Cucinotta, come ha lavorato l’Astana sul Teide?

15.04.2022
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Con l’inizio della primavera si cominciano a preparare gli appuntamenti per la seconda parte di stagione, che come piatto principale vede arrivare Giro d’Italia e Tour de France. Spiando sui vari social abbiamo visto che la maggior parte dei corridori, quelli non impegnati a correre, sono in ritiro. Un altro dettaglio che ha sollevato la nostra curiosità ce lo ha fornito l’Astana: i kazaki, in ritiro sul Teide, erano l’unico team che ha lavorato in gruppo. Guidati da Claudio Cucinotta, Nibali e compagni, hanno pedalato duramente sulle strade del vulcano più ambito dai ciclisti.

Claudio Cucinotta è oggi uno dei preparatori dell’Astana
Claudio Cucinotta è oggi uno dei preparatori dell’Astana
Ciao Claudio, partiamo dal chiederti quanto siete stati in ritiro.

Noi dello staff siamo rimasti sull’isola per 3 settimane. I corridori, invece, incastrati tra i vari impegni sono rimasti con noi 2 settimane. Arrivavano a gruppetti, generalmente lavoravamo con 6-7 atleti alla volta.

Un bel periodo di lavoro…

Sì, questo di aprile per noi era il secondo ritiro della stagione, dedicato ai corridori che andranno a correre Giro e Tour. La meta scelta (il Teide, ndr) grazie al suo clima, ci permette di dormire in altura e di lavorare al livello del mare con temperature tra 15 ed i 20 gradi

Anche se, per preparare al meglio il Giro, solitamente si fa un ritiro in altura di una decina di giorni a due settimane dal via. 

L’hotel si trova nella zona de La Orotava
L’hotel si trova nella zona de La Orotava
Hai detto che questo per voi è il secondo ritiro stagionale, come avete lavorato?

Allora, essendo un ritiro in altura cambia molto rispetto al ritiro invernale. A dicembre si va in Spagna per il clima più mite ma si lavora e si vive a livello del mare. In questo caso, invece, dormendo ad un’altitudine di 2.100 metri cambia molto il tipo di allenamento che andiamo a fare.

Spiegaci…

I primi 3-4 giorni sono di adattamento, il corpo deve imparare a vivere in quota. I battiti e la frequenza respiratoria a riposo aumentano, di conseguenza aumentano anche sotto sforzo. Per farvi un esempio: se a livello del mare ho 120 battiti ad intensità media appena salgo in quota aumentano a 135. Si fanno dei lavori al di sotto del medio, si lavora sull’intensità del lento o del lungo.

I dati rilevati durante il ritiro invernale vengono sostituiti da quelli dei test fatti ad aprile
I dati rilevati durante il ritiro invernale vengono sostituiti da quelli dei test fatti ad aprile
Superato questo periodo di adattamento?

Si dorme in cima al vulcano e poi si scende a livello del mare per allenarsi, questo permette di lavorare ad intensità più alte. Il Teide da questo punto di vista è perfetto perché per tornare all’hotel hai una bella salita di un’ora dove superi quota 1.800-2.000 metri.

Che lavori si fanno?

Ci si allena come lo si farebbe a casa: si fanno tanti lavori di capacità aerobica, potenza aerobica e qualcosina di forza. Si approfitta per fare tanto dislivello ma questo è quasi inevitabile visto che l’hotel è a 2.100 metri. 

I valori raccolti d’inverno servono per lavorare o cambiano?

I dati raccolti in inverno servono per trovare le zone di allenamento per capire su quali valori si deve lavorare ad inizio stagione. Ovviamente i numeri cambiano da dicembre a marzo, anche perché si inizia a gareggiare ed i livelli si alzano. Per questo, quando eravamo in ritiro nei giorni scorsi abbiamo fatto altri test. 

Gli atleti che vogliono preparare al meglio il Giro faranno un ritiro in altura poco prima dell’inizio della Corsa Rosa (foto Facebook Nibali)
Chi vuole preparare al meglio il Giro farà un ritiro in altura poco prima dell’inizio della Corsa Rosa (foto Facebook Nibali)
Qual è uno dei test che avete fatto?

Quello del lattato. Si tratta di un test a più step su un tratto di salita, con un dislivello di 100 metri. Si fanno delle ripetute a livelli di intensità crescenti, misurando il livello di acido lattico del sangue e si trova la soglia anaerobica e si trovano dei nuovi dati per lavorare in futuro.

Hai detto che chi fa il Giro va in altura a ridosso della partenza, cosa cambia rispetto a questo ritiro?

Sul Teide non abbiamo fatto lavori in quota e non si sono aggiunti molti lavori ad alta intensità, per questo ci sono le gare (oggi alcuni dei corridori che erano sul Teide sono al Giro di Sicilia o in Turchia, ndr). I corridori che vorranno fare bene al Giro faranno un breve ritiro in altura per mettere nelle gambe dislivello ed allenarsi al cambio di quota in corsa. Ovviamente per fare ciò sono importanti anche le corse come il Tour of the Alps o il Romandia.

Si va sempre più forte: cosa è cambiato nella preparazione?

23.02.2022
6 min
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Recentemente Domenico Pozzovivo ci ha detto che anche lui oggi è molto più legato ai numeri, che è portato sempre più spesso a superare i suoi limiti e che qualche anno fa non c’erano le stesse tecnologie e le stesse metodiche di allenamento. La preparazione, insomma, è cambiata: questo ci vuol dire il “Pozzo” .

E si sapeva. Ma quanto? E in quanto tempo? Quali sono queste tecnologie e metodologie? Il discorso può essere vastissimo, ma al tempo stesso molto sottile, visto che si lavora sempre più di fino, si aggiustano dettagli… Negli ultimi anni c’è stata un’evoluzione, ma non una rivoluzione. 

Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana Qazaqstan
Claudio Cucinotta, classe 1982, è uno dei preparatori dell’Astana Qazaqstan

L’avvento del potenziometro

La vera rivoluzione della preparazione c’è stata 10-15 anni fa, come sostiene Claudio Cucinotta, coach dell’Astana Qazaqstan, da quando cioè è arrivato in maniera massiccia il potenziometro. Cerchiamo dunque di capire come si è ulteriormente evoluto il tema dell’allenamento negli ultimi cinque anni, senza andare troppo indietro nel tempo.

«Il misuratore di potenza – dice Cucinotta – c’era già cinque anni fa, ma sicuramente l’analisi dei dati oggi è più accurata. Si dà più importanza ai numeri rispetto a quello che accadeva solo pochi anni fa. In più i giovani, al contrario di Pozzovivo, hanno iniziato ad usare il power meter presto e non in età avanzata. Fino al 2010 il potenziometro non ce lo avevano tutti. Diciamo che ne era in possesso il 50-60% dei ciclisti. Poi la percentuale è cresciuta in modo esponenziale, fino alla totalità.

«I ragazzi giovani ci si allenano da anni, da quando sono juniores se non allievi. Hanno quindi un bel vantaggio in termini di conoscenze (e, aggiungiamo noi, è anche per questo che raggiungono i loro massimi livelli molto prima, ndr). La generazione di Pozzovivo ha iniziato ad usarlo più tardi, ha avuto un periodo di rodaggio prima di sfruttarlo al 100%. Cose che oggi si danno per scontate, prima non lo erano».

«La grande utilità del potenziometro è stata quella di capire veramente ciò che succedeva in gara. Questo descrive il modello prestativo in corsa e mostra veramente ciò di cui ha bisogno l’atleta per prepararsi alla gara. Prima c’era solo il cardio. E potevi sapere: oggi ho fatto 20′ di fuorisoglia, un’ora fra 170 e 180 battiti, 90′ al medio… dico numeri a caso. Ma in realtà la risposta cardiaca è molto più lenta rispetto a quella della potenza. Certe variazioni d’intensità non si vedevano, o comunque si apprezzavano molto meno che guardando la potenza. E lì ci si è accorti che ci sono picchi doppi, tripli rispetto alla potenza di soglia indicata dal cardio».

