L’ultima corsa di Barbieri, dal primo Sagan al podio di Ciccone

15.10.2024
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COMO – Erano tutti presi a salutare Dario Cataldo all’ultima corsa e nessuno si è soffermato a pensare che il Lombardia è stato l’ultima corsa anche per Paolo Barbieri. Gli addetti stampa arrivano dopo e stanno sempre un passo indietro. Infatti al bus della Lidl-Trek il bergamasco è arrivato per ultimo, proprio mentre stavamo salutando Ciccone fresco del podio dietro Pogacar e Remco.

Il ritiro di un addetto stampa, che oggi si dice press officer, riguarda le persone con cui ha lavorato: quindi la squadra e i giornalisti. Per il mondo fuori sono figure che si vedono raramente. Di fatto vivono accanto al corridore e hanno il compito, quando lavorano bene, di avvicinarlo alle richieste dei media. Un filtro e un interprete, capace di far capire al giornalista che l’atleta ha tempi ed esigenze e all’atleta che il giornalista ha ugualmente tempi ed esigenze. E Barbieri, nei 16 anni di collaborazione, ha sempre fatto la sua parte.

Perché dedicare un articolo a un addetto stampa che cambia lavoro? Perché il suo sguardo ha visto i nostri stessi corridori, ma dall’interno. Un punto di vista privilegiato attraverso cui rileggere alcuni momenti del ciclismo recente. Paolo, classe 1982, aveva 26 anni quando mise per la prima volta il naso in gruppo, al Giro delle Fiandre del 2008. Lo portò Gabriele Sola, che con la sua agenzia gestiva la comunicazione della Liquigas. Un primo assaggio prima di essere catapultato nel Giro d’Italia dello stesso anno. Quello delle tre tappe e la ciclamino di Bennati, di qualche giorno in rosa di Pellizotti e quello con Cataldo, Noé e anche Nibali. Cominciò tutto così, con un passaggio intermedio alla Bardiani quando la Liquigas divenne Cannondale, poi l’approdo nel gruppo Trek. E ora che ha deciso di cambiare lavoro, siamo curiosi di farci raccontare quello che lui ha visto e che a noi è per forza sfuggito.

Barbieri è arrivato alla corte di Luca Guercilena alla Trek-Segafredo e ha vissuto l’avvento di Lidl
Barbieri è arrivato alla corte di Luca Guercilena alla Trek-Segafredo e ha vissuto l’avvento di Lidl

I corridori

«I corridori sono persone altamente sotto pressione, dall’esterno e dall’interno. Non tanto le squadre, quanto le pressioni che si mettono da soli. I giovani passano con delle aspettative incredibili, è un carico che può schiacciarti. Sono ragazzi diversi rispetto a quelli che incontrai nel 2008, perché la tecnologia ha creato dei rapporti personali molto diversi. Sono ragazzi più preparati sotto tutti i punti di vista, forse troppo per l’età che hanno. In più sono globalizzati e questo secondo me è positivo. La cosa che secondo me non è mai cambiata è che i ciclisti sono consapevoli, forse per la fatica che fanno, della loro umanità. E non è mai cambiato il rapporto col pubblico. Sono un po’ meno accessibili, si sono creati un po’ di barriere, ma non ho mai visto un corridore negare un autografo.

«Se lavori con un campione, hai tanto lavoro in più, però è la parte più eccitante. Ti trasmette adrenalina, anche se non sono tutti uguali. Ci sono campioni che hanno dietro anche un background culturale e personale, con cui lavorare diventa molto più bello. Ciccone ad esempio è quello con cui ho speso più anni, sin dalla Bardiani. Con lui sono riuscito a creare un vero rapporto di amicizia, che è una cosa bella. Quello con il campione è un lavoro di grande mediazione. Non di rado capita di scontrarsi e ingoiare dei bocconi amari. Certe volte con qualcuno devi essere quasi il fratello maggiore…».

Lombardia 2020, si corre d’estate alla ripresa dal Covid. Barbieri è con Nibali
Lombardia 2020, si corre d’estate alla ripresa dal Covid. Barbieri è con Nibali

L’addetto stampa

«Anche questa è una figura che è cambiata tanto, più che altro per le tecnologie. Quando ho cominciato, il press officer era veramente al servizio della stampa, che era il principale veicolo delle immagini del team e del suo messaggio. Con l’avvento dei social network, tutto è cambiato. Adesso anche noi possiamo e vogliamo comunicare direttamente con i tifosi. Detto questo, io ho sempre ribadito ai miei colleghi più giovani e anche ai manager che le cose devono andare di pari passo.

«Sei tra l’incudine e il martello. Talvolta è un lavoro ingrato nei confronti della stampa. Dall’altra parte sei quello che va “rompere le scatole” al corridore per fare interviste, quando magari non ne hanno voglia. Una parte del nostro mestiere è far capire l’importanza e la bellezza di collaborare con i media. Poi sta alla sensibilità del giornalista tirar fuori qualcosa di più e, in quel caso, anche gli atleti più recalcitranti sono in grado di apprezzare».

Il primo Sagan, nel 2010, fu un’apparizione travolgente nel mondo del ciclismo
Il primo Sagan, nel 2010, fu un’apparizione travolgente nel mondo del ciclismo

Peter Sagan

«Sapete cosa faceva scattare Peter? Perdere! Ricordo ancora una Tirreno-Adriatico, cronosquadre. Passano il traguardo col primo tempo. Io sono sulla linea d’arrivo e vedo che la Greenedge ci batte di due secondi. Arrivo lì e i ragazzi chiedono se dobbiamo andare al podio per la vittoria. Non ho neanche il tempo di dire che gli australiani hanno appena fatto meglio, che Peter sbotta. “Ma no! Vieni sempre a darci brutte notizie, ma com’è possibile?”. Lui quando perdeva era così. Tant’è che poi la sera venne a bussarmi in camera e si scusò per aver esagerato. La sua grandezza era anche questa.

«Peter è stato l’esperienza più bella della mia carriera (foto @brakethroughmedia in apertura, ndr). Ero giovane, andavo alle corse un po’ più leggero. Ricordo le esultanze del Tour, vederlo diventare una calamita. Era una rockstar e non aveva bisogno di essere filtrato o che tenessimo a bada i media. Direi che non ho ricordi di grandi problemi, a parte purtroppo l’incidente diplomatico sul podio del Fiandre che adesso sarebbe vissuto in maniera totalmente diversa. Peter è sempre stato una persona abbastanza aperta, in più si era creato un rapporto di fiducia tale che a volte ero anche il suo portavoce. Sapevo di non sbagliare, ma questa è una cosa che puoi fare passandoci molto tempo insieme. Quei primi anni furono il periodo più bello, poi credo che sia diventato un altro Peter».

E’ il 2012, a Parigi Nibali conquista il podio del Tour dietro Wiggins e Froome
E’ il 2012, a Parigi Nibali conquista il podio del Tour dietro Wiggins e Froome

Vincenzo Nibali

«Vincenzo è il corridore con cui ho lavorato alla Liquigas e che poi ho ritrovato dopo alla Trek-Segafredo. Non dico che non sia cambiato, però Vincenzo è così. Vincenzo non ha maschere, non recita. Da giovane era un ragazzo timido e introverso. Adesso è un uomo non più timido, ma comunque introverso. Con lui ci vuole tempo per costruire un rapporto, ma ovviamente averci lavorato prima mi ha facilitato. E’ stato come riannodare un filo dopo gli anni che aveva fatto con Geoffrey Pizzorni all’Astana. E’ un ragazzo cui devi spiegare bene le cose fino a convincerlo. Perché Nibali era focalizzato al 100 per cento sulla performance.

