I volti nuovi per la stagione 2023 sono molti, un contributo importante lo ha dato la Corratec. La squadra di Parsani, che dalla prossima stagione sarà professional ha aperto le porte a tanti corridori. Samuele Zambelli è uno di loro: 24 anni di Rovereto. Con i professionisti ha già avuto a che fare correndo come stagista con l’Androni nel 2021. Alla fine l’opportunità non si è concretizzata e il trentino ha trovato nella Work Service, che dell’Androni sarebbe stato il vivaio, la rampa di lancio giusta.
Il corridore trentino ha corso dal 2018 al 2021 nella Iseo Rime CarnovaliIl corridore trentino ha corso dal 2018 al 2021 nella Iseo Rime Carnovali
Solita mentalità, anzi…
Gli inverni rischiano di essere tutti uguali, questo però per Zambelli ha un valore differente: è il primo da professionista. Il percorso è stato lungo, ma ora che il sogno si è avverato è giunto il momento di metterci quel qualcosa in più.
«Dal punto di vista della preparazione – dice – non cambia nulla, i lavori sono gli stessi e le giornate anche. Sto lavorando per fare una bella stagione, ci sto mettendo un po’ di grinta in più perché voglio dimostrare che quanto fatto per arrivare fin qui non è stato per caso. Ho 24 anni, sono più maturo e consapevole dei miei mezzi. Avevo provato a contattare Frassi già la scorsa stagione, ma nella continental non c’era più spazio. Un anno dopo è arrivata la chiamata. Da gennaio sarò in ritiro con la squadra, mentre a febbraio mi aspetta il debutto ufficiale in corsa».
Per Zambelli la prima esperienza con i professionisti è arrivata nel 2021 grazie allo stage con l’AndroniPer Zambelli la prima esperienza con i professionisti è arrivata nel 2021 grazie allo stage con l’Androni
Stage in Androni
Una prima esperienza con il mondo dei professionisti Samuele l’aveva avuta nel 2021 quando fece uno stage con l’Androni.
«Con la squadra di Savio era stata una bella esperienza – riprende a raccontare – ho avuto la possibilità di fare tante belle corse come il Giro di Sicilia, la Bernocchi o il Gran Piemonte. Sono stato affiancato da tanti compagni di grande esperienza che mi hanno comunque insegnato qualcosa. Purtroppo la rosa per il 2022 era già al completo, ovviamente mi è dispiaciuto non riuscire a passare subito con loro, però il mio momento è arrivato comunque».
La stagione in Work Service è servita per maturare ulteriormenteLa stagione in Work Service è servita per maturare ulteriormente
Il passaggio alla Work
Nel mezzo c’è stato l’anno corso con la Work Service, Zambelli ha avuto modo di mettere insieme un calendario ampio ed interessante. Cogliendo l’occasione, forse, di imparare qualcosa di nuovo e di maturare ulteriormente.
«Le occasioni di crescita quest’anno non sono mancate – spiega il trentino – il 2022 è stato un anno molto importante. Fino a gennaio ero rimasto senza squadra e le speranze erano poche però mi sono allenato con la mentalità giusta e con la convinzione di trovare il mio posto. La Work Service mi ha dato fiducia e penso di averla ripagata fino in fondo. Nella prima parte di stagione ero partito forte, poi alla Coppi e Bartali sono caduto ed ho fratturato una costola. Mi sono fermato per un mese, però una volta tornato ho ripreso da dove avevo lasciato. Direi che la costanza mi ha premiato, forse mi è mancato qualche spunto vincente ogni tanto».
Zambelli con alle spalle Konychev (in maglia Bike Exchange) i due saranno compagni di squadra alla Corratec Il ventiquattrenne ha corso molte gare con i professionisti nel 2022
Corse all’estero e con i pro’
L’occasione di correre con la Work Service ha dato la possibilità a Zambelli di correre all’estero, ben quattro gare per lui. A queste si aggiunge anche l’esperienza dei Giochi del Mediterraneo con la nazionale di Amadori (dove è stato il migliore degli azzurri, undicesimo). In più il calendario lo ha messo più volte sulle stesse strade dei professionisti, potendosi confrontare con il suo futuro mondo.
«Nelle gare con i professionisti mi sono sempre trovato bene – riprende – chiaramente sono corse più logiche, ma quando aprono il gas se non ne hai rimani lì. Bisogna saper gestire il fisico al massimo. La prima volta che ho corso con i professionisti ero al secondo anno da under 23 e chiaramente ho sofferto molto di più. Negli ultimi due anni sono andato in queste gare con la mentalità di fare bene. All’estero, invece, le gare sono meno controllate e diventano molto dure perché si attacca spesso ed anche da lontano. Le squadre che partecipano sono tutte professional o al massimo qualche continental, ma con corridori di alto livello. E’ importante andare fuori dall’Italia per fare esperienza, alla fine da professionista si corre in tutto il mondo».
Zambelli ha corso molto accanto a Rebellin nel 2022, l’ultima gara fianco a fianco la Veneto Classic il 16 ottobre Zambelli ha corso molto accanto a Rebellin nel 2022, l’ultima gara fianco a fianco la Veneto Classic il 16 ottobre
Un pensiero per Rebellin
Zambelli, nella stagione 2022 corsa con la Work ha avuto modo di conoscere Davide Rebellin. Un corridore di grande esperienza che ci ha prematuramente lasciato, chiedere qualcosa di lui ad un ragazzo che lo ha vissuto fino a poco tempo fa ci è sembrata la cosa giusta.
«Io e Davide – respira profondamente – quest’anno abbiamo corso spesso insieme. Mi ha sempre dato tanti consigli, non molte parole ma giuste, pesate e pensate. Quando ho letto della sua morte dai vari siti non ci volevo credere, sono stato davvero male, non lo meritava. Davide non l’ho mai visto arrabbiato, nelle riunioni pre gara spesso ci dava dei consigli. Avere un corridore della sua esperienza accanto ti fa sentire tranquillo, soprattutto se a quella esperienza aggiungi tanta, anzi tantissima umanità. Quando succede una cosa del genere pensi che sei invisibile, tante volte noi corridori siamo per strada da soli e ci dicono che diamo fastidio. Molti automobilisti ti passano accanto insultandoti perché pensano che li fai rallentare e dopo cento metri c’è un semaforo rosso. Capisco che le persone vanno al lavoro e possono avere fretta, ma anche noi d’altro canto stiamo lavorando».
Se a Natale vale sempre per tutte le età fare la lista dei desideri, siamo certi che sotto il suo albero Laura Tomasi volesse trovarci il segno di un cambiamento civico. Lo scorso 19 dicembre il suo video-denuncia contro l’ennesimo automobilista negligente che l’aveva toccata con la macchina – per fortuna senza conseguenze – ha fatto il giro del web.
L’episodio è successo in Versilia, a Cinquale di Montignoso, proprio sul lungomare nel quale Tomasi nel 2019 aveva colto la sua seconda vittoria da elite nel Trofeo Oro in Euro. Le è successo proprio nel giorno dell’autopsia del povero Davide Rebellin, che forse da lassù ha buttato un occhio ad uno dei suoi tanti colleghi. Coincidenze di un destino, quello del ciclista, che spesso viaggia su frazioni di secondo. O vinci una volata in gara, o vinci la vita in allenamento.
Sempre più comuni italiani stanno installando cartelli che avvertono la presenza di ciclisti in strada Sempre più comuni italiani stanno installando cartelli che avvertono la presenza di ciclisti in strada
E’ questo non è giusto, non deve essere così, come ha continuato a ripetere la 23enne trevigiana del UAE Team ADQ nel suo video. C’è però una stagione agonistica che bussa alla porta e va preparata. A distanza di qualche giorno abbiamo deciso di sentire dalla sua voce come sta sia moralmente che fisicamente.
Laura del tuo sfogo ci aveva colpito la frase “ho paura ad allenarmi”. Da allora ad oggi come stai in generale?
Ho reagito bene e lo sto facendo tutt’ora. Quel giorno non è stato per nulla facile. L’auto mi è venuta addosso toccandomi duramente dal mignolo fino alla spalla. E’ andata bene perché so destreggiarmi in bici, ma ho avuto un grande shock emotivo. Il video l’ho fatto mezz’ora dopo perché prima ho chiamato il mio fidanzato per trovare un conforto. Sono ripartita in bici dopo un’ora abbondante con quella frase in testa. Non è piacevole sentirsi vulnerabili ad ogni uscita, ma ho capito che devo convivere con questa paura se voglio continuare a fare il mio lavoro, ciò che più mi piace. E poi non voglio farmi sopraffare dalla paura di allenarmi perché sarebbe come darla vinta a questo contesto o alle persone che guidano apposta in modo spregiudicato quando incontrano noi ciclisti.
