WALLERS (Francia) – Si potrebbe dire che tanto tuonò e alla fine non piovve, ma siamo davvero sicuri che la Foresta di Arenberg e la sua chicane non abbiano inciso per niente sulla Parigi-Roubaix? I 2.300 metri dell’Inferno del Nord comunque hanno segnato la gara. Hanno detto chi non avrebbe vinto la corsa del pavé.
C’era un’attesa spasmodica per questo tratto: quest’anno più che mai proprio in virtù della chicane, inserita per rallentare l’ingresso dei corridori sullo sconnesso pavé della Foresta. Di sicuro ci sono entrati più piano, ma altrettanto sicuramente la bagarre c’era già stata parecchio prima. Quindi è difficile dire quali effetti avrebbe sortito la chicane a gruppo pieno.
Il “comitato del sì” alla chicane si è fatto sentire. Ma c’era anche chi era contrarioOltre due ore al passaggio della corsa. E la folla era già così tanta lungo la Foresta di ArenbergLa zona d’ingresso si è trasformata in una festa: mercatini, giochi, palco con intrattenimento e tanta birraIl “comitato del sì” alla chicane si è fatto sentire. Ma c’era anche chi era contrarioOltre due ore al passaggio della corsa. E la folla era già così tanta lungo la Foresta di ArenbergLa zona d’ingresso si è trasformata in una festa: mercatini, giochi, palco con intrattenimento e tanta birra
Corsa anticipata
Come aveva accennato Mathieu Van der Poel, era probabile che la corsa sarebbe esplosa prima. E’ andata esattamente così: hanno imboccato la Foresta circa venti corridori.
E per fortuna, ci sentiamo di dire. Col vento a favore che c’era, in caso di gruppo compatto sarebbero entrati a 80 all’ora. E sarebbero andati a quella velocità sia che ci fosse stato subito il pavé, sia la curva della chicane. Noi eravamo lì, sulla “U” della chicane e abbiamo osservato bene.
Concentrato, con le mani basse, è stato Mads Pedersen a virare per primo. VdP era in quinta, sesta posizione, molto più sciolto in volto. Una manciata di atleti, poi il vuoto assoluto. Anche se pochi secondi dopo, arrivando come un falco, ecco Edward Planckaert. Il corridore della Alpecin-Deceuninck stava dando tutto per rientrare e dare una mano ai suoi due leader: l’iridato, appunto, e Philipsen.
Circa venti i corridori che formavano il drappello di testaCirca venti i corridori che formavano il drappello di testa
Festa all’Inferno
Mentre una folla incredibile si distribuiva lungo il rettilineo più famoso del ciclismo, andava in scena una vera festa all’ingresso della Foresta. Un vero show con intrattenimento, giochi, birre, musica, patatine fritte. La corsa sembrava fosse cosa lontana.
Chi non aveva il pass per la macchina o era lì dalle prime ore dell’alba o si è sorbito non meno di 2,5 chilometri a piedi.
Poi però appena sono passate le prime moto, ecco che tutti hanno portato gli occhi (e gli smartphone) sulla strada. Qualcuno era contento della chicane, altri meno. La rete nazionale, France 2, faceva domande a destra e manca per quella che era una vera inchiesta.
Tra l’altro sembra, il condizionale è d’obbligo, che il prossimo anno si arrivi dalla strada perpendicolare alla Foresta, così da abbandonare la chicane, ma avere comunque l’ingresso dalla curva, esattamente come quest’anno. Quindi a velocità più bassa.
Pedersen (guardate chi lo bracca) fa il forcing, ma non crea grande selezione. Forse lì ha capito che non avrebbe avuto possibilitàPedersen (guardate chi lo bracca) fa il forcing, ma non crea grande selezione. Forse lì ha capito che non avrebbe avuto possibilità
Arenberg (quasi) decisivo
Ma torniamo alla corsa. La Roubaix già in quel punto era questione di pochi. Tutti quelli che dovevano essere all’appuntamento avevano risposto presente. Peccato solo non ci fosse neanche un italiano.
La velocità più bassa d’ingresso ha creato delle differenze forse minori di quanto ci si attendesse. Pedersen prima e Van der Poel, ancora di più dopo, hanno allungato tantissimo il gruppo. Nonostante le urla, si sentiva il rumore delle bici. La risonanza di ruote e telai in carbonio è stata una roba da brividi.