«E tutto ciò ha inciso tantissimo. Un detto recita: puoi migliorare solo ciò che puoi misurare. Se prima una cosa non la conoscevo, neanche mi ponevo il problema». 

Oggi ogni cosa è ponderata. Un porridge (in foto) è fatto con ricette personalizzate stilate in base all’atleta e alle esigenze del momento
Oggi ogni cosa è ponderata. Un porridge (in foto) è fatto con ricette personalizzate stilate in base all’atleta e alle esigenze del momento

L’alimentazione

E’ qui che si sono fatti i passi da gigante. E si sono fatti soprattutto negli ultimi anni. «Un’altra cosa che ha inciso moltissimo, anche se non è prettamente il mio campo, è l’alimentazione – continua Cucinotta – E negli ultimi tre anni c’è stato un cambiamento enorme. In tutti i frangenti… non solo in gara».

In effetti oggi il nutrizionista è presente in ogni team. Nessuno ne fa più a meno. Sono importanti per il recupero, per la performance, per il peso… e persino per l’aspetto psicologico, con il cuoco che imbastisce i piatti in un certo modo pensando anche ai colori delle pietanze.

Ma Cucinotta, chiaramente si riferisce soprattutto all’alimentazione in corsa, quella più vicina al preparatore qual è.

«E’ stato appurato che durante la corsa si possono mangiare molti più carboidrati di quelli che si pensava (qui un approfondimento, ndr). E questo consente di andare più forte. Una volta si pensava che il limite fosse 50-60 grammi, invece si può andare ben oltre i 100 grammi. Anche 140-150 grammi… allenandosi a questa pratica».

 

«Come si allena? Mangiando in allenamento molti più carboidrati a cui si è abituati. Chiaramente serve tempo e non lo si fa dall’oggi al domani. Una, due, tre volte a settimana si simula quel che si mangia e si consuma in gara. Nel giorno in cui magari si fa la distanza nelle tre ore centrali si spinge di più. L’atleta fa i suoi lavori specifici, quelli più intensi. E si sforza d’ingerire 100 e passa grammi di carboidrati per ora. Vale a dire il corrispettivo di tre barrette. Che può essere ripartito in una barretta, un gel e una borraccia con degli zuccheri. Tutto ciò è un bell’incremento per la performance».

Il dischetto sotto la manica e il sensore Supersapiens che rileva la glicemia in tempo reale (foto Twitter). Utilissimo nella preparazione
Il dischetto sotto la manica e il sensore Supersapiens che rileva la glicemia in tempo reale (foto Twitter). Utilissimo nella preparazione

Il Supersapiens

Pozzovivo parlava di metodologie e di tecnologie della preparazione. Oltre al potenziometro una delle trovate più discusse è stato il Supersapiens, il misuratore in tempo reale di glicemia nel sangue, si dice che c’è chi si allena in base al consumo di zuccheri e non della potenza.

«Allenamenti così specifici non ne ho sentiti – riprende Cucinotta – tuttavia il consumo calorico è direttamente proporzionale alla potenza espressa e sapendo quanto si è incamerato si sa quanti carboidrati si bruciano.

«L’utilizzo del Supersapiens non è permesso in gara, tranne che per i ragazzi diabetici, è uno strumento utile per i confini di studio. Aiuta a vedere come reagisce l’organismo di ognuno all’ingerire nutrienti diversi. Però la sua affidabilità non è totale. E’ utile, come era utile il misuratore di potenza quando era appena uscito». 

Tenere sotto controllo i watt è fondamentale per certi lavori. Il misuratore di potenza è ormai il pilastro della preparazione
Tenere sotto controllo i watt è fondamentale per certi lavori. Il misuratore di potenza è ormai il pilastro della preparazione

Poca base?

Tornando alle metodologie, Cucinotta parla in generale dell’incremento dei lavori più brevi e intensi. Cosa più che appurata ma…

«Una cosa che vedo è che si tende comunque ad andare troppo all’opposto. Qualche scuola di pensiero sottovaluta il lavoro di base aerobico, che comunque è importante. Il ciclismo resta pur sempre uno sport di endurance, visto che le sue gare vanno da 4 ore fino alle 7 ore delle classiche. Ma questo è un mio parere. L’allenamento non è una scienza esatta e non è detto che ciò che faccio io sia sbagliato o giusto. Magari va bene per me, ma non per te. Va bene in questo momento, ma non in quello. 

«I lavori a intensità elevata sono aumentati. Come ho detto, si tende a sottovalutare il volume sotto soglia, il ritmo medio o, come dicono gli anglosassoni, la Z3. Mentre 15-20 anni fa si faceva quasi solo il medio, quantomeno era in netta maggioranza.

«Adesso devi saperli mixare nelle giuste quantità. Devi comunque portare avanti i lavori a bassa intensità e quelli ad alta intensità. Il segreto di una buona preparazione è questo. E non è poco. Va valutato caso per caso, atleta per atleta.

Tra gli elementi che stanno influendo di più sulle prestazioni, c’è anche un maggior ricorso alla palestra e ai suoi nuovi metodi
Tra gli elementi che stanno influendo di più sulle prestazioni, c’è anche un maggior ricorso alla palestra e ai suoi nuovi metodi

Più intermittenti

«Rispetto a cinque anni fa magari si fanno un pochino meno di SFR. Qualcuno dice che peggiorano la performance, per me no. O almeno, se tu le fai per sviluppare la forza massima allora non vanno bene, ma possono essere utili per altro. Di certo, oggi non è l’unico lavoro di forza (ci sono anche le partenze da fermo, più palestra… ndr), come in passato.

«Si fanno più lavori intermittenti ad intensità elevata: 20”, 30”, 40” con tempi di recupero molto brevi. E lo stesso discorso vale per le partenze da fermo. Non che cinque anni fa non c’erano, io le faccio fare da molto più tempo, solo che il livello medio della bontà dell’allenamento è aumentato. Prima certi lavori li facevano in pochi, adesso li fanno tutti». 

Toneatti inesperto su strada? Cucinotta ha già pronto il piano

17.01.2022
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Davide Toneatti passerà all’Astana Qazaqstan Development Team. Ma come abbiamo visto il bravo crossista under 23 della DP66 Giant Selle SMP non ha troppa esperienza con l’asfalto.

Il fresco campione italiano, come lui stesso ci raccontò, ha corso davvero molto poco su strada. Viene quindi da chiedersi come farà ad affrontare questa nuova ed entusiasmante sfida all’improvviso. 

Claudio Cucinotta è uno dei preparatori dell’Astana (foto Instagram)
Claudio Cucinotta è uno dei preparatori dell’Astana (foto Instagram)

In Astana da febbraio

«Fino a fine mese – spiega il suo coach, Claudio Cucinotta – Toneatti sarà impegnato nel ciclocross. Lui ha l’obiettivo dei mondiali del 30 gennaio negli Stati Uniti. Sarà quindi ufficialmente un atleta dell’Astana a partire dal 1° febbraio. Fino al mondiale sarà gestito in tutto e per tutto dalla DP 66 Giant Selle SMP».

«Noi abbiamo pensato che vista la sua ricca stagione nel ciclocross possa essere in ottima condizione, quindi l’idea è di farlo partire bene, di farlo gareggiare abbastanza presto, proprio per sfruttare la forma fisica che presumibilmente si porterà dietro. Pertanto dopo il mondiale, come si dice in gergo, tireremo dritto per un altro mese e mezzo e nella seconda metà di marzo inizierà il suo recupero».

E questa non è un’idea malvagia. Cucinotta se l’è studiata bene. Proprio per aiutare il ragazzo ad inserirsi nei nuovi meccanismi cerca di portarlo in gara quando è in buona condizione.

Pensiamo solo alla tenuta in seguito ad una “sgasata” del gruppo. Un conto è rispondere essendo al 80% e un conto è farlo essendo al top: una gran bella differenza, specie se si è poco esperti. Ci si impressiona di meno.

