Il fascino di San Sebastian, la nostalgia di Casagrande

08.08.2024
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Le Olimpiadi si avviano alla conclusione, ma intanto il WorldTour riparte e propone per sabato la classica per antonomasia dell’estate, la prova di San Sebastian che ha sempre rappresentato una sorta di recupero per chi usciva dal Tour con ambizioni, ancora inappagato dalle tre settimane di corsa francese. Una sfida che è andata un po’ cambiando nel corso del tempo: sempre amatissima in terra basca, dove il pubblico si riversa in massa sulle strade, ha forse perso un po’ dello smalto del passato ma resta uno di quegli appuntamenti che impreziosiscono una carriera.

Casagrande a San Sebastian nel 1998, quando regolò in volata Merckx e Piepoli
Casagrande a San Sebastian nel 1998, quando regolò in volata Merckx e Piepoli

Lo sa bene Francesco Casagrande, classe 1970, che la Clasica di San Sebastian l’ha vinta per due volte, nel 1998 e nel 1999: «Era però una corsa ormai di un’altra epoca – ammette il toscano – anche dal punto di vista tecnico è molto cambiata. Una volta ci si giocava tutto sullo Jaizkibel e noi sapevamo che su quella salita si decideva la corsa e dovevamo farci trovare pronti. Adesso invece ci sono almeno un paio di strappi duri dopo, quindi molti tirano un po’ indietro la gamba sullo Jaizkibel e aspettano. Infatti difficilmente emergono scalatori puri, più passisti che tengono bene in salita».

Questo quindi ha cambiato la strategia secondo te?

Indubbiamente, perché si evita di spingere a tutta sulle rampe della salita principe, che di suo è impietosa. Diciamo che oggi lo Jaizkibel serve soprattutto per capire chi è in condizione e chi no, è lì si imposta la corsa, si decide che cosa fare sulle salite successive. Non è più uno spartiacque, ma resta un punto importante per sapere come la corsa finirà.

Le sfide fra Casagrande e Rebellin hanno caratterizzato il cambio di secolo, anche in Spagna
Le sfide fra Casagrande e Rebellin hanno caratterizzato il cambio di secolo, anche in Spagna
Anche ai tempi tuoi però dettava un po’ la tattica per le varie squadre…

Io vinsi le mie due gare in maniera diversa. Premesso che in quella corsa sono sempre andato bene anche perché per me i mesi caldi erano quelli della migliore condizione, il primo anno ero alla Cofidis e feci lavorare la squadra con il preciso intento di forzare sulla salita. Lì andammo via in 3, con me c’erano Axel Merckx e Piepoli. Scollinammo con una trentina di secondi di vantaggio, ci aspettavano oltre 30 chilometri prima dell’arrivo ma trovammo un buon accordo e non ci ripresero più, poi ce la giocammo in volata dove sapevo di essere più forte.

Nel 1999?

L’anno dopo fu più difficile. Avevo cambiato squadra, ero alla Vini Caldirola, dove Donati fece un lavoro eccezionale per lanciarmi. Questa volta quando scattai nessuno venne dietro, ma in cima avevo una ventina di secondi su un gruppo di una ventina di corridori. Sinceramente pensavo che non ce l’avrei fatta, ma volli comunque provarci e la parte finale diventò una sorta di cronometro. Ai -5 il gruppo era a una decina di secondi, ma per fortuna fra loro non c’era collaborazione. Io tenni duro e arrivai. Una bella impresa allora, oggi sarebbe considerata una cosa quasi normale…

La volata vittoriosa di Jalabert nel 2001, su Casagrande e Rebellin
La volata vittoriosa di Jalabert nel 2001, su Casagrande e Rebellin
Perché secondo te non emergono più gli scalatori puri?

Probabilmente perché la figura dello scalatore non esiste più, se lo consideriamo nell’etimologia di una volta. Ma io penso che non ci siano proprio più le categorie che conoscevamo: scalatore, passista, velocista… Oggi ci sono i vincenti, quelli che vanno forte dappertutto, in salita come in pianura. Questo sta cambiando tutto, grazie anche ai progressi tecnologici. Trovi gente che vince le corse a tappe e le classiche, che va via da lontano ma vince anche in volata. E’ un ciclismo diverso, io dico che è frettoloso: già a 18 anni vivi con la paura che nessuna squadra ti prenda, che non trovi la tua strada, sei quasi spacciato. A me non piace molto.

Guardandoti indietro c’è un’edizione che ti ha lasciato amarezza?

Quella del 2001. Eravamo in fuga con Jalabert, Belli e il compianto Rebellin. Sull’ultimo strappo provai ad andar via, ma quest’ultimo chiuse il buco facendo così il gioco di Jalabert che sapeva di essere più veloce. Infatti chiusi al secondo posto, ma potevo fare tris.

Evenepoel, vincitore lo scorso anno, circondato da una marea di tifosi
Evenepoel, vincitore lo scorso anno, circondato da una marea di tifosi
Che corsa è?

Incredibile, c’è un pubblico e un frastuono che non senti da nessun’altra parte. Io ho sempre avuto un bel rapporto con i Paesi Baschi, tra l’altro vincevo spesso lì perché quelle strade mi si addicevano. Infatti ho conquistato due volte il Giro dei Paesi Baschi e la Subida a Urkiola. Mi sentivo quasi a casa, quella è la regione più tifosa di Spagna. Allora però la corsa valeva per la Coppa del mondo, ci andavano praticamente tutti, oggi è una delle tante e questo un po’ mi dispiace. Ma i Paesi Baschi li adoro, penso che ci andrò in vacanza, naturalmente in bici…

Sevilla, il “nonno” del ciclismo che non vuole mollare

25.02.2024
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Ha 47 anni, ma per entusiasmo e voglia di correre è più giovane di tanti che hanno meno della metà dei suoi anni e con cui compete ancora oggi. All’ultimo Giro di Colombia si è ritirato prima della quarta tappa per i postumi di una caduta che gli ha procurato l’ennesima frattura di una clavicola, ma nella seconda era stato ancora capace di salire sul podio. Oscar Sevilla è ormai il “nonno” del circo internazionale delle due ruote. Lo spagnolo agisce prevalentemente in Sudamerica, in particolare in Colombia, ma se non ci fosse stata quella frattura, magari lo avremmo rivisto anche da queste parti.

All’ultimo Giro di Colombia Sevilla ha centrato il podio nella seconda tappa, ma poi è caduto rovinosamente
All’ultimo Giro di Colombia Sevilla ha centrato il podio nella seconda tappa, ma poi è caduto rovinosamente

I segreti di Sevilla

Sempre sorridente e disponibile, Sevilla assume sempre più quel ruolo che, da noi, aveva il compianto Davide Rebellin. Forse anche lo spagnolo supererà le 50 primavere continuando a gareggiare, infatti non ha la minima intenzione di mollare.

«Ho tre segreti: entusiasmo, disciplina e sacrificio. Amo ciò che faccio e non mi lamento. Sento spesso ciclisti di 30 anni che militano in squadre WorldTour e si lamentano perché la corsa è lontana, perché piove, perché faticano… Non sto neanche a giudicare l’aspetto economico, ma se fai questo mestiere devi rispettarlo. Io ringrazio per poterlo ancora fare, per avere la salute che mi consente di allenarmi ancora come una volta».

