Un’altra caduta di Alaphilippe e adesso mondiale a rischio

02.09.2022
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Qualche corridore più esperto direbbe che se uno cade così spesso non si può parlare di sfortuna. E in effetti a guardare il singolare bilancio di Julian Alaphilippe, la sensazione che qualcosa non vada ti assale. La Vuelta lo avrebbe dovuto rimettere definitivamente in sesto dopo il precedente, invece il francese ha lasciato la corsa in barella e con una smorfia, per il colpo alla spalla destra dopo una caduta piuttosto innocua, a 65 chilometri al traguardo di Cabo de Gata. Vengono in mente le parole di Ballan di qualche tempo fa sul suo muoversi continuamente sulla bici, anche se era francamente difficile prevedere che nell’attraversamento del villaggio di Carboneras la sua ruota anteriore scivolasse all’uscita di una curva mentre era tra i primi del gruppo lanciato. Seppure altri corridori abbiano raccontato che in quel punto la strada fosse viscida e con ghiaia.

La Vuelta era per Alaphilippe era la corsa del rilancio sulla via dei mondiali
La Vuelta era per Alaphilippe era la corsa del rilancio sulla via dei mondiali

Fratture escluse

Dopo essere rimasto seduto a lungo sull’asfalto e temendo di avere una clavicola rotta, il campione del mondo è stato trasportato all’ospedale di Almeria per sottoporsi alle radiografie. In serata, il team Quick Step-Alpha Vinyl ha diffuso un comunicato stampa piuttosto rassicurante sul suo stato di salute del francese.

«Gli esami hanno rivelato che Julian Alaphilippe ha riportato la lussazione della spalla destra, mentre le radiografie hanno escluso fratture».

Il campione del mondo è volato ieri in Belgio, per essere sottoposto a ulteriori esami all’ospedale Herentals che ben conosce, in cui gli avevano sistemato la frattura del braccio dopo la caduta al Fiandre di due anni fa. Non è stato fissato alcun termine per la sua guarigione.

Lefevere e Alaphilippe: un ottimo rapporto, ma non mancano le punzecchiature
Lefevere e Alaphilippe: un ottimo rapporto, ma non mancano le punzecchiature

Il richiamo di Patrick

La squadra aveva già stigmatizzato la presenza del francese alla Vuelta tramite le parole di Patrick Lefevere. Il team manager aveva detto, scherzando ma forse no, di augurarsi che il campione del mondo fosse andato in Spagna non tanto per preparare il mondiale quanto per aiutare la squadra.

«Nel migliore dei casi – ha detto ieri – tornerà in sella tra quindici giorni. Tempi troppo stretti per i mondiali, ma potrebbe essere pronto per il Giro di Lombardia e le gare italiane. Quest’anno Julian ha visto più ospedali che corse. L’impatto su Remco sarà enorme. Julian è stato il suo uomo provvidenziale, quello che gli aveva permesso finora di stare al sicuro».

Chiaramente i francesi sperano di vederlo in bici prima, appunto per i mondiali di Wollongong che si correranno il 25 settembre. Ma di certo il conto dei suoi incidenti qualche interrogativo lo fa sorgere e richiama se non altro la maledizione della maglia iridata, tenuta discretamente a bada nel primo anno.

Una serie proprio nera

La serie nera è cominciata alla Strade Bianche con la spettacolare caduta provocata dal vento. Pochi giorni dopo, a causa di una bronchite, Alaphilippe ha dovuto rinunciare alla Milano-Sanremo. Poi è venuta la terribile caduta durante la Liegi-Bastogne-Liegi, quando il francese lanciato in una discesa velocissima, è caduto in un fosso riportando la frattura della scapola, di alcune costole e un emopneumotorace.

E’ rimasto fuori fino ai campionati francesi di Cholet a giugno, quando la Quick Step-Alpha Vinyl ha preferito non selezionarlo per il Tour de France. Il colpo è stato duro, ma le sue condizioni di forma, già parse opache alla Vuelta, non erano all’altezza di una sfida così dura.

Alaphilippe ha così deciso di puntare sulla Vuelta per arrivare bene ai mondiali e poi chiudere al Lombardia, ma ha dovuto ritirarsi dal Tour de Wallonie di fine luglio per positività al Covid.

Nei primi dieci giorni di corsa, Alaphilippe è stato l’angelo custode di Evenepoel
Nei primi dieci giorni di corsa, Alaphilippe è stato l’angelo custode di Evenepoel

La rincorsa ai mondiali

Approdato alla Vuelta quasi per miracolo, Alaphilippe aveva pensato di aver superato i suoi guai, invece qualcosa è andato nuovamente storto.

«Perdere Julian è una grande perdita – ha detto Evenepoel a caldo – era in ottima forma e stava facendo per me un lavoro eccezionale. Sono sicuro che gli altri miei compagni di squadra saranno in grado di fare bene il loro lavoro aiutandomi in questa sfida».

A questo punto la scommessa per il campione del mondo si lega ai mondiali. Riuscirà a rimettersi per tempo e a trovare un adeguato livello di condizione? La sensazione stavolta è che la ciambella potrebbe davvero riuscire senza il buco.

Tour, Vuelta e cadute: Roglic come Zulle?

17.07.2022
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Roglic come Zulle? Il paragone prende sempre più piede nell’ambiente ciclistico e ad accomunare lo sloveno al campione svizzero della fine degli anni 90 non ci sono solo le due Vuelta vinte in sequenza dopo altrettanti insuccessi al Tour (dove conquistò per due volte il secondo posto), ma soprattutto una predisposizione sempre più evidente alle cadute, ma sarebbe meglio dire alla sfortuna. Una carriera fatta di grandi attese. Vittorie nell’avvicinamento alle corse. Poi sfortune puntuali come maledizioni quando arriva il momento di concretizzare il tanto lavoro.

Se il paragone regge, sarà il lettore a dirlo alla fine della storia, ma una premessa è doverosa: nel definire il corridore Zulle abbiamo scelto di prescindere dal suo coinvolgimento nell’affare Festina, in un’epoca giocoforza diversa da quella attuale, sulla quale pende il giudizio della storia.

Chi era Alex Zulle? Un corridore quasi per caso. Nato da un appassionato svizzero e dalla madre proveniente dal Brabante, da ragazzino Alex alla bici neanche ci pensava. Da buono svizzero era appassionato di sport invernali e soprattutto di sci alpino, ma da ragazzo una discesa gli costò una grave frattura. Nel percorso rieducativo lo misero in sella e da lì iniziò la sua storia, che a livello agonistico prese il via a 18 anni.

Zulle crono
L’elvetico aveva una grande propensione per le crono. Vinse anche il Mondiale ’96
Zulle crono
L’elvetico aveva una grande propensione per le crono. Vinse anche il Mondiale ’96

Miope, ma senza lenti

La storia di Zulle, che in una decina d’anni ha vinto molto risultando un grande specialista delle corse a tappe, non può prescindere da un fattore: la sua miopia. Ad Alex mancavano 4,5 diottrie da entrambi gli occhi e quindi era costretto a portare gli occhiali. Questo ne ha sempre fatto un segno distintivo perché nella storia sportiva i campioni con gli occhiali non sono stati tanti, ma soprattutto ancor meno dall’evoluzione delle lenti a contatto. Zulle però non ne ha mai fatto uso, quindi utilizzava gli occhiali in ogni situazione e questo spesso ha rappresentato un handicap.