Toneatti, classe 2001, ha deciso di tentare la sfida su strada all’inizio dello scorso autunno
Toneatti, classe 2001, ha deciso di tentare la sfida su strada all’inizio dello scorso autunno

Incognita gruppo…

Toneatti potrebbe avere però il problema dello stare in gruppo. In fin dei conti lui ha corso soprattutto in Mtb e nel cross e certe dinamiche gli sono quasi del tutto sconosciute.

«Davide riprende – Cucinotta – comunque una o due gare su strada all’anno tra i dilettanti se le faceva sempre, poi è chiaro, anche noi sappiamo che si tratta di una scommessa e certe caratteristiche dovrà “guadagnarsele”».

«Sono stato io che l’ho proposto all’Astana e so che valori ha. Ha dei numeri buoni e può fare bene da questo punto di vista, poi dobbiamo vedere come si comporta sul piano tecnico.

«Io non credo che Davide avrà grossi problemi a stare in gruppo, tutto sommato guida bene. Poi mi rendo conto che un conto è scendere in mountain bike e un conto è venire giù a 100 all’ora in gruppo da una discesa dolomitica, ma credo che si possa adattare. Semmai mi “preoccupa” più la distanza».

Il friulano vuole fare bene anche in azzurro. Andrà ai mondiali forte del titolo italiano cx conquistato a Variano
Il friulano vuole fare bene anche in azzurro. Andrà ai mondiali forte del titolo italiano cx conquistato a Variano

Occhio alla distanza

Di nuovo il preparatore friulano non è banale. Sia lui che Toneatti sono ben consapevoli a cosa stanno andando incontro e Cucinotta sembra aver previsto tutto.

«Davide ha sempre fatto gare di un’ora, un’ora e mezza, sarà importante farlo abituare a durate ben più lunghe. Ma il bello di una Development è che può fare esperienza senza fretta e avere al tempo stesso l’opportunità di correre anche con i professionisti qualora si trovasse subito bene.

«La nostra idea di portarlo a fare gare 1.2 e 2.2. Toneatti si ritroverà in corse che, per quanto brevi, saranno lunghe almeno 140 chilometri. Però, ripeto, la buona condizione iniziale che gli darà il ciclocross potrà aiutarlo molto. In tal senso è più facile avere lo spunto, il fuorigiri che non la distanza. E’ più facile abituarsi ai chilometri. Di sicuro meglio avere un’ottima base anaerobica e meno aerobica, che non il contrario. Almeno nella sua situazione».

In effetti da un punto di vista della preparazione è più facile mettere chilometri nelle gambe che non il fuorigiri. Per acquisire fondo “basta” fare i chilometri. E anche con l’alimentazione ci si può aiutare non poco.

«Ecco – riprende Cucinotta – anche questo dell’alimentazione è un aspetto quasi del tutto nuovo per Davide, perché nelle gare di mountain bike o di cross in pratica non si mangia mai. Al massimo si può prendere qualche gel. Anche questo è un aspetto che dovrà allenare».

«Io sono tranquillo – conclude il preparatore – Davide abita non lontano da me, per qualsiasi cosa sarò al suo fianco. Potrò seguirlo anche direttamente in qualche distanza o per dei test».

Proprio fra poche ore l’Astana, sia il gruppo WorldTour che Development, si riunirà per un ritiro. Toneatti come detto non ci sarà, ma Cucinotta assicura che dopo il primo step di gare tra fine febbraio e marzo, che presumibilmente saranno quelle tra Croazia e Slovenia, Davide si unirà al resto dei suoi compagni e inizierà la sua avventura tra i professionisti… in tutto e per tutto.

Niente Argentina, i team ripiegano su Mallorca

13.01.2022
5 min
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Il Covid ci sta mettendo lo zampino nuovamente. E speriamo che si sia fermato solo alla Vuelta a San Juan, originariamente in programma dal 30 gennaio al 6 febbraio. E’ qui, dall’Argentina, che sarebbe dovuta ripartire la stagione agonistica di molti team, alcuni grandi, alcuni grandissimi, altri più piccoli come quelli locali.

La tappa sudamericana era ormai diventata un riferimento per molti atleti per iniziare la propria stagione agonistica. Il fatto che sia “saltata” come intacca i programmi dei team? Quanto incide ai fini della preparazione? Ne abbiamo parlato con alcuni tecnici: due preparatori e due diesse.

Paolo Slongo, in Argentina ai tempi dell’Astana quando si correva a San Luis. Dietro, Pizzorni, addetto stampa del team a quei tempi
Paolo Slongo, in Argentina ai tempi dell’Astana quando si correva a San Luis

Slongo: stop sì, ma per tutti

Iniziamo da Paolo Slongo, che molto spesso ha aperto le danze a quelle latitudini, soprattutto ai tempi di Nibali.

«Noi – spiega il preparatore della Trek-Segafredo – avevamo un gruppo in cui c’erano soprattutto velocisti. L’idea era di farli partire con una corsa in più in vista del UAE Tour, la prima gara WorldTour dell’anno. E lavorare al caldo sarebbe stato importante. Però è anche vero che come salta per noi, salta anche per gli altri e nessuno ne trae vantaggio».

«A questo punto credo che dirotteremo su Mallorca, che non era in programma e lì recupereremo delle giornate di gara per qualche corridore. Quindi cambia sì, i programmi cambiano un po’ ma tutto è ben gestibile. Se invece dovessero saltare anche le corse del mese di febbraio si complicherebbero le cose. Ma anche in questo caso resto dell’idea che salterebbero per tutti».

«Bisogna cambiare i piani e negli ultimi anni ci siamo abituati. Li abbiamo rivisti tante volte. L’allenamento diventa fondamentale e si simulerebbe di più il ritmo gara. Tra lavori di gruppo e dietro moto si trasformano alcuni allenamenti in vere tappe.

«Noi già eravamo in ritiro e lì avevamo la possibilità di lavorare in gruppo. Magari chi doveva andare in Argentina anziché fare una settimana in meno di ritiro per partire alla volta di San Juan, resta fino alla fine».

L’aumento dei casi Covid ha indotto le autorità locali a fermare la corsa

Cucinotta: tutto sotto controllo

Più o meno dello stesso parere di Slongo è Claudio Cucinotta. Per il preparatore dell’Astana tutto è ancora sotto controllo…

«Alcuni dei nostri corridori avrebbero dovuto riprendere dall’Argentina, ma anche per altre squadre è così. Vediamo se ripartire dal Saudi Tour o dall’Oman, come gare alternative. Ma non bisogna essere  troppo preoccupati. Il calendario è folto sin da febbraio e alla fine si tratta d’iniziare una settimana o dieci giorni dopo. In più noi non saremmo andati con una squadra di big.

«La preparazione per ora resta quella di base. Non andremmo a rimpiazzare quel periodo con della qualità, ma facendo appunto ancora della “base”. Tanto più che per San Juan nessuno sarebbe andato per finalizzare. Magari qualcuno avrebbe dovuto fare qualcosa di più ed era leggermente più avanti, ma ripeto, cambia poco… Se salta solo l’Argentina. Rimescoleremo un po’ i vari partecipanti nelle varie gare».

Miguel Florez, vince sull’Alto del Colorado per l’allora Androni Giocattoli
Miguel Florez, vince sull’Alto del Colorado per l’allora Androni Giocattoli

Spezialetti: allenarsi e vincere

«Cosa cambia senza l’Argentina? Beh, per fortuna noi avevamo già dato l’okay alle gare di Mallorca, Vuelta Murcia e Costa de Almeria – dice Alessandro Spezialetti, diesse della Drone Hopper – il problema sarebbe stato se non ci fosse stato Mallorca. In generale comunque dispiace visto che sono due anni che l’annullano.

«Per noi è una gara importante, facciamo spesso bene ed abbiamo anche vinto come con Florez in un arrivo in salita. Era importante per mettere giù chilometri e iniziare a correre e magari anche a vincere.