Sevilla parla di entusiasmo e questa è una parola ricorrente nelle sue confessioni riservate ai giornalisti, incuriositi da questo esempio di corridore controcorrente in un ciclismo che chieder sempre più gioventù.

«L’entusiasmo ti rende giovane – dice – ti fa dimenticare la carta d’identità. Per tutta la vita – e non parlo solo nello sport – devi sempre avere entusiasmo per fare le cose, imparare e progredire. Io non ho mai smesso, lo faccio ancora oggi, continuo a imparare e a conoscermi sempre di più. Lo sport porta con sé una data di scadenza, ma io la sposto sempre in avanti proprio grazie all’entusiasmo».

Nel 2001 il corridore di Ossa de Montiel ha perso la Vuelta nella crono finale
Nel 2001 il corridore di Ossa de Montiel ha perso la Vuelta nella crono finale

Il primo contratto firmato

La storia di Sevilla non è quella di un corridore comune. E’ passato professionista quand’eravamo ancora nel secolo scorso, nel 1998: «Era il 27 luglio, lo ricordo come fosse ieri. La Kelme mi aveva messo sotto contratto e io andavo in giro per la città correndo e saltando come un pazzo, non riuscivo a crederci». Nel 2001 chiuse secondo un’edizione particolare della Vuelta di Spagna, senza grandi nomi, perdendo dopo tre settimane da Angel Casero per 47” cedendogli la maglia nella crono finale.

Il bello è che oggi la cronometro è diventata un suo punto di forza: «Negli ultimi anni ci ho lavorato molto, ma soprattutto mi sono applicato anche di testa. Mi piace studiare l’aerodinamica, la concentrazione che richiede, il lavoro sui watt. Leggo spesso tabelle e studi di chi opera nel WorldTour, guardo anche le proposte tecniche delle aziende. Poi magari capita di correre la crono con la bici da strada, in Colombia succede e mi resta il dubbio di che cosa avrei potuto fare con uno strumento più adatto…».

L’iberico continua a cogliere risultati: nel 2023 ha messo tutti in fila al Tour of Hainan
L’iberico continua a cogliere risultati: nel 2023 ha messo tutti in fila al Tour of Hainan

Sveglia alle 5

Sevilla è per molti versi più professionista degli altri. Si alza alle 5 del mattino per prepararsi per l’uscita. Quando la famiglia è con lui, la moglie gli prepara cibo e succhi da portarsi dietro per i suoi allenamenti che vanno dalle 4 alle 6 ore. Quando fa uscite minori esce addirittura a stomaco vuoto.

«Condivido i miei allenamenti con molta gente che conosco nel massimo circuito – dice – chiedo pareri, mi confronto. Negli anni ho visto che non dobbiamo dedicarci solo alla bici, ma lavorare anche su altre parti del corpo che chi fa questo mestiere spesso dimentica. Invece lavorarci sopra significa prevenire gli infortuni».

Vuelta a San Juan 2023, Sevilla insieme a Remco Evenepoel: la metà dei suoi anni
Vuelta a San Juan 2023, Sevilla insieme a Remco Evenepoel: la metà dei suoi anni

Allenamento ed esperienza

Per l’iberico, che milita nel Team Medellin e sta vivendo la sua venticinquesima stagione da professionista, la cura del corpo è un must.

«Il mio fisico risponde e mi sento un privilegiato a poter ancora lottare attraverso di esso con i più giovani – ha confidato a Rtve l’età senza allenamento non porta risultati. Invece se sei più grande e ti alleni bene, sei competitivo perché di fianco a quel che ti può dare il corpo (che non risponde più come quand’eri giovane) hai l’esperienza dalla tua. Io non ho mai gettato la spugna, neanche nei momenti difficili (nel 2011 era stato sospeso per positività a un anticoagulante, ndr), voglio continuare a lottare per essere un esempio. Certe volte i risultati perdono importanza di fronte a quel che posso fare per un compagno più giovane, per insegnargli qualcosa. Voglio trasmettere passione a chi corre con me e a chi guarda».

Sevilla alla Vuelta al Tachira 2021, chiusa al 2° posto dietro il venezuelano Campos (foto organizzatori)
Sevilla alla Vuelta al Tachira 2021, chiusa al 2° posto dietro il venezuelano Campos (foto organizzatori)

La pensione è lontana

Un contributo fondamentale per la sua carriera deriva dalla famiglia, che lo ha sempre appoggiato: «Cerco di passare più tempo che posso con mia moglie e i figli, anche se per molti periodi loro sono in Spagna e io dall’altra parte del mondo. Cerco di essere presente per quanto posso nella loro vita, nella scuola dei figli, quando c’è qualche incontro con i genitori o qualche iniziativa extrascolastica. E da parte loro mi danno la carica per insistere, per andare avanti».

In carriera Sevilla ha vinto 76 volte, ultima la classifica generale del Tour of Hainan dello scorso anno. Di lasciare, non ne ha proprio voglia: «Non so che cosa farò quando arriverà il momento – dice – vorrei restare nell’ambiente, insegnare ai giovani, ma non ho un futuro segnato. Una cosa che ho imparato negli anni è che non sai mai che cosa c’è dietro l’angolo, che cosa c’è in serbo per te. D’altronde chi lo avrebbe detto nel ’98 che sarei stato ancora qui?».

EDITORIALE / Silvia, Davide e le foto ricordo

05.06.2023
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«Sopravvivo»: un abbraccio e questa sola parola per raccontare la sua vita da quel giorno di aprile 2021, quando l’auto guidata da una donna con troppa fretta e zero senso di responsabilità portò via sua figlia Silvia Piccini.

Come per Marco Scarponi e Marco Cavorso, la vita di Deyanira Reyes e del marito Riccardo da allora sono diventate una dolorosa esposizione perché l’immenso sacrificio non sia stato invano. Li abbiamo incontrati al Giro d’Italia sulla cima del Monte Lussari, nell’hospitality ricavata sul tetto della stazione della cabinovia, con le magliette che ricordano il sorriso della figlia e la possibilità da quest’anno di donare il 5 per mille in dichiarazione dei redditi per promuovere le loro iniziative (gli estremi a questo link, ricercando Aps Con il Sorriso di Silvia Piccini).

Due mesi dopo la morte di sua figlia, Riccardo aveva pedalato dal Friuli fino a Piazza San Pietro, per portare Silvia a Roma. Lo avevamo incontrato alle porte della Capitale e le sue parole ci avevano scosso. Da quel viaggio, il friulano non ha più toccato la bicicletta, come se la pagina si fosse chiusa in quel momento e senza Silvia su quei pedali non ci fosse più un senso.

Il camionista sparito

E’ davvero difficile vendere il cambiamento, convincersi che qualcosa si stia muovendo. E’ difficile non sentirsi presi in giro, vedendo per l’ennesima volta il servizio realizzato dalle Iene sulla morte di Rebellin e il camionista che lo travolse.

«Dopo mezz’ora avevano tutto per prenderlo – dice il barista veneto intervistato – invece l’hanno identificato dopo tre giorni».

