Il Mont Ventoux, chiamato anche Monte Calvo (sapete che la sua prima ascensione conosciuta è attribuita al Petrarca nel 1336?) è un appuntamento principe per il Tour de France, eppure nella sua lunga storia la Grande Boucle ha affrontato la durissima salita provenzale solamente 16 volte, 10 delle quali prendendo la sommità come punto di arrivo della tappa. Ma ogni volta, il Ventoux ha fatto sentire i suoi effetti sulla classifica e non solo…
Tra i 15 e i 21 chilometri di scalata, con pendenza media del 7,7 per cento ma punte che vanno oltre il 20, il Ventoux ha soprattutto due caratteristiche che lo rendono unico, in alternativa se non addirittura insieme: il vento estremamente forte e il gran caldo. Un caldo terribile, soprattutto nella parte finale della salita, quando l’asfalto viene reso incandescente dal sole estivo e trasmette tutto il suo calore a chi transita. Basti pensare che spesso anche i motori dei mezzi al seguito hanno pagato un pesante dazio…
Si parla di Mont Ventoux e la memoria non può non tornare a quel maledetto giorno del 1967: Tommy Simpson, 29 anni, si gioca moltissimo in quella tappa. Era partito per il Tour con l’obiettivo di vincerlo, anche perché stava per concretizzarsi un danaroso passaggio dalla Peugeot (dove volevano investire su un certo Eddy Merckx) alla Ignis, ma serviva una grande impresa. Quel giorno, il 13 luglio, fa molto caldo: alle pendici della salita Simpson sente che la gamba non è delle migliori, ma non può tirarsi indietro.
Caldo, alcol, anfetamine…
Chiede acqua ai suoi gregari: non ce n’è. Un compagno si ferma in un bar e prende l’unico liquido disponibile: una bottiglia di cognac… Simpson ne beve poco, ma sarà letale perché subito dopo ingoia una delle pasticche di anfetamine che ha acquistato la sera prima per 800 sterline. Il mix ha un effetto deflagrante: Simpson inizia a procedere a zigzag, consumato dentro e fuori. Cade, viene rimesso in sella, ricade: non si rialzerà più (nella foto di apertura il monumento a lui dedicato lungo la salita, nel punto in cui morì).
Quella era la sesta volta che il Ventoux veniva affrontato: la prima nel 1951, l’ultima nel 2016 prima dell’edizione in corso. Se si va a guardare la storia della Grande Boucle, si scoprirà che molto raramente sono emersi dei puri carneadi. Ad esempio nel 1958, prima volta che il Ventoux è stato sede finale di tappa, la spuntò Charly Gaul. Era una cronoscalata e il lussemburghese mise in fila i suoi rivali mentre l’anziano campione di casa Raphael Geminiani andava a conquistare la maglia gialla. Il Tour lo vincerà però Gaul, davanti a Vito Favero (al suo debutto al Tour, in giallo proprio fino al Ventoux) e allo stesso Geminiani.
La fame infinita di Merckx
Poteva mancare il nome di Merckx? Nel 1970 il Cannibale conquista la sua settima vittoria di tappa (una nella cronosquadre) e prima della fine ne coglierà altre due. Alla fine il suo vantaggio sul secondo, Joop Zoetemelk è di 12’41”, perfino ridotto vista la sua schiacciante superiorità mostrata giorno dopo giorno. Due anni dopo a svettare sul Monte Calvo è il francese Bernard Thevenet, ma è solo l’avvisaglia di quello che sarà capace di fare: il simbolo del primato è ancora di Merckx, che vincerà “accontentandosi” di 6 vittorie parziali.
Due imprese sono legate al nome di Pantani: la prima è indiretta, nel 1994, quando Eros Poli va a conquistare il successo a Carpentras dopo aver svettato per primo sul Ventoux, lui che scalatore non era proprio. Alle sue spalle Pantani in maglia Carrera attacca dal gruppo e stabilisce un record di scalata. Sei anni dopo Marco mette la sua firma da specialista, uno dei più grandi della storia, vincendo al termine di un’epica sfida con Lance Armstrong. Anche l’albo d’oro di quel Tour, come gli altri sei conquistati dal texano, ha una barra sul nome de vincitore, ma resta indimenticabile nella memoria di chi ha avuto la fortuna di assistere.
Maratoneta per 600 metri…
Ultimo in questa galleria di personaggi è Thomas De Gendt, primo nel 2016. Una vittoria al termine di una delle sue proverbiali fughe con le quali si è costruito una carriera niente male. Più che la sua vittoria con 2” sul compagno d’avventura Pauwels, di quel giorno si ricorda la vicenda nella quale è incorso Chris Froome: il britannico, già maglia gialla, a un chilometro dal traguardo cade insieme a Porte e Mollema. La sua bici è distrutta, il tempo scorre, così il corridore della Sky si improvvisa podista e comincia a correre verso il traguardo. Più avanti gli danno una bici dell’assistenza, ma è troppo piccola, giù e di nuovo a correre.
A 400 metri ecco la bici dall’ammiraglia, ma ormai il traguardo è lì. La classifica dice che la maglia è persa, va al connazionale Adam Yates, ma dopo vibranti proteste il distacco viene neutralizzato e Froome torna in testa. Particolare curioso: oggi in quel che era il team Sky milita proprio Yates (che tuttavia non è presente al Tour), non più Froome.