EDITORIALE / L’esempio di Benidorm e la parabola dei talenti

22.01.2024
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BENIDORM (Spagna) – Sedicimila persone a 18 euro ciascuna (i biglietti andavano da 14 a 20 euro) fanno 288 mila euro: questo è l’incasso stimato ieri per gli organizzatori della Coppa del mondo di ciclocross a Benidorm. In realtà potrebbe essere molto superiore, dato che nei 16.000 andrebbero considerati anche quelli che hanno riempito l’area VIP e Super VIP, i cui ingressi costavano fra i 75 e i 150 euro (ridotti per i bambini). In aggiunta, al conto vanno sommate le consumazioni, che passavano attraverso un braccialetto ricaricabile marcato Pissei. La coda davanti agli stand e le roulotte che vendevano birre e panini era interminabile. Non è difficile valutare che il totale superi abbondantemente i 300 mila euro.

A Benidorm si sono contati circa 16.000 paganti. Biglietti fra 14 e 20 euro, fino a 150 per l’area VIP
A Benidorm si sono contati circa 16.000 paganti. Biglietti fra 14 e 20 euro, fino a 150 per l’area VIP

Il ciclismo che si paga

C’era davvero un sacco di gente a tifare Van Aert e compagni, sfatando il luogo comune del ciclismo sport povero perché non ci sono biglietti da vendere. In realtà i biglietti ci sarebbero, quello che manca è la capacità di immaginare uno sport che oltre ad essere spettacolare, sia anche redditizio. Nei giorni del cross, Benidorm e i suoi hotel si sono riempiti di gente proveniente da ogni angolo di Spagna e d’Europa, soprattutto dal Nord. L’indotto per le strutture ricettive non è quantificabile.

A Gand, per la Sei Giorni che si è svolta lo scorso novembre nel velodromo Kuipke e accoglie ogni sera circa 6.000 persone (3.000 sugli spalti e altrettanti nel parterre ancora più pieno), i biglietti andavano da 27 a 45 euro a serata, fino ai 145 del Vip Cafè Hospitality. A voi il piacere di fare il conto. Ugualmente in Belgio, ma per il Giro delle Fiandre, i Vip paganti sono davvero una folla (dalla colazione all’arrivo passando per il Qwaremont) e pagano prezzi da mille e una notte.

Se un evento richiama migliaia di persone diventa più appetibile anche per gli sponsor, questo è abbastanza chiaro anche per chi di economia mastica ben poco.

Il velodromo di Gand accoglie ogni sera circa 6.000 persone, con biglietti da 27 a 45 euro, più zone VIP
Il velodromo di Gand accoglie ogni sera circa 6.000 persone, con biglietti da 27 a 45 euro, più zone VIP

Il ciclismo nelle città

Si tratta di esempi piuttosto elementari per dimostrare altrettanti aspetti che meriterebbero qualche riflessione aggiuntiva.

La prima è la conferma che il ciclismo, portato nel centro delle città, ha un appeal ancora intatto. Va benissimo la Coppa del mondo a Vermiglio, ma vogliamo mettere la risonanza che avrebbe un cross internazionale a Villa Borghese o al Circo Massimo, in un weekend di ordinario turismo a Roma? Oppure nel centro di Milano o di Verona?

La seconda rende palese quale potrebbe essere il ritorno economico di un movimento fiorente come quello della nostra pista, se solo qualcuno avesse la capacità di guardare oltre la punta del naso. L’Italia è protagonista di mondiali e Olimpiadi, ma non ha un evento per mettere in mostra i suoi gioielli.

Il terzo fa capire che agli organizzatori delle corse su strada basterebbe un pizzico di inventiva per allestire delle zone hospitality nei punti cruciali, smettendo di nascondersi dietro il paravento del “si è sempre fatto così”. Il problema non è pagare. Il problema è pagare senza avere qualcosa di indimenticabile.

Pidcock e i bambini. Quale altro sport consente l’accesso diretto ai campioni? (foto Yago Urrutia)
Pidcock e i bambini. Quale altro sport consente l’accesso diretto ai campioni? (foto Yago Urrutia)

La Sei Giorni di Milano

Anni fa furono quasi 30 mila i tifosi che presero d’assedio la Montagnetta di San Siro per vedere Paola Pezzo e Miguel Martinez gareggiare sulla mountain bike. E furono moltissimi anche i tifosi che nel 1995 si ritrovarono a Villa Ada, nel cuore di Roma, per la prova di Coppa del mondo di mountain bike vinta da Luca Bramati. Mentre il Superprestige di ciclocross faceva tappa fissa nel parco dell’ospedale Spallanzani, meglio noto di recente per aver… ospitato i primi due cinesi presunti portatori del Covid in Italia. Non c’è più nulla.

Tagliamo subito la testa al toro: non si può fare una Sei Giorni a Montichiari. E’ lontana, richiede un viaggio e per questo non attira curiosi. Se invece si prendesse un capannone della vecchia Fiera di Milano o addirittura il Forum di Assago, si affittasse una pista e la si montasse al suo interno, ecco che rinascerebbe la Sei Giorni tante volte promessa e mai mantenuta.

Questa immagine del 1984 ricorda come fosse la Sei Giorni di Milano, con il palazzo sempre pieno
Questa immagine del 1984 ricorda come fosse la Sei Giorni di Milano, con il palazzo sempre pieno

La parabola dei talenti

Chi potrebbe farlo? Se non ci arriva per scelta o intuizione RCS Sport e non ci arrivano per potenza economica le altre società sportive (ovviamente tutto ciò ha un costo), potrebbero farlo gli organizzatori di grandi eventi e concerti. Quelli che campano di biglietti e merchandising. Gli andrebbe proposto e questo potrebbe farlo la Federazione, che ne ricaverebbe un interessante utile.

Sarà forse perché piace la sua concretezza, sarà perché sa muoversi, ma sono tanti quelli che pensano che Cassani la Sei Giorni a Milano l’avrebbe riportata davvero. Lo aveva promesso. Così come a un certo punto si è messo in testa di portare il Tour de France in Italia e ha trovato gli alleati per farlo.

Fare: il verbo è proprio questo. La differenza vera fra lo spettacolo di Benidorm, il gigantismo belga e la nostra dimensione così accorta da sembrare stantia sta proprio nella capacità di immaginare, progettare, rischiare e poi fare. Si segue da decenni un copione identico, si spremono gli sponsor, si va in cerca di contributi pubblici e non si inventa nulla. Un po’ come nella parabola dei talenti, il ciclismo in Italia in tanti casi è gestito da chi ha sotterrato la moneta senza valutare più di tanto la possibilità di guadagnarne altre. Sappiamo tutti come finì con i tre servi del Vangelo di Matteo?

Cronosquadre: un allenamento, mille benefici. A lezione da Pinotti

22.01.2024
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Proprio in questi giorni, specie nella settimana che si è appena conclusa, i team hanno lavorato molto sulla cronosquadre. Perché? In fin dei conti in programma, al momento ce ne sono solo due: quella della Parigi-Nizza e quella della Coppi e Bartali (che neanche è WorldTour). 

Il fatto che le squadre ci abbiano lavorato tutte e per di più negli stessi giorni ci ha incuriosito e per questo abbiamo chiamato in causa Marco Pinotti, tecnico della  Jayco-AlUla. Il grande ex cronoman italiano era in Spagna al seguito dei suoi ragazzi, almeno per la prima di queste sessioni di cronosquadre.

Marco Pinotti (classe 1976) è uno dei tecnici della Jayco-AluLa
Marco Pinotti (classe 1976) è uno dei tecnici della Jayco-AluLa
Marco, dunque, perché si lavora sulla cronosquadre se poi questa disciplina è praticamente assente dai calendari? 