«L’unico rammarico che ho è che non abbia chiuso qua, cosa di cui avevamo anche parlato. Uno dei ricordi più belli che ho di lui è quando fece il podio al Tour de France, con Peter che vinse la maglia verde. Era il 2012 e fu un momento bellissimo, molto toccante. Vederlo sul podio emozionato, anche da italiano fu un momento da pelle d’oca!».

E’ il 2022 quando Elisa Longo Borghini in maglia tricolore conquista la Roubaix Femmes (@jojoharper)
E’ il 2022 quando Elisa Longo Borghini in maglia tricolore conquista la Roubaix Femmes (@jojoharper)

Il ciclismo femminile

«E’ stato una bellissima scoperta. All’inizio le ragazze sono più diffidenti, ma credo sia normale. L’uomo è più compagnone, ma hanno lo stesso modo di intendere il ciclismo. Sono due mondi diversi. Pensate solo l’accesso al pullman: con gli uomini è libero, con le donne bisogna avere necessariamente più attenzioni. I livelli di stress sono differenti, a volte gli uomini sono più stressati. Le nostre campionesse, Lizzie Deignan e le due Elise, sono sempre molto sicure di loro stesse. E’ stata una bellissima scoperta dal punto di vista umano. Sono diverse, sono più profonde e la confidenza te la devi conquistare.

«Quando ci sono momenti delicati, devi fare un lavoro di protezione dall’ambiente esterno. Non si tratta di sostenerle, ma fargli capire che sono al sicuro. Sono molto più attente degli uomini rispetto a quello che viene scritto. Leggono di più, si informano, sono sensibili. Per cui è un lavoro molto più di mediazione, sapendo che sono molto attente anche a quello che dici. E alla fine si sono creati dei rapporti intensi».

Al Nord, Barbieri con Balsamo nel 2024: la vittoria di De Panne e il secondo posto della Gand (@twilcha)
Al Nord, Barbieri con Balsamo nel 2024: la vittoria di De Panne e il secondo posto della Gand (@twilcha)

I giornalisti

«Negli ultimi due anni ho chiesto espressamente di essere riferimento dell’ufficio stampa. Avere a che fare con i giornalisti è la parte del lavoro che mi piace di più. I social li gestisco, ma preferisco coltivare i rapporti personali. Questo a volte contempla anche lo scontro, ma credo di lasciarmi bene col 90 per cento di voi. Sarà una liberazione, per tanti motivi, non sentirne più una piccola percentuale. Non certo per il lavoro, ma perché alcuni sono arroganti e pensano che il giornalismo sia intoccabile o quasi inappellabile.

«A me piace quando c’è un confronto, accetto anche che mi si dica il contrario. A volte arriviamo a un compromesso. Posso accontentarti su tutto, mentre a volte sono costretto a dire di no perché non si può».

Aver lasciato Milan alla vigilia della sua consacrazione è forse il solo rimpianto di Barbieri (@gettyimages)
Aver lasciato Milan alla vigilia della sua consacrazione è forse il solo rimpianto di Barbieri (@gettyimages)

Il ritiro

«Smetto perché mi è arrivata una proposta che non è stata cercata. Ho un contratto, mi trovo bene, mi sento valorizzato. Sono nella squadra dove volevo essere, in una situazione perfetta. A casa ho una bambina che cresce bene, una moglie che mi vuole bene e che sopporta le assenze. Ho la serenità per riflettere e capire che a 42 anni, è meglio fermarsi così che arrivare più avanti e fermarsi perché non ne puoi più. Lo vedo che non tutte le corse sono ancora esaltanti come il primo giorno.

«Mi dispiace solo dover lasciare Johnny Milan nel pieno della sua esplosione. Ma arrivo a questo giorno dopo averlo comunicato alla squadra a luglio. Ho veramente avuto modo di decidere con la massima serenità. Ieri abbiamo fatto un brindisi con lo staff. Non vado via a cuore leggero, so cosa lascio. Ma si sa che per fare le scelte più belle, devi passare anche attraverso un po’ di dolore».

Un podio che vale, adesso Ciccone finalmente sorride

12.10.2024
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COMO – Uno dei momenti da ricordare di questo Lombardia, seconda Monumento 2024 con un italiano sul podio dopo il Fiandre di Mozzato, è quello in cui Dario Cataldo taglia l’ultimo traguardo della carriera e si accorge che sul podio c’è il suo amico Ciccone. La storia è antica. Giulio è una sorta di fratello minore, cresciuto ciclisticamente alla scuola di suo padre. E quando la Lidl-Trek ha avuto bisogno di una guida per il suo leader, ha puntato sul corregionale più esperto, facendone un road captain. Dario ci teneva a chiudere al Lombardia e pur con il groppo in gola, è passato con un sorriso prima di riprendere la via del pullman.

«E’ stato bello – ammette Ciccone – è stato emozionante. Lui ci teneva a finirla qui ed è stato un bel momento, quando lui è arrivato ed io ero sul podio. Direi che è stato bello per tutti e due».

La mattinata del resto era partita all’insegna del saluto per l’abruzzese, con i compagni che si sono presentati al foglio firma mascherati con la sua faccia. Il Lombardia deve essere stato un lungo viaggio nella memoria, fino alle strade di Como in cui vinse la tappa al Giro d’Italia del 2014. dieci anni fa. Quando Cataldo è arrivato al pullman e ha tolto gli occhiali, aveva gli occhi rossi. Ha firmato autografi. Ha posato per foto. Quindi ha abbracciato i compagni di squadra e lo staff. Ha stretto forte Luca Guercilena. E poi come gli altri è salito sopra aspettando l’eroe di giornata.

Con gambe e testa

Ciccone arriva dopo mezz’ora che lo aspettiamo. Sembra frastornato, come chiunque abbia dovuto attraversare una baraonda di tifosi e ammiraglie incastrate fra loro. Quando incontra lo sguardo di Josu Larrazabal, il capo dei preparatori, il basco lo guarda e gli chiede perché sia così accigliato. Allora Giulio sorride, anche lui dispensa qualche abbraccio e poi sale sul pullman. Li sentiamo gridare e far festa. Qualcuno fa saltare il tappo di birre gelate, che sembrano un miraggio per chi aspetta in strada. Poi lo vediamo passare e gli lanciamo una voce: “Cicco”, hai due minuti? Lui guarda in basso. Sorride. Dice di sì. Ma sedendosi sui gradini del pullman, ci invita a salirne uno. Sotto c’è ancora una ressa da giorno di mercato, se scendesse non riusciremmo neppure a dirci ciao.

Gli raccontiamo che la televisione ha mostrato tante immagini di Pogacar ed Evenepoel, ma ben poco del suo rientro sui primi. Lo abbiamo visto scattare, come se fosse rinvenuto da un luogo imprecisato alle spalle del gruppetto inseguitore. Lui sorride, ha recuperato lo spirito e racconta.

«Per fortuna che almeno lo scatto l’hanno inquadrato – ride – per una volta che faccio uno scatto! Come è andata? Sul Sormano c’è stata la selezione, quella vera. Poi Sivakov è andato via da solo e io sono rimasto nel gruppetto. Ho visto anche che stava rientrando Mollema con altri corridori e a quel punto abbiamo iniziato la valle. Era lunga e farla da solo oppure in due avrebbe significato morire. Abbiamo trovato una buona collaborazione, anche se io sentivo che oggi in salita andavo bene. Ai compagni l’ho detto dopo le prime salite nella zona di Bergamo: stavo bene».