Grande passista (è stato anche campione del mondo a cronometro, come Roglic è campione olimpico di specialità), Zulle in salita riusciva a cavarsela e spesso a ottenere risultati di spicco quando riusciva a salire del suo passo. Come tanti passisti allora e anche oggi, dato che la figura dello scalatore puro è andata via via svanendo. Indimeticabile il suo duello con Pantani nella prima parte del Giro 1998, quando mise alle corde il romagnolo, staccandolo a Lago Laceno e poi umiliandolo nella crono di Trieste. Prima di subirne però la vendetta nella tappa di Selva di Val Gardena che fece la storia di quel Giro.

Il problema però arrivava in discesa. Zulle non aveva una grande dimestichezza, avendo iniziato a guidare la bici quand’era già grande, figurarsi poi su terreni sconnessi o, peggio, con la pioggia e il bagnato. A quel punto la discesa diventava un’avventura non per mantenere i distacchi, ma semplicemente per concluderla senza danni. Cosa che non riusciva sempre.

Tante vittorie e… tante cadute

Ecco perché la sua carriera, più che dalle vittorie (neanche poche, ben 71 tra cui oltre alle due Vuelta nel ’96 e ’97 e al mondiale a cronometro nel ’96 spiccano Romandia, Parigi-Nizza, Giro dei Paesi Baschi e tante altre classifiche generali) è contraddistinta dagli scivoloni. A cominciare dalla Vuelta del 1993, tappa di Alto del Naranco: Zulle è in lotta per la maglia amarillo con il connazionale Rominger. Piove sulle montagne asturiane e la discesa è tosta. Gli occhiali si appannano, le goccioline rendono difficile seguire le traiettorie, la bici svicola e finisce in un fosso. Zulle si rialza, ma la bici dov’è? La ricerca gli fa perdere un minuto abbondante. Risale in bici ma il distacco è troppo. Proverà a recuperare con una cronometro finale tanto prodigiosa quanto inutile.

Tour de France 1996, tappa di Les Arcs. Non una tappa come le altre, perché per la prima volta Miguel Indurain è alle corde, tanto che alla fine perderà oltre 4 minuti. Zulle ne perde anche di più, con due cadute consecutive. Nella seconda, a cavarlo d’impaccio sono i fotografi, non prima però di aver immortalato lo sfortunato svizzero in mezzo ai cespugli.

Zulle Giro 1998
Una delle più belle vittorie in linea: Giro d’Italia 1998, arrivo a Lago di Laceno, 24″ di vantaggio su Bartoli
Zulle Giro 1998
Una delle più belle vittorie in linea: Giro d’Italia 1998, arrivo a Lago di Laceno, 24″ di vantaggio su Bartoli

1997, l’anno del riscatto

Che Zulle sia però anche un corridore capace e non solo il “Mr.Magoo della bici” com’era stato un po’ ingenerosamente etichettato oltre Manica, lo dimostra nel 1997. Un anno che va avanti fra cadute in serie, al Delfinato, al Giro di Svizzera (che gli costa la frattura della clavicola) e al Tour de France, con conseguente ritiro perché l’osso non si era ancora saldato per bene. Eppure recupera e lavora sodo, fino ad aggiudicarsi la Vuelta di fine stagione.

Due anni dopo, al Tour, Zulle conquista il secondo posto dietro Armstrong (il primo dei sette Tour vinti dall’americano e poi cancellati dall’albo d’oro). Un’impresa considerando che nella seconda tappa si passa dal Passage du Gois, una strada di due miglia che è soggetta ai rialzi della marea e quindi è sempre coperta di acqua e fango. Fatto sta che una marea di corridori cade e nel bailamme Zulle è costretto a ripartire… senza occhiali, persi in quel caos di corridori e fango. Il distacco accumulato sarà tanto, ma l’elvetico riuscirà comunque a costruirsi un Tour di primo piano fino a finire secondo a 7’37” dall’americano.

Zulle Tour 1998
Il podio del Tour 1999: Zulle è 2° a 7’37” da Armstrong, 3° Escartin a 10’26”
Zulle Tour 1998
Il podio del Tour 1999: Zulle è 2° a 7’37” da Armstrong, 3° Escartin a 10’26”

La carriera dell’elvetico si è conclusa nel 2004, sulla via di un lento tramonto, finendo con una grande festa per celebrare i suoi successi più che le sue sfortune. Poi si lui di sono perse un po’ le tracce, non frequenta più il mondo del ciclismo vissuto in anni davvero difficili e controversi.

Ogni tanto qualche capatina la fa nelle cicloturistiche, soprattutto in Spagna teatro di gran parte della sua carriera ciclistica. Lo si vede pedalare in mezzo al gruppo, pluricinquantenne ancora in buona forma fisica. E naturalmente, con gli occhiali dritti sul naso…

Come si rimette subito in piedi un corridore, dottor Zaccaria?

20.05.2022
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Cadere in bici non è mai bello. Cadere durante una corsa a tappe oltre che non bello complica notevolmente le cose. Non solo bisogna cercare di portare a termine la frazione (e se si è uomini di classifica bisogna farlo anche stando davanti) ma bisogna farsi trovare pronti. Ed è questo uno dei ruoli di Daniele Zaccaria, medico della Bahrain Victorious.

Partendo dallo spunto della caduta di Mikel Landa la scorsa domenica nella Isernia-Blockhaus, con Zaccaria cerchiamo di capire come si rimette “in piedi” un corridore in poche ore.

Daniele Zaccaria è il medico della Bahrain Victorious in questo Giro
Daniele Zaccaria è il medico della Bahrain Victorious in questo Giro
Dottor Zaccaria, cade un suo corridore: cosa fa? Com’è la procedura?

Quando cade un corridore, tanto più se è un capitano, è sempre un bel problema. La prima cosa da fare è sincerarsi che non ci siano fratture o danni permanenti. Danni che possono impedire o mettere a rischio il proseguire della della corsa. Una prima valutazione pertanto viene fatta subito all’arrivo. Nel giorno del Blockhaus, pensando a Landa, dopo il podio e anche dopo il controllo antidoping. E qui comincia il lavoro.

Che consiste in…?

Una volta accertato che non ci siano fratture, si analizzano le ferite. Ci si prende cura delle abrasioni perché il nostro compito è quello di rimetterli in bici il prima possibile, in questo caso il giorno successivo, altrimenti non si ripartirebbe nelle condizioni migliori. Dobbiamo accelerare la guarigione di queste abrasioni o, restando nel caso di Landa, di contusioni. Vista la botta sapevo che il giorno dopo ne avrebbe avute diverse.

