sotto supervisione diretta da parte della Drone Hopper».

Dopo la bella vittoria a Pontedera per Venchiarutti un bel quarto posto nella terza tappa del Giro di Sicilia
Dopo la bella vittoria a Pontedera per Venchiarutti un bel quarto posto nella terza tappa del Giro di Sicilia

Lucca crescerà

Un altro che sorride, forse un po’ meno, è Riccardo Lucca, lui e Ilario si sono ritrovati alla Work. Il feeling tra i due c’è, Riccardo lavora sodo e aspetta il suo momento, che arriverà…

«Quando dicevo dei troppi podi un po’ mi riferivo a lui – dice ridendo di nuovo Ilario – gli manca la vittoria per coronare il lavoro fatto fino ad ora. A Montecassiano era in forma ma non è riuscito ad imporsi e a Monte Urano ha trovato un giovane molto forte, Raccani. Con il caldo lui prende spunto e riesce a dare il meglio di sé, io in lui ci credo».

«Spiace che non sia stato chiamato a fare i Giochi del Mediterraneo, Lucca a crono è sempre andato bene. Ha fatto dei piazzamenti anche al campionato italiano qualche anno fa. Anche per lui il programma di corse prevede Adriatica Ionica e campionati nazionali, su strada e a crono. Correrà anche il De Gasperi ed il Giro del Veneto, dove nel 2019 ha vinto una tappa proprio in maglia Work».

Per Riccardo Lucca una prima parte di stagione con tanti piazzamenti, con l’arrivo del caldo spera di trovare la vittoria (foto Scanferla)
Per Riccardo Lucca una prima parte di stagione con tanti piazzamenti, con l’arrivo del caldo spera di trovare la vittoria (foto Scanferla)

Spazio anche ai giovani

Nei pensieri e nei programmi del diesse ci sono anche gli under 23, il programma per loro è fitto e si avvicina il Giro d’Italia Under 23, un bel palcoscenico. 

«Con gli under stiamo preparando il Giro – racconta l’indaffarato Ilario – tra poco andranno sul Pordoi e faranno un po’ di giorni lì, una volta scesi faranno il De Gasperi e poi si inizia. Una corsa come il Giro è bello farlo andando preparati, non siamo all’altezza degli squadroni che lotteranno per vincere ma ci saremo. Anche al Recioto, al Belvedere ed al Piva siamo stati propositivi».

Bene anche gli U23 della Work Service, qui alla Due Giorni per Alessandro Bolis (foto Scanferla)
Bene anche gli U23 della Work Service, qui alla Due Giorni per Alessandro Bolis (foto Scanferla)

E l’eterno Rebellin?

Davide Rebellin smetterà di correre a fine stagione, lo aveva annunciato. Il recupero dall’infortunio procede e sembra pronto a tornare.

«Davide – racconta Contessa – è pronto per incominciare la sua stagione, anche lui dovrebbe correre l’Adriatica Ionica e poi i campionati italiani, vorrebbe smettere in quell’occasione. Diciamo che ha quelle 4 gare che vorrebbe fare per chiudere la sua carriera, il recupero è andato bene, visivamente gli manca un po’ di volume muscolare del polpaccio infortunato. Ora servirà lavorare bene sul ritmo gara ma sono gli ultimi dettagli, vuole divertirsi e godersi le ultime corse».

Davide Rebellin ha subito un infortunio durante la scorsa stagione, il suo rientro è atteso all’Adriatica Ionica Race
Davide Rebellin ha subito un infortunio durante la scorsa stagione, il suo rientro è atteso all’Adriatica Ionica Race

Un giudizio personale

E’ sempre difficile autovalutarsi, si rischia di eccedere in eccesso o in difetto, ma un primo bilancio sul ritorno in Work ad Ilario lo chiediamo lo stesso, senza pressioni. 