Difesa sulla Colma di Sormano e poi una sparata sul San Fermo: il Lombardia di Ciccone si è giocato anche con la testa
Difesa sulla Colma di Sormano e poi una sparata sul San Fermo: il Lombardia di Ciccone si è giocato anche con la testa

«Quindi – prosegue Ciccone – mi sono messo ad aspettare il San Fermo. Mollema l’ha presa forte da sotto e si è fatto seguire da Storer. Io poi ho dato l’accelerata e quando ho visto che erano vicini, ho preso morale. Mi sono avvicinato a quelli davanti, però non ho chiuso subito. Sapevo che se lo avessi fatto, magari scattavano ancora e mi ristaccavano arrivando da dietro. Per questo li ho lasciati un attimo lì. Ho gestito bene. E quando poi ho deciso di rientrare, mi sono detto che dovevo tirare dritto. E così ho fatto e francamente è andata anche meglio di quanto mi aspettassi».

La delusione di Zurigo

C’è orgoglio e si capisce quanto sia difficile essere un corridore di vertice, nel dover spingere fino ai limiti dell’apnea e riuscire contemporaneamente ad essere lucidi. Sapeva di giocarsi il finale di stagione. Sapeva che le ciambelle fino a quel punto non erano riuscite col buco. Aveva lavorato tanto e sodo con Bartoli in Toscana, eppure era tornato a casa dal mondiale con un pessimo gusto in bocca.

«Il mondiale per me è stato una grande delusione – sospira Ciccone – perché comunque avevo lavorato bene. Sapevo che la condizione c’era, ma sicuramente il percorso non era adatto a me. E’ stato una delusione perché è sempre brutto quando si lavora tanto e non si raccoglie nulla. Specialmente con la maglia nazionale, con cui attiri le attenzioni belle e le attenzioni brutte. Per questo oggi ci tenevo a fare bene. Ed è stato importante perché ci voleva di chiudere l’anno così. Il 2024 è stato difficile e chiuderlo nel migliore dei modi mi dà la serenità per staccare, girare pagina e iniziare nel modo migliore».

Il Lombardia è stato il primo podio di Ciccone in una Monumento e un bel modo di riscattare la stagione
Il Lombardia è stato il primo podio di Ciccone in una Monumento e un bel modo di riscattare la stagione

Il ritmo infernale

E’ salito sul podio con Pogacar ed Evenepoel: una fotografia che dà ancora più valore alla prestazione di oggi, anche se al momento il loro livello è irraggiungibile e occorre farsene una ragione, senza per questo sembrare rinunciatari.

«A volte bisogna accettare la realtà – dice – e la realtà è quella che stiamo vivendo in un’epoca di campioni. Non si tratta di accontentarsi, però di essere realisti e fare il massimo per ottenere quello che si può. E quando c’è Pogacar, si capisce presto se è in giornata super. Il ritmo a un certo punto diventa insostenibile e l’unico che riesce ad andare è lui. E oggi è stata una giornata veramente dura, perché siamo partiti fortissimo. Abbiamo fatto le prime salite a un ritmo già bello tosto e intanto la gara non si era messa proprio benissimo con quei corridori importanti nella fuga. Per riprenderli, il ritmo a un certo punto è diventato altissimo, perché credo che tanti fossero preoccupati. Io sono rimasto lì.

Un podio decisamente interessante per Ciccone, con un bicampione olimpico e iridato della crono e il campione del mondo strada
Un podio decisamente interessante per Ciccone, con un bicampione olimpico e iridato della crono e il campione del mondo strada

«Ho lavorato tanto, sono rimasto concentrato. L’ultimo mese è stato un po’ strano, però io sapevo di aver lavorato bene. E adesso stacco la spina sereno. Questa giornata significa tanto, per la sfortuna che ho avuto e per la squadra che mi è rimasta sempre vicina».

Il tempo di una foto e ci accorgiamo che alle spalle è arrivato Paolo Barbieri, un altro uomo della Lidl-Trek che chiude in questi giorni la sua carriera da press officer. Ci sono tante storie che si intrecciano in questa serata con vista sul lago gonfio d’acqua. Storie di uomini, chilometri e vite. Non resta che scrivere tutto, sperando di ricordare davvero tutto.

Pogacar fa poker ed entra nella storia del Lombardia

12.10.2024
6 min
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COMO – Sono quattro Giri di Lombardia per Tadej Pogacar, tutti conquistati in un unico filotto, come fatto da Fausto Coppi tra il 1946 e il 1949. Mentre era dal 2006 che il campione del mondo non vinceva la Classica delle foglie morte, l’ultimo a riuscirci sempre sul traguardo di Como è stato Paolo Bettini. L’ultimo a rifilare un distacco così grande al secondo classificato, oltre tre minuti, fu Eddy Merckx. Il corridore sloveno che rifiuta l’accostamento con il passato ci costringe però a guardare all’albo d’oro alla ricerca di un’altra impresa simile. L’ennesima di una stagione che gli ha regalato 21 vittorie, di cui 17 arrivando da solo sotto lo striscione dell’arrivo. Tutte tranne una se escludiamo le due cronometro. L’unica volta che ha battuto un diretto rivale in uno sprint era marzo a Barcellona, nell’ultima tappa della Vuelta a Catalunya. C’è stata poi la volata ristretta a Prati di Tivo al Giro d’Italia.

Lo aveva detto ieri pomeriggio, nella conferenza stampa della vigilia, di come si senta più sicuro nell’arrivare da solo al traguardo. E come spesso fatto in questa stagione fantastica ha messo in scena il copione che aveva in mente e noi, spettatori inermi, abbiamo assistito allo spettacolo unico del suo talento. 

Lo sloveno della UAE Emirates ha eguagliato il record di Coppi: è il quarto Lombardia
Lo sloveno della UAE Emirates ha eguagliato il record di Coppi: è il quarto Lombardia

Da Siena a Como

La bici al cielo sulle sponde del lago di Como, a riallacciare il filo con la sua prima vittoria stagionale, quella in Piazza del Campo a Siena. Pogacar arriva in conferenza stampa con una giacca che riporta i colori dell’iride più grande di almeno due taglie. Con Il Lombardia lo sloveno ha concluso la sua stagione, ora ha voglia di andare in vacanza. Lo si capisce dagli occhi scavati dalla fatica dei 58 giorni di corsa disputati e dei quasi 10.000 chilometri messi sotto le ruote. Risponde in fretta alle domande e saluta tutti con la promessa di rivederci nel 2025 con nuovi obiettivi e traguardi da raggiungere.  

«Ho voluto concludere la stagione così come l’avevo iniziata – dice in conferenza stampa con una risata – con la bicicletta al cielo. Spero in una bella foto».

A Siena la prima esultanza con la bici sopra la testa del 2024
A Siena la prima esultanza con la bici sopra la testa del 2024
Quanto è stato importante per te oggi il lavoro di Hirschi, il quale è rimasto molto tempo a tirare il gruppo?

Tutta la squadra è importante, ogni compagno svolge un ruolo fondamentale durante la corsa e sono contento di avere questi campioni che lavorano per me. Anche Pavel (Sivakov, ndr) ha fatto un lavoro eccellente sulla Colma di Sormano. Poi è stato bravo a rimanere lì ed arrivare tra i primi sei al traguardo. Ma tutti si impegnano per un unico obiettivo: vincere. 

Una volta che hai avuto un buon vantaggio e sapevi che avresti vinto, cosa ti è passato per la testa?