La spiegazione è semplice: si lavora sulla cronosquadre perché questi sono gli unici momenti dell’anno in cui si hanno a disposizione tutti, o quasi, i ragazzi insieme. Secondo motivo: le strade della Costa Valenciana consentono di svolgere questo lavoro con una certa sicurezza ed efficienza.

Però di cronosquadre ce ne sono talmente poche che si potrebbe pensare di farla fare solo a coloro che eventualmente saranno chiamati in causa, no?

Dobbiamo però pensare che è un esercizio che va comunque curato. Un professionista deve saperlo fare. E poi, e questo è un aspetto centrale, è molto utile ai fini della preparazione. Puoi fare doppia fila, lavorare a velocità più alte, far fare certi ritmi anche ai corridori da grandi Giri… E’ un lavoro tecnico che ha i suoi benefici.

Come stare in sella appunto su una bici da crono…

Esatto. Spendi del tempo su questa bici in modo, se vogliamo, anche più allegro. Una cronosquadre deve essere nell’arsenale di un corridore, anche se in stagione ce ne saranno solo due. Forse tre, se dovesse disputarsi quella della Delfinato.

Girmay approfitta dei compagni per simulare “dietro motore” a pochi giorni dalla partenza per il Down Under (foto Instagram)
Girmay approfitta dei compagni per simulare “dietro motore” a pochi giorni dalla partenza per il Down Under (foto Instagram)
Tu in passato ci lavoravi, però all’epoca c’era anche il mondiale per squadre…

E infatti ai tempi in cui ero nella Bmc, questi lavori si facevano sin da dicembre. Il mondiale chiaramente portava una motivazione diversa per lavorare su questa disciplina. Un velocista difficilmente andrebbe sulla bici da crono da solo e invece può essere utile anche per le sue caratteristiche fisiologiche. Pensiamoci un attimo: la sua volata dura 15”-20”, ebbene passa in testa a tirare per 20”-30” poi recupera e di nuovo torna in testa a prendere aria. La stessa cosa vale per lo scalatore, non tanto per lo sforzo, ma perché si abitua a sviluppare certe velocità. Per lui è un po’ come simulare il dietro motore, ma con un lavoro di miglior qualità ed efficienza.

Lavorare per la cronosquadre significa anche sviluppare i materiali?

No, quello si fa individualmente e in altro modo. E’ utile, specie per i neopro’ e i più giovani, per sviluppare le loro posizioni e il feeling con i materiali. Un conto è uscire da soli con la bici da crono: ad andare a 50 all’ora, dopo un po’ fai fatica. Con i compagni invece viaggi costantemente a 55 e più. Quindi prendi un certo feeling con la bici a determinate velocità, senti e capisci il comportamento delle ruote…

Perché quelle sono da gara?

Sì, quelle sì. Se non ci sono condizioni particolari si utilizza un setup da gara, almeno per la bici. Magari non si hanno il body e il casco aero. Siamo sempre su strada con traffico aperto e alcuni modelli hanno le orecchie coperte, non ti fanno sentire bene determinati rumori, clacson…

Come si svolge un allenamento per la cronosquadre?

Di solito, prima di partire, si dà una spiegazione del percorso che si andrà a fare e come. Poi c’è una macchina davanti e una dietro. Ormai nella zona di Calpe abbiamo un percorso collaudato e lì andiamo. Il primo giro non lo si fa a tutta e diventa una sorta di ricognizione, utile soprattutto ai nuovi arrivati. 

Un’auto davanti e una dietro, così Pinotti “blinda i suoi ragazzi. Lo stesso fanno comunque anche gli altri team
Un’auto davanti e una dietro, così Pinotti “blinda i suoi ragazzi. Lo stesso fanno comunque anche gli altri team
I ragazzi hanno la radio?

Non tutti, giusto un paio che fanno da referenti. Parli con loro per dirgli di stare attenti alla rotatoria, al bivio, all’ostacolo… Darla a tutti sarebbe complicato.

Quali dati si ottengono, Marco?

Dipende dagli esercizi che si vanno a fare. Sono principalmente dati soggettivi: dopo la sessione parlo con i ragazzi e ascolto i loro feedback, osservo molto il loro linguaggio non verbale. Posso fare dei confronti con gli anni precedenti magari riguardo alle velocità, le frequenze cardiache, ma poi dipende molto dal vento che c’è, se girano in otto o in cinque… Le variabili sono parecchie. Semmai, appunto parlando con i ragazzi, si prendono dei feedback che poi verifichiamo in pista e la settimana successiva li riportiamo poi anche su strada.

Gruppi diversi: come li fai?

Eh, volete sapere troppe cose! Questo è un aspetto molto importante, che può incidere sulla prestazione…

Pidcock a Van der Poel: faremo i conti in mountain bike

22.01.2024
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BENIDORM (Spagna) – La stagione del cross di Tom Pidcock si è conclusa ieri nel Parco El Moralet y Foietes, con il nono posto a 27 secondi da Van Aert. A un certo punto, ci ha anche provato, ma a due giri dalla fine si è accesa la riserva e ha dovuto alzare bandiera bianca.

Forse perché consapevole di non poter lottare per la vittoria della prova spagnola di Coppa del mondo, sabato pomeriggio il britannico è sceso dal pullman mangiando una banana e si è concesso ai tifosi e ai giornalisti con una disponibilità vista raramente in precedenza.

Blackout dopo Natale

Sul volto portava ancora i segni della caduta prima di Natale, con un cerotto sul naso e l’occhio ancora un po’ nero, ma le sensazioni ora sono buone, come Tom stesso ha confermato.

«Sono di nuovo in salute – ha detto – e mi sento forte sulla bici. Questo è ciò su cui mi sono concentrato nelle ultime settimane. Dopo Natale non mi sentivo me stesso. Si correva un giorno sì e un giorno no e in quello di mezzo non riuscivo a spingere. Dovevamo fare lavori dietro moto a 50-60 all’ora, ma io non riuscivo ad andare oltre i 40. Ho parlato con altre persone, che non stavano realmente male, ma si sentivano deboli. Non so se sia stato Covid o che cosa. Così ci siamo presi un po’ di tempo e adesso mi sento finalmente meglio».

Fra i grandi del cross mondiale, Pidcock è stato il solo a provare sabato il percorso di Benidorm
Fra i grandi del cross mondiale, Pidcock è stato il solo a provare sabato il percorso di Benidorm

Un mese in Spagna

Il Team Ineos Grenadiers inizierà il suo ritiro in ritardo rispetto agli altri: l’appuntamento, come detto qualche giorno fa da Puccio, è per domani. A quel punto il cross sarà una porta chiusa che si riaprirà fra un anno e par di capire, sentendolo parlare, che l’impossibilità di lottare per la vittoria renda la partecipazione meno interessante. Divertente in sé, ma senza la prospettiva che mette il sale in ogni sfida sportiva.

«Mi aspetta un mese di ritiro qui in Spagna – ha poi spiegato Pidcock – in vista della stagione su strada. Inizierò in Algarve (14-18 febbraio, ndr) e farò un programma simile a quello dell’anno scorso, ma con i Paesi Baschi al posto delle classiche del pavé. Prima farò la Strade Bianche, la mia corsa preferita e averla vinta aggiungerà un po’ di pressione. Poi la Tirreno cercando di non avere una commozione cerebrale (sorride, pensando alla caduta e al ritiro dell’ultima tappa 2023, ndr) e la Sanremo».

«Van der Poel gioca in un campionato tutto suo», dice Pidcock che come Van Aert si è spesso arreso
«Van der Poel gioca in un campionato tutto suo», dice Pidcock che come Van Aert si è spesso arreso

Il mondiale di cross

Esiste davvero un fattore Van der Poel che condiziona i rivali al punto di tenerli lontani dal cross e li costringe ad alzare l’asticella su strada, sapendo che lo ritroveranno anche lì? Questo Pidcock non l’ha detto, ma è un fatto che né lui né Van Aert andranno al mondiale di Tabor.