Già, perché il tipo non sarebbe affatto scappato, come farebbe comodo far credere per giustificare il fatto che se ne stia impunito in Germania. Ha visto sì il corpo di Davide – racconta suo fratello – poi sarebbe rimasto sul posto ad aspettare per 10 minuti. Da lì ha fatto pochi chilometri ed è andato a caricare due bancali di vino. In seguito si è spostato a Verona per un altro carico e lì ha dormito. L’indomani ha caricato a Pastrengo e alle 12 a Bolzano. E solo a quel punto è passato in Austria e da lì in Germania.

«La stampa italiana ha già spiegato tutto – il fratello rincara la dose – se la Polizia avesse fatto il suo lavoro e non la stampa, la questione sarebbe stata già chiarita».

Anche se è difficile da credere, il fratello dice che Wolfgang Rieke non si sarebbe accorto di aver procurato lui l’incidente. In ogni caso, forse viziati dalle serie tivù da cui siamo bombardati, troviamo difficile capire. Possibile che un camion segnalato non sia stato rintracciabile nei suoi spostamenti nelle 24 ore successive all’incidente?

Al funerale di Rebellin sono state spese tante belle parole, cadute però nel vuoto
Al funerale di Rebellin sono state spese tante belle parole, cadute però nel vuoto

La condanna indecente

Silvia ha una storia tutto sommato simile. Anche la donna che l’ha uccisa ha ritenuto opportuno rinnegare l’umanità e rifuggire qualsiasi forma di contatto con la famiglia Piccini, evitando persino di presentarsi alle udienze che hanno portato al patteggiamento. Lo stesso giudice lo ha fatto notare, ma la donna aveva il diritto di farlo e ne ha approfittato. Condanna a un anno e 4 mesi, sospensione della patente per tre anni e ugualmente un’annotazione sui social secondo cui il 2021 sarebbe stato un anno molto positivo.

A cosa serve aver istituito il reato di omicidio stradale se poi la punizione è così blanda? E mentre Riccardo Piccini raccontava scenari per nulla (purtroppo) sorprendenti sul fatto che magari certe sanzioni si possono anche aggirare perché tanto nessuno ti controlla, ci è venuta in mente la vicenda di Niccolò Bonifazio.

Il 12 luglio scorso, un’auto che marciava contromano investì e trascinò il corridore ligure. Solo che in questo caso l’investitore, un anziano delle sue parti, ha preso a chiamarlo e perseguitarlo. Nonostante il ritiro della patente, ha continuato a guidare. Finché, solo di recente è stato nuovamente fermato e la storia si è chiusa.

A cosa porterà l’incontro fra il presidente Dagnoni e il ministro Piantedosi? (foto Federciclismo)
A cosa porterà l’incontro fra il presidente Dagnoni e il ministro Piantedosi? (foto Federciclismo)

Le foto ricordo

Giusto ieri, alla partenza della Green Fondo Paolo Bettini di Pomarance (foto di apertura), alla partenza faceva bella mostra di sé il cartello sul metro e mezzo da osservare al momento di sorpassare un ciclista. Ne abbiamo parlato molto ed è giusto continuare a farlo: Silvia Piccini non sarebbe morta, invece l’Audi che la uccise viaggiava a velocità troppo sostenuta e la agganciò per un pedale. Tutti i corridori, chi più e chi meno, hanno messo la faccia su iniziative simili. La loro Associazione ha apposto il proprio logo, ma le cose non cambiano. Il presidente federale Dagnoni ha incontrato il Ministro dell’Interno Piantedosi, poi sono state presentate delle proposte di riforma al Codice della Strada.

Servirebbe a qualcosa fermare o ritardare una tappa del Giro d’Italia in onore dei morti della strada, anziché per le avverse condizioni del meteo?

Nel 2021, anno della morte di Silvia Piccini, come pure oggi, i notiziari riportavano gli orrendi numeri dei femminicidi in Italia: 119 donne ammazzate, numeri da bollettino di guerra. Negli stessi 12 mesi i ciclisti ammazzati sulle strade sono stati invece 229, quasi il doppio. Peccato però che loro non facciano per nulla notizia.

Legge Scarponi e proposta e-bike: si parla di sicurezza

06.04.2023
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Una proposta di legge e un progetto intento a regolamentare l’utilizzo delle e-bike. La sicurezza ritorna a fare rumore, questa volta nella direzione della prevenzione. Tragedie come quella di Michele Scarponi o la più recente e straziante che ha colpito Davide Rebellin sono causa di discussione e impulsi per fare qualcosa in merito all’incolumità dei ciclisti in strada. 

La “Legge Scarponi” depositata in Senato dal senatore Alberto Losacco prende il nome appunto dal ciclista marchigiano a testimonianza di una ferita ancora aperta che deve essere ricucita con tutele. Il fulcro della proposta consiste nell’introduzione della distanza minima di sorpasso pari a un metro e mezzo.

Il progetto di legge, proposto dal consigliere regionale del Veneto Marco Dolfin, consiste in un decalogo sulla sicurezza stradale relativo alla circolazione delle e-bike.

Qui il murales dedicato a Scarponi in corrispondenza dell’incrocio dove è avvenuto l’incidente
Qui il murales dedicato a Scarponi in corrispondenza dell’incrocio dove è avvenuto l’incidente

Un metro e mezzo

Il progetto, che porta il nome di Michele Scarponi, dispone le modifiche agli articoli 148 e 149 del Codice della Strada in materia di sicurezza stradale per i ciclisti, introducendo una distanza minima di soprasso pari a un metro e mezzo.

Con questa proposta di legge si introduce uno specifico regime in materia di sorpasso. All’articolo 1, si dice che il conducente di un qualsiasi veicolo che effettui il sorpasso di un velocipede sia tenuto a usare tutte le cautele necessarie al fine di assicurare una maggiore distanza laterale di sicurezza e ad accertarsi dell’esistenza delle condizioni predette per compiere la manovra in completa sicurezza per entrambi i veicoli. Si prevede, altresì, l’obbligo da parte del conducente di mantenere, durante la manovra di sorpasso, una distanza laterale di sicurezza pari ad almeno un metro e mezzo, adeguata a scongiurare qualsiasi tipo di rischio.

«I numeri relativi agli incidenti stradali che coinvolgono i ciclisti sono terrificanti. Ma dobbiamo ricordare – afferma il senatore Alberto Losacco – che non si tratta solo di numeri, ma di persone. In tale senso è necessario procedere ad una modifica normativa al fine di garantire la massima sicurezza ai ciclisti e accogliere le richieste di cicliste e ciclisti professionisti, amatori, associazioni e introducendo la distanza di sorpasso di almeno un metro e mezzo».

Sulle strade si iniziano a vedere cartelli che sensibilizzano gli automobilisti al rispetto del metro e mezzo
Sulle strade si iniziano a vedere cartelli che sensibilizzano gli automobilisti al rispetto del metro e mezzo

217 morti all’anno

Dal 22 aprile 2017, giorno in cui il campione marchigiano è stato travolto e ucciso da un uomo alla guida di un furgone mentre era in sella alla sua bicicletta, nulla è cambiato. Lo scorso novembre Davide Rebellin, un altro campione caro a tutti gli appassionati, ha perso la vita mentre si allenava sulle strade di casa. Due tragedie che purtroppo alimentano una statistica che vede l’Italia tristemente primatista.