Prima, dottore, ha detto che vengono fatte delle valutazioni per verificare la presenza o meno di fratture, intende delle radiografie?

Le valutazioni le faccio io. Sono io dottore che dico se c’è bisogno o meno della radiografia. Nel caso ce ne fosse bisogno, il Giro d’Italia offre la possibilità di farle direttamente sulla finish line. C’è un “camion” apposito messo a disposizione dell’organizzazione. E questo avviene solamente al Giro d’Italia e al Tour de France. Ed è ottimo perché facilita molto il processo diagnostico in caso di fratture anche non visibili, non valutabili in prima istanza.

I detergenti Betadine che usano i corridori del team. In blu quello vaginale, ancora più delicato per le ferite più profonde
I detergenti Betadine che usano i corridori del team. In blu quello vaginale, ancora più delicato per le ferite più profonde
E può succedere che non si vedano subito?

E’ quel che è accaduto proprio al nostro Tratnik con la frattura dello scafoide. Frattura che difficilmente si vede anche con la radiografia semplice. Serve una Tac. Fare una diagnosi corretta è fondamentale per permettergli di proseguire la corsa.

Quindi dicevamo della cura delle ferite: come funziona?

Il medico passa alla pulizia delle ferite: disinfezione e pulizia… sono la prima cosa. Tra l’altro anche i ragazzi sono istruiti in tal senso. Nella doccia del bus, in caso di abrasione, hanno a disposizione dei detergenti specifici per fare una bella pulizia. Tante volte, infatti, rimangono tracce di asfalto, di erba, di sporcizia… Una buona pulizia agevola il recupero.

Il passo successivo?

Vengono messi i classici medicamenti, garze, cerotti (che però Zaccaria non vuol svelare del tutto. Anche qui ci sono piccoli segreti, ndr). Nel caso di Landa abbiamo avuto la fortuna di avere il giorno di riposo dopo la caduta. E questo ci ha permesso di gestire al meglio tutte queste procedure. 

Landa verso il Blockhaus con i segni sulla spalla. Mikel è caduto due volte. Per Zaccaria è stato bravo anche sul piano psicologico
Landa verso il Blockhaus con i segni sulla spalla. Mikel è caduto due volte. Per Zaccaria è stato bravo anche sul piano psicologico
E poi immaginiamo subentri anche l’osteopata o il fisioterapista… 

Certo, la squadra è ben organizzate anche sotto questo punto di vista. L’osteopata pensa più a rimettere in sesto “l’assetto” dell’atleta, cioè tutti quei piccoli scompensi che vengono fuori dopo una caduta. Poi c’è anche il massaggiatore che tratta l’atleta dopo ogni tappa, ma in questo caso ha più un ruolo fisioterapico. In realtà dal giorno di riposo, ne abbiamo addirittura uno in più di massaggiatore. Comunque non è una cosa semplice. Stiamo parlando di “macchine di Formula 1”, ragazzi per i quali un piccolo dettaglio può fare la differenza.

Si dice che spesso il problema più grande dopo una caduta sia il riuscire a dormire bene… Ci sono dei “segreti”, degli accorgimenti per ovviare a questo problema?

Diciamo che dopo una caduta c’è anche la parte psicologica da curare. Il corridore va rassicurato e rasserenato prima di dormire. E non è solo dopo una caduta… Riposare durante una corsa tappe non è così scontato: c’è la stanchezza, si deve cambiare l’hotel ogni volta. Ogni notte un materasso e un cuscino diversi. E poi non sempre gli alberghi, sono in location protette dal punto di vista dei rumori: magari si è vicini a zone con del traffico, c’è un evento nello stesso hotel, un bar appena sotto le stanze… Un Giro è una lunga challenge e noi dobbiamo tentare di salvaguardare l’habitat degli atleti il più possibile, renderlo sereno.

Corridori e cadute: ce ne parla “Paperino” Maestri

16.04.2022
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Uno dei più grandi rischi dei corridori è andare in terra, le cadute fanno parte di questo mestiere e quando accade bisogna saper reagire. E’ quello che è successo al Presidential Tour of Turkey a Mirco “Paperino” Maestri, che nella seconda tappa è finito rovinosamente a terra. Pochi istanti, un rapido check e subito in sella, pronto per riprendere la coda del gruppo, che piano piano, si era allontanato. 

Ma, cosa succede nella testa di un corridore in quei brevi istanti? E il giorno dopo? Con Mirco analizziamo tutte le situazioni che un ciclista deve affrontare dopo una caduta. Il corridore della Eolo-Kometa ci risponde dal lettino dei massaggi, ha appena concluso la sesta tappa in Turchia e, a detta sua, inizia a sentirsi meglio.

La Eolo alla presentazione della prima tappa del Giro di Turchia dove Maestri ha colto un settimo posto
La Eolo alla presentazione della prima tappa del Giro di Turchia dove Maestri ha colto un settimo posto
Allora Mirco, come stai?

Mah, stavo meglio tutto intero – attacca ridendo – è un vero peccato, la prima tappa ero anche riuscito a piazzarmi (settima posizione per lui sul traguardo di Kusadasi, ndr). Ne parlavo anche con il nostro preparatore Samuel Marangoni, stavo proprio bene, questa caduta ha proprio spezzato il ritmo. 

Una caduta del genere è difficile da “assorbire”…

Quando ti sbucci così tanto non è mai facile, mi sono rimesso presto in piedi e queste ultime tappe mi sono messo a disposizione di “Gava” (Francesco Gavazzi, ndr) che ieri è arrivato decimo ed è il nostro uomo di classifica. Poi ho dato una mano anche a “Lona” (Giovanni Lonardi, ndr) per qualche volata.

E tu, come stai?

Sempre meglio, i primi due giorni dopo la caduta sono stati tosti ma ora ho iniziato ad avere sensazioni in crescendo. Domani ci sarà una tappa bella mossa, una di quelle che fa selezione da sola, speriamo di riuscire a stare davanti.

Dopo la caduta la prima preoccupazione del ciclista è riprendere la bici, le cure si fanno in sella
Dopo la caduta la prima preoccupazione del ciclista è riprendere la bici, le cure si fanno in sella
La caduta è stata brutta…

Sì, ho sbattuto la faccia contro il braccio e ho grattato l’asfalto con tutta la parte sinistra del corpo, la spalla e la gamba sono quelle messe peggio. Diciamo che il soprannome Paperino non l’ho preso a caso…

Come si reagisce dopo una caduta così rovinosa?

Il mio istinto, come quello di tutti i corridori, è quello di alzarsi prontamente e riprendere la bici. Appena è arrivato il massaggiatore gli ho chiesto com’erano messi i denti, appena avuto l’ok sono risalito in bici.

Un corridore capisce subito se la caduta è grave o meno?

E’ una questione di abitudine, ahinoi! Appena ti rendi conto di essere a terra, realizzi se ti sei rotto qualcosa o meno. E’ anche abbastanza semplice capirlo: se cerchi di alzarti e non ci riesci allora qualcosa è rotto, solitamente si tratta di spalle o clavicole.