«Il fatto di non correre il mondiale di ciclocross – ha risposto – fa una differenza enorme rispetto alla stagione su strada. Il mondiale non è gratuito. Non posso semplicemente presentarmi e arrivare quinto o decimo, come se niente fosse. Se partecipi ai campionati del mondo, devi rispettarli e dare il 100 per cento. E se si corre nel primo fine settimana di febbraio, allora porti via qualcosa dalla stagione su strada. Però non mi pesa così tanto. Il mio obiettivo era vincerlo una volta e l’ho fatto. Perciò tornerò quando ne avrò davvero voglia».

Nel 2023 Pidcock ha vinto la prova di Coppa del mondo di Namur: unico successo della stagione del cross
Nel 2023 Pidcock ha vinto la Coppa del mondo di Namur: unico successo della stagione del cross

La MTB è diversa

Dopo la primavera, la stagione proseguirà verso il Tour e le doppie Olimpiadi: su strada e in mountain bike. E a Parigi, Pidcock troverà sulla sua strada nuovamente Mathieu Van der Poel che al momento sta portando via il divertimento dal suo inverno, ma che nella mountain bike ha dovuto chinare il capo più di una volta.

«L’unica opzione per andare bene alle Olimpiadi – ha spiegato ancora – è quella di partecipare al Tour al 100 per cento e di uscirne nella migliore forma. So che sicuramente sarà difficile, ma non vorrei dovermi ritirare prima. Voglio arrivare a Nizza e poi andare a Parigi, non ho scelta. Van der Poel? Quest’inverno è di un altro livello, è stato impressionante, ha giocato in un campionato tutto suo: non c’è molto altro da dire. Però penso che la mountain bike sia un’altra storia. E’ una disciplina diversa ed è da qualche anno che non si allena adeguatamente, quindi penso che sarà tutto da capire».

Nella gara di ieri a Benidorm, Pidocock è stato anche in testa, ma negli ultimi due giri ha pagato pegno
Nella gara di ieri a Benidorm, Pidocock è stato anche in testa, ma negli ultimi due giri ha pagato pegno

Sbagliando s’impara

E il Tour? La sua squadra era così abituata a vincerlo, che sembra impossibile non abbia un corridore che dia garanzie contro Vingegaard e Pogacar. Bernal e Thomas sono all’altezza oppure è giusto aspettarsi qualcosa anche da Pidcock?

«Il Tour è un obiettivo – ha annotato – ma bisogna essere realistici e io andrò in Francia sapendo quello che potrò ottenere. Aver vinto l’Alpe d’Huez ha portato via un po’ di pressione, ma resta il fatto che l’anno scorso sono arrivato senza particolari ansie e non è cambiato molto. Credo che sia stato a suo modo importante. Non ho portato a casa nulla, ma ho imparato molto. Secondo me impari molto più quando fallisci di quando vinci».

Benidorm incorona Van Aert, primo senza la sella

21.01.2024
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BENIDORM (Spagna) – Vince Van Aert, anche senza la sella. Van der Poel è caduto e in un battito di ciglia siamo stati costretti a immaginare un’altra storia. Eravamo tutti pronti a coniare nuovi aggettivi per descrivere lo strapotere dell’iridato. Anche lui al mattino era parso fiducioso e leggero, quasi abituato alla vittoria senza troppo contraddittorio. Ha raggiunto il circuito in bici, facendo 40 chilometri dall’hotel. Ha provato per il tempo a disposizione. E quando si è schierato al via della tredicesima e penultima prova di Coppa del mondo, era così bianco, splendente e grosso, che nessun dubitava potesse centrare l’undicesima vittoria consecutiva.

Eravamo tutti così pronti che adesso, davanti al gigantesco Wout Van Aert vincitore (in apertura, sul podio con Vanthourenhout e Nys), viene da pensare che abbiamo fatto bene a scegliere Benidorm. Il belga per di più, come dicevamo, ha vinto senza la sella, volata via per un colpo dato dallo stesso Wout nella ripartenza dopo la caduta del finale. Ma riavvolgiamo il nastro.

Van Aert è partito indietro. Ha impiegato quasi tre giri per tornare davanti, mentre alle sue spalle andava in scena l’ancor più inquietante rimonta di Van der Poel. E quando sono tornati insieme è parso che Mathieu volesse farne polpette, con un paio di accelerazioni spaventose nel tratto di salita in cemento. Poi qualcosa è cambiato.

Sedicimila paganti

Raggiunti nel frattempo da Pidcock, i due hanno rallentato. Da dietro sono iniziati i rientri. E forse proprio il repentino aumento del… traffico al penultimo giro ha provocato la caduta di Van der Poel. Van Aert, che in quel momento aveva il suo bel da fare per seguire le accelerazioni di Vanthourenhout, ha colto l’occasione ed ha accelerato con tutte le gambe che gli erano rimaste. E alla fine a Benidorm ha vinto lui, così simile nei modi a Bugno, che a neanche un chilometro da qui vinse il mondiale del 1992.

«All’ultimo sono stato anche fortunato – dice – ma sentivo delle buone gambe ed è stata una battaglia serrata. Ci sono stati alcuni incidenti per i materiali (il riferimento è proprio alla sella volata via, ndr) ed è un peccato che nel finale non si sia arrivati ad una vera e propria resa dei conti. Ho dovuto mantenere la calma per cercare di contrastare Mathieu, quindi sono felice di questa vittoria. E’ davvero bello essere qui e sentire la passione di tutto il pubblico (l’organizzazione ha dichiarato oltre 16.000 spettatori paganti, ndr). Sono particolarmente orgoglioso di vedere tutti i tifosi spagnoli assistere a questa gara. Ho la sensazione che provengano da ogni parte del Paese e quando ho iniziato a fare ciclocross professionistico 10 anni fa, non avrei mai immaginato un evento come questo. Oggi resta una di quelle gare cui sono orgoglioso di aver preso parte».

Il numero 13

Van Aert in apparenza non si fascia la testa quando non vince, ma certo stasera appare molto più leggero del solito. Racconta che il ritiro della squadra è finito, ma che lui si fermerà ancora una settimana con la famiglia per allenarsi al caldo.

«Ora mi aspettano alcuni allenamenti importanti – spiega Van Aert – le prime gare su strada sono dietro l’angolo e ci arrivo con un buon morale. La vittoria è sempre dolce, è il motivo per cui corriamo. Ma soprattutto quello che mi è piaciuto di oggi è stata la sensazione di avere buone gambe. Uno dei miei obiettivi era avere un buon feeling durante tutta la gara e concludere la stagione del cross con una bella prestazione, quindi sono particolarmente felice. La salita era il baricentro della gara e sono contento di aver avuto gambe migliori di un paio di settimane fa.

«Peccato per quella caduta finale, sono stato goffo. Ho pensato di essere prudente. Mi sono detto di non saltare più le travi in bici, ma di farle a piedi così non avrei sbagliato. Invece sono volato a terra e quando sono ripartito mi sono accorto di non avere più gli occhiali né la sella e non è stato facile pensare di sedersi. Avevo il numero 13 e sono piuttosto superstizioso: quando l’ho visto ho alzato gli occhi al cielo. Quell’ultimo minuto è costato qualche anno della mia vita».

Van der Poel filosofo

E mentre Van Aert sorride per aver rischiato di finire rimontato e beffato come Paperino, Van der Poel la prende con filosofia. In alcuni tratti di gara ha dimostrato di essere ampiamente il più forte, ma questa volta la sfortuna ci ha messo lo zampino.