«In più quest’anno si doveva andare giù una settimana prima ed era l’ideale per allenarsi al caldo, accumulare, come ho detto, chilometri, insomma sfruttare il buon clima e le alte temperature per fare un buon allenamento. Ci sarebbe stato solo da stare un po’ attenti al ritorno con il freddo che c’è ancora da noi e poi era buona anche perché il fuso orario è abbastanza ridotto, solo quattro ore in una settimana si recupera subito».

La Drone Hopper rispetto ai team WorldTour partiva con qualche velleità in più. Alla fine la Vuelta San Juan è una ghiotta occasione per mettersi in mostra in una gara che ha molta visibilità proprio perché ci sono le squadre WorldTour, le quali però (forse) non sono ancora al top.

«Partivamo per sfruttare qualche occasione – aggiunge Spezialetti – queste erano le nostre velleità. Avremmo portato tre scalatori e tre ragazzi per fare le volate».

La Israel Start-Up Nation era presente nell’edizione 2020. E vinse la prima frazione con Barbier
La Israel Start-Up Nation era presente nell’edizione 2020. E vinse la prima frazione con Barbier

Cozzi: Mallorca, un bell’aiuto

Infine parola a Claudio Cozzi, direttore sportivo della Israel Start-Up Nation, una delle 24 squadre che sarebbe stata al via di San Juan.

«Dal punto di vista della preparazione cambia molto poco – dice Cozzi – mentre incide di più sulla rotazione dei corridori, anche perché non si è ancora sicuri che si svolgeranno Saudi Tour e Oman, questo potrebbe essere un problema.

«Noi abbiamo stilato un calendario fino alla fine di febbraio e, poiché ci sono di nuovo delle incertezze abbiamo parlato a tu per tu con i corridori e lo faremo ancora in questo ritiro. Sfrutteremo al massimo dei training camp anche in altura, Teide o Etna. Training camp che avevamo già programmato, ma che abbiamo atteso a confermare. A quel punto stabiliremo le date con i corridori.

«Inizieremo a correre a Mallorca e poi seguiremo il programma spagnolo. In particolare la gara sull’isola si gestisce molto bene. E’ una challenge: cinque giorni di gara, due per gli sprinter, tre un po’ più mossi. Andremo lì con un numero maggiore di corridori e cercheremo di farne correre il più possibile».

Il motore per il cross non si fa nelle marathon, parola degli esperti

15.12.2021
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In Val di Sole ancora una volta abbiamo assistito alla netta supremazia dei crossisti del Nord Europa. E non ci riferiamo solo ai noti fenomeni, ma parliamo piuttosto della “massa” che gravita nelle prime posizioni. I nostri migliori interpreti, Gioele Bertolini e Jakob Dorigoni (foto apertura durante una marathon), sono molto bravi, guidano in maniera eccellente però alla fine il gap di “motore”, e di classifica, è sensibile.

Come e dove si può recuperare? Vediamo che Van Aert, Van der Poel, ma anche Quinten Hermans, per citare un buon nome ma non un extraterrestre, fanno della strada una colonna portante. Noi invece abbiamo visto che Dorigoni, a parte qualche parentesi tra i dilettanti, la scorsa estate ha preso parte alle marathon in mountain bike. Di fronte a tutto ciò una riflessione ci sembra lecita.

E come nel nostro stile queste riflessioni le facciamo con gli esperti. Abbiamo chiamato in causa chi ha esperienza sia sulla strada che nella mtb: Paolo Alberati, Massimo Ghirotto e Claudio Cucinotta.

Jakob Dorigoni e Gioele Bertolini, entrambi della Selle Italia Guerciotti, i più forti crossisti italiani
Jakob Dorigoni e Gioele Bertolini, entrambi della Selle Italia Guerciotti, i più forti crossisti italiani

Alberati: forza assoluta

«Il divario che si è visto in Val di Sole è molto ampio – dice Alberatisi parla sempre di rapporto potenza/peso, ma questo nel cross conta zero. Tanto più che in Val di Sole l’unico tratto di salita si faceva a piedi e in quel caso contano le lunghe leve. Nel cross si è quasi sempre in pianura.

«Facciamo due conti. Prendiamo due corridori che hanno la stessa potenza alla soglia, 6 watt per chilo, ma uno pesa 60 chili e uno 75. Quando quello di 60 chili è a soglia, viaggia a 360 watt, quello di 75 chili ne tocca 450, il che significa 90 watt di differenza! I nostri pagano non meno di 50 watt dai crossisti di vertice. Dunque parliamo di potenza pura.

«Pertanto affidarsi alle marathon come sistema di allenamento non ha senso per il cross. Nelle marathon lavori sul glicogeno, in un cross country o in un ciclcross si fa quasi tutto lavoro anaerobico, due sistemi metabolici differenti. In una marathon hai due (forse) picchi di forza esplosiva: uno in partenza e uno all’arrivo nel caso di volata. Sarebbe molto meglio semmai che Dorigoni partecipasse a gare di cross country, sia per tipologia di sforzo che per tipologia di fibre muscolari chiamate in causa.

«Di certo, rispetto alle marathon, meglio la strada, se non altro perché nelle gare a tappe aiuti ad aumentare la cilindrata del tuo motore ripartendo ogni giorno con il fisico che non ha recuperato al meglio. Sei costretto a spingere.

«E infatti – aggiunge Alberati – io non mi stupirei se Pontoni portasse i suoi crossisti a correre una Coppi e Bartali o un “Giro di Sardegna”. Così come non mi sorprende quando sento che vuole puntare sui più giovani».

Spesso i tracciati italiani sono troppo in stile gimkana per Ghirotto. Bisognerebbe formarsi su altri percorsi
Spesso i tracciati italiani sono troppo in stile gimkana per Ghirotto. Bisognerebbe formarsi su altri percorsi

Ghirotto: qualità e percorsi

E poi c’è Massimo Ghirotto. Il Ghiro di strada e di fuoristrada ne sa come pochi altri in Italia, visto il suo passato come corridore e tecnico.

«In effetti – dice Ghirotto – anche io mi sono posto qualche domanda sui nostri e su Dorigoni domenica scorsa. Siamo sempre lì. Ricordo un quinto posto ai mondiali di Bertolini qualche anno fa e in prospettiva mi dicevo: vedrai che può fare bene. Invece un salto di qualità definitivo non è arrivato. E su Dorigoni più o meno è la stessa cosa.

«In generale servirebbe più qualità. Servono più “cavalli”, perché se facciamo un confronto siamo a minuti. Cosa si dovrebbe fare? Non avrei una risposta, se non quella che bisogna lavorare sui giovani, il che richiede tempo. E vedo che Pontoni si sta allargando al settore giovanile».

«Se le Marathon aiutano nel cross? Non sono un preparatore, ma io non ho mai visto un Absalon preparare uno dei suoi cross country, che durano un’ora e mezza, con un allenamento di resistenza pur facendo lui parecchia strada in allenamento. Più di tanto non serve, serve qualità.

«E servono atleti di peso, nel vero senso della parola. Noi il bestione da 75 chili non ce lo abbiamo. In Val di Sole guardavo Fontana, che ha fatto 15º. Lui è forte, guida davvero bene, ma gli mancano i chili, quelli della vera forza. Ma non è facile, perché Van Aert pesa 75 chili ma poi ti regge i top 10-20 in salita. E che gli fai?

«Mi ricordo della Teocchi. Con quei due europei vinti da juniores dava fiducia, poi come si è approcciata ai grandi livelli internazionale si è ritrovata staccata di minuti. E come lo recuperiamo un gap così? Lavoriamo sul peso, okay. Curiamo la forza, okay… ma si tratta di limare qua e là. E alla fine torniamo a discorso della qualità dell’atleta.

«E poi una cosa che per me deve cambiare in Italia sono i percorsi, servono campi gara con altimetrie differenti e non percorsi stile gimkana. Servono spazi più aperti dove spingere. Perché nei cross internazionali del Nord Europa le prendi sui denti».