Maestri nelle tappe successive si è messo a disposizione della squadra
Maestri nelle tappe successive si è messo a disposizione della squadra
Ci sono state cadute dove avevi capito fin da subito di esserti fatto davvero male?

Quella più recente è la caduta sul Gavia durante il Giro d’Italia 2020. Lì ho rotto la clavicola e mi ero reso conto fin da subito che non ce l’avrei fatta a riprendere la corsa.

Una volta che riesci a risalire in bici quando ti accorgi delle ferite?

Durante la tappa stessa non ci fai neanche troppo caso perché sei caldo, con l’adrenalina in circolo e quindi tiri dritto. Poi appena arrivi in hotel inizi a sentire i primi acciacchi e una volta che ti stendi sul letto per dormire son dolori. Sono uno che quando si sbuccia così tanto non si mette a fare neanche i massaggi perché lo ritengo inefficace, piuttosto che fare una gamba sola non faccio nulla. Infatti, oggi (ieri per chi legge, ndr) sono i primi massaggi che faccio dopo due giorni. 

E il giorno dopo?

Il giorno dopo è difficilissimo, vengono fuori tutti gli acciacchi: la botta sotto al ginocchio, la contrattura… Poi le bende danno molto fastidio, perché ti tirano la pelle ad ogni colpo di pedale, anche se si sono fatti grandi passi in avanti in questo senso.

La sera in hotel si fa il primo check e si tirano le somme delle ferite
La sera in hotel si fa il primo check e si tirano le somme delle ferite
In che senso?

Mi ricordo di una caduta quando ero juniores, mi ero grattugiato metà corpo, una volta che mi si sono formate le croste soffrivo da matti. Ora invece con tutti i cerotti e le cure la pelle rimane più morbida e soffri un pochino meno.

Anche se, immaginiamo, che la vera sofferenza sia dormire bene…

Quello è impossibile! Non ci riesci proprio, io ho ricominciato a dormire in maniera decente giovedì sera. Le notti prima continuavo a girarmi nel letto, poi ti si attacca il cerotto alle ferite, insomma non dormi e di conseguenza non riposi.

Poi a te è successo anche all’inizio di una corsa a tappe, doppia sfortuna.

Questo fattore non ha aiutato per nulla. Anche perché in Turchia le tappe in totale sono 8 quindi ne avevo ancora tante davanti. Penso però che la cosa peggiore sia fare una caduta del genere all’inizio dell’ultima settimana del Giro. Lì hai tutta la fatica delle due settimane precedenti, l’organismo è più debole, non so quanti riuscirebbero a reagire. Poi c’è anche il rischio che ti salga la febbre la sera della caduta, insomma, meglio evitare.

Froome Tour 2021

Gestione tecnica delle corse, per Babini siamo maestri

30.06.2021
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Il Tour de France fa sempre parlare di sé in un modo o l’altro. Le tante cadute dei primi giorni (nell’apertura quella occorsa a Chris Froome) e la relativa protesta dei corridori ad inizio della quarta tappa sono stati l’argomento principale quasi più delle vittorie di big come Alaphilippe, Van der Poel e Cavendish. Il finale disegnato della terza tappa che ha creato non pochi problemi e provocato un bollettino di guerra – corridori incerottati a mo’ di mummia o ritirati con fratture – fa discutere anche chi una gara la supervisiona e poi la dirige: abbiamo chiesto a Raffaele Babini, direttore di corsa del Giro U23, per tanti anni delle gare Rcs Sport ed ora direttore tecnico degli Europei di Trento (a settembre), di darci un suo parere sulla sicurezza su ciò che abbiamo visto finora alla Grande Boucle.

Raffaele hai visto che caos al Tour?

La prima settimana è sempre così. Ci sono situazioni aperte, nulla di delineato e quindi tutti possono sfruttare un ventaglio di soluzioni per vincere una tappa. Ora c’è molta competitività con medie orarie altissime nelle prime ore di gara o addirittura per tutto il giorno.

Babini 2013
Raffaele Babini, a lungo direttore di corsa per le gare RCS Sport e oggi responsabile degli Europei di Trento
Babini 2013
Raffaele Babini, a lungo direttore di corsa per le gare RCS Sport, qui con la vecchia conoscenza uzbeka Abdujaparov
La velocità può essere una delle cause di tutta questa frenesia?

Certamente ma non l’unica. Ora si viaggia a velocità folli e la minima sbandata non è più recuperabile. Di conseguenza si vola sull’asfalto, con un indice di fratture altissimo. In passato non era così.

Gli altri aspetti quali possono essere?

I freni a disco, se pinzati in maniera istintiva, ti bloccano quasi in modo istantaneo. Poi credo che ci sia un po’ di anarchia in gruppo, manca una figura veramente carismatica che possa trasmettere calma e rispetto. Ora ci sono tanti giovani, con poca esperienza generale, che vogliono essere già dei leader e talvolta non riescono a gestire il nervosismo.

Continua pure…

Aggiungerei che ogni squadra ormai si vuole ritagliare il proprio ruolo per qualche classifica. Adesso le formazioni sono composte da almeno due capitani. I cosiddetti gregari sono delle mezze punte, che potrebbero essere dei capitani a loro volta in altre squadre. Poi c’è da considerare anche l’aspetto televisivo. Una volta la gara iniziava quando arrivavano le telecamere delle moto o si alzava l’elicottero, adesso ci sono dirette integrali e tutti vogliono essere sempre in prima linea per farsi vedere. Tutto viene esasperato.

Sagan Ewan Tour 2021
Il terribile scontro fra Sagan ed Ewan nella terza tappa, costato il ritiro a quest’ultimo
Sagan Ewan Tour 2021
Il terribile scontro fra Sagan ed Ewan nella terza tappa, costato il ritiro a quest’ultimo
Dal punto di vista organizzativo sembra che manchi qualcosa?

In Francia hanno deciso di adottare la segnaletica passiva, quella bianco-rossa nei punti delicati per intenderci, e di non utilizzare più le scorte tecniche, che invece in Italia sono previste dalla legislazione sportiva. Loro hanno la gendarmeria che però non basta. Ad esempio nella terza tappa, ai -8 km dalla fine dove c’era quel restringimento in curva e dove sono caduti in tanti, tra cui Haig, un paio di segnalatori avrebbero fatto molto comodo perché avrebbero richiamato l’attenzione dei corridori, lanciati a forte velocità, e avrebbero potuto indicare al gruppo l’angolo di curvatura della strada facendone capire la traiettoria da prendere. Non voglio essere campanilista, ma in Italia abbiamo un modello più sicuro anche se poi le cadute capitano sempre e ovunque.

A questo punto non si potrebbe davvero pensare ad arrivi più periferici o ad una distribuzione diversa di certe tappe?

Non è facile disegnare un grande Giro, ci sono tanti interessi dietro. Però in effetti alcune tappe di inizio Giro o Tour potrebbero essere pensate o posizionate meglio. Visto che il ciclismo attuale vive di velocità pazzesche, talvolta anche fini a se stesse, bisognerebbe essere più accorti. E scegliere strade più conformi a certi finali di tappa.