«Ho colpito un palo con la spalla – racconta Mathieu – e sono caduto. E’ stato un brutto momento. Ho capito che la gara era finita. Già avevo dovuto fermarmi in una delle prime curve per rimettere la catena che era scesa, ma dopo la caduta, non c’era più terreno per recuperare. Ci avevo provato. Ho attaccato in salita, ma non era abbastanza dura per staccare un corridore come Van Aert. Erano solo 15 secondi di sforzo, poi il resto era abbastanza facile e poco tecnico. Avevamo visto anche l’anno scorso che qui è super difficile fare la differenza. Sapevo che un giorno sarebbe finita, non puoi vincere sempre. Sono felice di come mi sono sentito, anche se in realtà non ero molto fresco, ma penso che sia normale dopo due settimane di allenamento. Ma in fondo lo sapevo: ho scelto di essere al meglio fra due settimane. Ai mondiali!».

Un salto di catena e la Coppa si allontana, ma Viezzi non molla

21.01.2024
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BENIDORM (Spagna) – Quando sembra tutto fatto, gli salta la catena nel tratto di discesa che porta di nuovo verso l’arrivo e Viezzi si ritrova a pedalare come sul monopattino verso il box. Prova spagnola di Coppa del mondo, sono partiti alle 9,30. Era tutto perfetto, con la corsa dell’azzurro a ruota del francese Sparfel in maglia di campione europeo. C’era da difendere il primato in classifica generale, invece adesso i punti che li dividono sono 15. I francesi che avevano mandato in fuga Simon Jules l’hanno fatta alla perfezione. Quando si sono accorti che Viezzi era attardato, Sparfel ha attaccato e il fuggitivo ha frenato. Tappa e maglia, però manca ancora la prova di Hoogerheide: l’ultima.

«L’avrei fatto anch’io – commenta il cittì Pontoni poco dopo l’arrivo – loro hanno sei corridori forti e possono permettersi di giocarsela così. Noi abbiamo avuto Agostinacchio che purtroppo non è mai riuscito a agganciarsi al gruppo dei migliori, però anche lui ha fatto una buonissima prova. Come penso tutti gli altri ragazzi. Sparfel è più forte di noi e nella sfortuna Viezzi è stato anche fortunato, perché ha avuto quel problema vicino ai box. Ci giocavamo tutto sul limite dei punti e oggi ne ha persi parecchi. Però non è finita ancora, conoscendolo so che ha voglia di riscattarsi. Se a Hoogerheide Stefano vince e l’altro fa terzo, la Coppa la vince ancora lui. Siamo ancora in gioco e accettiamo il risultato del campo, perché questo bisogna fare. Il ragazzo dice che aveva buone sensazioni, poi analizzeremo tutto con più calma. Non eravamo tanto euforici prima, non dobbiamo essere abbattuti adesso».

Sparfel è rimasto tranquillo fino all’ultimo giro, seguito dal belga Van den Boer
Sparfel è rimasto tranquillo fino all’ultimo giro, seguito dal belga Van den Boer

La trappola francese

Subito dopo il traguardo, Viezzi si è fermato accanto ai due massaggiatori della nazionale fermi dopo le transenne. Nel cross sul rettilineo non li lasciano andare: il ciclismo ha specialità diverse e regole diverse, inutile farsi troppe domande.

«Stavo bene – dice commentando il finale – sapevo che potevo dare tutto all’ultimo giro, ne avevo ancora. Però peccato, mi è caduta la catena. Il treno dei primi è andato via e lì mi sono giocato la maglia. Però le sensazioni sono buone, penso alla prossima settimana. Sapevo che i francesi potevano fare gioco di squadra, erano tre o quattro molto forti, però non mi preoccupavo troppo. Io dovevo pensare solo al campione europeo che era secondo in classifica, dovevo marcare lui».

Si va verso la montagnetta al penultimo giro: Viezzi in scia al francese: la sfortuna sta per abbattersi
Si va verso la montagnetta al penultimo giro: Viezzi in scia al francese: la sfortuna sta per abbattersi

Il salto di catena

Quando sembra tutto fatto, gli salta la catena nel tratto di discesa che porta di nuovo verso l’arrivo e Viezzi si ritrova a pedalare come sul monopattino verso il box.

«Tanta sfiga – dice con altrettanta amarezza – non ero riuscito a partire bene e qua la partenza era fondamentale. Poi però con calma ho recuperato e sono riuscito a tornare sotto. Ero lì, me la sarei potuta giocare. Però la prossima settimana ci si riprova. A Hoogerheide, sullo stesso percorso dei mondiali 2023, provo a dare tutto quello che ho e speriamo di riuscire a portarla a casa. Qui sapevo che il percorso poteva fare per me, però oggi ho avuto un po’ di sfortuna. Vabbè, pensiamo alla prossima…».

Un atleta da scopire

Pontoni se lo mangia con gli occhi, mentre gli altri ragazzi sciolgono le gambe sui rulli. Viezzi ha abbassato la parte alta del body UCI, che a dirla tutta è davvero brutto e fa rimpiangere i colori della vecchia maglia di Coppa del mondo. I due sono della stessa zona. E mentre si ragiona sul suo futuro, partendo da quello di Toneatti che è sparito dal cross e ha avuto sfortuna su strada, il tecnico azzurro è chiarissimo.

«Credo che avrà l’imbarazzo della scelta – dice – ma lui sa già dove vuole andare. Gli manca di imparare bene l’inglese, ma ha già detto che fino al mondiale di cross di certe cose non parla. Farà la stagione su strada con Levorato alla Work Service e poi deciderà. Ha iniziato ad allenarsi sul serio da un anno e poco più. Va ancora a funghi e a camminare in montagna, è completamente integro. Guardatelo, se ne è già fatto una ragione. Ma ci scommetto che già pensa a come riprendersi quella maglia».

A Brema con Donegà: un furgone, due bici e qualche soldo in tasca

21.01.2024
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Il furgone con le scritte del VC Mendrisio e 15 ore di autostrada, che all’andata sono parse cariche di promesse e al ritorno pesanti come certe processioni che non finiscono mai. Così Matteo Donegà e lo svizzero Nicolò De Lisi hanno partecipato alla Sei Giorni di Brema (immagine Frontalvision Photo Agency in apertura). La prima edizione si svolse nel 1910, questa era la prima dopo il Covid e gli atleti non si sono tirati indietro. Addirittura la UEC è stata costretta a rimodulare il calendario degli europei per dare loro modo di raggiungere la città tedesca.

Così, dopo i reportage di Filippo Lorenzon da Gand, ci siamo affidati a Donegà per sapere come è andata in Germania. Nelle sue gambe c’erano già la Sei Giorni di Rotterdam e la Quattro Giorni di Ginevra, a breve invece partirà per la Due Giorni di Berlino. Matteo si è prestato al gioco ed è diventato nostro inviato in pista

Dopo 15 ore di viaggio, hotel raggiunto per Donegà e De Lisi
Un viaggio parecchio impegnativo?

De Lisi abita in Svizzera, a San Gallo, per cui sono arrivato da lui in auto e il giorno dopo siamo ripartiti verso Brema. Uguale al ritorno. Ne ho fatti di viaggi lunghi, ma questo si è sentito. Facevamo turni di guida di 2-3 ore. Abbiamo speso 450 euro di carburante e alla fine siamo arrivati a Brema. Dovendo portare due bici e almeno 4-5 paia di ruote, il furgone conviene. A Berlino vado in aereo, ma porto una bici sola e mi costa 120 euro in più. Per Rotterdam ho noleggiato un furgone mio e ho speso 800 euro. Averlo in prestito è stato positivo.

Che ambiente avete trovato a Brema?

Bellissimo, a me è piaciuto molto. C’ero già stato nel 2019 e avevo corso con Ferronato la gara U23, arrivando secondi. Sono passati cinque anni e mi è piaciuto tanto tornare in quell’ambiente che è stato più una festa che una gara.

Tutte le sere in bici fino alle due?