Dorigoni assieme ad altri biker ha preso parte in azzurro alla Serenissima Gravel
Dorigoni assieme ad altri biker ha preso parte in azzurro alla Serenissima Gravel

Cucinotta: questioni (anche) economiche

Claudio Cucinotta, coach dell’Astana, riprende sia quanto detto da Alberati, soprattutto, che da Ghirotto.

«Se facciamo riferimento ai soliti big – spiega Cucinotta – Van Aert e Van der Poel andrebbero forte anche se facessero bmx! Il problema non è solo la marathon, ma dipende anche dalle qualità degli atleti stessi. Poi chiaramente c’è un discorso tecnico, un disorso di intensità. Un conto è fare forte una salita nelle marathon, e un conto nei cross country o in un Giro delle Fiandre. Nelle marathon imposti un ritmo massimale ma pensando che la salita dura un’ora, in un Fiandre uno strappo dura molto meno. Dico dei numeri: un corridore di 63-64 chili in un’ora di salita si attesta sui 350 watt, su uno strappo delle Fiandre ne esprime 500».

«Il modello prestativo più vicino al ciclocross è quello del cross country. Si sviluppano intensità molto più alte. Si fa più esplosività. Di contro non so neanche se effettivamente il cross country serva ad aumentare il motore. Senza parlare dei soliti noti, penso alla squadra di Sven Nys (Baloise-Trek Lions, ndr): loro fanno delle gare a tappe, magari di livello basso, le 2.2: ne fanno tre o quattro in un anno di 4-5 giorni ciascuna, e alla fine mettono insieme un buon volume di lavoro».

«Il discorso – riprende Cucinotta – è molto ampio. Bertolini e Dorigoni anche recentemente hanno dimostrato che possono arrivare tra i primi dieci in Coppa se tutto fila perfettamente, ma certo se cerchiamo il campione del mondo non lo avremo a breve. E’ un lavoro di lungo termine».

«I nostri atleti migliori non fanno cross. Sembrerà un po’ brutto da dire, ma è anche una questione economica. Quando arrivi a 19-20 anni chiaramente sei portato ad andare dove ci sono maggiori risorse economiche, tanto più pensando che la vita dell’atleta è abbastanza corta. Cerchi di massimizzare. Noi abbiamo atleti che potenzialmente possono essere adatti al cross, penso ad un Colbrelli, ad un Bettiol, ad un Trentin, ma chi glielo fa fare? Quanto guadagnerebbero nel cross? Mentre su strada ottengono contratti importanti. Non puoi chiedere a Colbrelli, a 31 anni, di iniziare a fare ciclocross.

«Quello che mi auguro è che le nuove generazioni possono essere più coinvolte e stimolate a fare questa disciplina. Ecco, se dovesse diventare una specialità olimpica magari le cose potrebbero cambiare. Io seguo i fratelli Braidot e Nadir Colledani (biker che hanno fatto le Olimpiadi, ndr), loro ormai il cross quasi non lo fanno più se non per allenarsi e puntano tutto sul cross country che è disciplina olimpica».

Toon Aerts in azione al Tour de Wallonie con la sua Trek – Baloise Lion (foto Instagram)
Toon Aerts in azione al Tour de Wallonie con la sua Trek – Baloise Lion (foto Instagram)

Gap tecnico-culturale

Infine consentiteci di aggiungere una nostra valutazione. Va detto che c’è anche un gap “culturale”, nell’approccio al ciclocross in Italia, che poi di fatto si lega a quanto ha detto Cucinotta. Da noi il crossista è il “biker prestato” alla disciplina, all’estero è quasi il contrario: è il crossista che è “prestato” alla strada. E se non è così tra pro’, lo è di sicuro nelle categorie giovanili.

E questo presuppone una formazione atletica e tecnica ben diversa, una formazione che va ad incidere anche sul motore stesso del corridore. Bertolini e Dorigoni sono pertanto più che giustificati se oggi si ritrovano in queste acque. E nonostante tutto mostrano un impegno eccezionale. Questo articolo non è un processo su di loro, ma uno spunto di riflessione. Se in Val di Sole gli azzurri arrivano: 15°, 16°, 17° e 18° nell’arco di 62″ una domanda bisogna porsela.

Il cardio: cartina tornasole del ciclismo moderno

07.12.2021
4 min
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Erano i primi anni Ottanta quando il cardiofrequenzimetro ha fatto il suo esordio nel ciclismo. In questi quarant’anni sono nati strumenti nuovi e sempre più precisi ed accurati. Il misuratore di potenza è uno di questi, il suo successo sembrava potesse relegare in cantina il “vecchio” cardiofrequenzimetro…

Invece è ancora qui, anzi i corridori, ad eccezione di rari casi, lo usano tutt’ora e anche i preparatori non lo hanno abbandonato. Il suo ruolo è diventato più di appoggio, quasi secondario. Abbiamo voluto chiedere a Claudio Cucinotta, dal 2019 preparatore atletico del team Astana, come viene utilizzato e se ha ancora senso saper usare questo strumento.

Claudio Cucinotta è oggi uno dei preparatori dell’Astana
Claudio Cucinotta è oggi uno dei preparatori dell’Astana
Claudio, com’è cambiato il ruolo del cardiofrequenzimetro negli anni?

Fino a 10 anni fa era lo strumento più usato per monitorare le performance durante gli allenamenti. C’era già il misuratore di potenza ma non era così utilizzato come ora.

E ora?

Sono pochissimi i corridori che non lo usano più, personalmente non ne conosco. Anche se lo strumento principale su cui basare gli allenamenti è il misuratore di potenza.

Allora come si usa?

Mettiamola così: il misuratore di potenza è uno strumento di monitoraggio esterno, il cardiofrequenzimetro è uno strumento per il monitoraggio interno.

La fascia cardio trasmette i dati in tempo reale al ciclocomputer
La fascia cardio trasmette i dati in tempo reale al ciclocomputer
Spiegati meglio…

Se ti dico di fare una ripetuta a 300 watt ti do un valore che è uguale per tutti. Ma come risponde il tuo cuore a quello sforzo è soggettivo, puoi fare quella ripetuta a 150 pulsazioni o 170… E’ una cartina tornasole.

Non tutti hanno le stesse pulsazioni però.

Come detto è un dato soggettivo che serve per conoscere come risponde il proprio corpo a determinati sforzi.

Quindi è importante usarlo già da ragazzi?

Assolutamente, già negli juniores deve essere parte integrante dell’allenamento…

Come si impara a conoscere il cuore?

Ci sono tanti modi e tanti fattori da considerare: l’allenamento, la stanchezza, il riposo, la disidratazione…

Manteniamo l’esempio dei 300 watt di prima, un cuore riposato come reagisce?

Ora gli atleti sperimentano il cuore che “sale” all’impazzata. Dopo un periodo di inattività non sono allenati a livello cardiovascolare e quindi i battiti salgono subito. Invece, se l’atleta è in un picco di forma lavora al massimo della sua capacità cardiaca e riesce a sostenere potenze maggiori con la stessa frequenza cardiaca.

Come mai quando il fisico è stanco il cuore rimane più basso di battiti?

E’ una questione di range cardiaco. Prendiamo un corridore in forma ottimale: ha una frequenza cardiaca a riposo di 50 battiti e massimale di 190. Il suo range cardiaco è 140 battiti. Se, al contrario, questo corridore è stanco i suoi battiti a riposo saranno 60, mentre quelli massimali 180. Il suo range cardiaco si è abbassato a 120 battiti.

Questo perché il cuore è un muscolo e si stanca?

Esattamente, se il mio cuore è stanco per mantenere le funzioni vitali farà più fatica, ecco spiegata la frequenza cardiaca a riposo che si alza. Ugualmente non potrà fornirmi la sua massima efficienza e per questo non arriverà al massimo delle pulsazioni.