«Solitamente commentano gli esterni – ci incalza con una battuta- ma mi sembra di aver lavorato bene, mi trovo bene con la squadra. Bisogna guardare avanti, verso i prossimi anni. Ritengo di aver dato una nuova verve al team, spero che i miei aiuti siano ben graditi. Mi reputo ancora giovane per il ruolo che ricopro, ho solamente 37 anni e rapportarsi con ex pro’ o elite di alto livello è stimolante e si impara gli uni dagli altri. Se devo fare un paragone extra ciclistico mi definirei un Sarri o un Mourinho, non talentuoso nel praticare lo sport ma con entusiasmo e lavoro ho fatto la mia gavetta. Sono partito dai giovanissimi e ho fatto tutte le categorie, spero un giorno di fare il salto che mi manca!».

Rebellin e il Muro d’Huy, viaggio fra ricordi e rimpianti

04.02.2022
6 min
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Leggere che Valverde disputerà quest’anno la 16ª Freccia Vallone, eguagliando il record di Zoetemelk, Albasini e Rebellin, ci ha fatto pensare proprio al vicentino che si sta riprendendo dalla frattura di settembre e che alla Freccia non partecipa dal 2009. Valverde ne ha vinte cinque, Davide tre. Valverde è stato fermo due anni per squalifica, poi è tornato vincendone altre quattro. Anche Rebellin è stato fermato per due anni, ma a lui la possibilità di tornare sul Muro d’Huy non è stata più data, per quei meccanismi punitivi che emarginarono alcuni e graziarono altri.

E con lui allora abbiamo voluto parlare proprio del Muro più bello, quello che per i fedeli si chiama Chemin des Chapelles e li conduce alla chiesa di Notre Dame de la Sarte. Per i corridori invece conduce alla gloria.

Il Muro d’Huy. In alto una delle cappelle che lo affiancano. Questa è l’uscita dal tornante (foto climbbybike.com)
Il Muro d’Huy. In alto una delle cappelle che lo affiancano. Questa è l’uscita dal tornante (foto climbbybike.com)

Prima volta nel 1993

La prima volta che ci mise le ruote fu nel 1993. Valverde allora aveva 13 anni, Alaphilippe doveva ancora compierne uno. Davide era uno di quei talenti che l’Italia giustamente si coccolava, un vero predestinato.

«Ero alla MG-Technogym – ricorda – non so dire in realtà se ci fossi già passato da dilettante quando con Zenoni andavamo a correre in Belgio. La prima volta presi di sicuro tanti schiaffi (arrivò 28° a 3’08” da Fondriest, ndr), ma capii subito che fosse una salita che si adattava alle mie caratteristiche. Corta. Esplosiva. Mi entusiasmò farla e provai la stessa sensazione anche tornandoci negli anni successivi. Sapevo che sarei stato protagonista, ero emozionato all’idea di andarci».

Nel 2007 vince la seconda su Valverde (vincitore l’anno prima) e Di Luca, primo nel 2005
Nel 2007 vince la seconda su Valverde (vincitore l’anno prima) e Di Luca, primo nel 2005

Vince chi aspetta

Le tre vittorie arrivarono dal 2004 al 2009. La prima in quella fantastica primavera che portò prima l’Amstel e poi la Liegi. Nel 2007, vinse sul Muro dopo il secondo posto dell’Amstel e facendo poi quinto a Liegi. Nel 2009 vinse la Freccia, fu terzo alla Liegi, poi su di lui calò il maglio della giustizia sportiva. Ma il finale negli anni è rimasto sempre lo stesso…

«Sul Muro d’Huy – sorride al ricordo – vince chi riesce a partire per ultimo. Se ti muovi prima dei tornanti, è presto. Il punto è dopo l’ultima curva a destra, dove hai tutto il terreno per fare la differenza. Ma tanto dipende anche da come pedali. Io cercavo di farlo il più possibile seduto, cercando di gestirmi. Anche nei tornanti, magari con un dente più agile. La tentazione di alzarsi in piedi c’era, ma sapevo di dover risparmiare la gamba».

La vittoria del 2007 indossando la maglia di leader dell’allora ProTour
La vittoria del 2007 indossando la maglia di leader dell’allora ProTour

Tornanti con il 39×23

I due tornanti sono la parte più scenografica del Muro, quella delle foto e del clamore dei tifosi assiepati. E anche la più traditrice per chi volesse anticipare.