Abbiamo fatto degli orari strani, in realtà. Quando cominciavamo alle 20, finivamo intorno all’una e mezza. Un giorno abbiamo corso il pomeriggio, poi abbiamo fatto una pausa e abbiamo corso nuovamente la sera. Un’altra volta invece solo pomeriggio, dalle 16 alle 20. Cinque anni fa correvamo tutti i giorni fino alle due di notte.

La coppia Donegà-De Lisi aveva come sponsor FAHRRADja!24, e-commerce tedesca (Frontalvision Photo Agency)
La coppia Donegà-De Lisi aveva come sponsor FAHRRADja!24, e-commerce tedesca (Frontalvision Photo Agency)
Che livello c’era?

Abbastanza buono. Il giorno prima c’era stata la madison all’europeo e tanti sono venuti diretti a Brema, perché da Apeldoorn sono due ore di strada. Magari non era al livello di Gand, perché lì ci sono proprio i top, però si andava forte. 

Com’era strutturata la tua giornata tipo?

Avevamo l’hotel a 100 metri dalla pista, quindi si andava a piedi. Mi alzavo la mattina alle 9-9,30. Alle 10 colazione. Se correvamo di pomeriggio, andavo subito in pista per fare i massaggi. Il mio massaggiatore aveva sei corridori, quindi avevamo dei turni e io l’ho sempre fatto per primo. Poi aspettavo in pista, nella cabina. Facevo pranzo lì e poi correvo.

Se invece correvi la sera?

Allora la giornata era più tranquilla. Facevo colazione con più calma, andavo in pista verso le tre per fare il massaggio e alle cinque mangiavo. Se invece si correva alle due del pomeriggio, bastava fare colazione al mattino. E poi si mangiava nuovamente a cena, anche a orari impossibili.

La cabina è la casa del seigiornista fra una prova e l’altra (Frontalvision Photo Agency)
La cabina è la casa del seigiornista fra una prova e l’altra (Frontalvision Photo Agency)
Il pranzo delle cinque era come la colazione prima di una gara su strada?

All’incirca è così, perché correvamo per almeno 4-5 ore. Ogni sera si fanno dagli 80 ai 130 chilometri e sempre a ritmi belli allegri. Di solito preferisco non mangiare tantissimo per non ritrovarmi pieno nelle prime gare. E poi all’estero hanno un’alimentazione abbastanza strana.

Vale a dire?

A Brema ho mangiato soltanto pasta in bianco, mentre loro avevano una serie di condimenti che ho evitato per paura che mi tornassero su durante la gara. Quindi pasta in bianco senza esagerare e poi barrette e gel.

E durante la gara?

I massaggiatori ti fanno il riso tra una gara e l’altra, quindi di fatto mangiavo ogni mezz’ora. Ed è il regime alimentari tipico delle Sei Giorni. Rotterdam è stata più regolare perché correvamo sempre alla stessa ora, a Brema abbiamo dovuto variare di più.

Fra una prova e l’altra, musica, concerti e fiumi di birra (Frontalvision Photo Agency)
Fra una prova e l’altra, musica, concerti e fiumi di birra (Frontalvision Photo Agency)
Tanto pubblico?

Tanta gente nel mezzo della pista. Fra una gara e l’altra c’erano dei concerti, tanto che a volte facevamo pause di mezz’ora. E lì in mezzo c’era davvero una marea di gente, più che in tribuna. Non è facile riempire seimila posti se al centro della pista ci si diverte di più.

Sei soddisfatto del risultato?

Abbastanza, visto il livello che c’era. L’unico rammarico è il fatto che non avevo mai corso con De Lisi, per cui abbiamo passato la prima madison a prenderci le misure. Fare un’americana senza conoscersi non è così scontato, basta avere due tecniche diverse di cambio e perdi tempo…

Non potevate fare qualche prova?

Avevamo fatto in modo di arrivare il giorno prima per allenarci, ma quando siamo entrati in pista stavano ancora montando, quindi il rodaggio l’abbiamo fatto 10 minuti prima della gara. Comunque il podio era già deciso e anche il quarto e quinto posto. Per cui arrivare sesti su dodici coppie non è stato tanto male. Abbiamo vinto un’eliminazione e un derny e per noi l’importante era farci conoscere.

Anche meccanici e massaggiatori erano agli europei: ecco Donegà con Sven ed Etienne Ilegems, con la tuta azzurra
Anche meccanici e massaggiatori erano agli europei: ecco Donegà con Sven ed Etienne Ilegems, con la tuta azzurra
Massaggiatori e meccanici li avete trovati in Germania?

Anche quello non è stato facile, perché tanti erano a fare gli europei. Per fortuna abbiamo trovato un meccanico tedesco che ci ha aiutato per tre giorni, mentre al quarto ci siamo arrangiati. Sono capace di montarmi la bici, ma il meccanico serve. Quando fra una prova e l’altra hai 10 minuti, non riesci a cambiare il rapporto o riparare una gomma bucata.

Dieci minuti sono pochi…

Sei lì, il massaggiatore ti cambia la maglia, ti asciuga, ti lava. Magari vai in bagno e alla fine non hai tempo per pensare alla bici. E comunque averne due permette di avere i rapporti giusti. Una più dura per il derny e una meno per le prove di gruppo.

Quanto hai guadagnato a Brema?

L’ingaggio non era come immaginavo. Mi hanno dato 1.500 euro lordi per quattro giorni di gara, mentre a Rotterdam ne ho presi 4.000 per sei giorni. A Berlino, per soli due giorni mi daranno 1.000 euro. Però era la prima dopo il Covid, meglio non chiedere nulla adesso e magari spuntare un ingaggio migliore per il prossimo anno.

La Sei Giorni di Brema è stata vinta da Reinhardt e Kluge, oro pochi giorni prima nella madison di Apeldoorn
La Sei Giorni di Brema è stata vinta da Reinhardt e Kluge, oro pochi giorni prima nella madison di Apeldoorn

Fra strada e Coppa

La Sei Giorni di Brema l’hanno vinta Reinhardt e Kluge, freschi vincitori dell’europeo nella madison. In attesa di sapere se l’ex seigiornista Villa vorrà convocarlo per qualche Coppa del mondo (magari quella di Hong Kong che si corre durante le classiche), Donegà si accinge a preparare le valigie per Berlino e poi a schierarsi su strada in maglia CT Friuli. Il sogno resta quello di trovare posto come specialista in un corpo militare, ma ad ora le porte sono chiuse.

«Magari quest’anno spero di correre di più – ammette – l’anno scorso non ho fatto tantissimo su strada. Tranne la Vuelta a San Juan con la nazionale, non ho partecipato a corse a tappe. Il guaio è che essendo elite in una squadra di U23, prima fanno correre i giovani e poi se c’è posto tocca a me. Abbiamo questo tipo di accordo e a me sta bene. Ora faccio Berlino e poi vediamo. C’è chi preferisce andare ad allenarsi in Spagna, io faccio le mie Sei Giorni. Mi alleno e porto a casa anche qualche soldino in più».

Velocisti da 2.000 watt e uomini veloci: l’analisi di Pasqualon

21.01.2024
6 min
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Velocisti da 2.000 watt e uomini veloci: quali differenze ci sono? Tempo fa a parlarci dei super velocisti, quelli davvero potenti, fu Andrea Pasqualon. Poi Scaroni, uomo veloce ma non sprinter, ci ha detto che durante una volata con il compagno di squadra Lutsenko, dopo 100 metri lo vedeva andar via.

E allora proprio al corridore della Bahrain-Victorious abbiamo chiesto di più. Pasqualon è forse il profilo ideale per questo articolo: velocista, ma non da 2.000 watt, corridore molto tecnico, apripista esperto.

Het Nieuwsblad: Pasqualon al centro con la maglia della Bahrain. Una volata per uomini veloci e non velocisti puri
Andrea ci avevi detto che gli sprinter puri sprigionano ormai 2.0000 watt, poi c’è una schiera piuttosto larga di gente molto veloce. Qual è l’identikit del velocista non puro?