Mi sono goduto molto gli ultimi momenti, la parte finale della gara: i tifosi sono stati fantastici. Sono molto felice di finire la stagione in questo modo e di andare finalmente in vacanza con una vittoria. Quindi semplicemente direi che è stato molto bello percorrere gli ultimi chilometri dell’anno in questo modo.

A 42,5 chilometri dal traguardo l’allungo e l’ennesima cavalcata solitaria
A 42,5 chilometri dal traguardo l’allungo e l’ennesima cavalcata solitaria
Con la vittoria nel quarto Lombardia, chiudi una stagione di successo, se dovessi scegliere un momento quale sarebbe?

Ogni successo ha la sua storia e le sue emozioni. Ma quest’anno, in cima a tutte, c’è il campionato del mondo. Penso sia difficile batterlo. 

In questo momento sei superiore a tutti gli altri, cosa pensi faccia la differenza?

Non so come rispondere, ma perché non lo so. Non vedo nella testa cosa pensano gli avversari e non vedo i loro numeri, forse è tutta una combinazione di fattori: forza, determinazione e un momento positivo per me. Ma di sicuro la motivazione, soprattutto dopo una stagione così lunga, per molti corridori è importante.

Sulle strade si vede l’affetto dei tifosi verso questo campione che unisce tutti
Sulle strade si vede l’affetto dei tifosi verso questo campione che unisce tutti
Qual è stato il momento più difficile della stagione?

Non ci sono stati particolari momenti complicati in bicicletta. Grazie alla squadra abbiamo pianificato un buon programma di gare. Non sono mai stato troppo stanco. Anche dopo il Tour de France quando ho saltato le Olimpiadi, è stato una buona decisione perché ho potuto recuperare e preparare il finale di stagione. 

Alcuni dicono che sei il killer del ciclismo moderno. 

Non vedo nessuno dire questo oggi sulla strada. Ho visto tanti tifosi. Per me è stata una bella gara oggi, 255 chilometri con tutte le persone sulla strada pronte a sostenermi e che hanno fatto il tifo per me e per tutti i corridori. Il che è sempre molto bello. Su Internet si possono sempre trovare persone che cercano di portare della negatività, ma non mi sembra che questo accada sulla strada. Quindi è questo che conta.

Evenpeol ha scavato a fondo nelle energie rimaste conquistando un prezioso secondo posto
Evenpeol ha scavato a fondo nelle energie rimaste conquistando un prezioso secondo posto
Ti rendi già conto di quello che hai fatto in questa stagione o ci metterai del tempo. 

Non lo so. Devo capire cosa ho fatto? Io l’ho fatto e basta. Per me l’importante è vivere il momento. Ora voglio andare in vacanza e riposarmi dopo questa bella stagione per affrontare la prossima, i prossimi obiettivi, le prossime sfide.

Sei rimasto un po’ sorpreso dall’alto livello di Evenepoel oggi, dopo che ha passato una settimana difficile?

No, mi aspettavo che fosse pronto. Sapeva che avrebbe dovuto fare un po’ di fatica perché era l’ultima gara dell’anno. Ed è stato davvero impegnativo per la mente ma ha dato il massimo per poi andare in vacanza perché ha avuto una stagione lunga e difficile, credo. Sì, forse nelle gare più piccole ha fatto più fatica a spingere fino in fondo ma oggi era una Monumento. Una gara bellissima che gli si addice. Ma sì, poteva spingere un po’ di più, credo.

Un sorso per brindare al quarto Lombardia e alla fine di questa grande stagione
Un sorso per brindare al quarto Lombardia e alla fine di questa grande stagione
Dici che non vedi l’ora di andare in vacanza, ma non sei dispiaciuto che sia finita? 

C’è anche la vita fuori dalla bici, quindi non vedo l’ora di fare anche quello.

Nemmeno il tempo di finire i saluti che il campione del mondo è già fuori dalla stanza che scende le scale verso Piazza Giuseppe Verdi. La stagione è terminata. E se anche fosse vero che non ha avuto momenti particolarmente difficili in bici Pogacar ha comunque messo nel mirino e conquistato due Grandi Giri, due Classiche Monumento e un mondiale. Le vacanze sono largamente meritate, non resta che aspettare il 2025 insieme per scoprire quali saranno i nuovi obiettivi di cui ha parlato. 

Brambilla, fiducia già in estate: la Q36.5 se lo tiene stretto

21.10.2023
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Gianluca Brambilla non si ferma, rilancia e va avanti. Il veneto ha trovato nella Q36.5 nuova linfa e forse anche piena fiducia. A 36 anni suonati, il “Brambi” poteva anche dire basta. Una buona carriera, qualche vittoria di peso, team importanti nei quali ha anche lavorato per capitani importanti. Non doveva nulla a nessuno. 

Il livello poi oggi è siderale, si sa, e non è facile. I corridori nati negli anni ’80 sono sempre meno e pochissimi sono riusciti ad adattarsi al nuovo ciclismo. Per farlo serve una grande disponibilità, ma anche una certa intelligenza. 

Gianluca Brambilla (classe 1987) ai nostri “microfoni”
Gianluca Brambilla (classe 1987) ai nostri “microfoni”

Un anno in più

Invece succede che la firma per il rinnovo arriva prima di quanto ci si potesse attendere. 

«E’ stata una stagione positiva – ci spiega Gianluca – nonostante sia stata segnata da due momenti delicati: uno a dicembre scorso, quando sono stato operato di appendicite, e uno in piena estate al Giro di Svizzera.

«Nel primo, ho passato una settimana all’ospedale quando ero nel bel mezzo della preparazione. Perdere una settimana in quel modo, poi di questi tempi, non è stato facile. E infatti questo intoppo ha segnato il mio inizio di stagione».

Nel mezzo Brambilla fa delle buone corse e trova un certa continuità che non guasta mai, tanto più se si è un corridore non giovanissimo.
«Poi allo Svizzera, sul quale era incentrata la stagione, ho avuto sfortuna. Nelle prime tappe mi sono subito rotto la clavicola. Altro stop che mi ha tenuto fuori due mesi. Poi però comunque sono rientrato. Ho fatto subito qualche buon piazzamento. E sono andato anche vicino alla vittoria a Burgos».

Brambilla si appresta ad affrontare la 15ª stagione da pro’. Nel suo palmares sei vittorie tra cui una tappa al Giro 2016
Brambilla si appresta ad affrontare la 15ª stagione da pro’. Nel suo palmares sei vittorie tra cui una tappa al Giro 2016

Grinta…

La grinta non manca a Gianluca e questo è stato ancora una volta il suo punto di forza.
«Io – va avanti Brambilla – non mi accontento mai. Anzi, sono sempre un po’ troppo cattivo con me stesso. Però penso che per avere una mentalità vincente, devi essere un po’ così e alla fine credo sia una cosa positiva per me». 

Corridori così sono sempre meno. Jolly un po’ su tutti i terreni, disponibili per il team e all’occorrenza in grado di prendersi le proprie responsabilità. È facile capire dunque perché Douglas Ryder, patron della Q36.5, abbia deciso di tenerlo ancora un altro anno, almeno…

«Riguardo alla firma del contratto la situazione era più positiva dell’anno scorso – spiega con un certo orgoglio Gianluca – loro volevano farmi rinnovare e io che sono agli ultimi anni di carriera ho accettato di buon grado. Anche perché con la squadra mi trovo bene. Sono contento del supporto che riesco a dare con la mia esperienza».