«Se a metà Muro sei stanco – spiega Rebellin – non hai possibilità. Lì devi salvarti. Nell’ultima scalata, io andavo sui tornanti con il 39×21-23 mentre nei primi passaggi usavo anche il 25. Poi, quando partiva la volata, cominciavo a scendere con i pignoni. Non ho mai usato il 53 in gara, anche se a qualcuno l’ho visto fare. In allenamento invece capitava di provarlo. Adesso con i cambi elettronici rischi meno, ma prima poteva capitare che ti saltasse la catena e non potevo permettermelo. Così iniziavo ad accelerare in progressione, soprattutto nel tratto in alto dove un po’ spiana. Sembra corto, ma si recuperano dei bei secondi. E la catena in quel tratto scendeva anche fino al 39×13-14».

Agili sui tornanti, duri nel finale: questo Alaphilippe, nell’edizione vinta lo scorso anno
Agili sui tornanti, duri nel finale: questo Alaphilippe, nell’edizione vinta lo scorso anno

Tre vittorie diverse

Tre vittorie diverse le sue, tre storie diverse e l’accenno a quel che accadde dopo il 2009 gli fa ancora tremare la voce.

«La prima volta – dice – fu una vera sorpresa. Venivo dalla vittoria dell’Amstel, non me l’aspettavo. La seconda volta sapevo già meglio come muovermi, perché il Muro alla fine sai come gestirlo. Non è come la Liegi, che cambia in continuazione e provare gli ultimi 100 chilometri è sempre utile. La Freccia si gioca negli ultimi 200 metri e devi snobbare tutto quello che succede prima. La fatica c’è, ma non devi pensare alle fughe. E’ un rischio, ma devi salvare le gambe».

Nel 2016 Valverde vince la quarta Freccia: alle sue spalle Albasini, anche lui a quota 16 partecipazioni
Nel 2016 Valverde vince la quarta Freccia: alle sue spalle Albasini, anche lui a quota 16 partecipazioni

Le stesse facce

E poi si ritrovano tutti su quel Muro. Sanno chi sono, perché i nomi della Freccia Vallone sono sempre gli stessi. Quelli capaci della botta secca, corridori leggeri abituati a sorseggiare l’acido lattico.

«Sai con chi devi vedertela – conferma – alla Liegi troverai gli stessi nomi, però magari vinceranno altri, perché la distanza e le tattiche sono diverse. E certo che ho un po’ di nostalgia per quella strada. Ci sono tornato con il Giro del Belgio e un anno in cui mi invitarono per una pedalata al caffè che c’è in cima. E’ la classica più adatta a me, mi sarebbe piaciuto correrla ancora. In quel periodo avevo 37-38 anni, ero ancora nel pieno e avrei fatto delle belle prove. L’ultima però l’ho vinta, se non altro ho lasciato il Muro d’Huy con il dolce in bocca».

Rebellin ha vinto l’ultima Freccia Vallone che ha corso: era il 2009, di lì a poco sarà 3° alla Liegi di Schleck
Rebellin ha vinto l’ultima Freccia Vallone che ha corso: era il 2009, di lì a poco sarà 3° alla Liegi di Schleck

La bici al chiodo

Davide Rebellin ha 50 anni ed è appena rientrato da Palma de Mallorca, dove si è unito alla Work Service-Vitalcare. A breve andrà a Gran Canaria per partecipare alla Epic Gran Canaria, una gran fondo cui spesso lo invitano. La frattura è a posto, ha giusto un po’ di fastidio alla caviglia quando si alza sui pedali. Il rientro è ancora da stabilire, probabilmente sarà a Laigueglia. Poi alla fine di questa stagione anche Davide, come Valverde, appenderà la bici al chiodo. E chissà se qualcuno dopo di loro riuscirà a conoscere tanto bene il Muro d’Huy. Una cosa è certa: se non gli avessero cucito addosso la lettera scarlatta, quelle 16 partecipazioni Davide se le sarebbe lasciate da un pezzo alle spalle.