Quello come me! Gli uomini veloci, ma non velocisti puri, sono corridori che vanno dai 68 ai 73 chili. Non hanno quel picco di potenza massima assurdo, ma riescono comunque ad esprimere i 1.300-1.400 watt per più secondi. Si difendono bene in volata e digeriscono un pelo meglio le salite. Il velocista puro invece è in grado di dare una mega botta anche da fermo e in volata tocca i 1.800 anche i 2.000 watt. Ma ci lavora molto per sviluppare questi wattaggi e fa fatica su altri terreni.

Cioè?

Lavora parecchio a secco e per tutto l’anno, per mantenere certi wattaggi. Di conseguenza oltre a pesare un po’ di più ha una muscolatura diversa e in salita fa più fatica. Molti di questi super velocisti neanche fanno l’altura. Un corridore veloce come me invece prima dei grandi Giri in quota ci va e per quanto poco, il suo picco di potenza cala un po’. I velocisti puri magari preferiscono restare a casa e fare lavori focalizzati sugli sprint. E’ loro interesse avere un chilo o anche due in più, che uno di meno.

Parlando della volata da un punto di vista tecnico che differenze ci sono tra i due identikit? Facciamo un esempio. Siamo nell’ultimo chilometro: come fanno la volata Lutsenko e come la fa Philipsen? Com’è la curva della velocità?

L’unico modo che un Lutsenko ha per battere un velocista puro è quello di anticipare, quindi partire lungo. Tutto sta se gli riesce di guadagnare quel metro (posto che poi lo deve mantenere), perché se avviene il contrario poi non lo recupera più. Per farlo dovrebbe andare più forte di uno che sta sui 1.800 watt. Difficile… Poi è chiaro che non basta solo anticipare.

Cos’altro serve?

Avere una buona posizione, essere dei “gatti”, scegliere i giusti tempi. Per esempio, il nostro Bauhaus non ha questo grande picco di potenza, però è un gatto in gruppo, in bici ci sa stare, lima tantissimo, non frena mai e cerca di fregare gli altri proprio perché parte dalla posizione migliore. Per questo a volte riesce a battere tanti velocisti più potenti di lui. Al Tour faceva secondo, quarto, terzo perché ci sapeva fare. Arrivava dietro Philipsen, ma lui oltre ad essere potente aveva anche Van der Poel come ultimo uomo. E se VdP partiva da posizione perfetta, poi Philipsen era difficile anche solo affiancarlo.

Pesi massimi. Pedersen precede Philipsen, Van Aert, Groenenwegen al termine di una volata velocissima che non ha lasciato spazio all’altra tipologia di sprinter
Pesi massimi. Pedersen precede Philipsen, Van Aert, Groenenwegen al termine di una volata velocissima che non ha lasciato spazio all’altra tipologia di sprinter
Chiaro…

Philipsen ha una grandissima potenza, un’accelerazione fortissima, in più è portato fuori a velocità altissima: così è praticamente imbattibile. Anche quando per lui sembrava persa, perché magari era messo male, VdP si spostava e lo portava fuori ad un velocità pazzesca. A quel punto Philipsen ci metteva del suo e vinceva. Uno come Mathieu nel finale ti mette il gruppo in fila indiana da solo e questo fa sì che alla peggio gli altri velocisti debbano partire dalla stessa posizione o dalla ruota dello sprinter. Poi vallo a rimontare un Philipsen che ti è davanti, che deve iniziare ad accelerare e mentre si viaggia già a 70 all’ora. 

Prima hai fatto una distinzione: l’uomo veloce va dai 68 ai 73 chili. Prendiamo quelli più leggeri di questa fascia, in questo caso i “piccoletti” possono sfruttare la loro buona aerodinamica per sopperire alla mancanza di watt?

Se è per questo in teoria hanno anche una bici più piccola e scattante. E’ chiaro che un Milan della situazione deve esprimere più watt rispetto ai suoi avversari, tanto più lui che davanti non è bassissimo e prende più aria. Anche questi sono aspetti da tenere in considerazione. Nelle volate controvento il velocista grosso è svantaggiato. Un Cavendish, che ha la testa praticamente sotto il manubrio, invece è avvantaggiato. In queste situazioni aiuta un po’ essere piccoli. Pensiamo ad Ewan.

Un uomo veloce alla Pasqualon ha meno picco, ma ha una durata maggiore?

Corridori come me, se vogliono vincere una volata è necessario che la strada tenda a salire. Più del vento contro. Questo perché il fattore potenza/peso si sposta a nostro vantaggio. In una volata al 3-4 per cento di pendenza i velocisti più leggeri riescono a salvarsi. Il loro picco di velocità cala di meno.

Come varia l’espressione di potenza e quindi di velocità negli ultimi 200-300 metri tra le due tipologie di sprinter?

Un velocista super potente cerca di aspettare, perché sa di poter disporre di un picco molto alto e violento, specie se gli altri non sono ancora partiti. Nel momento in cui parte lo sprint, a parità di tempistiche, loro guadagnano subito 20-30 centimetri. L’altra tipologia di velocista è più lineare: magari uno come me o Scaroni hanno un buon picco sui 20” o 30”, ma non sui 10” o sui 5”.

Lutsenko, uomo veloce ma non velocista, batte Hirschi allo sprint. Volata lunga, buono spunto veloce e un gran bel colpo di reni per il kazako
Lutsenko, veloce ma non velocista, batte Hirschi allo sprint. Volata lunga, buono spunto veloce e un gran bel colpo di reni
Uscendo per un attimo fuori da questi due identikit: chi sono gli scalatori, o comunque gli uomini da grandi Giri, più veloci?

Pogacar di sicuro. Lui è uno scattista vero. Un Vingegaard non ha quell’esplosività. Poi penso a Pello Bilbao. Lui in una volata di 4-5 corridori è molto pericoloso. E non dobbiamo dimenticare Evenepoel, che nell’ultimo anno è migliorato moltissimo sotto questo aspetto.

Come è recepito lo sprint tra il velocista puro e l’uomo veloce?

Quando fa la volata lo scattista che non è un velocista puro, per lui è come se fosse uno scatto normale. Per il velocista è lo sprint. Ma conta ogni minimo dettaglio nel ciclismo attuale. Conta tenere la testa bassa, avere il casco aerodinamico, il calzino alto, le ruote giuste, il body perfetto che non faccia una piega… sono dettagli che fanno una grandissima differenza e il velocista puro lo sa. Ad esempio, molti velocisti sotto al body da sprint stanno usando un corpetto tipo quello dei cronoman, per fa sì che l’aria scorra via in modo migliore sulle spalle. Lo scorso anno al Giro, per esempio, Jonathan Milan ha perso una volata perché aveva la giacca sbagliata. Ad una ventina di chilometri dall’arrivo, l’ho affiancato e gli ho detto: «Devi assolutamente togliere la mantellina». Ma lui era congelato e non l’ha tolta. Pedersen, che ha vinto, se l’era tolta. Io sono sicuro che quella volata se non avesse avuto il giacchino inzuppato l’avrebbe vinta Jonathan.

Tra le due tipologie di uomini veloci c’è una differenza di cadenza durante lo sprint?

Più che di cadenza c’è differenza di rapporti. I velocisti puri cercano sempre di avere un rapporto molto lungo. Proprio Milan per esempio voleva il 56 e a volte gli era piccolo. Infatti chiedeva il 58. Questo perché solitamente questi sprinter puri hanno una leva lunga e una potenza stratosferica. Davvero un Milan sprigiona 2.000 watt, quindi è normale che cerchi il rapportone. Il problema è che oggi le corse sono sempre più dure. C’è sempre almeno una salita e diventa complicato portarsi dietro quei rapporti e arrivare a fine corsa con le gambe a posto per esprimere la massima potenza.