In Italia per i ciclisti professionisti è praticamente impossibile svolgere tutto un allenamento su piste ciclabiliIl Giro d’Italia 2023 partirà con una crono individuale dalla ciclabile della Costa dei Trabocchi in AbruzzoIn Italia per i ciclisti professionisti è praticamente impossibile svolgere tutto un allenamento su piste ciclabiliIl Giro d’Italia 2023 partirà con una crono individuale dalla ciclabile della Costa dei Trabocchi in Abruzzo
Ti era già capitato un evento del genere?
Come questo no, però episodi simili ci sono praticamente ogni giorno che mi alleno. Oggi (ieri per chi legge, ndr) ho fatto 120 chilometri e ho rischiato nuovamente un paio di volte. Ora non solo ti fanno il pelo o ti stringono in rotonda come a me in Versilia, ma devi fare attenzione alle auto che vanno nel senso opposto di marcia che si avventurano in sorpassi azzardati. E ti fanno il pelo anche in quel caso. Sono anni che gli automobilisti non ci vedono. Anzi, ci vedono come un intralcio. Non voglio generalizzare. Non tutti gli automobilisti sono delinquenti così come non tutti i ciclisti sono diligenti, ma nessuno si rende veramente conto che stanno guidando un’arma. Forse dovrebbero venire al nostro posto come in quello spot…
Quale?
Circola in rete ormai da qualche tempo quel video in cui un’associazione vuole sensibilizzare la sicurezza stradale. Gli autisti di una azienda di bus vengono fatti pedalare su una bici da spinning mentre il loro stesso pullman passa a pochi centimetri da loro. Hanno reazioni di spavento dopo aver sentito il forte spostamento d’aria. Loro lì sono fermi mentre noi invece andiamo con tutti i rischi del caso. Questo spot dovrebberlo farlo vedere nelle scuole-guida italiane. Servono educazione civica e il rispetto reciproco degli spazi comuni come la strada.
La condivisione della strada tra ciclisti e automobili è possibile ma serve più sensibilizzazione La condivisione della strada tra ciclisti e automobili è possibile ma serve più sensibilizzazione
Dopo il tuo video hai ricevuto solo messaggi di incoraggiamento o sono arrivati anche commenti negativi?
Entrambi. Sono stati più quelli di solidarietà e sostegno, per fortuna. Comunque alcuni mi hanno scritto dicendo che non devo usare la strada per allenarmi ma le ciclabili? Quali ciclabili? Nel mio allenamento odierno, ci ho fatto sopra 15 chilometri al massimo. La gente che mi ha scritto non si rende conto che noi ci alleniamo per 4-5 ore su più terreni e con lavori specifici. La maggior parte delle piste in Italia sono ciclopedonali, quindi promiscue e solitamente c’è un limite di velocità. Figuratevi se ci pedalo a 40 all’ora mettendo a rischio le persone a piedi. Nonostante io abbia risposto argomentando queste cose, certa gente continuava a dirmi che non dovevo allenarmi in strada perché è pericoloso. Assurdo.
Trevisi e Tomasi in mezzo al deserto durante il raduno negli Emirati ad ottobre (foto Heres)Il terzo posto ottenuto da Tomasi in Scandinavia dietro le australiane Manly e Hosking (foto Heres)Trevisi e Tomasi in mezzo al deserto durante il raduno negli Emirati ad ottobre (foto Heres)Il terzo posto ottenuto da Tomasi in Scandinavia dietro le australiane Manly e Hosking (foto Heres)
Dopo che hai vissuto questa brutta esperienza, secondo te cosa si può fare per aumentare la sicurezza?
Personalmente agli incroci o nei punti più critici, cerco sempre di guardare dentro l’abitacolo per vedere se il guidatore è attento o meno in modo da urlare qualora fosse distratto. Rispetto i semafori e gli stop. La mia bici è dotata di luci posteriori e anteriori ma onestamente non so cosa si possa fare di più per tutelarci. Sembra un controsenso, però uscire in un gruppetto di ciclisti può essere considerato più sicuro che uscire da soli perché almeno tutti assieme siamo più visibili. Però poi occupiamo più spazio, rischiamo di essere più indisciplinati, gli automobilisti non vogliono stare dietro di te e azzardano manovre suonando il clacson. Al contrario se esci da solo puoi essere investito da chiunque e magari con omissione di soccorso. Ripeto, non è bello sentirsi così vulnerabili.
Le associazioni di categoria come ACCPI o CPA potrebbero fare qualcosa in più?
Si può sempre fare qualcosa di più e loro potrebbero spingere ulteriormente, ma non è facile toccare l’animo di chi sta ai Ministeri. Il mio video-denuncia l’ho fatto anche perché speravo potesse far riflettere qualcuno ai piani alti. Cinque giorni prima del mio incidente, è stato assolto colui che aveva scritto quella ignobile frase contro i ciclisti. Se in Italia non è reato questo tipo di incitamento all’odio o non ci sono ancora leggi chiare con multe salate come in altri Paesi, ci si può fare poco. Bisogna sperare che cambi qualcosa però l’Italia sotto questo punto di vista non è un Paese all’avanguardia.
Sorride Laura. Dopo lo spavento dell’incidente, punta a fare un bel 2023 (foto Heres)Laura Tomasi si trova bene con tutte le compagne. Conosce già anche le nuove arrivateSorride Laura. Dopo lo spavento dell’incidente, punta a fare un bel 2023 (foto Heres)Laura Tomasi si trova bene con tutte le compagne. Conosce già anche le nuove arrivate
Proviamo a tornare in sella perché fra pochi giorni inizia il 2023. Laura Tomasi come sta preparando la sua stagione agonistica?
Come ho detto subito, non ho perso motivazione nell’allenarmi. Vorrei cominciare la nuova annata così come ho chiuso il 2022 con un paio di podi in gare WorldTour. Esordirò alla Valenciana poi farò la campagna del Nord tra Belgio e Olanda. Lassù ci sono le corse più adatte alle mie caratteristiche, anche se dovrò lavorare per le nostre capitane. Abbiamo una squadra ben strutturata, con tanti innesti giovani ed interessanti oltre alle atlete più esperte. Il mio ruolo dipenderà dal tipo di gara che faremo. Non so ancora dove potrò avere una eventuale carta bianca. Il mio calendario è stato definito fino ad aprile. La stagione è lunga, spero, e cercherò, di ritagliarmi un po’ di spazio.
A Torino con Prudhomme, patron del Tour. Parliamo di percorsi, campioni e sicurezza. «La domenica ero con Rebellin a Monaco, tre giorni dopo era morto»
L’Italia si tinge di giallo. Toscana, Emilia Romagna e Piemonte si sono unite come i moschettieri per infilzare l’obiettivo che tutto lo Stivale inseguiva da sempre: la Grand Départ del Tour de France. L’ultima tappa delle presentazioni sul nostro territorio è stata quella a Palazzo Madama di Torino. Prima della conferenza organizzata dalla Regione Piemonte per illustrare la terza frazione del 1° luglio 2024, abbiamo incontrato il direttore generale della Grande Boucle, Christian Prudhomme per una chiacchierata a tutto tondo sul mondo delle due ruote.
L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
Come nasce quest’omaggio storico per l’Italia e per tutto il suo ciclismo?
Era da tantissimo tempo che volevamo fare la Grand Départ dall’Italia. Mi sembra davvero pazzesco che non sia accaduto prima, ma le tessere del puzzle non si erano mai incastrate.
Quanto è stata importante la spinta delle regioni per raggiungere questo traguardo?
Toscana, Emilia Romagna e Piemonte sono state brave a fare squadra, così come le città, a cominciare da Firenze, da cui scatterà la prima tappa. Hanno fatto un po’ come i moschettieri: uno per tutti, tutti per uno, ed è stata la ricetta vincente perché il Tour partisse dall’Italia. Volevamo omaggiare i campioni che hanno scritto pagine indelebili del ciclismo mondiale come Bartali, Coppi, Pantani, a 100 anni dalla prima vittoria italiana (Bottecchia nel 1924, ndr). Siamo contentissimi di questa opportunità, non vediamo l’ora di valorizzare il magnifico paesaggio del vostro Paese. Da luoghi che sono patrimonio dell’Unesco come il centro storico di Firenze, le arcate di Bologne, i paesaggi vinicoli del Piemonte con vini di grandissima qualità. Non vedo l’ora di scoprire questi posti splendidi.