Nella Foresta, dopo il forcing, Pedersen deve aver capito che la sua giornata non sarebbe stata facile visto che dopo l’affondo VdP e Philipsen, soprattutto, lo francobollavano: «Oggi – ha detto Pedersen – Mathieu con noi ha quasi giocato. Non credo che la chicane abbia condizionato troppo la corsa, semplicemente Mathieu era più forte».
Dicevamo delle differenze. Qualche metro per quattro atleti, ma poi di fatto erano tutti molti vicini. E così la Alpecin-Deceuninck all’uscita di Arenberg ha fatto la conta, come si suol dire. A quel punto, saggiamente, ha deciso di sfruttare la sua superiorità numerica. Di 14 atleti, tre erano i suoi.
Ha mandato avanti Gianni Vermeersch facendo passare una quindicina di chilometri molto tranquilli a Philipsen e Van der Poel. Energie risparmiate… in vista di una storia che ben conoscete.
VdP fa la stessa cosa e crea un buco. Ma non era ancora l’ora di andare via da soloVdP fa la stessa cosa e crea un buco. Ma non era ancora l’ora di andare via da solo
Il bilancio
Insomma, la chicane e la Foresta non hanno inciso in modo diretto, ma è certo che hanno influito nell’economia della corsa.
La chicane ha incentivato le azioni, i forcing, ben prima del solito. E non è un caso che ci si sia arrivati in una ventina. Di certo la sicurezza è aumentata. Oggi non ci sono state cadute: è accaduto perché erano solo in venti o per la presenza della chicane? A quella velocità, crediamo, che anche solo in venti l’ingresso nella Foresta non avrebbe scongiurato cadute. Quindi in tal senso la chicane un peso lo ha avuto.
C’è poi l’aspetto della Foresta. E della Foresta da “bassa” velocità. Le differenze sono state inferiori alle attese. Però oggi questo tratto ha fatto capire a Van der Poel e alla sua squadra di avere totalmente il controllo della corsa. E agli altri ha smorzato un bel po’ di entusiasmo. Uno su tutti a Pedersen.
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ROUBAIX (Francia) – Non gli basta la sua vittoria. Ad un certo punto quando entrano nel velodromo i suoi primi inseguitori smette di abbracciare la sua compagna, fa un passo verso la pista e si gusta lo sprint. Fa un cenno di coraggio al suo compagno Jasper Philipsen impegnato nella volata. Basta questa immagine, per sintetizzare il dominio totale di Mathieu Van der Poel… e della sua Alpecin-Decuninck.
Le due biondine, sono fidanzate proprio dei primi due, Van der Poel e Philipsen. Si abbracciano, sono tese. Soprattutto la compagna di Philipsen. Quando il compagno vince lo sprint lancia un urlo incredibile.
La foto non è super ma rende l’idea: VdP (di spalle in maglia iridata) ha appena finito di festeggiare e si gode lo sprint di PhilipsenLa foto non è super ma rende l’idea: VdP ha appena finito di festeggiare e si gode lo sprint di Philipsen
Doppietta Alpecin
E’ dunque doppietta Alpecin-Deceuninck a Roubaix. La squadra dei fratelli Roodhooft, Christoph e Philip, porta a casa così il terzo Monumento su tre in stagione. E potrebbe non essere finita qui visto che VdP tirerà dritto fino a Liegi.
Rispetto a Visma-Lease a Bike e UAE Emirates certamente la squadra belga paga qualcosa, però quando sono in corsa corrono forse meglio di chiunque altro.
Si vede proprio che hanno le idee chiare, che sanno ciò che devono fare e sanno che poi ci sarà qualcuno che quasi certamente finalizzerà per loro. Se poi quel qualcuno è VdP il risultato è quasi una certezza.
«Un corridore come Mathieu – dice Edward Planckaert – ti dà tanta, tanta sicurezza. Noi sappiamo che dobbiamo fare un certo lavoro. Ognuno ha il proprio compito e questo ti spinge a dare di più. In squadra c’è davvero una bella atmosfera di amicizia».
«Se è vero che tiro per due? Questo non lo so – ci dice Dillier – so che dovevo fare bene il mio lavoro. E il mio lavoro oggi era di tenere avanti la squadra. La corsa poi è andata come volevamo, ma con un Mathieu così è anche facile. L’importante è tenerlo davanti… Poi ci pensa lui».