E l’uomo veloce è quindi avvantaggiato rispetto allo “sprinterone”…

Mi ricordo certe volate al Tour in cui facevo quarto, quinto, settimo, pur non essendo un velocista puro, ma perché? Perché gli ultimi 30 chilometri si andava talmente a tutta che per la maggior parte dei corridori il picco di potenza quasi si annullava. Erano volate “da morti” e quindi un corridore come me, che ha fondo e magari sa anche limare, riusciva ad arrivare meno affaticato nel finale. E solamente rimanendo sulle ruote riusciva a fare il piazzamento. In quei momenti facevi 3 chilometri a 70 all’ora, veri. Cosa ti poteva restare per lo sprint?

Brambilla lancia la seconda (ambiziosa) stagione della Q36.5

20.01.2024
5 min
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La Q36.5 Pro Cycling Team si affaccia al suo secondo anno di vita. Il team svizzero, nato dalle ceneri della Qhubeka ha messo alle spalle la sua prima stagione da professional. Un anno zero, condito da qualche successo e da una crescita continua. In questa squadra c’è una buona rappresentanza italiana, guidata da Gianluca Brambilla (in apertura foto SprintCycling).

Il corridore vicentino inizierà, a 36 anni, la sua quindicesima stagione da professionista. La sua figura nella Q36.5 Pro Cycling Team è fondamentale e di grande rilievo, un mentore e un consulente, sempre pronto a dare supporto. Senza rinunciare, tuttavia a qualche ambizione personale. 

Brambilla e la Q36.5 stanno preparando l’esordio stagionale allenandosi sulle strade di Calpe (foto Luis Eder)
Brambilla sta preparando l’esordio stagionale pedalando sulle strade di Calpe (foto Luis Eder)

Dalla Spagna al deserto

Brambilla, insieme ai suoi compagni, si trova a Calpe a preparare i primi appuntamenti del 2024. La scorsa stagione ha visto il brutto infortunio alla clavicola, rientrato per tempo e prontamente messo alle spalle.

«Sto bene – ci racconta Brambilla – ho passato un buon inverno. Quest’anno la stagione inizierà dall’AlUla Tour (ex Saudi Tour), mi sento a buon punto. L’inverno per me è un periodo fondamentale, soprattutto a 36 anni. Per il momento non ho avuto intoppi, a differenza dello scorso anno e questo mi fa stare sereno».

Brambilla nel 2023 è passato alla Q36.5 dopo cinque anni alla Trek
Brambilla nel 2023 è passato alla Q36.5 dopo cinque anni alla Trek
La squadra come sta?

Rispetto al 2023 sento che siamo tutti più avanti, test e dati dicono questo. La passata stagione abbiamo iniziato in ritardo e ci siamo trovati a rincorrere. Il primo ritiro lo avevamo fatto a gennaio e come bici e materiale eravamo un po’ in svantaggio. E’ normale sia così, quando nasce una squadra da zero c’è da fare tutto e non è facile. Anche i tecnici si sono trovati a mettere insieme 20 corridori nuovi. 

Che bilancio trai dal 2023?

E’ stato un anno zero, ma che ci ha fatto fare tanta esperienza. I tecnici hanno imparato a conoscerci e anche tra corridori siamo diventati sempre più gruppo. Ora i diesse sanno che tipologia di corridori hanno a disposizione ed è stato importante per costruire bene questo inverno. 

E Brambilla che cosa ha imparato?

A dare più aiuto e un maggior supporto. Mi sono accorto che la mia esperienza può essere fondamentale. Nel 2023 non ero il più vecchio, mentre quest’anno lo sono. Ho cercato di essere di supporto a tecnici e compagni. La cosa che mi ha fatto maggiormente piacere è aver visto come la mia opinione venga presa in considerazione. Scelte, idee, confronto e tanto aiuto ai giovani, soprattutto agli italiani. 

La Q36.5 nel 2024 conterà 27 corridori di 14 nazionalità differenti
La Q36.5 nel 2024 conterà 27 corridori di 14 nazionalità differenti
Che cosa ti pare dei giovani?

Questa squadra mi piace perché i ragazzi ascoltano maggiormente rispetto ad altri team dove sono stato in passato. L’organico è ampio, ci sono 27 corridori. Sembrano tanti, ma con doppia e a volte tripla attività, ci si trova contati.

La tua è stata una stagione senza grandi Giri come è andata?

Non ho sentito una grande differenza, ho corso tanto e con un calendario di buona qualità. Anche per il 2024 non abbiamo ancora la certezza di fare grandi Giri, ma questo non mi spaventa. Notizia di questi giorni, saremo al Giro del Delfinato e al Giro di Svizzera. Nel mese di giugno avremo tre attività: due WorldTour (Delfinato e Svizzera, ndr) e Giro di Slovenia. E poi c’è da dire una cosa.

Quale?

Che nel 2023 siamo stati al via delle cinque Classiche Monumento, cosa importantissima. E nel 2024 dovremmo aggiungere al programma le corse nelle Ardenne, alle quali dovrei partecipare. Non ci manca un grande Giro per fare una bella figura. 

Siete stati una delle migliori professional del 2023, ed era solo il vostro primo anno di vita…

Eravamo quinti nel ranking, dietro a Lotto Dstny, Israel, Uno-X e Total Energies. Siamo nel pieno della lotta per essere tra le migliori professional e per conquistare la licenza WorldTour. 

Che ci dici dei giovani italiani?

Spero che per Calzoni possa essere l’anno della prima vittoria. So quanto è importante e mi auguro che arrivi subito, sarebbe un bel modo per far scattare la molla e sentirsi più sicuro. Ha imparato dagli errori, come al Tour of Norway dove ha attaccato controvento e si è piantato. Io lì ero a casa ma gliel’ho detto: «Ma dove vai?». Se si fosse fermato a respirare un attimo avrebbe vinto. 

E dei nuovi?

Ho avuto come compagno di stanza Fancellu. Lui deve ritrovarsi, ho visto che una stagione (il 2021, ndr) è stata difficile. Una nuova squadra può dargli una nuova motivazione e chissà che ritrovi la brillantezza dei giorni migliori.

Per Brambilla che 2024 vedi?

L’obiettivo è essere nella mischia e fare da supporto ai compagni di squadra. Non avrò paura di tirare per loro, ma sono sicuro che troverò le mie occasioni. Si parte dall’AlUla Tour, l’ambizione è arrivare alla primavera più pronto rispetto al 2023.

Evenepoel e Castelli a caccia di watt per Tour e Olimpiadi

20.01.2024
7 min
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Siamo tornati dai mondiali di Glasgow con quei 12 secondi di differenza fra Evenepoel e Ganna, cercando di capire come avrebbe fatto l’azzurro per guadagnarli. Non abbiamo pensato minimamente che nel frattempo anche il belga si sarebbe dato da fare per aumentarli. L’ironia della sorte è che per farlo, Evenepoel e la Soudal-Quick Step hanno accanto Castelli, che con Ganna ha conquistato alcune tra le vittorie più belle e ancora lo supporta in nazionale. L’azienda di Fonzaso sa come infilarsi nel vento e scapparne a velocità doppia. E la sfida di rendere più veloce Evenepoel (e anche il nostro Cattaneo) suona davvero straordinaria.

La posizione a cronometro di Evenepoel evidenzia la sua compattezza: questo lo rende unico
La posizione a cronometro di Evenepoel evidenzia la sua compattezza: questo lo rende unico

Compattezza non comune

Lo testimoniano le parole pronunciate qualche giorno fa da Alvin Nordell, l’americano che fa da raccordo tra squadra e azienda, con cui avevamo già raccontato la dotazione per il team belga in vista delle classiche del Nord. L’occasione è stato un comunicato al termine di una sessione nella galleria del vento del Politecnico di Milano.