Nel 2023 la Spagna, nel 2024 l’Italia: il Tour abbraccia gli altri due Paesi dei grandi giri in un momento in cui il mondo è diviso dalle guerre.
Lo sport permette di avvicinarsi alla gente. Il ciclismo più di tutti gli altri perché attraversa le città e i paesini che si trovano sul percorso delle sue competizioni.
Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
L’anno prossimo, il tracciato strizza l’occhio agli scalatori: corretto?
Il Tour è sempre per scalatori, poi magari l’anno prossimo ci sarà la sfida tra un grimpeur puro e un passista, come accadde in passato con il duello tra Bahamontes e Anquetil. Al giorno d’oggi però non ci sono differenze così marcate tra scalatori e passisti, ma ci siamo ritrovati una generazione di fenomeni straordinari, che attaccano da lontano, che animano la corsa e la rendono entusiasmante per tutti.
Che ciclismo ci aspetta dopo i ritiri di due monumenti come Nibali e Valverde?
Il Tour dello scorso anno è stato magnifico. Pogacar era il super favorito e non ha vinto, ma è stato grandioso nella sua sconfitta. Non ha mai mollato, attaccando persino sui Campi Elisi. Vingegaard è stato straordinario.Ha ottenuto una splendida vittoria sul Granon, grazie all’aiuto della sua squadra, la Jumbo Visma. Sono stati capaci di accerchiare Pogacar e di regalarci quella che, a mio parere, è stata la tappa più bella degli ultimi trent’anni. Sono sicuro che ci aspettano altre annate splendide, sia nel 2023 sia nel 2024 quando si partirà dall’Italia.
Il percorso della corsa su strada dell’Olimpiade di Parigi 2024 sarà nelle vostre mani?
Noi presteremo soltanto i nostri servizi e faremo il lavoro che ci chiederanno di fare, ma non siamo noi a scegliere il percorso. Offriremo soltanto la nostra esperienza sotto l’aspetto tecnico, anche perché non capita tutti i giorni di avere i Giochi in casa a Parigi.
Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi successivi tentativi di recuperareIl Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi tentativi di recuperare
Negli stessi giorni si sono celebrati anche i funerali di Davide Rebellin, omaggiato dalla platea di Palazzo Madama con un minuto di silenzio. Che segno ha lasciato quest’ennesima tragedia?
E’ stato drammatico e l’Italia continua a pagare un dazio enorme. Il pensiero vola sempre anche a Michele Scarponi, che ci ha lasciato qualche anno fa. Non soltanto in Italia, ma in tutti gli altri Paesi del mondo devono fare attenzione a chi va in bicicletta. Chi va in bici, uomo o donna, non ha nessuna protezione. Mi sembra pazzesco pensare che il lunedì sera ho stretto la mano a Davide Rebellin a Monaco e tre giorni dopo lui non c’era più. Il Tour de France continuerà a lavorare affinché non si ripetano queste tragedie, per noi che porteremo sempre nel cuore il ricordo di Fabio Casartelli. C’è un messaggio che deve passare e ne abbiamo parlato di recente a Monaco con Matteo Trentin, perché bisogna far qualcosa per la sicurezza stradale. Al Tour lavoriamo molto su questo tema, mentre ai villaggi di partenza cerchiamo di lanciare un messaggio per la sicurezza quotidiana: la strada si condivide.
Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di FirenzeIl giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Tour de Femmes avec Zwift: soddisfatto dei riscontri ottenuti?
E’ stato davvero magnifico avere mezzo mondo a bordo strada, l’interesse delle televisioni, la direzione formidabile di corsa da parte di Marion Rousse. Poi, una corsa spettacolare con le olandesi Annemiek Van Vleuten e Marianne Vos sugli scudi. Non è stato un rilancio soltanto per catturare audience televisiva, ma per riportare pubblico a vedere le corse dal vivo. E’ stato bellissimo vedere tante piccole bambine che si immedesimavano nelle campionesse odierne pensando: “Domani potrei esserci io al suo posto”. Proprio come è accaduto per tanti anni in Italia tutte le volte che si vedeva passare un fuoriclasse come Nibali. Chissà che ora non capiti lo stesso con Marta Cavalli come modello per le più piccine. E’ un cambiamento epocale.
Il ciclismo è in continua evoluzione. Si è parlato moltissimo dei ciclisti esplosi con Zwift come Jay Vine, due tappe vinte alla Vuelta 2022: pensieri?
Ci sono tantissimi giovani che sgomitano. Non tutti sono Coppi o Gimondi, esplosi prestissimo e capaci di vincere il Tour in giovanissima età. Ora il movimento è su scala globale e propone atleti che arrivano al top utilizzando anche metodologie differenti da quelle canoniche, come il caso di Zwift. Corridori magari nati sui rulli, ma poi dimostratisi fortissimi anche su strada: dunque, le carte si sono mescolate. Ciò è un bene e rende ancora più interessante il nostro sport.
Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Qualche suggestione per il futuro del Tour?
La corsa la fanno i corridori, per cui non è vero che dipende tutto dal percorso. Questa generazione di fenomeni, ad esempio, utilizza il percorso in maniera migliore rispetto alla precedente e questo diverte i più giovani. Tra gli utenti che hanno seguito il Tour, la seconda fascia più numerosa comprendeva i telespettatori di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Avere nuovo pubblico che segue il Tour de France per noi è una notizia splendida, grazie anche all’imprevedibilità di corridori alla Van Aert o Van der Poel.
Come procede la lotta al doping?
La battaglia contro chi bara non riguarda soltanto il mondo dello sport. Abbiamo lavorato tantissimo con l’Uci e con le squadre, soprattutto durante la pandemia ed è stato fondamentale questo lavoro corale, perché se non l’avessimo fatto, ci sarebbero stati dei passi indietro fatali. Con il Covid ci siamo ritrovati tutti sulla stessa barca e abbiamo capito l’importanza di muoverci insieme per il bene del ciclismo.
Abbastanza nascosta al Delfinato, salvata da Covi al Giro, la UAE Emirates sta lavorando lontana dai riflettori in vista del Tour. Ne parliamo con Matxin
Nel giorno della vittoria di Yates e della rosa a Carapaz, Nibali infiamma il pubblico e inizia a preoccupare i rivali. Lui è sereno. E parla da Squalo
Avete presente la sensazione di quando salutate qualcuno? Quella tristezza, mista però alla sicurezza che vi rivedrete? Ecco, oggi quello detto a Davide sembrava più un arrivederci, che un addio. Da una parte la sicurezza che Davide rimarrà sempre vivo nella memoria di ciascuno di noi, dall’altra l’incredulità generale, la difficoltà nell’accettare quanto successo. Davide ha lasciato tanto, come ciclista, ma soprattutto come uomo, come persona.
E il Duomo gremito di persone ne è la prova. «Non era perfetto nemmeno lui – dice Gilberto Simoni – ma di sicuro era il migliore». Davide era così: era il migliore in gruppo, in squadra, ma era anche il miglior avversario. «Un onore poterlo battere, ma un onore essere battuti da lui», conclude Simoni.
La grande chiesa di Lonigo era gremita di genteLa grande chiesa di Lonigo era gremita di gente
L’ultimo traguardo
Nella piccola rotonda davanti alla Chiesa centrale di Lonigo le macchine continuano a girare, ma tre gradini più su, tutto si è fermato per un istante. Ci sono striscioni appesi sui palazzi, occhi lucidi e sorrisi che sapevano che non sarebbe dovuta andare così. Amici, parenti e tifosi arrivano in silenzio, scelgono un angolino sul sacrario del Duomo e aspettano Davide come sul traguardo di una classica. Il silenzio è assordante, il cielo grigio. È difficile trovare parole di conforto in situazioni così, dove si rischia di far parlare la rabbia. La rabbia sì. Rabbia per quello che è successo e per come è successo. Perché Davide non doveva morire così.
Rebellin ha chiuso la sua carriera agonistica alla Work ServiceRebellin ha chiuso la sua carriera agonistica alla Work Service
La chiesa è bella, grande, imponente. Davide se la merita tutta. Nelle prime file si siedono i parenti, più dietro tutti coloro che hanno colto in lui la persona d’oro quale era. Prima della celebrazione sono diverse le persone che vogliono salutare il campione per un’ultima volta.