Gianluca è un riferimento per i compagni. Eccolo con Damien Howson dopo che l’australiano aveva vinto nelle Asturie
Gianluca è un riferimento per i compagni. Eccolo con Damien Howson dopo che l’australiano aveva vinto nelle Asturie

Ed esperienza

E la parola esperienza in questo caso non è vaga come altre volte. La Q36.5 è davvero una squadra giovane e un Brambilla ci stava, e ci sta, bene.

«All’inizio della stagione ci siamo ritrovati un po’ ad inseguire le gare. Avevamo tante corse in calendario, volevamo arrivare dappertutto, però la squadra era fatta solo di 20 corridori. Ci sono stati momenti in cui facevamo tripla attività. E non era facile essere competitivi dappertutto. Poi però quando abbiamo preso il ritmo abbiamo colto qualche bel risultato e ci siamo tolti anche qualche soddisfazione».

Il discorso vira poi inevitabilmente sui giovani. Se Brambilla è un riferimento in gruppo, figuriamoci per i ragazzi della sua squadra. Già sapevamo del buon feeling con Walter Calzoni. E lui stesso lo conferma.

«Di giovani ne abbiamo tanti – dice Gianluca – e i nostri mi sembrano giovani che hanno più voglia di molti altri. Vogliono emergere. Penso a Walter per esempio. Lui mi sta vicino, mi chiede, è motivato… Per me è un ottimo corridore, ha un grande motore e deve cercare di sfruttarlo al meglio.

«Discorso simile per lo spagnolo Camprubi, forte e curioso».

Formolo e Moro per la nuova Movistar di Unzue

20.10.2023
4 min
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COMO – Eravamo alla partenza del Giro di Lombardia e in quel momento la Movistar (in apertura foto Gettysport) aveva in rosa per il 2024 solo otto corridori. Eusebio Unzue non si era tirato indietro alle nostre richieste di avere qualche informazione in più in vista della nuova stagione della sua squadra.

Unzue, patron storico della Movistar, alla partenza dell’ultimo Giro di Lombardia
Eusebio Unzue, patron storico della Movistar, alla partenza dell’ultimo Giro di Lombardia

Rivoluzione a metà

Erano stati accostati tanti nomi allo storico gruppo spagnolo. Nomi che poi non si erano concretizzati. Uno su tutti quello di Carlos Rodriguez. Su di lui, Unzue ci è parso davvero dispiaciuto per non essere riuscito a portarlo a casa.

“Ci sarà una rivoluzione”. “No, si continua con la linea storica dei corridori per le corse a tappe”, ci dicevano anche i colleghi iberici in tempi non sospetti. Fatto sta che tutto era ancora per l’aria.

«Pochi corridori? Io dico di no – spiega Unzue – abbiamo tutti quelli che servono, ma saranno annunciati al momento opportuno. Aspettiamo il termine della stagione per comunicarli». E così è stato.

«Abbiamo una squadra che è abbastanza simile direi a quella dell’anno passato – va avanti Unzue – Ne abbiamo 6-7 che vanno (in realtà sono stati dieci, ndr) e 6-7 che arrivano. Un po’ come tutti i team. Io dico che va bene. Spero molto nei giovani. Sia nei nostri giovani, che hanno fatto una bella stagione con noi, che in quelli che arrivano. L’idea è che continuino a crescere». 

Niente rivoluzione dunque, almeno non totale. Semmai più un cambio generazionale, anche se la Movistar resta abbastanza “anziana”. 

«Saltato Carlos Rodriguez – è chiaro che “Enrique” (Enric Mas, ndr) sarà il nostro capitano per i grandi Giri. Mentre Fernando Gaviria il leader per le volate… lui continua con noi. Io sono convinto che ci potremmo godere il prossimo anno».

Pelayo Sanchez (classe 2000) spagnolo, viene dalla Burgos-BH. Ha firmato fino al 2025
Pelayo Sanchez (classe 2000) spagnolo, viene dalla Burgos-BH. Ha firmato fino al 2025

Giovani ed esperti

«L’idea è quella di rinforzare la squadra maschile puntando su qualche nome importante», con queste parole Unzue ci aveva liquidato all’ultimo Tour de France.

Crescere e creare una squadra che potesse raccogliere anche un buon numero di punti: anche questo era un obiettivo. La Movistar infatti in questa stagione ha vinto 16 corse e ha chiuso al dodicesimo posto nella classifica a squadre. Non è a rischio, ma neanche così tranquilla visto che nelle retrovie i distacchi sono corti.

E allora come rinforzarsi? Persi in tutto dieci corridori, tra cui Gorka Izagirre che ha seguito il fratello Ion alla Cofidis. Jorgenson e Verona passati rispettivamente alla Jumbo-Visma e alla Lidl-Trek e con Erviti che ha chiuso la carriera, servivano dei begli innesti. Serviva gente affidabile e vincente. «Gente che ha fame e ancora voglia», ci ha detto Unzue. Corridori chiusi da tanti campioni nei rispettivi team di provenienza. Ma anche giovani in cerca di progetti che lasciassero loro più spazi personali.

E così ecco Davide Formolo e Remi Cavagna. «Credo che una squadra come la Movistar – ha dichiarato il veronese – sia ideale per il tipo di corridore che sono. Posso svolgere un ruolo importante nel supportare i leader nei grandi Giri e allo stesso tempo cercare risultati nelle corse di un giorno o ovunque sia necessario per la squadra».

Ma lo stesso vale anche per i “novellini”. Manlio Moro, Ivan Romeo e Pelayo Sanchez, quest’ultimo una delle rivelazioni dell’ultima Vuelta.

E alcune voci dicevano di una certa vicinanza anche di una grande (ex) stella, Nairo Quintana. «Non prendiamo Nairo – sottolinea Unzue – non in questo momento».

Classe 2002, Manlio Moro è ormai uno dei vagoni più importanti per il quartetto azzurro. Sarà in Movistar fino al 2026
Classe 2002, Manlio Moro è ormai uno dei vagoni più importanti per il quartetto azzurro. Sarà in Movistar fino al 2026

Moro e il Dna del team

Alla luce dei fatti però la squadra spagnola non cambia poi troppo il suo Dna. Si ritrova con un leader per le corse a tappe, Mas, due uomini veloci, Gaviria e Lazkano, e degli ottimi corridori che possono sia vincere che aiutare come Formolo, Cavagna, Aranburu, Cortina. A tutti questi va affiancata la serie di giovani di cui abbiamo detto… ma è gente su cui bisogna più lavorare che puntare.

Alla fine in questo mercato della Movistar, che è stato costellato soprattutto di rinnovi (ben 12), spicca il nome di Manlio Moro. Lui sì che si discosta un bel po’ dai profili storicamente associati al team iberico. Un pistard, una delle perle del quartetto azzurro tra gli scalatori spagnoli. Se il ruolo di Formolo tutto sommato si può inquadrare, quello di Moro resta un po’ più un’incognita.

«Il prossimo anno – ha detto il giovane pordenonese – sarà speciale per me, con le Olimpiadi. Quello è il mio vero obiettivo. Ma voglio crescere anche su strada e nelle cronometro, che sono la mia specialità e per il futuro fare bene nelle classiche». 

Vedremo, magari ha ragione il “vecchio” Unzue…

L’altro padre, “il Franceschi” lo aspettava a Como

13.10.2022
5 min
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L’onda lunga del ritiro di Vincenzo Nibali. Un addio così non svanisce in pochi giorni. Sul rettilineo di Como, ad attendere il suo figlioccio c’era, e non poteva essere altrimenti, anche Carlo Franceschi, presidente della Mastromarco Sensi Nibali, la squadra che ha lanciato il messinese al grande ciclismo.