Sono 105, secondo i dati dell’Osservatorio ASAPS (Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale), i ciclisti che hanno perso la vita sulle strade nei primi otto mesi del 2022, tra cui anche quattro minori. Dal 2018 al 2021 in Italia sono morte in media 217 persone ogni anno in incidenti in bicicletta. Più di una ogni due giorni e se analizziamo gli incidenti stradali per cento milioni di chilometri pedalati, l’Italia svetta al primo posto con oltre cinque ciclisti deceduti.

Gli incidenti mortali sulle strade italiane sono in crescita
Gli incidenti mortali sulle strade italiane sono in crescita

Sicurezza per le e-bike

L’avvento dell’elettrico nella mobilità urbana ha investito tutte le città medio grandi dell’Italia lasciando però vuoti a livello di regolamentazione. «La sicurezza sulle strade prima di tutto – dice il consigliere regionale del Veneto Marco Dolfin – sia per chi va in bicicletta “muscolare” o su monopattino e negli ultimi tempi anche sulle biciclette a pedalata assistita, definite anche e-bike. Non parliamo di mondo agonistico e di gare bensì di normale circolazione stradale. E’ arrivato il momento che ci sia totale rispetto delle regole sia per gli automobilisti che per chi si muove sulle due ruote senza motore. Ci vogliono regole e un buon decalogo di norme di comportamento».

Il consigliere Lega – LV propone delle modifiche alla Legge 160 del 27 dicembre 2019 relativa a “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale 2020 – 2022” in materia di velocipedi a pedalata assistita.

«Nella legge 160 è disciplinato l’utilizzo dei monopattini a propulsione prevalentemente elettrica. Disposizioni che possono valere, in modo analogo, anche per l’uso dei velocipedi a pedalata assistita disciplinato dall’art.50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada). Ma l’articolo 50 non contempla delle regole per le e-bike».

La mobilità urbana è una delle motivazioni che spingono all’acquisto di una e-bike
La mobilità urbana è una delle motivazioni che spingono all’acquisto di una e-bike

Il decalogo

Un argomento delicato quello della mobilità elettrica che vede continue evoluzioni e una conseguente crescita esponenziale di mezzi e utilizzatori.

«Dall’ultimo rapporto Aci-Istat – ha puntualizzato Dolfin – sugli incidenti stradali in Italia relativi al 2021, i sinistri registrati con le bici elettriche hanno causato in proporzione molte più vittime rispetto ai monopattini. Ed è giusto che vengano dettate delle nuove regole, vista la velocità che possono raggiungere le bici a pedalata assistita».

La proposta è dunque incentrata su una serie di 5 punti chiave. Le e-bike siano dotate di luce bianca o gialla fissa e posteriormente di luce rossa fissa, entrambe accese e ben funzionanti. Il conducente del velocipede a pedalata assistita circoli indossando il giubbotto o le bretelle retroriflettenti ad alta visibilità dopo le 18. L’uso delle e-bike sia consentito solo da utilizzatori che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età. L’uso di idoneo casco protettivo, sia conforme alle norme tecniche armonizzate UNI EN 1078 o UNI EN 1080, per i conducenti di età inferiore a diciotto anni.

Si chiede inoltre che il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, in collaborazione con il Ministero dell’interno e con il Ministero dello sviluppo economico, avvii una apposita istruttoria finalizzata alla verifica della necessità dell’introduzione dell’obbligo di assicurazione sulla responsabilità civile per i danni a terzi derivanti dalla circolazione dei monopattini elettrici e dei velocipedi a pedalata assistita.

Zambelli: il 2022 con la Work e il saluto a Rebellin

30.12.2022
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I volti nuovi per la stagione 2023 sono molti, un contributo importante lo ha dato la Corratec. La squadra di Parsani, che dalla prossima stagione sarà professional ha aperto le porte a tanti corridori. Samuele Zambelli è uno di loro: 24 anni di Rovereto. Con i professionisti ha già avuto a che fare correndo come stagista con l’Androni nel 2021. Alla fine l’opportunità non si è concretizzata e il trentino ha trovato nella Work Service, che dell’Androni sarebbe stato il vivaio, la rampa di lancio giusta.

Il corridore trentino ha corso dal 2018 al 2021 nella Iseo Rime Carnovali
Il corridore trentino ha corso dal 2018 al 2021 nella Iseo Rime Carnovali

Solita mentalità, anzi…

Gli inverni rischiano di essere tutti uguali, questo però per Zambelli ha un valore differente: è il primo da professionista. Il percorso è stato lungo, ma ora che il sogno si è avverato è giunto il momento di metterci quel qualcosa in più. 

«Dal punto di vista della preparazione – dice – non cambia nulla, i lavori sono gli stessi e le giornate anche. Sto lavorando per fare una bella stagione, ci sto mettendo un po’ di grinta in più perché voglio dimostrare che quanto fatto per arrivare fin qui non è stato per caso. Ho 24 anni, sono più maturo e consapevole dei miei mezzi. Avevo provato a contattare Frassi già la scorsa stagione, ma nella continental non c’era più spazio. Un anno dopo è arrivata la chiamata. Da gennaio sarò in ritiro con la squadra, mentre a febbraio mi aspetta il debutto ufficiale in corsa».

Mediterranei Zambelli
Per Zambelli la prima esperienza con i professionisti è arrivata nel 2021 grazie allo stage con l’Androni
Mediterranei Zambelli
Per Zambelli la prima esperienza con i professionisti è arrivata nel 2021 grazie allo stage con l’Androni

Stage in Androni

Una prima esperienza con il mondo dei professionisti Samuele l’aveva avuta nel 2021 quando fece uno stage con l’Androni. 

«Con la squadra di Savio era stata una bella esperienza – riprende a raccontare – ho avuto la possibilità di fare tante belle corse come il Giro di Sicilia, la Bernocchi o il Gran Piemonte. Sono stato affiancato da tanti compagni di grande esperienza che mi hanno comunque insegnato qualcosa. Purtroppo la rosa per il 2022 era già al completo, ovviamente mi è dispiaciuto non riuscire a passare subito con loro, però il mio momento è arrivato comunque».

La stagione in Work Service è servita per maturare ulteriormente
La stagione in Work Service è servita per maturare ulteriormente

Il passaggio alla Work

Nel mezzo c’è stato l’anno corso con la Work Service, Zambelli ha avuto modo di mettere insieme un calendario ampio ed interessante. Cogliendo l’occasione, forse, di imparare qualcosa di nuovo e di maturare ulteriormente.

«Le occasioni di crescita quest’anno non sono mancate – spiega il trentino – il 2022 è stato un anno molto importante. Fino a gennaio ero rimasto senza squadra e le speranze erano poche però mi sono allenato con la mentalità giusta e con la convinzione di trovare il mio posto. La Work Service mi ha dato fiducia e penso di averla ripagata fino in fondo. Nella prima parte di stagione ero partito forte, poi alla Coppi e Bartali sono caduto ed ho fratturato una costola. Mi sono fermato per un mese, però una volta tornato ho ripreso da dove avevo lasciato. Direi che la costanza mi ha premiato, forse mi è mancato qualche spunto vincente ogni tanto».