Sono tanti gli aneddoti che raccontano i nipoti o gli ex compagni di scuola. Quello che emerge da tutti i racconti è un uomo semplice, umile e tranquillo. Di quella tranquillità contagiosa, solo con uno sguardo. Quando Davide parlava, sembrava che tutto fosse al proprio posto. È vero, era un po’ pignolo, ma la stoffa del campione ha anche piccoli difetti come questo, no?
Tanti gli striscioni commemorativi… anche sui palazziNon sono mancati i fans club…E le associazioni radicate nel territorio venetoTanti gli striscioni commemorativi… anche sui palazziNon sono mancati i fans club…E le associazioni radicate nel territorio veneto
Angelo speciale
Dalle parole dei nipoti emerge un grande orgoglio, la fierezza per lo zio campione, come spesso si dice, “in sella, ma soprattutto nella vita”. «Ci si riempiva il cuore di gioia quando sentivamo parlare di te e delle tue imprese. Ora che non ci sei più, siamo sicuri che stai pedalando con il nostro caro nonno».
La passione per la bici infatti Davide l’aveva ereditata dal papà. Allo stesso lui stava cercando di tramandarla ai giovani. Proprio quel giorno, quel maledetto giorno, quel buio 30 novembre, ricorda il sindaco di Lonigo Pierluigi Giacomello, Davide avrebbe dovuto incontrare un gruppo di ragazzi.
Davide era speciale, in tutto. Le parole che ciascuno gli ha dedicato nel proprio silenzio, non sono affatto di circostanza. Davide era uno di quelli che fa breccia nel cuore delle persone, senza grandi ragioni. Sapeva accarezzarti nel profondo con uno sguardo. «Sei un angelo speciale» gli hanno detto. Ed è vero.
Chiunque l’abbia incontrato, ha sicuramente incontrato un angelo. «Non si arrabbiava mai – raccontano le persone a lui vicine – Anche quando doveva esprimere il suo disaccordo, riusciva sempre a farlo con grande rispetto e intelligenza».
L’ultimo viaggio. Mancherai a tutti, DavideL’ultimo viaggio. Mancherai a tutti, Davide
Ciao Davide
Davide era umile, non peccava di presunzione, nemmeno quando avrebbe potuto: se perdeva una volata compariva sul volto un piccolo ghigno di rammarico. Se la vinceva invece un semplice sorriso come a dire “ho fatto il mio; dovevo fare solo questo”. Una vita circolare, fatta di ciclismo e tanta bontà, che non sempre però è tornata indietro.
La carriera di Davide, l’incredibile carriera, oggi, per un attimo, era in secondo piano. Prima di partire, per l’ultima volta, sulle strade che tanto lo hanno allenato, Françoise, la moglie di Davide, si abbandona in un lungo pianto tra le braccia dei propri cari.
Quello che mancherà di più al mondo è un uomo, prima che un campione. Davide, “pedala tranquillo la tua ultima volata, ora nessuno potrà fermarti. Taglia il traguardo con le braccia alzate e il sorriso. Il cielo ti attende, l’amore ti accompagna”.
Lucca da solo a Sirolo nella Adriatica Ionica. La fuga giusta gli permette di staccare tutti i pro'. A 24 anni davvero non passa perché troppo vecchio?
Formolo saluta Rebellin e si tuffa nella nuova stagione per recuperare il terreno perduto. Da Pogacar a se stesso, la voglia è sempre la stessa: vincere!
E’ passata una settimana. Le indagini sulla morte di Davide Rebellin hanno portato con notevole rapidità all’individuazione del camionista che lo ha travolto e poi è scappato, sebbene si fosse reso conto di averlo investito. Quel che resta nebuloso è che cosa accadrà adesso.
Abbiamo letto che quel sessantennne maledetto e recidivo non potrà essere arrestato in Germania, perché lassù l’omicidio stradale non è previsto fra i reati. Abbiamo letto tutto e il contrario di tutto. Ma siccome in questi casi a dettare la via, che piaccia o meno, è la legge, ci siamo rivolti a Federico Balconi con 10 domande. E’ l’avvocato di Zerosbatti, ormai l’amico di chiunque abbia avuto un incidente in bici. Ecco che cosa ci ha risposto.
Federico Balconi e Vincenzo Nibali, Zerosbatti ha preso il volo dalla loro collaborazione. In apertura, immagine giustiziainsieme.itBalconi e Nibali, Zerosbatti è nata dalla loro collaborazione. In apertura, immagine giustiziainsieme.it
1) L’omicidio stradale può essere colposo?
L’omicidio stradale si configura ogni volta che un automobilista compie una manovra di sorpasso senza adottare tutte le misure cosiddette “cautelari” previste dal Codice della strada (art. 148). Dovrebbe cioè tenere una velocità moderata e che consenta il sorpasso in sicurezza, con una distanza che tenga conto di strada, eventuali sbandamenti del ciclista e che non metta lo stesso in pericolo durante la manovra. In caso di urto automaticamente viene imputata all’autista la mancata adozione di queste norme. Pertanto, non potrà dire di non essersi accorto. Varrebbe come una confessione perché significherebbe che non aveva adottato nemmeno la minima diligenza di guardare la strada!
2) Aver visto ed essere fuggito è un’aggravante?
Qualora venisse dimostrato, questo comportamento configura una grave omissione di soccorso. Perché non potrà nemmeno dire di non essersi accorto dell’evento.
3) In Italia sarebbe stato arrestato?
Il reato di omicidio stradale in Italia prevede l’arresto facoltativo se non vi sono aggravanti. Diventa obbligatorio in presenza di aggravanti, come in questo caso (omissione di soccorso). Vi è a mio avviso un altro elemento da verificare, ovvero che non fosse in stato di alterazione alcolica o da sostanze stupefacenti. Questo per un autista di camion comporta la maggiore delle aggravanti con arresto obbligatorio.
Questa l’area dell’incidente, al centro l’immissione e la rotonda accanto al ristorante (immagine Google Maps)Questa l’area dell’incidente, a destra lo svincolo e la rotonda accanto al ristorante (immagine Google Maps)
4) In quale modo si potrà portare qui il camionista?
Il PM Italiano potrebbe valutare, una volta accertata la dinamica, di chiedere l’arresto mediante ordine di cattura internazionale.
5) L’autopsia in certi casi è comunque indispensabile?
L’autopsia viene disposta d’ufficio, perché la configurazione del reato prevede il nesso causale tra evento e morte. Quindi deve essere esclusa qualsiasi altra possibile causa di decesso.
6) L’autista è recidivo: in Italia avrebbe avuto ancora la patente?
Purtroppo sì, perché una volta scontato il periodo di sospensione (di solito con patteggiamento e lavori socialmente utili), la patente viene restituita. In caso di recidiva per la guida in stato di ebrezza o se avesse commesso lo stesso reato negli ultimi due anni, sarebbe prevista la revoca. La recidività penalmente invece è aggravante e, anche se superati i 5 anni, non potrà usufruire della sospensione condizionale della pena.
Davide Rebellin, figlio, fratello, marito e campione, è stato ucciso da un camion il 30 novembre 2022Davide Rebellin, figlio, fratello, marito e campione, è stato ucciso da un camion il 30 novembre 2022
7) Quale pena rischia?
La pena potrebbe andare dai 2 a 7 anni senza aggravanti, oppure da 8 a 12 anni se aggravata. Escluderei l’aggravante lieve (da 5 a 10 anni).
8) Se sarà carcere, dovrà scontare la pena in Italia?
Potrebbe richiedere di scontare la pena in un carcere tedesco, tramite gli accordi europei tra Stati.
9) Oltre al penale ci sarà un processo civile?
Il processo civile potrà essere svolto in due modi. Tramite la costituzione di parte civile da parte dei parenti/eredi di Davide direttamente nel processo penale. Oppure con separato giudizio: scelta più opportuna, poiché il processo civile è finalizzato al risarcimento del danno, che compete maggiormente al Giudice Civile Ordinario.
Il peso del camion ha gioco facile contro la bicicletta, ma è difficile in certi casi sostenere di non essersi accortiIl peso del camion ha gioco facile contro la bicicletta, ma è difficile in certi casi sostenere di non essersi accorti
10) Cosa potrebbe dire a sua discolpa?
