RIVA DEL GARDA – Dai giorni di Firenze, Bologna e Torino sono passati pochi mesi, abbastanza da far sembrare la partenza del Tour de France dall’Italia un vago ricordo. Eppure il giorno in cui è stato annunciato che la Grande Boucle sarebbe partita proprio dal nostro Paese, si ebbe la sensazione di qualcosa di unico. La conferma è arrivata con la presentazione dei team da Firenze, avvenuta il 28 giugno. Un evento enorme, per grandezza, spettacolo offerto, pubblico presente e valorizzazione del territorio. La macchina gialla, guidata da Christian Prudhomme si era messa in moto e aveva lasciato tutti affascinati. Quasi ammaliati da ciò che il ciclismo permette di fare.
Di mesi ne sono passati cinque, il Tour de France è stato vinto da Tadej Pogacar, lo sloveno mangia tutto. Sembra quasi che sia stato digerito in fretta, masticato con voracità senza essere stato apprezzato fino in fondo. Si sa che a volte l’attesa del piacere è essa stessa il piacere.
Conoscere
Tuttavia ritrovarsi davanti alla figura di Christian Prudhomme ci ha fatto ricordare della bellezza che ha regalato con la sua corsa. Il direttore generale del Tour de France ha portato, solo negli ultimi due anni, la Grand Depart prima in Spagna e poi in Italia. Che bilancio trae dall’esperienza del Tour in Italia?
«L’accoglienza è stata fantastica – ci dice ai margini della conferenza stampa di presentazione del Tour of the Alps – anzi, l’accoglienza degli italiani è stata fantastica. Il Tour de France non era mai partito dall’Italia, aveva toccato tutti i Paesi limitrofi, ma mai il vostro. Tutti conosciamo i campioni come Coppi, Bartali e tanti altri. Abbiamo voluto mettere in evidenza la storia del ciclismo in Italia, che è davvero ricca e profonda. Sentivamo che gli italiani volevano questo, ma anche noi».
Com’è stato immergersi nella nostra cultura?
Il motivo per cui mi sono recato sulla tomba di Fausto Coppi il 2 gennaio è che, come direttore del Tour de France, non avrei mai potuto creare un evento simile senza conoscerne la storia. Pensare di essere alla partenza da Firenze senza aver visitato i luoghi del ciclismo italiano non sarebbe stato giusto.
In quali luoghi si è fermato?
Al museo Bartali, sulle strade di Nencini e Ottavio Bottecchia. Sono davvero molto, molto felice di averlo fatto, perché senza tutto questo la Grande Depart sarebbe stata un’esperienza molto diversa.
E il pubblico italiano come ha reagito?
Partire da una città come Firenze è estremamente prestigioso, le immagini parlano da sole. Sono venute tantissime persone, le quali hanno mostrato rispetto per i campioni e per la bellezza dei monumenti. Ero stato a Firenze diverse volte in vacanza. È semplicemente una città magnifica. Ma ogni strada, città e paesino che il Tour ha attraversato mi ha lasciato qualcosa. E poi c’è stata una grande battaglia sportiva. Ogni volta che la nostra corsa inizia dall’estero siamo costretti a spiegare i motivi. L’Italia ce li ha mostrati da sola.
I corridori non si sono risparmiati.
Quando hai questi paesaggi, questi campioni e questo pubblico tutto viene più semplice. Se a tutto ciò si aggiunge anche la battaglia agonistica sulle strade allora non manca nulla. Sul San Luca, a Bologna, abbiamo visto subito Pogacar attaccare e Vingegaard rincorrerlo. La fortuna per noi francesi è stata quella di avere due connazionali che hanno vinto nei primi due giorni.
La vittoria a Rimini di Bardet è stata il fiore all’occhiello per voi…
Successo di tappa e maglia gialla, incredibile. La seconda tappa è stata vinta da un giovane: Kévin Vauquelin. Tutte queste cose ci hanno regalato dei ricordi molto belli dell’Italia.
Qual è stato il bilancio degli altri eventi, ad esempio l’Etape du Tour a Parma?
Lo sviluppo del Tour avviene anche attraverso pedalate come queste. Sono eventi che fanno respirare alla gente cosa vuol dire far parte della Grande Boucle. L’affluenza è stata ottima, tanto da riproporre l’evento, in totale l’Etape du Tour tocca venti Paesi differenti. E’ un format che funziona, e siamo ovviamente felici che ce ne sia una anche in Italia.
Lei ha parlato di battaglia sportiva, il dominio di Pogacar nel 2024 la spaventa? C’è il rischio che l’entusiasmo del pubblico venga meno?
Mi fate questa domanda in un momento in cui si piange l’addio di un campione come Rafael Nadal e le partite che negli anni ci sono state tra lui e Federer. Quando Pogacar vinse la cronometro di Laval nel Tour del 2021 tutti erano convinti che ne avrebbe vinti 6, 7, 8 di fila. Nei due anni successivi, invece è arrivato Vingegaard e il dominio sembrava potersi invertire. Quello che mi auguro è che entrambi i protagonisti siano al via del Tour de France senza dover recuperare da una caduta molto grave. Negli ultimi due anni lo squilibrio è stato causato da cadute e infortuni, che hanno colpito entrambi. Quindi spero davvero che entrambi siano in piena forma, e poi vedremo.