Zambelli con alle spalle Konychev (in maglia Bike Exchange) i due saranno compagni di squadra alla Corratec
Il ventiquattrenne ha corso molte gare con i professionisti nel 2022

Corse all’estero e con i pro’

L’occasione di correre con la Work Service ha dato la possibilità a Zambelli di correre all’estero, ben quattro gare per lui. A queste si aggiunge anche l’esperienza dei Giochi del Mediterraneo con la nazionale di Amadori (dove è stato il migliore degli azzurri, undicesimo). In più il calendario lo ha messo più volte sulle stesse strade dei professionisti, potendosi confrontare con il suo futuro mondo. 

«Nelle gare con i professionisti mi sono sempre trovato bene – riprende – chiaramente sono corse più logiche, ma quando aprono il gas se non ne hai rimani lì. Bisogna saper gestire il fisico al massimo. La prima volta che ho corso con i professionisti ero al secondo anno da under 23 e chiaramente ho sofferto molto di più. Negli ultimi due anni sono andato in queste gare con la mentalità di fare bene. All’estero, invece, le gare sono meno controllate e diventano molto dure perché si attacca spesso ed anche da lontano. Le squadre che partecipano sono tutte professional o al massimo qualche continental, ma con corridori di alto livello. E’ importante andare fuori dall’Italia per fare esperienza, alla fine da professionista si corre in tutto il mondo».

Zambelli ha corso molto accanto a Rebellin nel 2022, l’ultima gara fianco a fianco la Veneto Classic il 16 ottobre
Zambelli ha corso molto accanto a Rebellin nel 2022, l’ultima gara fianco a fianco la Veneto Classic il 16 ottobre

Un pensiero per Rebellin

Zambelli, nella stagione 2022 corsa con la Work ha avuto modo di conoscere Davide Rebellin. Un corridore di grande esperienza che ci ha prematuramente lasciato, chiedere qualcosa di lui ad un ragazzo che lo ha vissuto fino a poco tempo fa ci è sembrata la cosa giusta.

«Io e Davide – respira profondamente – quest’anno abbiamo corso spesso insieme. Mi ha sempre dato tanti consigli, non molte parole ma giuste, pesate e pensate. Quando ho letto della sua morte dai vari siti non ci volevo credere, sono stato davvero male, non lo meritava. Davide non l’ho mai visto arrabbiato, nelle riunioni pre gara spesso ci dava dei consigli. Avere un corridore della sua esperienza accanto ti fa sentire tranquillo, soprattutto se a quella esperienza aggiungi tanta, anzi tantissima umanità. Quando succede una cosa del genere pensi che sei invisibile, tante volte noi corridori siamo per strada da soli e ci dicono che diamo fastidio. Molti automobilisti ti passano accanto insultandoti perché pensano che li fai rallentare e dopo cento metri c’è un semaforo rosso. Capisco che le persone vanno al lavoro e possono avere fretta, ma anche noi d’altro canto stiamo lavorando».

Tomasi reagisce: «Penso al 2023, ma c’è da fare di più per la sicurezza»

28.12.2022
7 min
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Se a Natale vale sempre per tutte le età fare la lista dei desideri, siamo certi che sotto il suo albero Laura Tomasi volesse trovarci il segno di un cambiamento civico. Lo scorso 19 dicembre il suo video-denuncia contro l’ennesimo automobilista negligente che l’aveva toccata con la macchina – per fortuna senza conseguenze – ha fatto il giro del web.

L’episodio è successo in Versilia, a Cinquale di Montignoso, proprio sul lungomare nel quale Tomasi nel 2019 aveva colto la sua seconda vittoria da elite nel Trofeo Oro in Euro. Le è successo proprio nel giorno dell’autopsia del povero Davide Rebellin, che forse da lassù ha buttato un occhio ad uno dei suoi tanti colleghi. Coincidenze di un destino, quello del ciclista, che spesso viaggia su frazioni di secondo. O vinci una volata in gara, o vinci la vita in allenamento.

Sempre più comuni italiani stanno installando cartelli che avvertono la presenza di ciclisti in strada
Sempre più comuni italiani stanno installando cartelli che avvertono la presenza di ciclisti in strada

E’ questo non è giusto, non deve essere così, come ha continuato a ripetere la 23enne trevigiana del UAE Team ADQ nel suo video. C’è però una stagione agonistica che bussa alla porta e va preparata. A distanza di qualche giorno abbiamo deciso di sentire dalla sua voce come sta sia moralmente che fisicamente.

Laura del tuo sfogo ci aveva colpito la frase “ho paura ad allenarmi”. Da allora ad oggi come stai in generale?

Ho reagito bene e lo sto facendo tutt’ora. Quel giorno non è stato per nulla facile. L’auto mi è venuta addosso toccandomi duramente dal mignolo fino alla spalla. E’ andata bene perché so destreggiarmi in bici, ma ho avuto un grande shock emotivo. Il video l’ho fatto mezz’ora dopo perché prima ho chiamato il mio fidanzato per trovare un conforto. Sono ripartita in bici dopo un’ora abbondante con quella frase in testa. Non è piacevole sentirsi vulnerabili ad ogni uscita, ma ho capito che devo convivere con questa paura se voglio continuare a fare il mio lavoro, ciò che più mi piace. E poi non voglio farmi sopraffare dalla paura di allenarmi perché sarebbe come darla vinta a questo contesto o alle persone che guidano apposta in modo spregiudicato quando incontrano noi ciclisti.

Ti era già capitato un evento del genere?

Come questo no, però episodi simili ci sono praticamente ogni giorno che mi alleno. Oggi (ieri per chi legge, ndr) ho fatto 120 chilometri e ho rischiato nuovamente un paio di volte. Ora non solo ti fanno il pelo o ti stringono in rotonda come a me in Versilia, ma devi fare attenzione alle auto che vanno nel senso opposto di marcia che si avventurano in sorpassi azzardati. E ti fanno il pelo anche in quel caso. Sono anni che gli automobilisti non ci vedono. Anzi, ci vedono come un intralcio. Non voglio generalizzare. Non tutti gli automobilisti sono delinquenti così come non tutti i ciclisti sono diligenti, ma nessuno si rende veramente conto che stanno guidando un’arma. Forse dovrebbero venire al nostro posto come in quello spot…

Quale?

Circola in rete ormai da qualche tempo quel video in cui un’associazione vuole sensibilizzare la sicurezza stradale. Gli autisti di una azienda di bus vengono fatti pedalare su una bici da spinning mentre il loro stesso pullman passa a pochi centimetri da loro. Hanno reazioni di spavento dopo aver sentito il forte spostamento d’aria. Loro lì sono fermi mentre noi invece andiamo con tutti i rischi del caso. Questo spot dovrebberlo farlo vedere nelle scuole-guida italiane. Servono educazione civica e il rispetto reciproco degli spazi comuni come la strada.

La condivisione della strada tra ciclisti e automobili è possibile ma serve più sensibilizzazione
La condivisione della strada tra ciclisti e automobili è possibile ma serve più sensibilizzazione
Dopo il tuo video hai ricevuto solo messaggi di incoraggiamento o sono arrivati anche commenti negativi?

Entrambi. Sono stati più quelli di solidarietà e sostegno, per fortuna. Comunque alcuni mi hanno scritto dicendo che non devo usare la strada per allenarmi ma le ciclabili? Quali ciclabili? Nel mio allenamento odierno, ci ho fatto sopra 15 chilometri al massimo. La gente che mi ha scritto non si rende conto che noi ci alleniamo per 4-5 ore su più terreni e con lavori specifici. La maggior parte delle piste in Italia sono ciclopedonali, quindi promiscue e solitamente c’è un limite di velocità. Figuratevi se ci pedalo a 40 all’ora mettendo a rischio le persone a piedi. Nonostante io abbia risposto argomentando queste cose, certa gente continuava a dirmi che non dovevo allenarmi in strada perché è pericoloso. Assurdo.