Come spesso leggiamo nei verbali di sommarie informazioni, l’automobilista generalmente per discolparsi sostiene che il ciclista abbia cambiato repentinamente direzione. Oppure che durante il sorpasso probabilmente ha cambiato direzione sbandando e urtando il cassone… Abbiamo letto anche di automobilisti che in fase di sorpasso hanno dichiarato di aver sentito un colpo e solo dopo essersi resi conto di aver colpito il ciclista… Tutte dichiarazioni che potranno essere utilizzate contro lo stesso autista. Dimostrerebbero infatti la mancata diligenza e attenzione dovute nel compiere una manovra così pericolosa.
Mirko Gualdi è l'ultimo azzurro trent'anni dopo le Olimpiadi di Barcellona. Casartelli e Rebellin non ci sono più. Un viaggio nei sentimenti e nei ricordi
Altro Giro per Vendrame, il secondo in maglia Ag2R. Il trevigiano prenota una tappa per lasciarsi alle spalle qualche sfortuna di troppo. Vanno bene tutte
La ruota legata alla rete sul Col de Castillon, come ultimo saluto per Rebellin, lungo la strada che da Mentone sale verso l’interno. “Sarai sempre al mio fianco in ogni singola uscita in bici…”, ha scritto Davide Formolo su Instagram e assieme a lui hanno posato gli amici di tanti allenamenti. Trentin e Covi, i fratelli Bonifazio, Troìa e due amatori. Poi il discorso passa a un’altra foto. In questa c’è Formolo, 21 anni, e accanto Rebellin che ne ha già 43.
«Siamo noi due insieme al Turchia – dice – le prime vere fatiche. Lì mi chiese in che anno fossi nato, così non ho più dimenticato che il 1993 era stato anche il suo primo anno da professionista. Non ci capitava di allenarci troppo spesso insieme, con i programmi d’allenamento al giorno d’oggi è difficile combaciare con gli altri. Però se potevo, quando lo vedevo mi giravo sempre. Davide era come un libro aperto per me. E poi caratterialmente mi sembrava anche molto simile a me, sinceramente…»
Primo anno da pro’ per Formolo, 43 anni per Rebellin. I due si conoscono così, su un podio in TurchiaPrimo anno da pro’ per Formolo, 43 anni per Rebellin. I due si conoscono così, su un podio in Turchia
Si riparte
A breve sarà il tempo di chiudere la prima valigia e poi Formolo partirà per il primo ritiro europeo del UAE Team Emirates. Per il veronese della Valpolicella quella in arrivo sarà la decima stagione da professionista, con un biennale in tasca e tanta voglia di riprendersi qualcosa che pensa di aver lasciato lungo la strada.
«L’ultimo è stato un anno molto particolare – dice – soprattutto la prima parte di stagione. A gennaio mi sono rotto la mano, ho iniziato a correre e appena dopo la Sanremo mi sono preso l’influenza, perciò ho fatto la settimana a letto. Il tempo di rimettermi in piedi e sono andato ai Baschi. Ma non avendo toccato la bici per una settimana, mi è venuta la tendinite al ginocchio che mi ha tenuto fermo due settimane. Poi sono direttamente al Giro d’Italia. L’ho finito e due giorni dopo ho preso il Covid. Non è stata proprio una bella inizio di primavera.
«A quel punto abbiamo fatto un break estivo per prepararci bene per le classiche di fine stagione, dove finalmente sono tornato ad essere il Davide a cui era abituato, perché è stato un inizio di stagione veramente complicato e molto sofferto anche a livello emotivo».
Appena tre giorni prima della morte di Rebellin, anche Formolo era con lui a Monaco per BekingAppena tre giorni prima della morte di Rebellin, anche Formolo era con lui a Monaco per Beking
Perché a livello emotivo?
Purtroppo correvo ed ero infortunato e questo per un corridore è la cosa più brutta. Andare alle corse senza poter dare il massimo. Quindi adesso si riparte sperando che vada tutto bene. Cerchiamo di imparare dagli errori e di curare ancora di più i dettagli rispetto a quello cui siamo abituati. D’altronde il nuovo ciclismo ci insegna questo. Che già a novembre abbiamo la tabella di nutrizione e quella di allenamento a 360 gradi. Non si può lasciare nulla al caso neanche nei mesi invernali.
Alla Cannondale parlavano di te come l’erede designato di Basso: grandi Giri e maglie di leader. Soddisfatto di come è andata finora?
A me piacerebbe senz’altro venire fuori di più. Però è anche vero che, guardandomi attorno, siamo in una squadra così forte che per ogni gara cui andremo, abbiamo un capitano che può vincere la classifica, oppure uno sprinter che può vincere le volate. Se io potessi fare la mia corsa, sarei felice onestamente se potessi entrare nei primi 5 delle classifiche generali. Abbiamo dei capitani così forti, che non possiamo giocarci le nostre carte. E alla fine anche questo è un ruolo che mi piace, sinceramente.
Si può essere soddisfatti anche lavorando per gli altri?
A me piace vincere. Quello in cui ho sempre fatto fatica quando facevo classifica per conto mio era difendermi nel giorno in cui non ero super. Perciò mi piace vincere, mi piace l’emozione dell’arrivo dopo la vittoria. E se riesco a fare un buon lavoro per un capitano che poi porta a casa la vittoria, emozionalmente per me è come aver vinto.
Al Lombardia, Formolo ha lavorato per Pogacar che poi ha vinto per il secondo anno consecutivoAl Lombardia, Formolo ha lavorato per Pogacar che poi ha vinto per il secondo anno consecutivo
E non ti manca la vittoria di Davide?
Certamente ogni tanto mi piacerebbe, magari andare in fuga e vincere qualche tappa. Sono convinto che riuscirò a ritagliarmi anche qualche piccolo spazio per me.
Ai ragazzini che passavano una volta si diceva: resetta tutto e si ricomincia da capo. Adesso non resettano niente, come com’è stato quando sei passato tu?
Molto diverso. Al primo anno era vietato fare un grande Giro, al giorno d’oggi passano e fanno il podio al primo anno. Ayuso quest’anno alla Vuelta, Tadej due anni fa. O comunque Remco (Evenepoel, ndr) al Giro d’Italia: l’anno scorso è caduto, ma quest’anno alla Vuelta, il secondo grande Giro, ha vinto. E’ un nuovo ciclismo e anche noi ci dobbiamo adattare. Certamente con gli strumenti che abbiamo al giorno d’oggi, hanno un database di watt, calorie bruciate per giorno, metodo di allenamento… Oramai con un database così importante, riescono a estrarre il massimo da ogni corridore, anche di giovane età.
Poco fa, hai fatto il nome di alcune grandi eccezioni: ti rendi conto che non sono la regola?
Sono fenomeni, sono campioni. Se fosse passato cinque anni fa, magari Remco ci avrebbe messo due stagioni in più per vincere la Vuelta, se non addirittura 5-6. Invece ha vinto a 22 anni. E questo significa che lui e pochi altri sono avanti di tre anni sui tempi.
Il gruppo dei corridori amici a Montecarlo, davanti alla ruota di RebellinLa ruota legata sul Col de Chatillon: un grande pegnoIlgruppo dei corridori amici a Montecarlo, davanti alla ruota di RebellinLa ruota legata sul Col de Chatillon: un grande pegno
In allenamento con Tadej, si capisce che è un fenomeno?
Lui è un altro mondo, perché i watt che ha già al medio sono tanta roba. Ovviamente per avere una soglia così alta, vuol dire che ci sono anche un medio e una base a tutt’altro livello rispetto agli altri.
Dove vorresti far bene l’anno prossimo?
Mi piace molto la Strade Bianche. Mi piace molto, per dire, anche il Giro d’Italia. Oppure la Sanremo. Che sia per vincere o comunque per fare un lavoro importante, per me è un sogno. Vincere dopo aver fatto un lavoro con i controfiocchi è proprio come se vincessi io…
Archiviata con la vittoria di Pogacar la prima tappa pirenaica. In classifica non cambia nulla. Forze al lumicino. Pesa sempre di più la crisi del Granon
Duello annunciato al Lombardia tra Mas e Pogacar. Si pensava che Mas potesse fare la differenza in salita, ma così non è stato. Tadej vince allo sprint
Mentre abbiamo appena saputo che il 13 dicembre si svolgerà l’autopsia di Rebellin e poi finalmente Davide potrà avere il riposo e l’onore che merita, siamo qui a comunicarvi una grossa novità. Forse avremo il Ponte sullo Stretto (immagine di apertura tratta da La Gazzetta del Sud). Il Governo infatti ha riattivato o proposto di riattivare la Società che dovrebbe portare alla sua costruzione. Ad aprile avremmo soffiato sulle 10 candeline dalla sua messa in liquidazione, con centinaia di milioni spesi per non concludere nulla, invece no.