Landa Giro 2021
Purtroppo anche in Italia non mancano gravi cadute, qui il terribile incidente a Landa al Giro 2021
Landa Giro 2021
Purtroppo anche in Italia non mancano gravi cadute, qui il terribile incidente a Landa al Giro 2021
Raffaele, dall’alto della tua esperienza, anche a te chiediamo se la neutralizzazione andrebbe spostata più indietro degli attuali 3 chilometri?

Alla luce di questo ciclismo che cambia, nel quale ogni tappa fa scuola, occorre trovare una giusta formula per non penalizzare lo spettacolo. Forse i 10 chilometri di cui sento parlare sono troppi per me ma proverei a fissare la neutralizzazione ai -5/7. Quantomeno si potrebbe provare in qualche gara. L’UCI ci ha abituato a tante regole stravaganti e repentine applicazioni. Forse potrebbe cambiare queste regole anche in corso d’opera durante la stagione o, ripeto, solo per le gare più importanti. Per me ci sono delle vie di mezzo valide che si possono attuare.

Per chiudere, sei reduce dal sopralluogo sul circuito di Trento dell’Europeo, come siamo messi?

E’ un lavoro che avevo iniziato già durante il lockdown dell’anno scorso, ultimamente ho ricontrollato tutta la documentazione cartacea, planimetrie e altimetrie. Dovevo verificare che tutto fosse a posto ed ora tutto è pronto. Sarà un percorso cittadino non proibitivo a livello altimetrico ma sarà molto tecnico e nervoso. Se, dal punto organizzativo e di sicurezza, tutto andrà come abbiamo preparato, pensato e previsto, quel giorno farò solo un giro in auto.

Il punto con Basso a metà del cammino

29.06.2021
5 min
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Nei primi giorni del Giro d’Italia, quando Lorenzo Fortunato era soltanto il numero 115 nell’elenco dei partenti e la Eolo-Kometa faceva fatica a mostrare la sua identità, fra le tante voci che si rincorrevano nel gruppo – peraltro confermate dallo stesso Ivan Basso – c’erano anche quelle per cui si fosse sulle piste di Nibali e Viviani. A distanza di un mese dalla fine della corsa rosa, il punto di vista è cambiato e quella personalità latente è venuta fuori in modo inatteso e importante.

«Avevamo tre step – spiega Basso – e il primo prevedeva in effetti l’innesto di un top rider fra Elia e Vincenzo. Il secondo era continuare nella dimensione attuale, il terzo punto era tenere i gioielli di famiglia e inserire qualche rinforzo. E alla fine abbiamo scelto quest’ultimo, continuando il processo di crescita naturale previsto all’inizio del progetto».

E proprio dall’inizio vogliamo partire con il varesino, avendo vissuto al suo fianco i vari step della nuova squadra, per capire in che modo stiano andando le cose. E anche per parlare della sua voglia di ricreare l’ambiente Liquigas, tirando dentro per il prossimo anno il dottor Corsetti e probabilmente anche un ex compagno di squadra con un ruolo più vicino al marketing. Un punto della situazione dopo i primi mesi di viaggio.

Dopo la vittoria sullo Zoncolan, Fortunato nei 10 anche all’Alpe Motta
Dopo la vittoria sullo Zoncolan, Fortunato nei 10 anche all’Alpe Motta
Insomma, come va?

In proiezione, oltre ogni più rosea aspettativa. Ovvio che le analisi vanno fatte quando le cose vanno male, quando vanno bene e quando vanno più che bene e le abbiamo comunque affrontate. Così come credo che la prima valutazione positiva vada data allo staff coeso che ha messo i corridori nelle condizioni di esprimersi. 

Ecco, i corridori. Tanti dicevano non fossero poi un granché…

Abbiamo iniziato a fare mercato in agosto e abbiamo puntato su ragazzi che per diverse ragioni non si erano ancora espressi. Ma se uno è forte nelle categorie giovanili e poi sparisce, le responsabilità sono da suddividere anche con il contesto in cui si trovava. L’atleta talentuoso difficilmente sparisce. Ma ha bisogno del giusto ambiente.

E torniamo allo staff di poco fa…

Se devo prendermi un merito, è proprio quello di aver messo insieme un gruppo di altissimo livello. L’esperienza di due direttori sportivi come Zanatta e Yates si è vista e la freschezza di Jesus Hernandez ha completato il quadro. E ora la squadra si è rivalutata di parecchio. I corridori ci hanno messo del loro, il gruppo di lavoro li ha supportati.

Nel rilancio (ancora in corso) di Albanese, la mano di Zanatta
Nel rilancio (ancora in corso) di Albanese, la mano di Zanatta
Come va con il grande capo Luca Spada?

Ci assomigliamo, abbiamo lo stesso modo di buttarci nelle cose e Pedranzini, titolare di Kometa, è lo stesso. Spada vive la squadra, come dovrebbero fare i presidenti delle società sportive, per capire in che modo il team possa essere funzionale all’azienda e viceversa. Ha investito. Per la prima volta dai tempi di Pantani, tolta qualche apparizione di Nibali con il turismo delle Marche, un corridore vestito da ciclista è tornato protagonista di uno spot televisivo.

La vittoria ha cambiato la partecipazione di Eolo?

Più che vincere, che ovviamente fa piacere, gli piacciono la progettualità e la costanza. Se vincessimo una corsa e poi sparissimo, non sarebbe una gran cosa. Ma se vinciamo una corsa, siamo protagonisti e poi ne vinciamo un’altra, allora vuol dire che la struttura funziona. E la squadra è andata tanto al di sopra, per cui abbiamo cominciato a pensare al modo migliore per continuare.

Come farete?

Prima cosa, abbiamo scelto di mantenere i talenti migliori. Chiaro che il loro valore sia aumentato e non è neanche servito parlarne tanto con i nostri sponsor, che sanno benissimo che il prezzo di un atleta lo fanno i risultati e il mercato. Dove lo trovi uno scalatore italiano di 25 anni, che vince sullo Zoncolan e sul Grappa e con cui si può pensare di fare una classifica al Giro? Perdere Fortunato significherebbe rinunciare a quella progettualità, per cui siamo vicini a chiudere.

Pensavi che sarebbe sbocciato in questo modo?

Quando è arrivato siamo partiti da zero. Gli ho detto che non credevamo che il suo valore fosse quello che aveva espresso. Gli ho detto quello che mi aspettavo da lui. Lo abbiamo resettato. E i risultati sono venuti.

Il talento a volte si perde anche per l’aspetto psicologico.

Infatti l’allenamento mentale viene prima di tutto il resto, è il primo punto Quando guardi i file dei corridori, a meno che non sei davanti a un lazzarone seriale, hanno sempre numeri buoni. Poi vanno in corsa e non rendono. Il blocco è nella testa. Non puoi essere costantemente 4 chili sopra il peso forma, c’è qualcosa che non va. E’ un corto circuito. Ti sfiduci e si mette in moto un circolo vizioso da cui è difficile venir fuori.