“Il Franceschi”, lo ricordiamo, è colui che accolse lo Squalo quando Squalo ancora non era, ma era solo un ragazzino partito dalla Sicilia con un’immensa voglia di fare il corridore. Un ragazzino che prometteva bene, ma che chiaramente aveva più sogni che certezze. Franceschi gli aprì le porte di casa sua nel vero senso della parola. I genitori di Vincenzo glielo affidarono.

Carlo Franceschi, ex direttore sportivo e attuale presidente della squadra in cui correva Nibali da dilettante, sull’arrivo di Como
Lago di Como, Franceschi, attuale presidente della squadra in cui correva Nibali da U23

Ventidue anni

«E siamo arrivati a questo momento – dice Carlo con un tono velato di commozione – sono emozionato. La sua carriera è stata lunga. Ho visto la sua prima gara da professionista a Laigueglia nel 2005 e non potevo mancare oggi all’ultima, al Lombardia.

«Cosa devo dire? Dal 2000 (per Carlo “Nibali è iniziato” 5 anni prima degli altri, ndr) mi ha dato soddisfazioni ed emozioni incalcolabili».

Franceschi parla di un ragazzo che è sempre stato serio e maturo, in relazione alla sua età, e soprattutto è sempre stato motivato.

«E lo è stato fino alla fine. Prima della partenza di questo Lombardia era rilassato, ma anche un po’ teso, emozionato, perché comunque sapeva che era l’ultima gara. Mi ha detto però che aveva dormito bene nella notte, perché voleva cercare di dare un piccolo brio a tutti i suoi tifosi».

Per Franceschi la vittoria di Nibali alla Sanremo è stata la più emozionante
Per Franceschi la vittoria di Nibali alla Sanremo è stata la più emozionante

Quella Sanremo

Carlo con i “CanNibali” è partito in piena notte da Mastromarco. Non erano neanche la quattro, ma voleva farsi trovare presente alla sveglia di Vincenzo nell’hotel in cui alloggiava. Bisognava scortalo alla partenza. Poi è andato a vederlo anche in cima ad una delle prime salite.  «Cosa gli ho detto? Corri alla Nibali e poi vediamo che succede. E lui si è messo a ridere».

«Se chiudo gli occhi ho due vittorie di Vincenzo stampate qui dentro – mentre si porta il pollice alla fronte – la vittoria del Tour, soprattutto la prima tappa che vinse, e la Milano-Sanremo

«Alla Sanremo mi ha fatto quasi venire un infarto. Perché lui è abituato a prendere 100 metri e a portarli all’arrivo, ma farlo alla Classicissima era una cosa grossa… e ci è riuscito. Per me è la più bella vittoria della sua carriera. Non era una gara che gli si addiceva tanto. Quello è stato un numero da vero campione».

Il 22 marzo 2006 Nibali coglie la sua prima vittoria da pro’: la Cervia-Faenza, seconda tappa della Coppi e Bartali
Il 22 marzo 2006 Nibali coglie la sua prima vittoria da pro’: la Cervia-Faenza, seconda tappa della Coppi e Bartali

Tirate d’orecchie

In apertura abbiamo scritto che Carlo Franceschi è stato anche un padre per Nibali. E un padre non dice sempre e solo di sì. A volte tira le orecchie, rimprovera… ci si discute anche. E momenti così tra Franceschi e Nibali non sono mancati. Ma sono proprio questi momenti che innalzano il rapporto, lo rendono qualcosa di più. Lo fanno diventare una famiglia.

«Quando era junior e dilettante – va avanti Franceschi – ci ho litigato tanto. E ci ho litigato tanto perché tanto sciupava. Quando vinceva e sapeva che aveva sciupato, poi veniva da me e con un aria da furbetto mi faceva: “Hai visto che ho vinto lo stesso?”. Io però gli ribattevo: “Sì, però domenica scorsa non l’hai finita. E quella ancora prima le hai prese…”. Invece di 15 poteva averne vinte 18. Posto che poi quelle vittorie non contavano nulla perché una volta passato si azzerava, e si azzera, tutto. Ma era il concetto del correre bene che a me stava a cuore. Sembrava che non ascoltasse, però ascoltava e questo contava».

Quelle ramanzine da ragazzino sono servite. Certi errori magari da pro’ in corsa non li ha fatti. Ma Nibali e Franceschi si sono sentiti, anche durante la super carriera del siciliano.

«Mi ha sempre chiamato – prosegue Carlo – quando era ancora a casa mia, chiedeva i consigli e io gli spiegavo certe cose. Le direttive erano sempre quelle: nello sport bisogna essere leali, onesti e altruisti… Ma quando c’è la possibilità di andare, bisogna andare».

Dopo l’arrivo l’abbraccio di Nibali ai suoi genitori e a Carlo, a sinistra (foto Instagram)
Dopo l’arrivo l’abbraccio di Nibali ai suoi genitori e a Carlo, a sinistra (foto Instagram)

La Porsche no

Ma i consigli non erano da direttore sportivo a corridore, erano anche da “padre a uomo”, perché nel frattempo Nibali è chiaramente maturato, si è sposato e ha messo su famiglia.

«Una volta tornò dopo un buon Tour e mi disse: “Voglio farmi un regalo, mi compro una Porsche”. Io gli risposi: “No, la Porsche non si compra, prima finisci casa”. Aveva preso un appartamento nelle mie zone, doveva acquistare anche il garage e così fece… Poi comprò anche la Porsche! Ma intanto le priorità erano state rispettate. I consigli li chiedeva, dai…».

Franceschi continua il suo cammino verso la zona d’arrivo. Nell’area riservata, lo attendono i genitori di Vincenzo. E’ tutto pronto per quella che, a prescindere dal risultato, sarebbe stata una festa. Carlo aspettava il suo ragazzo, come tante volte aveva fatto in questi 22 anni che gli è stato al fianco. 

«Quando arriverà gli dirò grazie di averti trovato. E grazie delle tante emozioni che mi hai dato nella vita».

Landa li ha visti scappare. Ma si è preso il podio con i denti

08.10.2022
4 min
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Si staccava e rientrava. Sempre mani basse, sempre composto e sempre a tutta. Mikel Landa riesce a trovare l’ennesima buona prestazione. Peccato per lui che sulla sua strada incontri ogni volta qualche fenomeno. Se ci fosse un “Giro della regolarità” lui sarebbe di certo in maglia rosa.

A Como il corridore della Bahrain-Victorious agguanta un terzo posto che dà speranza per l’inverno. Dà morale. E’ una piccola gioia. Alla fine è su un podio importante, in una classica monumento tra un fenomeno, Pogacar, e un gran corridore, Mas.

Landa (classe 1989) con il suo stile impeccabile in salita. Dopo la Vuelta il basco era tornato in corsa al Gran Piemonte
Landa (classe 1989) con il suo stile impeccabile in salita. Dopo la Vuelta il basco era tornato in corsa al Gran Piemonte

Fiducia in Landa

«Io ci credevo – racconta dopo la corsa Alberto Volpi, diesse della Bahrain – Ci credevo perché sapevo che stava bene. L’ho visto dopo la ricognizione fatta nei primi giorni della settimana. Avevo fiducia in lui. E a chi mi chiedeva chi vincesse rispondevo: “Occhio a Landa”. E mi guardavano storto».