Mathieu Van der Poel (classe 1995) vince la seconda Roubaix consecutiva e mette in bacheca il sesto MonumentoVan der Poel (classe 1995) vince la seconda Roubaix consecutiva e mette in bacheca il sesto Monumento
Parla Christoph
Siamo dunque sicuri che l’Alpecin-Deceuninck sia così inferiore agli squadroni? Ripetiamo la stessa domanda di domenica scorsa. Nomi in rosa e punti UCI alla mano, sembra che alcune squadre siano messe meglio è vero. Ma poi quello che conta è la strada. E le corse, specie le classiche, le vincono loro. Per ora i fatti stanno dando nettamente ragione alla Alpecin-Decuninck.
«E’ incredibile – ci dice Christoph Roodhooft, il direttore sportivo – abbiamo sette Monumenti in bacheca. Van der Poel è il nostro uomo leader, ma anche gli altri sono stati forti. Penso per esempio a Gianni (Vermeersch, ndr) che oggi ha avuto un ruolo cruciale».
«Dite che siamo uno squadrone ormai? Sì, ma restiamo sempre gli stessi. Sappiamo che nelle gare di un giorno possiamo dire la nostra. Per il momento sicuramente non c’è l’idea di cambiare e di pensare ad un grande Giro. Vogliamo essere competitivi in gare come Roubaix, Flandre, Sanremo, gare che possiamo vincere. E poi quest’anno è così, ma non è detto che lo sarà anche nei prossimi anni, quindi è bene godersi il momento. No, non pensiamo al gap con altri team».
C’è consapevolezza come ha detto suo fratello Philip.
Primi settori di pavè, guardate come era compatta la Alpecin-DeceuninckChristoph Roodhooft, manager e direttore sportivo della Alpecin-DeceuninckPrimi settori di pavè, guardate come era compatta la Alpecin-DeceuninckChristoph Roodhooft, manager e direttore sportivo della Alpecin-Deceuninck
Tutti per uno
Un leader e tanti uomini vicino. Roodhooft è d’accordo con questo punto di vista. Ma non tanto, o meglio, non solo in rapporto a Van der Poel, ma anche agli altri. In Alpecin-Deceuninck si corre per chi può vincere e le forze si concentrano su di lui.
«Oggi – riprende il diesse – la tattica è stata quella che volevamo. Eravamo dove volevamo essere. Oscar Riesebeek e Silvain Dillier hanno lavorato nella prima parte, esattamente come dovevano fare. E gli altri sono stati molto bravi: anche loro erano al posto giusto nel momento giusto. L’attacco di Mathieu è stato perfetto e nel momento giusto. In quel tratto il vento non era a favore ma laterale. In quel modo andare via sarebbe stato un uomo contro un uomo. E lui era il più forte».
Prima di congedarci, chiediamo al tecnico belga cosa abbia detto in tutti quei chilometri di fuga solitaria al suo pupillo. E finalmente nel risponderci sorride: «Che non avevo più parole!».
Certe cose restano in ammiraglia o negli auricolari delle radiolina, insomma.
La classe, l’eleganza e la potenza dell’olandese. Anche oggi 59,5 km di fuga solitariaLa classe, l’eleganza e la potenza dell’olandese. Anche oggi 59,5 km di fuga solitaria
Determinazione Mathieu
Infine ecco il protagonista di giornata. Finalmente arriva in sala stampa. Appare molto più fresco rispetto a domenica scorsa. A parte una rapida stirata alla schiena dopo l’arrivo, non ha mai dato un cenno di fatica.
Ha corso senza guanti, ha guidato come un drago, ha spinto come un ossesso. E si è anche goduto, per sua stessa ammissione, gli ultimi 10 chilometri.
«Stress? Certo – dice Van der Poel – la pressione c’era e in una corsa come la Roubaix può succederti di tutto anche se sei il più forte, ma sapevo che potevo contare su un’ottima squadra. Sono orgoglioso di tutti loro».
«Rispetto al Fiandre, la Roubaix è una corsa differente e oggi ancora di più, visto che il meteo era diverso. La gara era più aperta. Ma io stavo incredibilmente bene. Ritengo sia stato importante andare in Spagna quei giorni per allenarmi al sole tra le due gare. Mi hanno fatto bene».
Pedersen (terzo) e Philipsen (secondo) hanno completato il podio. Tra gli ordini di scuderia Alpecin, c’era la marcatura a uomo del belga sul daneseVdP a fine gara: «La settimana scorsa ero davvero al limite, ma oggi mi sentivo incredibile. Mi è davvero piaciuta l’ultima parte»Non sono tanti, ma qualcuno continua a scegliere le docce storiche del vecchio velodromoPedersen (terzo) e Philipsen (secondo) hanno completato il podio. Tra gli ordini di scuderia Alpecin, c’era la marcatura a uomo del belga sul daneseVdP a fine gara: «La settimana scorsa ero davvero al limite, ma oggi mi sentivo incredibile. Mi è davvero piaciuta l’ultima parte»Non sono tanti, ma qualcuno, come Degenkolb, che una Roubaix l’ha vinta, continua a scegliere le docce storiche del vecchio velodromo
Non solo gambe
L’iridato è una sfinge. Anche se più di altre volte sembra felice. E prosegue con il racconto della sua ennesima impresa.