La bicicletta di Rebellin, il simbolo drammatico della nostra fragilitàLa bicicletta di Rebellin, il simbolo drammatico della nostra fragilità
Scusate la prima persona e il tono di questo editoriale di qui in avanti. Chi mi conosce sa che sono spesso in Sicilia e ho più volte inveito contro le ore in attesa di quel traghetto. Sarei il primo a festeggiare per la costruzione del ponte. Ma non è questo il punto, oppure stavolta la misura è davvero colma.
I fondi spariti
Mentre propone di costruire il ponte della mia gioia, infatti, il Governo avrebbe fatto in modo di cancellare dal bilancio dello Stato per il 2023-2024 quei 94 milioni di euro che erano rimasti nel Fondo per lo sviluppo delle reti ciclabili urbane e non erano stati ancora assegnati. Il fondo era stato istituito dalla legge di bilancio del 2019. Tra le sue finalità c’era l’agevolare la transizione ecologica delle nostre città, oltre a presentare la non trascurabile possibilità di incidere sul numero dei morti della strada.
La realizzazioni di ciclabili urbane è il modo di ridurre il contatto fra ciclisti e il traffico cittadinoLa realizzazioni di ciclabili urbane è il modo di ridurre il contatto fra ciclisti e il traffico cittadino
Già, i morti di cui non importa nulla a nessuno e di cui s’è parlato per qualche giorno solo a causa della morte brutale di Davide Rebellin. Prima che i mondiali di calcio e altre tematiche riprendessero il sopravvento.
Per qualche giorno la grande informazione ha letto i numeri e ha mostrato orrore per gli oltre 200 ciclisti che alla fine di quest’anno avranno perso la vita a causa di conducenti poco accorti. I corridori hanno scritto a Mattarella. Ciascuno di noi, attingendo a conoscenze dirette o indirette con qualche parlamentare, ha provato a spingere per una legge o un tavolo di lavoro. Ma ad ora nulla pare muoversi (sarei ben contento di essere smentito!).
La meritocrazia degli altri
A questo punto, sono molto curioso di scoprire se questo Paese avrà prima il Ponte sullo Stretto oppure una legge che tuteli gli utenti deboli della strada.
Se confermata, la cancellazione di quei fondi fa capire che, almeno per ora, questo Governo si è trovato davanti a un Paese con mille criticità. Solo che, anziché riprogettarlo, ha scelto di tappare qualche buco e puntellare qualche muro. E qui scatta la riflessione successiva.
Il Parlamento dovrà votarela cancellazione dei fondi già stanziati per realizzare le ciclabili urbaneIl Parlamento dovrà votarela cancellazione dei fondi già stanziati per realizzare le ciclabili urbane
Per riprogettare uno Stato serve essere molto preparati. Serve avere una visione. Pretendiamo da tutti l’eccellenza, la competenza e la specializzazione. Parliamo di meritocrazia. Il Capo non ha più ragione per definizione, rispetto agli anni in cui ce l’aveva anche e soprattutto quando aveva torto. Oggi i genitori devono essere capaci di argomentare bene le proprie decisioni davanti ai figli. I giornalisti devono accrescere le proprie competenze. Gli insegnanti sono costretti ad aggiornarsi per tenere testa ad alunni che si informano su internet. I direttori sportivi fanno fatica nel seguire i corridori più giovani, che non a caso hanno eletto come riferimento i preparatori (giusto o sbagliato che sia).
Perché in questo quadro di ricerca dell’eccellenza, quelli che guidano il Paese (da destra a sinistra, con esiti identici) possono essere approssimativi, cambiare poltrona con disinvoltura passando dalla sicurezza alle strade, dall’economia alla cultura senza un briciolo di competenza?
Davide Rebellin è stato travolto e ucciso da un camion il 30 novembre: aveva 51 anniDavide Rebellin è stato travolto e ucciso da un camion il 30 novembre: aveva 51 anni
Giustizia per Davide
Se è vero che uno Stato è tanto più forte quanto più sa prendersi cura dei suoi cittadini più deboli, allora poveri noi. La morte di Rebellin, come quella di Scarponi, di Amilcare Tronca, Silvia Piccini e di tutti gli altri che non hanno un nome ma compongono le statistiche, non sarà l’ultima.
Forse ha ragione Gianluca Santilli, presidente dell’Osservatorio Bike Economy intervistato ieri da Sky Tg24, nel dire che la svolta si avrà se e quando qualcuno di costoro andrà a leggersi i numeri dell’indotto a due ruote e capirà che il bacino dei ciclisti può diventare anche un interessante bacino di elettori.
Fino ad allora, rimarremo carne da macello: vittime di bulli cui si è scelto di darla vinta e certi che il Parlamento non si prenderà cura di noi. E anche quelli che ne fanno parte e sono probabilmente amanti della bicicletta, saranno costretti al silenzio o lo adotteranno per non essere messi da parte.
Fra qualche giorno ci troveremo tutti a Madonna di Lonigo per piangere un amico. Diremo maledizioni, ricorderemo aneddoti, daremo abbracci, già assuefatti e rassegnati alla possibilità che Davide non avrà mai giustizia. E che la sua morte, come altre, non sarà servita a niente. Verrebbe da chiedersi cosa direbbero o farebbero se tutti i ciclisti d’Italia, dopo Madonna di Lonigo, decidessero di parcheggiarsi a oltranza sotto ai palazzi di Roma.
Il camionista. Le telecamere. I testimoni. La giustizia. La Germania. I cicloturisti che portano fiori, le telecamere, ma il vuoto resta. Da mercoledì, ogni chiamata o messaggio inizia da Rebellin che non c’è più. Per questo con Gualdi vogliamo provare a sentirlo più vicino. Il suo messaggio di quel giorno continua a risuonare nella testa come un grido di aiuto: «Sono distrutto. I miei 2 amici di Barcellona in cielo…».
Mirko è l’ultimo dei tre: Casartelli, Gualdi e Rebellin. Le maglie celesti chiare per combattere il caldo spagnolo, i vent’anni. E di colpo ti rendi conto che il bergamasco è il custode di quei ricordi e hai quasi paura di dirglielo, temendo come potrebbe reagire.
«Guarda quando penso a questo – le lacrime arrivano e la voce si strozza – quando penso a questo, dico che mi sarebbe piaciuto davvero sedermi ancora una volta con loro due e anche con Fusi e Zenoni. Rifare quella cena con la paella che avevamo mangiato la sera della vittoria alle Olimpiadi, tutti insieme a Barcellona. Ti dici che un giorno lo faremo, invece alla fine non se ne fa mai niente. E quando succedono questi disastri, poi ti chiedi perché non l’hai fatto…».
Mirko compirà 54 anni il prossimo 7 luglio: lo stesso giorno di Zabel, scherza, ma al Tour facevano gli auguri soltanto al tedesco. Fabio ne avrebbe avuti 52, Davide ne aveva compiuti 51 ad agosto (in apertura sul traguardo dei mondiali di Stoccarda 1991, chiusi con l’argento).
Nel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistraNel 1990 in Giappone, Gualdi vinse l’oro ai mondiali dilettanti. Argento per Caruso, alla sua sinistra
Cosa hai pensato quando hai saputo che Davide era morto?
La prima reazione è stata chiedersi perché. Poi monta la rabbia. Quindi cerchi di metabolizzare e cominci a ragionare. Finché a un certo punto ti dici di essere stato fortunato, perché tutto sommato dopo tanti anni in bici, t’è andata bene. Io ho smesso perché un’auto di fronte ha girato nella strada laterale e mi ha preso in pieno. Io però posso raccontarlo e ringrazio il cielo.
Come l’hai saputo?
Avevo appena finito l’influenza ed ero a casa in smart working. A un certo punto mia moglie arriva e mi dice: «Hai visto? E’ morto Rebellin!». Cosa dici? Ho aperto subito internet e ho visto tutto, saranno state le tre del pomeriggio. E da quel momento, non ho fatto più nulla fino alle sei di sera. Ero in una sorta di trance. La cosa assurda è che ero sullo stesso divano di quando morì Fabio. Ero arrivato dall’allenamento. Mia moglie era davanti alla tele in lacrime. «Si è fatto male Fabio – mi dice – è caduto al Tour». Mi ricordo che deve essere tornata la sera alle 20 per dirmi che bisognava cenare e di andare prima a farmi la doccia, perché ero ancora vestito da bici. Penso che dopo tante cose e tante fatiche, nessuno dei due ha potuto godersi la propria storia. Nessuno di loro ha avuto la fortuna di godersi la paternità…
Da quanto non parlavi con Davide?