«Tutti noi eravamo per Mikel – dice Edoardo Zambanini, soddisfatto per aver concluso la sua prima classica monumento – io dovevo stargli vicino fino al Ghisallo e invece sono arrivato fin sotto il San Fermo. In corsa mi diceva che stava bene. Gli ho dato da mangiare, più di qualche volta sono andato all’ammiraglia a prendere l’acqua. Sapevamo che Mikel c’era e per questo eravamo motivato anche noi».

Edoardo Zambanini (classe 2001) è stato vicino a Landa ben oltre il Ghisallo
Edoardo Zambanini (classe 2001) è stato vicino a Landa ben oltre il Ghisallo

Preparazione ok

Nel finale i due davanti giocavano un po’ come il gatto col topo. Acceleravano e si fermavano e, come detto, Mikel rientrava. Anche mentalmente non è facile. Perché se è vero che tu stai bene, è anche vero che ci sono due che ne hanno più di te.

«Poteva essere frustrante questa situazione – spiega Volpi – ma Mikel è stato a bravo a stare lì con la testa, ad avere i nervi saldi. Io per radio gli davo dei riferimenti, dei distacchi… ma neanche più di tanto, perché comunque in certe situazioni il corridore va lasciato concentrato».

«Da parte mia sono molto contento – ha spiegato Landa – ho cercato di arrivare qui al Giro di Lombardia al meglio. Mi sono ritrovato tra Pogacar e Mas, sapevo che ne avevano di più e ho cercato di fare la mia corsa e di dare il massimo».

«Il suo podio – riprende Volpi – Mikel lo ha conquistato sul Civiglio, salita durissima, perché restare con quei due lassù significava appunto salire sul podio. E non era così scontato. Andare come è andato lui su quella salita significa stare bene davvero.

«Anche per questo voglio fare un plauso alla squadra, che a ha lavorato bene, e al preparatore che è riuscito a portarlo in condizione. Dopo la Vuelta Mikel non aveva più corso. Avevamo pensato alla CRO Race, ma ci era sembrata troppo impegnativa. Così ha corso solo giovedì scorso al Gran Piemonte».

Landa con Pogacar e Mas. Loro due erano su un altro pianeta a sua volta lui ha fatto il vuoto su tutti gli altri

La Bahrain c’è

Lasciare dietro il vincitore del Tour de France, staccare tanti altri bravi corridori per un ragazzo che non metteva il numero sul dorsale da tanto tempo, eccezion fatta per il Gran Piemonte, non era scontato per Volpi. 

E tutto sommato il diesse non aveva torto in quanto abbiamo visto che i più forti hanno gareggiato parecchio in questo scorcio di stagione. Il ritmo nelle gambe, tra l’altro quello esplosivo delle corse di un giorno, c’era eccome. E quando si scatta con violenza la differenza si sente.

«Vorrei aggiungere una cosa – sottolinea Volpi – abbiamo iniziato le classiche monumento con una vittoria, quella di Mohoric alla Sanremo a marzo, e la chiudiamo con un podio in un altra classica monumento. Questo significa che la Bahrain Victorious c’è. E’ sul pezzo».

Mas ci prova, Pogacar lo bracca e poi lo divora in volata

08.10.2022
5 min
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«Guardate che Enric Mas è veloce. Io lo sapevo, ma nessuno mi credeva. Questa vittoria non è stata così scontata. Non è andato tutto secondo i piani così facilmente». Come sempre le parole di Matxin non sono banali. Il tecnico della  UAE Emirates sapeva del pericolo Mas.

Si poteva pensare che Mas staccasse Pogacar sul Civiglio. Salita dura, relativamente lunga (4,3 chilometri) e vista come era andata all’Emilia e la facilità con cui aveva chiuso alla Tre Valli sugli attaccanti, pensare che ne avesse più dello sloveno non era poi fantascienza. Però sempre Matxin ci ha detto che Tadej era in crescita e che ogni giorno pedalava meglio.

Mas ancora secondo

E infatti Mas dopo aver risposto allo scatto dello sloveno ha rilanciato, convinto di poter bissare quanto fatto al Giro dell’Emilia, ma stavolta Tadej c’era. Mezza pedalata e ha chiuso su di lui. Lo ha braccato. Poi Mas ci ha riprovato anche sul San Fermo, ma a quel punto le sue certezze erano crollate. Nonostante i suoi scatti fossero violenti. E’ il duello.

Arrivare sul traguardo con un cannibale come Pogacar vuol dire “morte” certa. Anche se, bisogna ammettere che lo spagnolo se l’è giocata benissimo. Ha fatto un ottimo sprint per tempistiche, linee (l’arrivo girava leggermente verso sinistra) e potenza.

Alla fine il corridore delle Baleari non può che godersi il podio, essere felice di essere stato protagonista di un bel duello e nel complesso sorridere per un buon finale di stagione. Secondo alla Vuelta, primo all’Emilia, secondo al Lombardia. Ma quando sulla tua strada trovi Remco e Tadej… sono dolori. Dolori per tutti.

«Sono contento – ha detto Mas emozionato per l’addio di Valverde – di essere salito sul podio di questa classica monumento alle spalle di Pogacar. Sono contento per me e per la squadra che aveva bisogno di buone prestazioni (il riferimento è alla questione dei punti, ndr). Sto crescendo passo dopo passo».

«Ho provato a giocarmela in volata e soprattutto a staccare Pogacar sulle ultime due salite, ma non ci sono riuscito. Oggi lui era fortissimo e mi ha battuto. Vuol dire che dovrò attendere prima di vincere una classica monumento, ma ci proverò ancora».

Mas è autore di un ottimo sprint, ma Tadej è più esplosivo
Mas è autore di un ottimo sprint, ma Tadej è più esplosivo

Pogacar in crescita

E poi c’è Pogacar. Arriva in conferenza stampa che Como è ormai avvolta dall’ombra delle montagne. Cappellino con la visiera sulla fronte “alla Bartali” e la solita scioltezza nel raccontare.

Tornando al discorso delle “certezze di Mas”, gli abbiamo subito chiesto se dopo l’Emilia si aspettasse un Mas più forte di lui in salita. Se in qualche modo lo temesse. Avevamo questa curiosità, perché il nocciolo della corsa era tutto lì. O Mas lo staccava o era volata… e così è andata.

«Io – dice Pogacar – sapevo di stare meglio ogni giorno che passava. Ho avuto altre sensazioni già alla Tre Valli Varesine. All’Emilia avevo ancora nelle gambe il lungo viaggio di ritorno dall’Australia. Lo sapevo io e lo sapeva il mio team. Ma noi abbiamo sempre lavorato per questo obiettivo. Ho una squadra fortissima e siamo riusciti a raccoglierlo».

Il percorso del Lombardia di quest’anno era molto più stile Liegi. E una Liegi Pogacar l’ha già vinta. 

«Questo tracciato – ha detto Pogacar – prevedeva più salite ma più corte. Anche se nel finale erano anche piuttosto dure. A me è piaciuto e sono contento che ogni volta il tracciato cambi un po’, anche nel finale. Questo rende la corsa meno prevedibile».

Pogacar esulta. Mas non lo ha staccato in salita e lo sloveno ha preso fiducia
Pogacar esulta. Mas non lo ha staccato in salita e lo sloveno ha preso fiducia

Tutto in volata

Salite brevi, scatti, Mas che ci prova, Tadej che tiene… alla fine l’epilogo è stato in volata. Una volata meno scontata di quel che ci si poteva aspettare, come accennato.

«Mai sottovalutare nessuno in volata – ha proseguito Pogacar – Io ho cercato di dare il mio massimo, ho spinto a tutta e solo quando mancavano 50 metri ho capito che ce l’avrei fatta. Non prima dello sprint…

«Se mi è servita l’esperienza del Fiandre per questo sprint? Difficile dirlo, sono stati due sprint diversi. Quel giorno ero molto nervoso, oggi invece ero tranquillo. Ho pensato solo a tagliare la linea bianca in testa».