Dopo che hai vissuto questa brutta esperienza, secondo te cosa si può fare per aumentare la sicurezza?

Personalmente agli incroci o nei punti più critici, cerco sempre di guardare dentro l’abitacolo per vedere se il guidatore è attento o meno in modo da urlare qualora fosse distratto. Rispetto i semafori e gli stop. La mia bici è dotata di luci posteriori e anteriori ma onestamente non so cosa si possa fare di più per tutelarci. Sembra un controsenso, però uscire in un gruppetto di ciclisti può essere considerato più sicuro che uscire da soli perché almeno tutti assieme siamo più visibili. Però poi occupiamo più spazio, rischiamo di essere più indisciplinati, gli automobilisti non vogliono stare dietro di te e azzardano manovre suonando il clacson. Al contrario se esci da solo puoi essere investito da chiunque e magari con omissione di soccorso. Ripeto, non è bello sentirsi così vulnerabili.

Le associazioni di categoria come ACCPI o CPA potrebbero fare qualcosa in più?

Si può sempre fare qualcosa di più e loro potrebbero spingere ulteriormente, ma non è facile toccare l’animo di chi sta ai Ministeri. Il mio video-denuncia l’ho fatto anche perché speravo potesse far riflettere qualcuno ai piani alti. Cinque giorni prima del mio incidente, è stato assolto colui che aveva scritto quella ignobile frase contro i ciclisti. Se in Italia non è reato questo tipo di incitamento all’odio o non ci sono ancora leggi chiare con multe salate come in altri Paesi, ci si può fare poco. Bisogna sperare che cambi qualcosa però l’Italia sotto questo punto di vista non è un Paese all’avanguardia.

Proviamo a tornare in sella perché fra pochi giorni inizia il 2023. Laura Tomasi come sta preparando la sua stagione agonistica?

Come ho detto subito, non ho perso motivazione nell’allenarmi. Vorrei cominciare la nuova annata così come ho chiuso il 2022 con un paio di podi in gare WorldTour. Esordirò alla Valenciana poi farò la campagna del Nord tra Belgio e Olanda. Lassù ci sono le corse più adatte alle mie caratteristiche, anche se dovrò lavorare per le nostre capitane. Abbiamo una squadra ben strutturata, con tanti innesti giovani ed interessanti oltre alle atlete più esperte. Il mio ruolo dipenderà dal tipo di gara che faremo. Non so ancora dove potrò avere una eventuale carta bianca. Il mio calendario è stato definito fino ad aprile. La stagione è lunga, spero, e cercherò, di ritagliarmi un po’ di spazio.

Il Tour, l’Italia e la sicurezza: parla Prudhomme

25.12.2022
6 min
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L’Italia si tinge di giallo. Toscana, Emilia Romagna e Piemonte si sono unite come i moschettieri per infilzare l’obiettivo che tutto lo Stivale inseguiva da sempre: la Grand Départ del Tour de France. L’ultima tappa delle presentazioni sul nostro territorio è stata quella a Palazzo Madama di Torino. Prima della conferenza organizzata dalla Regione Piemonte per illustrare la terza frazione del 1° luglio 2024, abbiamo incontrato il direttore generale della Grande Boucle, Christian Prudhomme per una chiacchierata a tutto tondo sul mondo delle due ruote.

L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
L’intervista con Prudhomme si è svolta alla vigila della presentazione torinese del Tour 2024 (foto Umberto Zollo)
Come nasce quest’omaggio storico per l’Italia e per tutto il suo ciclismo?

Era da tantissimo tempo che volevamo fare la Grand Départ dall’Italia. Mi sembra davvero pazzesco che non sia accaduto prima, ma le tessere del puzzle non si erano mai incastrate.

Quanto è stata importante la spinta delle regioni per raggiungere questo traguardo?

Toscana, Emilia Romagna e Piemonte sono state brave a fare squadra, così come le città, a cominciare da Firenze, da cui scatterà la prima tappa. Hanno fatto un po’ come i moschettieri: uno per tutti, tutti per uno, ed è stata la ricetta vincente perché il Tour partisse dall’Italia. Volevamo omaggiare i campioni che hanno scritto pagine indelebili del ciclismo mondiale come Bartali, Coppi, Pantani, a 100 anni dalla prima vittoria italiana (Bottecchia nel 1924, ndr). Siamo contentissimi di questa opportunità, non vediamo l’ora di valorizzare il magnifico paesaggio del vostro Paese. Da luoghi che sono patrimonio dell’Unesco come il centro storico di Firenze, le arcate di Bologne, i paesaggi vinicoli del Piemonte con vini di grandissima qualità. Non vedo l’ora di scoprire questi posti splendidi.  

Nel 2023 la Spagna, nel 2024 l’Italia: il Tour abbraccia gli altri due Paesi dei grandi giri in un momento in cui il mondo è diviso dalle guerre. 

Lo sport permette di avvicinarsi alla gente. Il ciclismo più di tutti gli altri perché attraversa le città e i paesini che si trovano sul percorso delle sue competizioni.

Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
Dopo le presentazioni di Firenze e Bologna, in platea anche Davide Cassani (foto Umberto Zollo)
L’anno prossimo, il tracciato strizza l’occhio agli scalatori: corretto?

Il Tour è sempre per scalatori, poi magari l’anno prossimo ci sarà la sfida tra un grimpeur puro e un passista, come accadde in passato con il duello tra Bahamontes e Anquetil. Al giorno d’oggi però non ci sono differenze così marcate tra scalatori e passisti, ma ci siamo ritrovati una generazione di fenomeni straordinari, che attaccano da lontano, che animano la corsa e la rendono entusiasmante per tutti.

Che ciclismo ci aspetta dopo i ritiri di due monumenti come Nibali e Valverde?

Il Tour dello scorso anno è stato magnifico. Pogacar era il super favorito e non ha vinto, ma è stato grandioso nella sua sconfitta. Non ha mai mollato, attaccando persino sui Campi Elisi. Vingegaard è stato straordinario. Ha ottenuto una splendida vittoria sul Granon, grazie all’aiuto della sua squadra, la Jumbo Visma. Sono stati capaci di accerchiare Pogacar e di regalarci quella che, a mio parere, è stata la tappa più bella degli ultimi trent’anni. Sono sicuro che ci aspettano altre annate splendide, sia nel 2023 sia nel 2024 quando si partirà dall’Italia. 

Il percorso della corsa su strada dell’Olimpiade di Parigi 2024 sarà nelle vostre mani?

Noi presteremo soltanto i nostri servizi e faremo il lavoro che ci chiederanno di fare, ma non siamo noi a scegliere il percorso. Offriremo soltanto la nostra esperienza sotto l’aspetto tecnico, anche perché non capita tutti i giorni di avere i Giochi in casa a Parigi.

Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi successivi tentativi di recuperare
Il Tour de France del 2022 è stato magnifico, per la resa di Pogacar sul Granon e i suoi tentativi di recuperare
Negli stessi giorni si sono celebrati anche i funerali di Davide Rebellin, omaggiato dalla platea di Palazzo Madama con un minuto di silenzio. Che segno ha lasciato quest’ennesima tragedia?

E’ stato drammatico e l’Italia continua a pagare un dazio enorme. Il pensiero vola sempre anche a Michele Scarponi, che ci ha lasciato qualche anno fa. Non soltanto in Italia, ma in tutti gli altri Paesi del mondo devono fare attenzione a chi va in bicicletta. Chi va in bici, uomo o donna, non ha nessuna protezione. Mi sembra pazzesco pensare che il lunedì sera ho stretto la mano a Davide Rebellin a Monaco e tre giorni dopo lui non c’era più. Il Tour de France continuerà a lavorare affinché non si ripetano queste tragedie, per noi che porteremo sempre nel cuore il ricordo di Fabio Casartelli. C’è un messaggio che deve passare e ne abbiamo parlato di recente a Monaco con Matteo Trentin, perché bisogna far qualcosa per la sicurezza stradale. Al Tour lavoriamo molto su questo tema, mentre ai villaggi di partenza cerchiamo di lanciare un messaggio per la sicurezza quotidiana: la strada si condivide

Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Il giorno prima di Torino, presentazione a Bologna. Qui Bonaccini, Prudhomme e Nardella, sindaco di Firenze
Tour de Femmes avec Zwift: soddisfatto dei riscontri ottenuti?

E’ stato davvero magnifico avere mezzo mondo a bordo strada, l’interesse delle televisioni, la direzione formidabile di corsa da parte di Marion Rousse. Poi, una corsa spettacolare con le olandesi Annemiek Van Vleuten e Marianne Vos sugli scudi. Non è stato un rilancio soltanto per catturare audience televisiva, ma per riportare pubblico a vedere le corse dal vivo. E’ stato bellissimo vedere tante piccole bambine che si immedesimavano nelle campionesse odierne pensando: “Domani potrei esserci io al suo posto”. Proprio come è accaduto per tanti anni in Italia tutte le volte che si vedeva passare un fuoriclasse come Nibali. Chissà che ora non capiti lo stesso con Marta Cavalli come modello per le più piccine. E’ un cambiamento epocale.

Il ciclismo è in continua evoluzione. Si è parlato moltissimo dei ciclisti esplosi con Zwift come Jay Vine, due tappe vinte alla Vuelta 2022: pensieri?

Ci sono tantissimi giovani che sgomitano. Non tutti sono Coppi o Gimondi, esplosi prestissimo e capaci di vincere il Tour in giovanissima età. Ora il movimento è su scala globale e propone atleti che arrivano al top utilizzando anche metodologie differenti da quelle canoniche, come il caso di Zwift. Corridori magari nati sui rulli, ma poi dimostratisi fortissimi anche su strada: dunque, le carte si sono mescolate. Ciò è un bene e rende ancora più interessante il nostro sport.

Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Prudhomme ha portato in omaggio anche una maglia gialla (foto Umberto Zollo)
Qualche suggestione per il futuro del Tour?

La corsa la fanno i corridori, per cui non è vero che dipende tutto dal percorso. Questa generazione di fenomeni, ad esempio, utilizza il percorso in maniera migliore rispetto alla precedente e questo diverte i più giovani. Tra gli utenti che hanno seguito il Tour, la seconda fascia più numerosa comprendeva i telespettatori di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Avere nuovo pubblico che segue il Tour de France per noi è una notizia splendida, grazie anche all’imprevedibilità di corridori alla Van Aert o Van der Poel. 

Come procede la lotta al doping?

La battaglia contro chi bara non riguarda soltanto il mondo dello sport. Abbiamo lavorato tantissimo con l’Uci e con le squadre, soprattutto durante la pandemia ed è stato fondamentale questo lavoro corale, perché se non l’avessimo fatto, ci sarebbero stati dei passi indietro fatali. Con il Covid ci siamo ritrovati tutti sulla stessa barca e abbiamo capito l’importanza di muoverci insieme per il bene del ciclismo.

Ciao Davide. Ti aspettavamo come ad una classica

23.12.2022
4 min
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Avete presente la sensazione di quando salutate qualcuno? Quella tristezza, mista però alla sicurezza che vi rivedrete? Ecco, oggi quello detto a Davide sembrava più un arrivederci, che un addio. Da una parte la sicurezza che Davide rimarrà sempre vivo nella memoria di ciascuno di noi, dall’altra l’incredulità generale, la difficoltà nell’accettare quanto successo. Davide ha lasciato tanto, come ciclista, ma soprattutto come uomo, come persona.

E il Duomo gremito di persone ne è la prova. «Non era perfetto nemmeno lui – dice Gilberto Simoni – ma di sicuro era il migliore». Davide era così: era il migliore in gruppo, in squadra, ma era anche il miglior avversario. «Un onore poterlo battere, ma un onore essere battuti da lui», conclude Simoni.

La grande chiesa di Lonigo era gremita di gente
La grande chiesa di Lonigo era gremita di gente

L’ultimo traguardo

Nella piccola rotonda davanti alla Chiesa centrale di Lonigo le macchine continuano a girare, ma tre gradini più su, tutto si è fermato per un istante. Ci sono striscioni appesi sui palazzi, occhi lucidi e sorrisi che sapevano che non sarebbe dovuta andare così. Amici, parenti e tifosi arrivano in silenzio, scelgono un angolino sul sacrario del Duomo e aspettano Davide come sul traguardo di una classica. Il silenzio è assordante, il cielo grigio. È difficile trovare parole di conforto in situazioni così, dove si rischia di far parlare la rabbia. La rabbia sì. Rabbia per quello che è successo e per come è successo. Perché Davide non doveva morire così. 

Rebellin ha chiuso la sua carriera agonistica alla Work Service
Rebellin ha chiuso la sua carriera agonistica alla Work Service

La chiesa è bella, grande, imponente. Davide se la merita tutta. Nelle prime file si siedono i parenti, più dietro tutti coloro che hanno colto in lui la persona d’oro quale era. Prima della celebrazione sono diverse le persone che vogliono salutare il campione per un’ultima volta.

Sono tanti gli aneddoti che raccontano i nipoti o gli ex compagni di scuola. Quello che emerge da tutti i racconti è un uomo semplice, umile e tranquillo. Di quella tranquillità contagiosa, solo con uno sguardo. Quando Davide parlava, sembrava che tutto fosse al proprio posto. È vero, era un po’ pignolo, ma la stoffa del campione ha anche piccoli difetti come questo, no?

Angelo speciale

Dalle parole dei nipoti emerge un grande orgoglio, la fierezza per lo zio campione, come spesso si dice, “in sella, ma soprattutto nella vita”. «Ci si riempiva il cuore di gioia quando sentivamo parlare di te e delle tue imprese. Ora che non ci sei più, siamo sicuri che stai pedalando con il nostro caro nonno».

La passione per la bici infatti Davide l’aveva ereditata dal papà. Allo stesso lui stava cercando di tramandarla ai giovani. Proprio quel giorno, quel maledetto giorno, quel buio 30 novembre, ricorda il sindaco di Lonigo Pierluigi Giacomello, Davide avrebbe dovuto incontrare un gruppo di ragazzi. 