Ci scambiavamo messaggi su Instagram. La settimana scorsa mi chiama Mauro Consonni e mi dice: «Mirko, guarda, qua a Como nessuno ha ricordato i trent’anni dalle Olimpiadi. Voglio organizzare una serata al Panathlon, una cena con te, Rebellin e Giosuè Zenoni, per parlare di quel mese». Gli ho risposto subito: «Guarda, è bellissimo. Giosuè vado a prenderlo io, così non guida di notte. E Davide, se vuoi cerco il numero da qualche parte, lo contattiamo». Ero felicissimo di poterlo vedere.
Olimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè ZenoniOlimpiadi di Barcellona, tre azzurri in gara: qui Casartelli e a sinistra il cittì Giosuè Zenoni
Cosa ricordi della preparazione alle Olimpiadi?
Ho in testa l’immagine di loro due sul letto e io in fondo, perché dormivo in un’altra stanza. Eravamo in altura al Maloja, c’erano i letti matrimoniali alla tedesca coi sacchi sopra. Io ero in singola, quindi andavo da loro a rompere le balle. Fabio era simpaticissimo, una macchietta. Si rideva, si scherzava e si sparavano le solite cavolate da ventenni. Davide rideva sempre e stava al gioco. Eravamo dei ragazzi che in quel momento condividevano lo stesso sogno. Ognuno sapeva di avere le proprie carte. E sapevamo anche che unendo le forze, uno dei tre avrebbe potuto riuscirci.
Ci riuscì Casartelli…
Fu festa grande, per tutti e anche per me, anche se non vinsi. Anzi, vi dirò di più. Dopo la premiazione, accompagnai Fabio e Annalisa alle televisioni e feci un po’ da tutore. Gli dicevo che cosa gli avrebbero chiesto, cosa avrebbe dovuto fare, perché avendo vinto il mondiale due anni prima, ricordavo le cose. Li mettevo anche un po’ in guardia.
Davide forse era il più controllato…
Inizialmente c’era un grande divario. Invece col passare dei giorni, lui forse aveva più fondo, ma per un percorso come quello di Barcellona, la condizione di Fabio e la mia iniziarono a diventare più affidabili. Pensavamo che il caldo avrebbe fatto più differenza, invece no. Quando attaccavo sulla salita e arrivava il momento di dare la botta decisiva, la salita era già finita. Perciò, quando nella fuga in cui ero io rientrò Fabio e poi attaccò, feci di tutto per stoppare gli inseguitori. Erano in fuga in tre, pedalavano verso una medaglia. Nessuno si voltò. La foto dei tre a braccia alzate sull’arrivo è l’essenza delle Olimpiadi.
Barcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfettaBarcellona 1992, Casartelli vince la volata della fuga a tre. La tattica degli azzurri è perfetta
Quanto eravate professionisti nel vostro essere dilettanti?
Ai tempi, c’era un dilettantismo bello. Però a suo modo era già un professionismo, nel senso che comunque eravamo tutti in ritiro con le nostre squadre, facevamo tutti uno o due allenamenti settimanali con i compagni. C’era chi, come Fabio, era costretto da Locatelli. Chi come me che era costretto a stare in ritiro dalla distanza. E poi Davide che tutto sommato aveva un gruppo di corridori vicino a casa, che si aggregavano a lui quando dovevano fare chilometri.
Era forte?
Era nato per essere un atleta e poi un ciclista. Io penso che la sua colazione da atleta l’avrebbe fatta sempre e comunque in ogni momento della sua vita. La colazione, la ginnastica per la schiena, lo stretching… Non era un sacrificio per lui e io per questo lo ammiravo tantissimo. Era veramente forte e lo vedevi che si stava già preparando per il professionismo. La regola era che finivi le superiori, poi facevi il militare e dal secondo/terzo anno cominciavi a stringere i tempi. Dovevi menare, passare entro il quarto anno al massimo, sennò dopo eri vecchio. Poi successe che nel 1990 fermarono me e tutti quelli di interesse azzurro con il blocco olimpico, altrimenti saremmo passati prima.
C’era fiducia che poteste vincere una medaglia?
Corremmo in tre il Giro dell’Umbria del 1992, facendo battaglia. C’era Pantani che aveva appena vinto il Giro d’Italia, ma cadde prima della crono di apertura e nemmeno partì. Era la corsa a tappe dopo il ritorno dall’altura e quindi dovevamo metterci in crisi. Voleva dire soprattutto non guardare al risultato e cercare di far fatica. Quindi attaccare, andare in fuga, correre di squadra. Non si andava fortissimo e noi percepivamo di aver fatto tanto carico. Così erano già cominciate le voci su cosa avremmo potuto combinare alle Olimpiadi, ma noi sapevamo che il lavoro sarebbe venuto fuori. Vedevamo la tranquillità di Zenoni e di Fusi. E avendo vissuto negli anni precedenti quello che succedeva a livello di condizione atletica, ero tranquillo anche io. Sapevamo che la gamba sarebbe arrivata.
L’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscenteL’anno prima delle Olimpiadi, Rebellin aveva corso un grande mondiale di Stoccarda. Gualdi era campione uscente
Aver condiviso questa avventura ha creato un rapporto prezioso?
C’era come un filo che ci teneva uniti, anche se poi si stava a lungo senza vedersi. Davide lo vissi quando venne alla Polti e facemmo anche un Giro d’Italia insieme. Fabio a quel punto non c’era già più, ma ero sempre rimasto in contatto con Annalisa. In realtà più Maria, mia moglie. Scherzando diciamo che Annalisa vuole più bene a lei che a me. Quando morì Fabio, pochi giorni dopo Maria andò a casa da lei che era là da sola col bambino. E lei si lasciò andare, parlavano di tantissime cose, senza che mia moglie mi abbia mai raccontato niente. E probabilmente in quei momenti si creò anche questo doppio legame. Che poi, diciamocelo chiaramente, eravamo tre esponenti di tre squadre molto rivali fra loro. Io poi ero andato via da Locatelli e avevo vinto il mondiale, quindi quando ci si incontrava alle gare, c’era proprio una guerra aperta. Non potevi essere amico dei corridori di Locatelli.
Chi era Fabio Casartelli?
Fabio era un bravo ragazzo, determinato come noi altri due. Eravamo una squadra e sebbene fossimo stati scelti da un altro tecnico, alla fine in quella camera nacque la complicità per vincere le Olimpiadi.
C’erano punti in comune fra voi?
Anche se sotto diversi punti di vista, eravamo tutti e tre simili. Un po’ della mitezza di Davide me la sento anch’io nel carattere e ce l’aveva sicuramente anche Fabio. Si rideva e si scherzava, eravamo sempre gentili con i meccanici. C’era un bel tasso di bontà d’animo, ma non crediate che fossimo remissivi. Davide era sagace, sottile. Eravamo tutti e tre innamorati di quello che facevamo e intelligentemente sottili nel nostro modo di essere. Avevamo il fuoco che ardeva dentro e la serenità nell’affrontare le cose.
Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991Secondo Gualdi, con un po’ di convinzione in più, Rebellin avrebbe potuto vincere il mondiale1991
Di quei tre sei rimasto soltanto tu…
Ho smesso nel 2000 e Fabio non c’era già più. Davide aveva la sua strada. Ho tifato per lui da lontano. Sapete quante volte ho pensato che sarebbe stato bello lavorare per lui quando era alla Gerolsteiner? Sarebbe stato bellissimo e l’ho pensato tante volte quando ho smesso, ma non l’ho mai detto nessuno. Lui era uno che gratificava i compagni, basta vedere quello che hanno detto tutti in questi giorni. Aveva un bel modo di fare
Era davvero così buono Rebellin?