Ottimo Gavazzi, con il secondo posto a Guardia Sanframondi e il ruolo di regista
Ottimo Gavazzi, con il secondo posto a Guardia Sanframondi e il ruolo di regista
Quindi non vedremo grossi nomi?

Vedremo qualche rinforzo, ma nessuno che dia un’accelerazione troppo violenta al gruppo. Non eravamo pronti per supportare uno come Viviani, per fare un esempio. La squadra sarà strutturata allo stesso modo.

E il team under 23?

Ecco, questo è un bel punto e una bella novità. Il team migliorerà: diventerà per metà italiano e per metà spagnolo. Montoli e Piganzoli sono i due fiori all’occhiello. Entrambi hanno fatto la maturità e Piganzoli ugualmente ha fatto un ottimo Giro d’Italia.

Tutto secondo i piani?

Anche meglio. La squadra si è rivalutata di un 30 per cento e faremo di tutto per proseguire così. E poi la stagione non è mica finita…

Elicotteri, moto, tifosi, auricolari: cosa sentono i corridori?

29.06.2021
5 min
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A ben guardare, i soli a fare festa ieri al Tour sono stati i ragazzi della Alpecin-Fenix, mentre tutti gli altri hanno passato la serata a leccarsi le ferite e confrontarsi sul tema della sicurezza, che questa volta è arrivato anche al Tour. Caleb Ewan oggi non ripartirà per una clavicola rotta, Roglic invece non ha fratture e prenderà il via. Ma la domanda che ci si pone oggi nel gruppo dei tecnici più accorti riguarda la capacità stessa dei corridori di essere lucidi, nel frastuono degli elicotteri, delle moto attorno, degli auricolari nelle orecchie, dei tifosi che urlano e si sporgono…

Secondo giorno di brindisi per Vdp e i suoi compagni
Secondo giorno di brindisi per Vdp e i suoi compagni

«Gli ultimi 50 chilometri sono stati pericolosi – ha commentato Van der Poel, primo sul traguardo di domenicaero davanti per evitare di cadere. Mi sentivo molto bene. Avevo detto che se avessi potuto avrei aiutato i miei compagni, ma dovevo stare attento a non dare tutto perché sapevo che Alaphilippe avrebbe potuto approfittarne. Il primo giorno con la maglia gialla è stato speciale e speciale è anche quello che abbiamo fatto con la nostra squadra».

Merlier sogna

Merlier al settimo cielo lo ha ringraziato per non aver tirato come l’anno scorso alla Tirreno-Adriatico nella tappa di Senigallia, quando Mathieu lanciò lo sprint con così tanta veemenza, che passarlo fu davvero difficile. E considerando che nel 2019 ebbe problemi nel trovare squadra, al punto da passare per un anno in una continental (la Pauwels), si capisce la sua leggerezza nel raccontare la vittoria e nello stare alla larga dal tema sicurezza che finalmente è diventata motivo di discussione anche in Francia.

Transenne basse e cellulari ad altezza testa: altro fattore di rischio
Transenne basse e cellulari ad altezza testa: altro fattore di rischio

«Avevo già vinto al Giro quest’anno – ha detto – ma il Tour de France è la corsa più grande del mondo e sono molto felice. E’ incredibile quanto nervosismo ci fosse, pensavo che visti i primi giorni e le prime cadute, sarebbe stato tutto più tranquillo, ma alla fine no. Con due tappe vinte, qualunque cosa accada d’ora in avanti, il nostro Tour è già positivo. Sto vivendo un sogno di cui forse non mi rendo ancora conto, ma non credo che lotterò per la maglia verde».

Gouvenou spiega

Chi non ha passato un bella serata è Thierry Gouvenou, 52 anni, professionista dal 1990 al 2002, che dal 2004 lavora con Aso ed è l’incaricato al percorso del Tour de France.

Marc Madiot ha sollevato un allarme molto importante: bisogna cambiare
Marc Madiot ha sollevato un allarme molto importante: bisogna cambiare

«E’ facile dire che il finale fosse pericoloso – ha detto – ma bisogna rendersi conto che è sempre più difficile trovare punti di arrivo. Per questa tappa abbiamo dovuto togliere dalla lista le città di Lorient, Lanester, Hennebont e Plouay, che ci sembravano troppo pericolose. Non abbiamo più una città di medie dimensioni senza rotonde o restringimenti. Nel Tour de France di 10 anni fa, contammo 1.100 punti pericolosi, quest’anno siamo a 2.300».

Sindacato respinto

Ma questa volta il problema non sono state rotonde e spartitraffico, ma il disegno stesso del finale di tappa, con la discesa che catapultava il gruppo a velocità folle in un toboga di stradine strette. Tanto che il Cpa, il sindacato dei corridori, ha provato a dire qualcosa, ma è stato rimandato al mittente.

Nella caduta in cui si è infortunato Haig, anche Demare e Clarke
Nella caduta in cui si è infortunato Haig, anche Demare e Clarke

«Vista la pericolosità del finale – ha spiegato il vicepresidente Chanteur – e a seguito della richiesta di un certo numero di corridori, abbiamo chiesto che la neutralizzazione venisse ampliata fino ai 5 chilometri dall’arrivo. L’ho proposto a Gouvenou che è parso favorevole, ma quando al mattino sono andato a parlare con i commissari della Giuria, loro si sono impuntati. Hanno che la regola era la regola e che non potevano esserci deroghe».

L’allarme di Madiot

Il più netto di tutti è Marc Madiot, team manager della Groupama-Fdj. Perché è vero che le strade sono strette, ma va anche considerato che è ormai sparito dal vocabolario dei corridori il termine prudenza. Si legge che non sono pagati per vincere e che un solo secondo perso può essere decisivo, ma se sommiamo questa determinazione… satanica ai rumori ambientali (elicottero, moto, pubblico che urla e auricolari nelle orecchie) si capisce che per un corridore non è affatto facile mantenere la necessaria lucidità nei finali.

Vincenzo Nibali in salvo al traguardo, nel giorno della convocazione olimpica
Vincenzo Nibali in salvo al traguardo, nel giorno della convocazione olimpica

«Capisco che le famiglie che guardano il Tour in televisione – ha detto Madiot – non vogliono che i loro figli vadano in bicicletta. Sono un padre e non vorrei vedere mio figlio fare il ciclista professionista dopo quello che abbiamo visto ieri. Non è più ciclismo, non possiamo continuare così. Dobbiamo cambiare le cose, sia in termini di attrezzature, di formazione, uso degli auricolari. Dobbiamo cambiare, perché le cose non stanno andando bene. Se non lo facciamo, avremo delle morti e questo non è degno del nostro sport. La responsabilità è di tutti. Il ciclismo sta cambiando, sta a noi decidere fino a dove vogliamo spingerci».