Il cardiofrequenzimetro è uno strumento utile se usato in supporto ad altri dispositivi, come il misuratore di potenza
Il misuratore di potenza fornisce dati utili se relazionati a quelli del cardiofrequenzimetro
Essendo uno strumento di monitoraggio è più utile nelle gare a tappe o in quelle di un giorno?

Nelle gare a tappe è importante perché tieni sotto controllo giorno dopo giorno la frequenza cardiaca. Capisci dai valori se hai riposato bene, se sei in forma. Alla terza settimana si è stanchi ed il cuore fa fatica, ma non è uguale per tutti. C’è chi risponde meglio e chi soffre di più.

Può essere un modo per capire se un corridore è da grandi giri o da corse di un giorno?

Certo, se un corridore si accorge che il suo range cardiaco rimane pressoché uguale, vuol dire che ha un fisico predisposto a supportare determinati sforzi.

E per le gare di un giorno?

Quando si affrontano queste corse, è magari più utile all’inizio per capire se quel giorno sei nei valori corretti. Poi quando la corsa si accende non guardi più nulla, neanche la potenza, altrimenti ti verrebbe da rallentare, sei quasi sempre fuori soglia.

In conclusione?

Se mi chiedessero di scegliere il dispositivo migliore con cui allenarsi direi il misuratore di potenza. Ma allo stesso tempo vi direi che non bisogna scegliere, si deve imparare a conoscere il proprio fisico. E il cardiofrequenzimetro aiuta a farlo.

Il caso di Roglic. Dottor Jekyll al Tour, mister Hyde alla Vuelta

09.09.2021
6 min
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Al Tour in qualche modo si complica la vita, alla Vuelta domina: lo “strano” caso di Primoz Roglic, un po’ come nel celebre romanzo di Stevenson. Con l’aiuto di quattro figure analizziamo il cambiamento dello sloveno tra Francia e Spagna.

Soprattutto quest’anno Primoz ha vinto a mani basse, dominando dalla prima all’ultima tappa. L’anno scorso aveva un po’ traballato nel finale, complice un’annata particolare con un calendario iper caotico, e i fantasmi del Tour perso poche settimane prima in modo rocambolesco.

La caduta di Roglic al Tour di quest’anno…
La caduta di Roglic al Tour di quest’anno…

Il corridore: Gasparotto

Partiamo con l’occhio del corridore. Abbiamo chiesto ad Enrico Gasparotto fresco ex, e quindi con giudizio più libero, ma che ha visto Roglic in gruppo, anche alla Vuelta 2020.

«Prima di analizzare il Roglic tra Tour e Vuelta – dice Gaspa – per me bisogna concentrarsi sulla differenza delle tre corse a tappe. Il Giro è quello più imprevedibile. E lo è non tanto per le cadute ma per la morfologia del nostro territorio. In ogni tappa, dal Nord al Sud, c’è una salita, una discesa, un tranello. Ricordo che ogni volta che c’era un capitano che lottava per la classifica c’era tensione in squadra, perché ogni situazione poteva volgere in peggio.

«Il Tour è la gara a tappe più importante, la più seguita e questo genera tensione nei ragazzi e nei team. E la riportano in corsa. Il percorso sarebbe più facile, ma questa voglia di stare davanti, di farsi vedere e i corridori che sono tutti al super top della condizione, genera una grande tensione globale in corsa e fuori. E poi c’è la Vuelta che ha salite più corte ma strade ampie e buone ed è più facile da interpretare anche tatticamente.

«Al Tour è fondamentale avere uomini capaci di stare davanti per davvero. E anche l’atleta deve saper guidare perfettamente la bici e forse in questo senso, venendo da altri sport, a Roglic manca quello 0,01% di abilità nel districarsi nelle situazioni estreme. Anche alla Vuelta ha preso dei rischi esagerati in certe situazioni. Però so che la Jumbo ci sta già lavorando su con l’ex downhiller Sainz. Lui ha collaborato con altri team, anche con noi alla Ntt. Ha aiutato nella tecnica la nazionale svizzera di Mtb, che infatti ai recenti mondiali ha fatto tripletta».

Sepp Kuss il suo gregario più fidato
Sepp Kuss il suo gregario più fidato

Il diesse: Zanini

Dal corridore, passiamo al diesse. Ci siamo rivolti a Stefano Zanini, in forza all’Astana-Premier Tech. E anche lui punta forte sul discorso dello stress in gara. «Probabilmente – spiega Zazà – perché dei tre grandi Giri la Vuelta è quello meno stressante. In Spagna si prende tutto con più calma e parlo anche dell’ambiente di contorno».

Con Zanini emerge il discorso della squadra. In Francia Roglic aveva anche Van Aert che in qualche modo ha calamitato attenzioni e richiesto uomini.

«Dite che potrebbe aver influito la presenza di altri big? Ci può stare. Io non conosco bene Primoz e non so che carattere abbia realmente. Da fuori sembra tranquillo, poi bisogna vedere se magari soffre la presenza di chi può essere leader al posto suo. Io gli metterei vicino un uomo completamente per lui. Il classico gregario super fidato. E Kuss è il più vicino (ma in pianura fa fatica visto che è uno scalatore, ndr) a ricoprire questo ruolo. Fatto sta che per me un capitano lo devi “coccolare” e dargli fiducia al 100% fino alla fine, anche se un giorno perde 2′. Poi, ovvio: se qualcuno in squadra va più forte devi rivedere le cose, ma devi fare il tutto e per tutto per stargli vicino».

Infine Zanini interviene sui rischi presi da Roglic e dalla sua ammiraglia anche in quest’ultima Vuelta.

«Certi rischi non glieli farei prendere, sicuro. O guadagni bene, altrimenti un’azione come quella nel giorno in cui è caduto in discesa per pochi secondi non è necessaria. Con questo non voglio giudicare la Jumbo-Visma, ognuno fa la sua corsa. Magari per come hanno perso il Tour l’anno scorso, non vogliano più rischiare e guadagnare il più possibile ogni volta che si presenta l’occasione».

In Spagna, anche in corsa, ci sono momenti più rilassanti
In Spagna, anche in corsa, ci sono momenti più rilassanti

Il preparatore: Cucinotta

Ma non si vince senza gambe buone e per questo ecco l’intervento di Claudio Cucinotta, sempre in forza all’Astana, ma preparatore anche di molti biker di livello internazionale.

«Bisognerebbe capire bene come si prepara Roglic per l’una e per l’altra corsa – dice il tecnico – ma questo lo sa solo lui realmente. Sicuramente in Spagna rispetto al Tour incontra dei livelli di concorrenza e ritmi leggermente inferiori. Non tanto sulle salite, quanto per arrivarci. E questo genera un livello di pressione diversa che magari al Tour può metterlo in difficoltà. E’ un fatto che alla Vuelta Primoz sbagli meno. L’anno scorso quando ha perso il Tour ha avuto un calo di testa e non fisico, perché fino al giorno prima aveva dominato. In un lasso di tempo così breve non può cambiare la situazione in quel modo».

In Spagna, a parte qualche caso, ci sono salite più corte del Tour. Primoz è un ottimo cronoman e in teoria dovrebbe essere sfavorito su questa tipologia di percorso.

«Roglic è tutto! E’ uno scalatore, ma è esplosivo. Se andiamo a vedere vince spesso gli sprint con arrivo in salita e per me le scalate brevi lo avvantaggiano. Ma non è che sulle salite lunghe vada male…

«Se c’è differenza nei valori espressi nelle due corse? Quest’anno non lo sappiamo perché al Tour si è ritirato presto (e la metà di quelle poche tappe le ha fatte in modo malconcio, ndr) dopo la caduta. L’anno scorso invece i suoi valori erano molto simili tra le due gare. Per me quindi la differenza del suo rendimento non è fisica».

Sulle strade di Spagna Roglic mostra sempre grande autorevolezza
Sulle strade di Spagna Roglic mostra sempre grande autorevolezza

La mental coach: Borgia

A questo punto il giudizio della psicologa diventa forse il più importante visto che la parola stress è quella che è emersa praticamente sempre. Parola ad Elisabetta Borgia, che collabora con la Trek-Segafredo e molti altri atleti.