«Remco rappresenta una sfida unica – dice l’americano – perché la sua posizione è così compatta e aerodinamica che la maggior parte delle soluzioni che funzionano per altri corridori non danno lo stesso risultato con lui. Siamo al livello in cui i migliori ciclisti hanno bisogno di soluzioni personalizzate. Fortunatamente, Remco ha sempre riconosciuto l’importanza di questo lavoro e dedica molto tempo ai test e al miglioramento. Insieme continueremo a renderlo sempre più veloce».

Il tema è ghiotto, queste considerazioni su Evenepoel ricordano quelle di De Rosa su Berzin nel 1994. E così abbiamo voluto vederci più chiaro e siamo tornati da Alvin Nordell, mentre fuori nevicava e per lui che arriva dal Colorado era un po’ come essere tornato a casa.

Evenepoel, che il 25 gennaio compirà 24 anni, ama la ricerca sui materiali per guadagnare margine (foto Castelli)
Evenepoel, che il 25 gennaio compirà 24 anni, ama la ricerca sui materiali per guadagnare margine (foto Castelli)
In cosa consiste il lavoro che state facendo con Remco e la squadra?

Stiamo lavorando in galleria del vento con i vari team. Lo facciamo ormai da dieci anni e ogni volta che andiamo impariamo qualcosa in più. Proviamo cose nuove per vedere se possiamo acquisire conoscenze diverse e ovviamente Remco e la sua posizione compatta sono una sfida molto interessante. Con lui si parte dalle conoscenze che abbiamo e poi cominciamo a… giocare con alcune variabili, come i tessuti e il posizionamento, per cercare di ottenere il miglior risultato possibile.

Da dove siete partiti?

Abbiamo iniziato con il body che avevamo testato nelle ultime due stagioni nella galleria del vento e poi abbiamo apportato alcune modifiche. Alcuni nuovi modelli, alcuni nuovi tessuti e diverse variabili per vedere se potevamo guadagnare un paio di watt a suo vantaggio. Martedì è stata una giornata davvero lunga, ma siamo riusciti a mettere insieme alcune cose che lo hanno reso più veloce. Alla fine posso dire che è bello trascorrere una giornata così lunga se diventa anche produttiva. C’è stato molto duro lavoro sia da parte della squadra sia di Castelli, ma siamo riusciti nel nostro intento. Remco avrà dei body nuovi da provare per la prima cronometro della stagione.

E’ tanto diverso lavorare con un atleta alto come Cattaneo e uno compatto come Remco?

A questo punto della storia, l’aerodinamica è diventata molto specifica per il singolo corridore. Remco è molto compatto, ha pochissima superficie frontale. Quindi le cose che funzionano su di lui non necessariamente funzionano su alcuni dei corridori più grandi, più alti o magri. Al contrario, le soluzioni che abbiamo usato su corridori molto più alti e con maggiore superficie frontale non hanno funzionato su Remco. Questa fu una delle scoperte della prima volta che andammo con lui in galleria del vento. Vedemmo che non era così veloce e che una delle ragioni era la lunghezza delle maniche. Andava con quelle corte, così provammo ad allungarle fino a trovare la misura perfetta che portò il maggior risparmio.

La superficie frontale di Cattaneo, che qui vince la crono al Polonia, è superiore rispetto a quella di Remco
La superficie frontale di Cattaneo, che qui vince la crono al Polonia, è superiore rispetto a quella di Remco
Avere già lavorato con un corridore riduce le variabili anno dopo anno?

Diciamo che ci permette di avere più consapevolezze. Quando siamo andati martedì, abbiamo provato una manciata di prototipi e diverse opzioni. Abbiamo cominciato con un body che sappiamo essere veloce e poi abbiamo iniziato a provarne altri con delle piccole differenze. Specialmente con Remco, non sempre le cose che proponiamo funzionano come speriamo. Per questo abbiamo portato molte opzioni diverse e fortunatamente alla fine siamo arrivati al risparmio di qualche watt.

E’ importante accumulare dati dei vari test per arrivare a soluzioni più efficienti?

Lavoriamo con lui in galleria del vento da quando abbiamo iniziato a lavorare con il team, quindi dal 2022. A gennaio lo portammo per la prima volta e iniziammo a studiarlo. Poi lo abbiamo portato nuovamente nel 2023 e abbiamo provato ancora. Visto che quest’anno è così importante, sia con il Tour che con le Olimpiadi e si spera un altro titolo mondiale, siamo tornati in galleria questa settimana. Probabilmente ce lo porteremo ancora nei prossimi anni, per mettere a punto alcuni dettagli e andare in cerca di qualche altro watt. Un watt qui, un watt là: ormai si deve fare così.

E’ solo un fatto di forme o anche di materiali?

Entrambi, davvero. Abbiamo provato un paio di tessuti diversi solo per lui e abbiamo provato un approccio diverso, mettendo i materiali in modo diverso nella costruzione delle maniche. Poi abbiamo provato un paio di diversi disegni delle maniche con lo stesso materiale, in modo da poter confrontare cosa ha funzionato e cosa no. E’ venuto fuori che la costruzione di una manica sembrava più veloce usando un materiale o l’altro. E dopo aver passato tutta la giornata, siamo riusciti a trovare il meglio di tutto.

Il test nella galleria del vento è stato fatto in assetto da gara. Solo i copriscarpe non erano nuovi (foto Castelli)
Il test nella galleria del vento è stato fatto in assetto da gara. Solo i copriscarpe non erano nuovi (foto Castelli)
Ovviamente ha provato in assetto da gara?

Quando si va in galleria, cerchiamo di eliminare tutte le variabili. Quindi aveva tutto ciò che userà il giorno della gara. I body che dovevamo provare. La bicicletta predisposta con la ruota a disco. Il casco da cronometro. Le scarpe da gara. In realtà non ha provato i nuovi copriscarpe. Ogni volta cerchiamo di renderlo il più vicino possibile all’assetto da gara, perché sai che se cambi qualcosa, l’intero sistema può esserne influenzato.

Perché non ha provato i copriscarpe?

Perché sono abbastanza facili da mettere insieme, basta trovare i tessuti che funzionino. In realtà nel corso degli anni con Remco abbiamo provato cinque o sei diverse varianti e l’altro giorno abbiamo utilizzato i più veloci. Per farli serve comunque tempo, perché a volte i tessuti funzionano bene e altre no. Le scarpe si muovono, l’aria interagisce in modo diverso con le gambe che si muovono rispetto alle braccia che invece stanno ferme. Quindi abbiamo effettivamente trovato un tessuto per i copriscarpe e un altro per il body. 

In passato hai lavorato con Ganna: è importante conoscere le caratteristiche dell’avversario per aiutare il proprio atleta?

Alla fine il nostro obiettivo è rendere Remco il più veloce possibile. Alcune cose che per lui vanno bene non hanno funzionato per Ganna e la nazionale italiana. Quindi a questo punto, proprio perché i guadagni stanno diventando sempre più risicati, si deve essere molto specifici.

Evenepoel è sempre molto attento ai risultati dei test e si presta volentieri ogni volta che serve (foto Castelli)
Evenepoel è sempre molto attento ai risultati dei test e si presta volentieri ogni volta che serve (foto Castelli)
Avete fatto mai test in galleria sulla bici da strada? Dicono che Remco abbia una posizione ugualmente redditizia…

Due anni fa, quando avevamo Fabio Jakobsen, andammo in galleria del vento per renderlo il più veloce possibile allo sprint. Quindi portammo la sua bici, il casco, l’assetto completo. Provammo cose molto diverse, perché la posizione in sella durante lo sprint è molto diversa da quella sulla bici da cronometro. Ugualmente, il modo in cui l’aria ti colpisce quando sei sulla bici da strada rispetto alla bici da cronometro è molto diverso. E posso dire che Remco ha un’ottima posizione su strada, ma è molto più aerodinamico a cronometro. Non c’è proprio paragone.