Altro giorno di cadute. Vince Merlier, Roglic finisce all’ospedale

28.06.2021
5 min
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Se un arrivo è per velocisti quando a vincere è un velocista, allora quello di oggi a Pontivy lo è stato alla grande. La terza tappa del Tour è andata infatti a Tim Merlier, il velocista belga della Alpecin-Fenix che aveva lasciato il Giro con una scusa e appena cinque giorni dopo era andato a vincere la Ronde Van Limburg. Se però ripensiamo al pandemonio di proteste del Giro nel giorno di Cattolica, quando uno spartitraffico mandò a casa Landa e Dombrowski e si disse che non fosse possibile mettere una volata dopo tutte quelle difficoltà, allora bisogna dire – a fronte delle cadute di Roglic, Haig e Thomas poi finiti all’ospedale – che quello di oggi non solo non era un arrivo per velocisti, ma era un arrivo troppo pericoloso a prescindere da chi lo abbia vinto.

La tappa di Pontivy va a Tim Merlier della Alpecin-Fenix
La tappa di Pontivy va a Tim Merlier della Alpecin-Fenix

Gesink e Thomas

Terzo giorno di cadute al Tour, senza che una sola squadra abbia potuto prendere in mano la corsa, data l’impossibilità di restare in fila abbastanza a lungo. Tra i caduti di giornata, il primo ad andare a casa è stato Robert Gesink, caduto nel mucchio dopo 37 chilometri assieme a Geraint Thomas, cui è uscita la spalla destra. Più avanti è toccato invece a Primoz Roglic, che è arrivato al traguardo con 1’21” di ritardo e l’aspetto malconcio.

Ewan trascina a terra Sagan, Colbrelli li schiva entrambi
Ewan trascina a terra Sagan, Colbrelli li schiva entrambi

«Lo hanno fatto volare – ha detto Plugge, team manager della Jumbo Visma – è contuso e dolorante al coccige, lo stanno portando in ospedale. Gli altri ragazzi dicono che un altro corridore lo ha urtato e lo ha fatto volare. Con gli ultimi 18 chilometri di discesa, prima di un arrivo in volata. Le strade giuste…».

Ewan e Sagan

L’ultima caduta in ordine di tempo è arrivata ai pochi metri dall’arrivo, quando a cadere ma per sua responsabilità è stato Caleb Ewan. Lanciato nella volata, il tasmaniano ha trascinato con sé Peter Sagan. Nella loro scia, Sonny Colbrelli ha evitato la caduta ed ha tagliato il traguardo al quinto posto, alle spalle di Ballerini. Mentre smaltita l’impresa di ieri, Mathieu Van der Poel si è piazzato al settimo posto, dopo aver tirato la volata al compagno. Eppure nel tono di voce di Sonny c’è qualcosa di strano. Prima dice di non voler parlare, poi comincia a raccontare.

Roglic a terra

«Mi dispiace per Roglic – dice – si è agganciato a me. Mi è venuto contro. Mi ero messo a ruota degli Alpecin per farmi portare davanti. Anche lui evidentemente aveva scelto quelle ruote, ma era indietro quando mi sono infilato. E forse non guardava o non lo so, ma mi ha preso in pieno. Per quello ho alzato il braccio. E per fortuna poi sono rimasto lucido nel finale, ai 300 metri, e sono riuscito a frenare. Altrimenti a Caleb Ewan e Sagan gli finivo addosso anche io…».

Rivediamo le immagini, l’inquadratura non riprende completamente la scena. Si vede Roglic che cade e Colbrelli che si volta e alza il braccio, come nel suo racconto, come se lo sloveno lo avesse tamponato.

Percorsi pericolosi

Il punto sono i percorsi, troppo stretti e contorti. Pericolosi, come può esserlo un tracciato di gara di continui su e giù e con una discesa tortuosa, di curve strette e a 90 gradi, andando verso l’arrivo. Non era più pericoloso il traguardo di oggi a Pontivy di quello di Cattolica?

«I percorsi sono brutti – conferma Colbrelli – e il gruppo è nervosissimo. Di questo passo il Tour lo vince un velocista. Io sto anche bene, sono arrivato quinto e la volata non l’ho quasi fatta. Mi butto dentro, ma ho paura. Succede quando vedi cadere un compagno. Noi oggi abbiamo perso Jack Haig che avrebbe fatto classifica. L’ha portato via l’ambulanza e adesso è in ospedale. Stavo cadendo ancora anche nell’ultimo chilometro, ma non sono tappe in cui un treno possa dare una mano. Sono tappe in cui al massimo puoi sperare di salvarti».

Le cadute di Nibali e dei suoi avversari. Quale bilancio?

18.04.2021
7 min
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Quante cadute nella carriera di Nibali. Alcune lo hanno coinvolto in prima persona e altre lo hanno riguardato in quanto legate ai suoi avversari. Quella di pochi giorni fa è l’ultima di una lunga serie. Lo Squalo, già operato, dopo la scivolata in allenamento che gli è costata la frattura composta del radio del polso destro, ha una placca che gli consentirà di pedalare sui rulli a breve, ma certo pensando all’imminente Giro d’Italia perde non poco.

Tirreno Adriatico 2021
Vincenzo Nibali (36 anni) è alla sua 17ª stagione da professionista
Tirreno Adriatico 2021
Vincenzo Nibali (36 anni) è alla sua 17ª stagione da professionista

A favore e contro

Facciamo un breve preambolo. Spesso si è detto che Nibali abbia ottenuto le sue vittorie in virtù delle cadute di avversari importanti. 

Si è sentito dire: «Ha vinto il Tour perché si sono ritirati Froome, prima, e Contador, poi». «Ha vinto il Giro del 2016 perché Kruijswijk si è schiantato addosso ad un muro di neve scendendo dal Colle dell’Agnello». E fu additato persino per il Giro (dominato) del 2013: «Lo ha conquistato perché Wiggins si è fermato». Di fronte a queste frasi, che certamente indicano fatti reali ma non concreti ai fini della corsa, urge fare un’analisi.

Sulle strade italiane Wiggins si è trovato spesso ad inseguire
Sulle strade italiane Wiggins si è trovato spesso ad inseguire

Wiggins già staccato

Partiamo proprio dall’ultima frase. Wiggins in quel Giro d’Italia alzò bandiera bianca dopo 12 tappe, alla 13ª non partì in seguito alla caduta verso Treviso. Ma va detto che quando Sir Bradley se ne tornò in Inghilterra aveva già 2’05” di ritardo proprio dallo Squalo, in maglia rosa. Ma che le cose per lui non girassero nel modo giusto si era capito anche prima, nella crono di Saltara (8ª tappa) quando avrebbe dovuto spaccare il mondo, invece arrivò secondo dietro Dowsett e con appena 10″ di vantaggio su Nibali. Forse la caduta fu un pretesto…

Nella tappa del pavè abilità di Nibali (in giallo) nello schivare le cadute
Nella tappa del pavè abilità di Nibali (in giallo) nello schivare le cadute

Tour 2014, era già primo

Tour de France 2014. Saper correre in bici, districarsi sul pavè, stare davanti fa parte del ciclismo. Nibali e la sua Astana avevano preparato al meglio la temibile tappa con i settori in pavè della Roubaix. Certo, tutto deve andare bene, ma spesso la fortuna aiuta gli audaci, in questo caso i più freschi e lucidi. Inoltre, cosa da non trascurare, lo Squalo era già in giallo quel giorno in quanto aveva vinto la seconda tappa.