«Si è parlato di stress, ma non credo sia la parola chiave. Dopo quel Tour perso in quel modo contro Pogacar è chiaro che su Roglic c’è una pressione super al Tour. La corsa francese è più stressante della Vuelta e lo stress incide sugli atleti. E un atleta chiamato a vincere nel bene o nel male è più esposto alla pressione. Detto questo però Roglic ti vince le Olimpiadi che non sono propriamente una corsetta! Che ci abbia lavorato su? Che abbia imparato dai suoi errori? Poi è anche vero che la pressione in una gara secca è diversa da quella prolungata in tre settimane».

A questo punto la Borgia apre un “capitolo” molto interessante.

«Un aspetto molto importante nella prestazione è il senso di auto efficacia. Questo è un costrutto dello psicologo Bandura che dice che è fondamentale nel benessere della persona, e nello sportivo ancora di più, quanto ti senti forte. E un Roglic che ha già vinto due Vuelta arriva in Spagna in modo diverso da come farebbe in Francia, dove ancora non è riuscito a vincere, anche se ci è andato vicino. Alla Vuelta sa di essere forte, si sente “a casa”, è in una “comfort zone”. Al Tour magari non è riuscito a tirare fuori il Roglic migliore. Poi è anche vero che è caduto in questa Vuelta e viene da chiedersi se sia consapevole dei propri limiti, se sia sempre lucido».

Infine vogliamo capire se il fatto che la Vuelta per molti sia un obiettivo di “riparazione” o comunque non il primo goal della stagione, possa incidere sull’approccio mentale. Ho sbagliato al Tour o al Giro e vado alla Vuelta per raccogliere qualcosa…

«Sicuramente si hanno sensazioni diverse: un conto è preparare il primo obiettivo e un conto il secondo, specie se è l’ultimo ed è “o la va o la spacca”. Quest’anno poi, con le Olimpiadi di mezzo, ci sono stati tanti approcci differenti. Una cosa fondamentale di Roglic è che ha una resilienza non da poco. Fa flop al Tour, va alle Olimpiadi e vince, va alla Vuelta e vince. E lo stesso ha fatto l’anno scorso. Segno che comunque questo ragazzo ha delle risorse importi. E’ sul pezzo. Okay lo stress e la testa, ma è forte. Perché comunque, e lo dico sempre, la testa conta, ma le corse si vincono con le gambe. Se hai 50 watt in meno anche se di testa sei forte non vinci».

Tra watt e posizione, nei segreti della crono di Sobrero

19.06.2021
5 min
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«Sapevo che nella parte finale della crono avrei dovuto difendermi – ha detto ieri Sobrero dopo aver vinto il tricolore – per non perdere il vantaggio della salita. E per questo abbiamo montato il 58×11. Ho dato tutto e negli ultimi 2 chilometri ho davvero raschiato il fondo del barile».

Barile ancora pieno

Le sensazioni del piemontese, la cui foto sul traguardo racconta veramente di un’immensa fatica, dicono il giusto anche se quel fondo del barile era ancora pieno di energie da grattare, come dimostra la lettura dei dati e come raccontano le parole di Claudio Cucinotta, preparatore dell’Astana-Premier Tech, che ieri era presente a Faenza. Il team kazako, da quest’anno anche un po’ canadese, si è presentato ieri con un grosso camper, Zanini in ammiraglia, Umberto Inselvini per massaggi e assistenza dopo l’arrivo e due atleti: Sobrero e Felline, che ha ottenuto il 5° posto.

«Matteo è uscito bene dal Giro – dice Cucinotta – ha fatto una settimana tranquilla, in cui ha svolto allenamenti di scarico. Quindi è andato allo Slovenia. Si è allenato lì, diciamo, ed è andato molto forte, facendo terzo in classifica e terzo nell’arrivo più duro, dietro Pogacar e Ulissi. Sapevamo che la condizione fosse buona. Anche per questo alla Adriatica Ionica Race abbiamo pensato di farlo fermare dopo la prima tappa, per puntare tutto su questo italiano».

Quarto nella crono finale del Giro, dopo che un’ammiraglia lo ha stretto alle transenne
Quarto nella crono finale del Giro, dopo che un’ammiraglia lo ha stretto alle transenne

Tutto previsto

I dati sono riservati, ma quel poco che ci viene detto conferma che la gestione della tattica è stata praticamente perfetta e poggiava su uno stato di forma davvero eccellente.

«Sobrero è predisposto per la crono – continua Cucinotta – è un ragazzo intelligente e molto preciso e questo aiuta molto. In più il percorso gli si addiceva, con le salite brevi ma molto ripide. Tanto ci hanno messo anche Ivan Velasco, il performance manager del team che ha fatto tutti i calcoli relativi ai wattaggi da tenere nelle varie sezioni, e il suo allenatore in Astana, che è Maurizio Mazzoleni».

Sullo Zoncolan al Giro, chiuso in crescendo con il 4° posto nella crono
Sullo Zoncolan al Giro, chiuso in crescendo con il 4° posto nella crono

Aerodinamica al top

L’allenatore bergamasco ha seguito la gara da casa e il risultato gli è parso in linea con i dati che aveva in mano.

«E’ stato fatto il miglior avvicinamento – spiega Mazzoleni – con il ritiro dopo la prima tappa della Adriatica Ionica per dargli il tempo di recuperare e fare la ricognizione sul percorso. In alternativa a quella tappa avrebbe dovuto fare un allenamento, ma in corsa è meglio. Matteo ha una bella predisposizione per la crono. Ormai il concetto del cronoman grande e grosso non è più la sola opzione: ci sono Ganna e Affini, ma anche Evenepoel e Sobrero. Dipende tutto dal Cda, il coefficiente di penetrazione aerodinamica, che valutiamo a inizio anno con Ivan Velasco. Se è buono e ci sono i giusti wattaggi, si può pensare di costruire l’atleta in questo senso. E Matteo essendo piccolino ha un volume della sezione frontale molto vantaggioso. Così se in salita è avvantaggiato per il buon rapporto potenza/peso, in pianura è tutto un fatto di watt e penetrazione aerodinamica».

Aveva già vinto il tricolore crono U23 nel 2019, su Aleotti e Puppio
Aveva già vinto il tricolore crono U23 nel 2019, su Aleotti e Puppio

Crono in crescendo

Si spiega così, oltre che per le ottime gambe, il finale in crescendo. Sobrero era indietro al primo intermedio (chilometro 17) posto in cima a Rocca di Monte Poggiolo, prima salita di giornata: 4° a 30” da Ganna. Come ha spiegato, sapeva che la prima frazione di gara invitava a spingere, ma lo avrebbe privato di energie dopo la prima salita.

Al secondo intermedio, collocato a San Mamante (chilometro 26,3) in un tratto pianeggiante dopo la seconda salita di Cima Sabbioni, Matteo è invece passato in testa, con 2 secondi di vantaggio.

Ma il vero capolavoro, dando davvero tutto e spingendo il 58×11, lo ha fatto nel tratto conclusivo. Sul traguardo, dopo 45,7 chilometri, il suo vantaggio su Affini è stato di 25”400.

Questi i dati del cronometro. Poi ci sono quelli del misuratore di potenza, cui però si può attingere con moderazione e limitatamente a quello che ci è stato concesso dall’Astana. 

Per scalare la prima salita (Rocca Monte Poggiolo, lunghezza 1,5 km) Sobrero ha impiegato 3’55” a 22,600 km/h e 421 watt medi.

Nel finale, dove più che raschiare il fondo del bicchiere ha prodotto uno sforzo eccezionale, Sobrero ha percorso gli ultimi 560 metri in 36” a 55,600 km/h e 475 watt medi, concludendo la crono in crescendo.