WT casa Pogacar

Adesso può iniziare il suo inverno. Un inverno in cui Tadej ha detto che cercherà relax, ma tra impegni vari, come la GF Rigo (la granfondo di Uran in Colombia) e il ritiro negli UAE già a novembre non sarà così facile da agguantare.

«E’ stata una stagione lunga e bellissima – ha concluso Pogacar – come quella precedente. L’unico rimpianto, ammesso che sia un rimpianto, è il mondiale. Prima della gara mi sentivo benissimo, poi il giorno della corsa le gambe non hanno risposto come volevo. 

«Ho vinto molto in queste due stagioni, ho avuto tanti giorni ottimi. E’ difficile dire quale sia stato il migliore, perché ogni corsa è qualcosa a sé. Forse oggi, perché no? Però devo dire che alla Strade Bianche mi sono davvero sentito bene».

Con il Lombardia si è concluso anche il calendario del WorldTour, che è finito come è iniziato, con la vittoria di Pogacar. Suoi il UAE Tour a febbraio passando per la Strade Bianche, la Tirreno, tre tappe al Tour, il GP Montreal e il Lombardia ad ottobre… solo per citare i successi nella massima serie.

«Vincere mi piace – ha concluso lo sloveno – così come cercare di essere sempre al massimo della condizione, ma non è facile».

Froome, il 2022 per tornare se stesso. Impresa possibile?

10.10.2021
5 min
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Vigilia del primo Lombardia di Chris Froome, venerdì, inizio pomeriggio (nella foto di apertura di Mattia Ragni, durante una sosta nell’allenamento). Persino chi ha vinto tutti e tre i grandi Giri, medaglie olimpiche e mondiali ha ancora tempo di scoprire una nuova corsa a 36 anni compiuti e sentirsi un ragazzino. A vederlo come pedalava in mezzo ai compagni del Team Israel Start-Up Nation, ridendo, scherzando e fermandosi a scattare qualche istantanea lungo il Ticino dalle parti di Sesto Calende, l’impressione è che abbia ritrovato la tranquillità dopo tanti mesi difficili. Non a caso, prima di concentrarsi sulla Classica Monumento delle foglie morte, l’asso britannico di origini keniane ci ha confidato che il quinto Tour è ancora lì, saldo nei pensieri per il 2022. Anche se poi la corsa non è andata come sognava, nella logica di un percorso di avvicinamento che Chris sembra avere ben chiaro.

Lo abbiamo incontrato nell’hotel della squadra nel corso di uno shooting fotografico di Uyn, l’azienda che al team israeliano fornisce abbigliamento intimo ad alta tecnologia oltre ad accessori fondamentali da indossare nei momenti di riposo.

Hai pedalato in tutto il mondo, ma non avevi mai fatto il Lombardia…

La mia stagione finiva sempre dopo la Vuelta, l’obiettivo che sceglievo dopo il Tour e a quel punto ero davvero morto. Non ero mai arrivato in questo periodo della stagione ancora motivato e con tanta voglia di dire la mia. Il Lombardia è una bella corsa, una classica del ciclismo e a me piace sempre correre in Italia.

Il tuo primo anno al Team Israel, anche a causa dei postumi dell’infortunio, è stato più duro del previsto: ce lo racconti?

I primi sei mesi di quest’anno ho lavorato tanto tanto giù dalla bici per recuperare il tono muscolare perduto dopo che mi sono fatto male. Ho lavorato molto in palestra perché era molto importante farlo, però questa scelta mi ha tolto tempo agli allenamenti in bici, su cui mi sono concentrato poi negli ultimi due o tre mesi, cioè dopo il Tour. Ho ancora tanta voglia di essere lì davanti anche nel 2022.

Il primo Lombardia di Froome si è chiuso con il ritiro: tornerà quello di un tempo?
Il primo Lombardia di Froome si è chiuso con il ritiro: tornerà quello di un tempo?
Il tuo grande amore è il Tour de France: pensi possa essere quello l’obiettivo principale per l’anno prossimo?

Per me, l’obiettivo numero uno è tornare al livello che avevo prima dell’incidente. Sto lavorando per quello. Per gli appuntamenti specifici, come il Tour, il Giro o la Vuelta, non ho ancora deciso.

Ti piace essere un modello per i tanti giovani della tua squadra, che si emozionano soltanto al pensiero di correre insieme a te?

In particolare, sono molto contento di lavorare con l’Israel Start-Up Academy, che aiuta i giovani a crescere. Cerco di dare qualche piccolo consiglio che ho imparato dai tanti anni vissuti nel ciclismo, penso che questo faccia parte del nostro sport: i più vecchi devono aiutare i nuovi arrivati.

Molto attento alla messa a punto della sua bici Factor: nell’azienda ha anche investito(foto Mattia Ragni)
Molto attento alla messa a punto della sua bici Factor: nell’azienda ha anche investito(foto Mattia Ragni)
A te poi piace condividere i tuoi allenamenti su Strava o le tue emozioni su Instagram e Facebook.

E’ il mio modo di fare, sono fatto così come persona. Sono contento di riuscire ad aprirmi anche sui social

Hai vinto praticamente tutto nel ciclismo, ma hai ancora qualche sogno da cullare?

Innanzitutto tornare al livello di prima, come dicevo, e poi sì, mi manca il quinto Tour. Sono a quattro e il sogno di vincere ancora il numero cinque c’è, ma so anche che non è facile.

Hai vinto su montagne epiche al Giro, al Tour e alla Vuelta, sei diventato famoso anche per la tua corsa a piedi sul Mont Ventoux, ma qual è il momento più bello che hai vissuto in sella?

Penso che il giorno più bello della mia carriera fino adesso sia stato in Italia, quando ho vinto il Giro, attaccando sul Colle delle Finestre nella 19ª tappa. Okay, ho vinto il Tour e la Vuelta, ma non avevo mai vinto uno dei tre grandi Giri con l’impresa di un solo giorno, per cui non me lo dimenticherò mai.

Alla vigilia del Lombardia, Froome ha chiesto di mettere a posto anche la bici da crono (foto Mattia Ragni)
Alla vigilia del Lombardia, Froome ha chiesto di mettere a posto anche la bici da crono (foto Mattia Ragni)
Ti piace che ora i giovani, come ad esempio Remco Evenepoel, corrano così all’arrembaggio?

E’ cambiato davvero il modo di correre nel gruppo. E’ buono per il ciclismo, mi piace che arrivino giovani che sono già molto forti e credo che alzi per tutti il livello dello sport.

Continui a essere molto rigoroso con la dieta o ti concedi qualche sfizio?

E’ difficile durante la stagione perché cerchi di tenere duro, ma soprattutto in Italia, diventa ancor più difficile perché ci sono tante cose buone a tentarti.

Allenamento di gruppo, prima di fine stagione (foto Mattia Ragni)
Allenamento di gruppo, prima di fine stagione (foto Mattia Ragni)
Quali sono le tue debolezze?

Sono troppo buone le pizze, quelle vere. Poi mi piace tantissimo il tiramisù. 

Dopo il Lombardia, ti concederai un po’ di vacanza?

Un po’ di tempo a casa è già vacanza. Stiamo fuori tanti giorni durante l’anno e sono molto contento di poter stare un po’ tranquillo in famiglia e poter concedermi una pizza o se possibile anche due.