E Contador? Lo spagnolo cadde nel giorno della Planche de Belle Fille. In una discesa, tra pioggia e nebbia, battè schiena e ginocchio, salvo poi scoprire che era la sua tibia ad aver fatto “crack”. L’Astana dello Squalo rallentò persino il ritmo pur di verificare le condizioni di Alberto. Ma poi dovette andare.

In quelle tre settimane Nibali volò letteralmente. Vinse tre tappe e si presentò a Parigi con 7’37” sul secondo, Jean Cristophe Peraud.

Kruijswijk, finì addosso ad un muro di neve scendendo dall’Agnello al Giro 2016
Kruijswijk, finì addosso ad un muro di neve scendendo dall’Agnello al Giro 2016

L’olandese e l’Agnello

Giro 2016. Uno dei più drammatici. Il siciliano non ingranava. L’olandese Kruijswijk invece tappa dopo tappa faceva la formichina e guadagnava terreno. A tre tappe dal termine vantava un qualcosa come 4’43” su Nibali. Il corridore della Nl-Jumbo però aveva smesso di essere il più brillante come nelle frazioni precedenti, inoltre non avendo una grande squadra aveva speso molto.

L’esatto opposto di Vincenzo. Le sue gambe tornarono forti proprio sul versante in salita dell’Agnello. A volte ad un campione basta poco per prendere fiducia e poter tornare a disporre di tutti i suoi cavalli. Mettiamoci poi che aveva anche una super squadra ed ecco che l’impresa si realizzò il giorno dopo verso Sant’Anna di Vinadio. Nibali sesto, rifilò oltre un minuto all’olandese e prese la maglia rosa a 24 ore dal termine del Giro.

All’ospedale di Bergamo con Tiralongo dopo la caduta al Lombardia del 2013
All’ospedale di Bergamo con Tiralongo dopo la caduta al Lombardia del 2013

I “regali” di Nibali

Finita? Neanche per sogno! Perché se queste sono le “fortune” di Nibali, vogliamo parlare delle sfortune? “Giriamo la frittata”: quante volte gli avversari “hanno vinto perché Nibali è caduto”?

Mondiali di Firenze 2013 (foto in apertura). Nibali ha sulle spalle pressioni enormi, eppure nel finale è lì a giocarsi la corsa con gli altri favoriti. Solo che lui nella prima parte di gara era caduto. Era stato costretto a recuperare, sprecando energie preziose e a correre tutta la gara con evidenti segni e dolori. Quello sforzo presentò il conto nel finale e si dovette accontentare del quarto posto.

Qualche giorno dopo sempre per caduta, fu costretto a lasciare il Giro di Lombardia quando era davanti con i migliori. E un qualcosa di simile, ma senza ritiro, avvenne nella Liegi del 2015 quando fu costretto a rincorrere sulla Redoute.

Nibali fermo sul ciglio della strada a Rio 2016 (screenshot a video, foto indisponibili)
Nibali fermo sul ciglio della strada a Rio 2016 (screenshot a video, foto indisponibili)

La beffa olimpica

Rio de Janeiro 2016. Dopo le critiche per essersi allenato al Tour, lo Squalo si presenta in Brasile in forma perfetta. Nonostante le pressioni enormi, un po’ come per i mondiali di tre anni prima, Vincenzo fa il suo. Corre davanti, stacca tutti in salita e si butta giù in picchiata. E cade. E’ chiaro, il discorso fatto prima per Froome vale anche per lo Squalo, ma quando si è a tutta un errore ci può stare. «Non ero lì per il secondo o terzo posto», aveva detto Nibali.

Si parlò molto di quella scivolata. Lo stesso Vincenzo ci tornò su. Disse che gli era partito l’anteriore, finì nella canalina al lato ma era ancora in piedi, fu proprio il ciglio, dove si sedette successivamente, a catapultarlo a terra. Lo toccò con il pedale destro.

Furono messe sotto accusa le ruote superleggere che lo Squalo ed altri della nazionale avevano usato per l’occasione. Ruote che comunque gli azzurri avevano provato e riprovato. Si disse che il feeling non poteva essere lo stesso rispetto al set usato abitualmente con la squadra.

Vincenzo Nibali, caduta Alpe d'Huez, Tour de France 2018
Vincenzo Nibali e la sua caduta sull’Alpe d’Huez al Tour de France 2018
Vincenzo Nibali, caduta Alpe d'Huez, Tour de France 2018
Vincenzo Nibali e la sua caduta sull’Alpe d’Huez al Tour de France 2018

Quel Tour fa ancora male

E veniamo all’ultima cocente caduta, quella della Tour de France 2018. Nel tempio della montagna, nel “ring” degli scalatori più forti del pianeta, Nibali e gli altri big si stanno sfidando. Verso l’Alpe d’Huez, uno spettatore “tira giù” Nibali. Lui cade, e male, di schiena sulla radiolina. Fa fatica a respirare e a risalire in sella. Ma una volta in bici parte come una locomotiva e nel pieno della bagarre rientra sui migliori, riprendendogli un distacco abissale. I tifosi si fregano le mani. Ci si aspetta un super Tour da Vincenzo. Ma i sogni vengono infranti sulla linea d’arrivo.

Quando Michele Pallini, il suo massaggiatore, è costretto ad aiutarlo per farlo scendere dalla bici capisce subito che qualcosa non va. I dubbi dello stesso Pallini trovano conferma qualche ora dopo all’ospedale di Grenoble: frattura di una vertebra (che tra l’altro ha lasciato qualche strascico). Lo Squalo torna a casa.

La riabilitazione del siciliano è già iniziata (foto Instagram)
La riabilitazione del siciliano è già iniziata (foto Instagram)

Verso il Giro 2021

E veniamo alla più recente caduta. Quella di qualche giorno fa in allenamento. Un’altra scivolata che di fatto complica moltissimo il cammino dello Squalo verso il Giro. Vincenzo non è più un ragazzino ed essere al 101% è fondamentale per lui per poter combattere con gente che ha anche 15 anni in meno. Questi sono giorni cruciali in vista della corsa rosa. C’è chi fa le Classiche delle Ardenne, chi il Tour of the Alps, chi il Romandia.

Si parla di corse che determinano la rifinitura di un lungo processo di lavoro, di gare che danno la cosiddetta brillantezza. Stare a casa non è il massimo. Non solo non si “cattura” quella brillantezza, ma s’interrompe bruscamente il programma di lavoro e il volume programmato. Vincenzo ha già ripreso la riabilitazione, stringendo oggetti e chiudendo “maniglie”. Per il momento si deve accontentare.

Allora, possiamo dire o no che allo Squalo nessuno ha regalato nulla? Voi che ne pensate: il bilancio con il destino com’è?