Finale in crescendo a Faenza, rettilineo finale a 475 watt medi
Finale in crescendo a Faenza, rettilineo finale a 475 watt medi

Adesso la salita

«La prima cosa che ho fatto al ritiro di inizio stagione – prosegue Mazzoleni – è stato il paragone con quello che nel 2020 fece Rohan Dennis sullo Stelvio, di cui tutti si sono stupiti. Ma se noi replichiamo in una salita regolare di 35 minuti i numeri di cui siamo capaci nella crono, possiamo ottenere delle buone prestazioni e tutto sommato ci è già visto nella tappa dura del Giro di Slovenia. Matteo ha margini molto ampi. E’ solo al secondo anno da professionista e il primo è stato quello del Covid, con tutte le sue limitazioni. Questa è stata la prima stagione in cui abbiamo potuto programmare e lavorare secondo il nostro metodo di lavoro e finalmente ha potuto scoprire il suo livello. Io ero sicuro, vedendo i suoi dati, che ci saremmo arrivati».

Questa maglia gli permetterà di spostare più in alto i suoi limiti
Questa maglia gli permetterà di spostare più in alto i suoi limiti

Sa ascoltare

Prima di andare via, l’ultima parola della serata l’abbiamo lasciata a Stefano Zanini, quello che al netto dei numeri e dei watt è stato capace di guardare negli occhi Sobrero e dirgli le giuste parole prima del via e durante la crono.

«Me la sentivo – ha detto Zazà – ci credevamo e sarebbe stato così anche senza i risultati delle ultime settimane. Matteo è un bravissimo ragazzo, ha alle spalle una buona famiglia che ho conosciuto e non poteva essere diversamente. Ma sapete qual è la sua dote più importante? Che ascolta. Matteo è un ragazzo che ascolta…».

Sestola, i trabocchetti del primo arrivo in salita

11.05.2021
5 min
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Il primo arrivo in salita è sempre un bell’enigma nei grandi Giri. Aspettative, dubbi, voglia di attaccare o necessità di difendersi… e soprattutto gran parte della corsa ancora davanti. E’ una delle tappe più delicate. Anche Pantani che in salita non doveva certo imparare nulla da nessuno, qualche volta ha pagato dazio. E oggi il Giro d’Italia arriva a Sestola, Appennino Emiliano.

Ci si stacca dalla pianura Padana e si inizia a prendere quota. Una tappa così delicata potrà anche non cambiare molto i distacchi tra i big, ma merita comunque un occhio di riguardo. E noi quest’occhio lo diamo con Claudio Cucinotta, uno dei preparatori dell’Astana Premier Tech.

Prime vere asperità e sotto la pianura si fa più “piccola”
Prime vere asperità e sotto la pianura si fa più “piccola”

Chi parte forte e chi no

Quali incognite nasconde quindi questa tappa? La prima vera scalata del Giro?

«Sicuramente incide più sul piano psicologico che non su quello fisico – dice Cucinotta – E’ come il primo esame. Ogni corridore in cuor suo sa di avere una buona condizione e di avere svolto un buon lavoro, ma fino al primo riscontro reale non può avere risposte certe. Psicologicamente quei secondi di vantaggio o svantaggio a fine tappa possono incidere». Ma non devono e non possono essere decisivi. E’ solo una battaglia. Salvo casi eccezionali, s’intende.

«Molto conta come si è deciso d’impostare il Giro. C’è chi parte forte e poi magari paga nel finale e chi invece arriva al Giro al 90% e trova il 100% strada facendo».

Il profilo della salita di Sestola, dopo lo scollinamento ancora 2,5 chilometri (circa)
Il profilo della salita di Sestola, dopo lo scollinamento ancora 2,5 chilometri (circa)

Quei vecchi percorsi

Una volta con i vecchi percorsi, soprattutto al Tour de France, c’erano dieci giorni o una settimana di pianura e poi la salita all’improvviso. Questa poteva dare esiti ancora più imprevedibili. Gli scalatori pagavano molto il fatto di spingere per giorni e giorni rapporti lunghi, mentre per i passisti era la normalità. Non erano loro che andavano forte ma gli scalatori che andavano più piano.

«Non è il caso del Giro – riprende Cucinotta – soprattutto quest’anno, ma l’effetto sorpresa può starci lo stesso. Dopo qualche giorno di pianura non è facile affrontare all’improvviso un sforzo di 30′ o 40′ fatti al massimo, anche se Sestola sarà più breve».

Per questo l’avvicinamento è molto importante, ma va fatto prima. Chiaramente non ci si può preparare per quella tappa a Giro iniziato. Non cambiano i massaggi, né si osserva un defaticamento particolare il giorno prima. 

«I massaggi ormai li fanno tutti, anche perché c’è più personale e non è più come una volta che alcuni corridori li saltavano. Però il defaticamento è ormai assodato. Quei 10-15′ sui rulli a fine tappa aiutano moltissimo» e ieri infatti dopo il traguardo di Canale li hanno fatti in molti. 

«C’è chi tollera più facilmente l’improvviso sforzo intenso e chi invece fa fatica ad adattarsi e avrebbe bisogno di una tappa intermedia prima. Ma questo non vuol dire che non sia in condizione».

Oggi un piccolo vantaggio per gli scalatori è la presenza di altre salite prima della scalata finale, Colle Passerino.

Nel 2016 si arrivò quassù da un altro versante. Vinse Ciccone e l’Astana di Nibali tirava in salita
Nel 2016 un versante diverso. Vinse Ciccone e l’Astana di Nibali tirava in salita

Scalatori svantaggiati

Ma quindi chi avvantaggia il primo arrivo in salita?

«Più che altro direi chi svantaggia – dice Cucinotta – ne farà le spese chi ha buone doti di recupero ed esce bene nella terza settimana. Mi viene in mente il Nibali della situazione, perché magari non è esplosivo e alla lunga cala meno. Ad uno come lui o che ha programmato di entrare in forma strada facendo servono 3-4 tappe dure per essere al 100 per cento. 

«Il primo arrivo in salita quindi può favorire chi è più esplosivo e chi ha corso di più prima. Ma poi bisognerà vederlo più avanti, nella seconda metà del Giro. Ricordiamoci di Yates tre anni fa. Nella prima parte aveva vinto diverse tappe, attaccando anche da lontano e così facendo spese molto. Poi nella terza settimana ha pagato molto. Magari adesso uno come lui, esplosivo e che sta bene, può pensare che anziché attaccare per guadagnare 5” sia meglio restare calmo e risparmiare energie per il futuro. Insomma non è detto che tutti diano il 100%».

Wilko Kelderman, Etna, Giro d'Italia 2020
Kelderman, passista-scalatore, nel 2020 fu il migliore tra gli uomini di classifica sull’Etna
Wilko Kelderman, Etna, Giro d'Italia 2020
Kelderman, passista-scalatore, nel 2020 fu il migliore tra gli uomini di classifica sull’Etna

Non solo Sestola

Infine ci sono da valutare le caratteristiche dell’arrivo. Queste incidono?

«Assolutamente incidono – riprende Cucinotta –  un conto è una salita di 5-6 chilometri e un conto una salita lunga come fu l’Etna l’anno scorso. Sestola, che è lunga circa 4,5 chilometri, ma con pendenze molto impegnative, può strizzare l’occhio al corridore esplosivo anziché allo scalatore puro. Penso ad un Alaphilippe, anche se non è al Giro. Potrebbe essere una salita molto adatta a lui, una salita quasi da Liegi. Oggi ci sono da fare 400 metri di dislivello a occhio e croce si tratta di una scalata che dura 15′-18′ e un corridore può perdere 30”-40”. Mentre in una scalata come quella dell’Etna, primo arrivo in quota dell’anno scorso, se si andava in crisi si potevano perdere anche 2′-3′.

«Quindi Sestola è corta. Per me è più un vero arrivo in salita quello di dopodomani ad Ascoli. Una salita ben più lunga ma anche più pedalabile in cui a ruota si “sta bene” e se non si è al massimo si può camuffare. E’ anche vero però che se è più difficile staccarsi, se lo si fa si perde tanto».