Davide era speciale, in tutto. Le parole che ciascuno gli ha dedicato nel proprio silenzio, non sono affatto di circostanza. Davide era uno di quelli che fa breccia nel cuore delle persone, senza grandi ragioni. Sapeva accarezzarti nel profondo con uno sguardo. «Sei un angelo speciale» gli hanno detto. Ed è vero.

Chiunque l’abbia incontrato, ha sicuramente incontrato un angelo. «Non si arrabbiava mai – raccontano le persone a lui vicine – Anche quando doveva esprimere il suo disaccordo, riusciva sempre a farlo con grande rispetto e intelligenza».

L’ultimo viaggio. Mancherai a tutti, Davide
L’ultimo viaggio. Mancherai a tutti, Davide

Ciao Davide

Davide era umile, non peccava di presunzione, nemmeno quando avrebbe potuto: se perdeva una volata compariva sul volto un piccolo ghigno di rammarico. Se la vinceva invece un semplice sorriso come a dire “ho fatto il mio; dovevo fare solo questo”. Una vita circolare, fatta di ciclismo e tanta bontà, che non sempre però è tornata indietro. 

La carriera di Davide, l’incredibile carriera, oggi, per un attimo, era in secondo piano. Prima di partire, per l’ultima volta, sulle strade che tanto lo hanno allenato, Françoise, la moglie di Davide, si abbandona in un lungo pianto tra le braccia dei propri cari.

Quello che mancherà di più al mondo è un uomo, prima che un campione. Davide, “pedala tranquillo la tua ultima volata, ora nessuno potrà fermarti. Taglia il traguardo con le braccia alzate e il sorriso. Il cielo ti attende, l’amore ti accompagna”.

Ciao Davide 

La legge, il camionista e 10 domande all’avvocato

08.12.2022
4 min
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E’ passata una settimana. Le indagini sulla morte di Davide Rebellin hanno portato con notevole rapidità all’individuazione del camionista che lo ha travolto e poi è scappato, sebbene si fosse reso conto di averlo investito. Quel che resta nebuloso è che cosa accadrà adesso.

Abbiamo letto che quel sessantennne maledetto e recidivo non potrà essere arrestato in Germania, perché lassù l’omicidio stradale non è previsto fra i reati. Abbiamo letto tutto e il contrario di tutto. Ma siccome in questi casi a dettare la via, che piaccia o meno, è la legge, ci siamo rivolti a Federico Balconi con 10 domande. E’ l’avvocato di Zerosbatti, ormai l’amico di chiunque abbia avuto un incidente in bici. Ecco che cosa ci ha risposto.

Federico Balconi e Vincenzo Nibali, Zerosbatti ha preso il volo dalla loro collaborazione. In apertura, immagine giustiziainsieme.it
Balconi e Nibali, Zerosbatti è nata dalla loro collaborazione. In apertura, immagine giustiziainsieme.it

1) L’omicidio stradale può essere colposo?

L’omicidio stradale si configura ogni volta che un automobilista compie una manovra di sorpasso senza adottare tutte le misure cosiddette “cautelari” previste dal Codice della strada (art. 148). Dovrebbe cioè tenere una velocità moderata e che consenta il sorpasso in sicurezza, con una distanza che tenga conto di strada, eventuali sbandamenti del ciclista e che non metta lo stesso in pericolo durante la manovra. In caso di urto automaticamente viene imputata all’autista la mancata adozione di queste norme. Pertanto, non potrà dire di non essersi accorto. Varrebbe come una confessione perché significherebbe che non aveva adottato nemmeno la minima diligenza di guardare la strada!

2) Aver visto ed essere fuggito è un’aggravante?

Qualora venisse dimostrato, questo comportamento configura una grave omissione di soccorso. Perché non potrà nemmeno dire di non essersi accorto dell’evento.

3) In Italia sarebbe stato arrestato?

Il reato di omicidio stradale in Italia prevede l’arresto facoltativo se non vi sono aggravanti. Diventa obbligatorio in presenza di aggravanti, come in questo caso (omissione di soccorso). Vi è a mio avviso un altro elemento da verificare, ovvero che non fosse in stato di alterazione alcolica o da sostanze stupefacenti. Questo per un autista di camion comporta la maggiore delle aggravanti con arresto obbligatorio.

Questa l’area dell’incidente, al centro l’immissione e la rotonda accanto al ristorante (immagine Google Maps)
Questa l’area dell’incidente, a destra lo svincolo e la rotonda accanto al ristorante (immagine Google Maps)

4) In quale modo si potrà portare qui il camionista?

Il PM Italiano potrebbe valutare, una volta accertata la dinamica, di chiedere l’arresto mediante ordine di cattura internazionale.

5) L’autopsia in certi casi è comunque indispensabile?

L’autopsia viene disposta d’ufficio, perché la configurazione del reato prevede il nesso causale tra evento e morte. Quindi deve essere esclusa qualsiasi altra possibile causa di decesso.

6) L’autista è recidivo: in Italia avrebbe avuto ancora la patente?

Purtroppo sì, perché una volta scontato il periodo di sospensione (di solito con patteggiamento e lavori socialmente utili), la patente viene restituita. In caso di recidiva per la guida in stato di ebrezza o se avesse commesso lo stesso reato negli ultimi due anni, sarebbe prevista la revoca. La recidività penalmente invece è aggravante e, anche se superati i 5 anni, non potrà usufruire della sospensione condizionale della pena.

Davide Rebellin, figlio, fratello, marito e campione, è stato ucciso da un camion il 30 novembre 2022
Davide Rebellin, figlio, fratello, marito e campione, è stato ucciso da un camion il 30 novembre 2022

7) Quale pena rischia?

La pena potrebbe andare dai 2 a 7 anni senza aggravanti, oppure da 8 a 12 anni se aggravata. Escluderei l’aggravante lieve (da 5 a 10 anni).

8) Se sarà carcere, dovrà scontare la pena in Italia?

Potrebbe richiedere di scontare la pena in un carcere tedesco, tramite gli accordi europei tra Stati.

9) Oltre al penale ci sarà un processo civile?

Il processo civile potrà essere svolto in due modi. Tramite la costituzione di parte civile da parte dei parenti/eredi di Davide direttamente nel processo penale. Oppure con separato giudizio: scelta più opportuna, poiché il processo civile è finalizzato al risarcimento del danno, che compete maggiormente al Giudice Civile Ordinario. 

Il peso del camion ha gioco facile contro la bicicletta, ma è difficile in certi casi sostenere di non essersi accorti
Il peso del camion ha gioco facile contro la bicicletta, ma è difficile in certi casi sostenere di non essersi accorti

10) Cosa potrebbe dire a sua discolpa?

Come spesso leggiamo nei verbali di sommarie informazioni, l’automobilista generalmente per discolparsi sostiene che il ciclista abbia cambiato repentinamente direzione. Oppure che durante il sorpasso probabilmente ha cambiato direzione sbandando e urtando il cassone… Abbiamo letto anche di automobilisti che in fase di sorpasso hanno dichiarato di aver sentito un colpo e solo dopo essersi resi conto di aver colpito il ciclista… Tutte dichiarazioni che potranno essere utilizzate contro lo stesso autista. Dimostrerebbero infatti la mancata diligenza e attenzione dovute nel compiere una manovra così pericolosa.