L’unico difetto che aveva, una caratteristica che rifletteva il suo essere mite, era che in alcuni casi era portato ad attendere per paura di aver sopravvalutato la propria forma, la propria condizione. Non si rendeva conto di essere lui uno dei più forti del gruppo. Una volta ai Paesi Baschi nella riunione pre gara disse che si sarebbe mosso quando anche quelli forti fossero partiti. Lo guardammo e gli dicemmo che era lui il più forte e che gli altri aspettavanolui. Però era la traslitterazione del suo carattere, nel suo atteggiamento in gara. Se avesse avuto il coraggio di perdere, il mondiale 1991 l’avrebbe vinto lui. Quando è partito Ržaksinskij, se gli fosse andato dietro lui, l’altro si sarebbe rialzato e Davide avrebbe potuto anche vincere la volata di quelli dietro.
Hai parlato con Zenoni?
A lui ho detto: «Giosuè, accetta il mio abbraccio, come quello di un figlio che abbraccia un padre». Io non ho più un papà, lui non ha avuto figli, ma so che Davide era particolare. Ho voglia di vederlo e di stare insieme anche a Fusi che non vedo da tantissimo. Credo che andremo insieme al funerale. Il viaggio verso Madonna di Lonigo sarà il momento di stringersi ancora di più.
Incuriositi dall'intervista dei giorni scorsi, abbiamo chiesto a Davide Rebellin in cosa consista la sua alimentazione quasi vegana. E si è aperto un mondo
Kreuziger ovviamente non poteva immaginare che la presentazione della sua iniziativa sulla sicurezza stradale – Dam Respekt, darò rispetto – sarebbe arrivata alla vigilia della morte di Rebellin, ma forse oggi più che mai l’impegno di tutti diventa cruciale. A Monaco domenica si stava bene e in giornate come quella fai fatica a pensare alle bruttezze della vita. Davide era uno del gruppo, con la sua maglia Work Service, mentre Roman vestito con la tenuta nera del Team Bahrain Victorious aveva appena illustrato il suo progetto e da lì eravamo partiti per raccontare il primo anno sull’ammiraglia.
«Abbiamo iniziato tre anni fa – raccontava Kreuziger – dopo quello che era successo in Italia con Michele. Mia moglie, un suo collega ed io. Abbiamo visto che sulle strade c’è mancanza di rispetto e così ci siamo messi a pensare cosa si potesse fare. Sono nati dei video, uno spot di pubblicità in televisione, in cui abbiamo messo gli autisti e i ciclisti. Perché alla fine tanta gente li divide e non vuole metterli nello stesso gruppo, però la strada è una e bisogna unirci e rispettarci. Quindi il nostro motto è che non dobbiamo amarci, però rispettarsi già sarebbe importante. Ognuno deve partire da se stesso e dare l’esempio, perché è facile lamentarsi che la colpa sia degli uni o degli altri, in realtà riguarda tutti».
Riguarda tutti: potrebbe essere il prossimo slogan…
I nostri comportamenti finiscono sugli altri, quindi ognuno deve partire da se stesso. Così abbiamo preparato tanti altri video contenuti nel nostro account Youtube e siamo in contatto con le autoscuole, che così cominciano a far crescere la cultura della gente. Abbiamo coinvolto la Polizia, l’Autoclub della Repubblica Ceca, abbiamo tanti ambasciatori di altri Sport, dal tennis al ciclismo, cantanti e artisti. Qui a Monaco c’ero stato l’ultima volta a gennaio per fare i video con Elia, con Jasper Stuyven, con Lizzie Deignan, Wout Poels, Valgren…
Come si va avanti?
L’idea è di portarlo più avanti e sperare di condividerlo con altri Paesi. E’ una strada molto lunga, perché se uno guarda le statistiche sui social media, sembra che ci sia la guerra assoluta. Però guardandole com’erano prima che il progetto partisse, la situazione sta migliorando e questo mi fa piacere. Ma sicuramente non possiamo accontentarci, c’è ancora tanto da fare…
Un grosso camion circola sulle strade della Repubblica Ceca, ricordando la distanza di sicurezzaMerchandising che viene esposto e distribuito negli eventi sportiviUn grosso camion circola sulle strade della Repubblica Ceca, ricordando la distanza di sicurezzaMerchandising che viene esposto e distribuito negli eventi sportivi
Anche perché nel mezzo c’è il nuovo lavoro di direttore sportivo…
Mi considero fortunato. Ho deciso di smettere e sono entrato in un ambiente di gente che conosco da tanti anni. Mi hanno aiutato tanto, non è un lavoro semplice. Se l’anno scorso non sapevo cosa affrontare, dopo un anno ho capito quanto lavoro c’è per far correre una squadra. Da corridore è molto più semplice. Ti alleni le tue 4-5 ore invece qui sei operativo 7-24 e devi pensare a mille cose. Da corridore non capivi che cosa avessero i direttori da essere stanchi. Adesso è chiarissimo, però penso anche che sono entrato bene e sono contento di continuare a farlo.
Ti ispiri a qualche direttore del passato?
Io penso che ognuno ha il suo carattere e non si può copiare qualcun altro. Però a me è sempre piaciuto Bjarne Riis, come lavorava coi corridori, il feeling che aveva con loro e con il personale. Secondo me, quando credono in un direttore, si fa la differenza, perché non dubitano di quello che gli proponi.
Fra i testimonial riportati nel sito di Dam Respekt, Peter Sagan occupa un posto di rilievoFra i testimonial riportati nel sito di Dam Respekt, Sagan occupa un posto di rilievo
Secondo te essere sceso di bici da un anno è un vantaggio nel parlare con i corridori?
Sì, sicuramente c’è un muro più piccolo. Anche se i corridori dopo un po’ capiscono che sei dalla parte del management, quindi accettano che sei direttore e non puoi concedergli sempre tutto, sicuramente ti sentono ancora vicino. Da noi adesso siamo in due ad essere appena scesi da bici. Vedi le cose in modo diverso, vieni da diverse squadre e anche se al Bahrain c’è una bella struttura, puoi sempre aggiungere qualcosa. Quindi aver smesso da poco è sicuramente un vantaggio.
Da direttore sono più belle le classiche o i Giri?
A me piacciono sempre i grandi Giri, però negli ultimi anni preferivo le corse di un giorno. Per cui in un programma ideale, mi piacerebbe ripartire di nuovo con le Ardenne, perché le sento, le conosco. E sicuramente se il direttore fa le gare di cui era appassionato da corridore, anche dalla macchina riesce a dare qualcosa di più.
Kreuziger è passato in ammiraglia da inizio 2022. Qui alla VueltaKreuziger è passato in ammiraglia da inizio 2022. Qui alla Vuelta
Nelle WorldTour ci sono tante professionalità molto specifiche, il direttore deve sapere un po’ di tutto?
A me interessa un po’ tutto. Lo staff è sicuramente cambiato rispetto a quando sono passato io, quando i corridori erano più attaccati ai direttori, mentre adesso la persona di fiducia è il coach e si fanno tanti meeting. Però io sono dell’idea che sentire i corridori è importante come pure non avere solo un certo gruppo. Se ti dicono che hai un gruppo di 5-6 corridori e poi non li vedi durante tutto l’anno, le cose non vanno. Quindi una volta che hai il programma, è importante sentirli e capire le loro idee. Perché una cosa sono i numeri che ti dicono i coach, altro il feeling del corridore con la gara.
Prima della corsa studi il percorso o cosa fai?
Abbiamo una struttura in cui si osservano certi protocolli. Sai cosa ti aspetta, devi studiare più che altro gli avversari e la squadra che hai. Io ad esempio ero uno che nei grandi Giri faceva tanti calcoli. Invece nelle gare di un giorno bisogna essere più aperti e non avere paura. C’è da rischiare e avere corridori giovani lo rende più facile, perché quelli vecchi sanno già come vanno le cose. I giovani sono più flessibili.
La vittoria dell’Amstel 2013, oltre a San Sebastian 2009, è il miglior risultato di Kreuziger nelle classicheLa vittoria dell’Amstel 2013, oltre a San Sebastian 2009, è il miglior risultato di Kreuziger nelle classiche
Tu sei stato uno junior fortissimo e poi sei passato a 19 anni. Gli junior fenomenali di adesso somigliano a quel Roman?
Secondo me sono molto più avanti, perché gli juniores di oggi sono quasi corridori fatti. Hanno già conosciuto nutrizionisti e allenatori. Da un lato penso che sia bene che tutto si sposti un po’ più avanti. Dall’altro però è sbagliato, perché secondo me non bisogna scordarsi che gli juniores e prima gli allievi devono prima finire le scuole. Non possono diventare tutti i professionisti, invece secondo me qualcuno se ne sta dimenticando. E questo è un errore.
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