«Sono partito ad Orchies perché ho creduto fosse un buon momento – riprende VdP mostrando anche una grande intelligenza tattica – vento e pavè erano giusti. Sapevo che dopo quell’attacco sarei rimasto solo, ma sapevo anche che dopo qualche chilometro il vento sarebbe tornato favorevole e quindi dalla mia parte.
«Cosa mi passava nella testa in quei chilometri? Nulla di particolare, cercavo di restare concentrato, specie nei tratti in pavè. Non bisognava sbagliare nulla e guidare bene. Ho cambiato bici perché avevamo preparato due gomme diverse. Una più stretta per la prima parte di gara, così da risparmiare un po’ di energie, e una più larga e un po’ più sgonfia per la seconda».
Anche questo cambio di bici denota quella precisione, quell’attenzione ai dettagli che Jasper Philipsen ha esaltato a fine corsa. Insomma. Van der Poel è fortissimo, e si sa, ma la sua squadra non è da meno. E ora sotto con l’Amstel Gold Race.
Longo Borghini prima a Roubaix. Azione solitaria di 30 chilometri e buona notte alle altre. La rabbia sfogata. L'attacco istintivo. E una sorpresa prima del via
COL SAN MARTINO – A volte il più grande nemico di un ciclista è l’attesa, così Pavel Novak ha deciso di non sposare la teoria degli altri corridori rimasti in gruppo ed ha attaccato. Uno scatto secco, nel tratto di pianura dopo il GPM del Combai e lo hanno rivisto dopo l’arrivo. E’ il secondo successo tra gli under 23 di questo ragazzo arrivato dalla Repubblica Ceca e che corre alla MBH Bank-Colpack-Ballan. Questa vittoria al Trofeo Piva (in apertura fotobolgan), però, ha un altro sapore rispetto a quella raccolta nel 2023 in una gara regionale, della quale Novak non ricorda quasi il nome.
Due dita alzate al cielo per i fotografi, ma dopo pochi secondi dall’arrivo su Novak ritorna un’espressione seria. Sembra non essersi accorto di quanto fatto, con un’azione di forza e astuzia ha messo nel sacco tutti, reggendo anche alle terribili rampe di San Vigilio, con gli ultimi 100 metri quasi al 22 per cento.
Dopo l’arrivo l’abbraccio con i compagni, la tattica di squadra ha funzionato alla perfezioneSotto al tendone del podio Novak ha ritrovato il sorriso e la tranquillità, lontano dai riflettoriDopo l’arrivo l’abbraccio con i compagni, la tattica di squadra ha funzionato alla perfezioneSotto al tendone del podio Novak ha ritrovato il sorriso e la tranquillità, lontano dai riflettori
La stoccata finale
Intervistato in diretta dice pochissime parole, come a voler scappare dalle attenzioni di tutti. Così di Novak e della sua vittoria ci parla chi oggi lo ha guidato in macchina, Gianluca Valoti.
«Da junior – ci spiega il diesse del team bergamasco – correva alla Trevigliese. Lo abbiamo sempre seguito e portarlo da noi è stato semplice, ma ammetto che Novak e le sue prestazioni sono state delle piacevoli sorprese. Ha le caratteristiche di fare gli ultimi chilometri davvero forte (Novak ha vinto il titolo nazionale a cronometro da junior nel 2022, ndr). La nostra idea sulla gara di oggi era di provare ad anticipare nel finale, Kajamini, Ambrosini e Novak avevano tutti il via libera per provare. E’ toccato a Pavel e ha portato a casa una bellissima vittoria».
Il podio del 75° Trofeo Piva è completato da Pinarello, secondo, e Pescador, terzo (fotobolgan)Il podio del 75° Trofeo Piva è completato da Pinarello, secondo, e Pescador, terzo (fotobolgan)
Animo da scalatore
Non abituato a tutte queste attenzioni probabilmente, Novak scioglie la lingua e si libera della timidezza, solamente nella zona del podio, quando tutti lo lasciano da solo. Seduto su una panchina di legno ha il modo di pensare e raccontare la sua storia che qualcosa di particolare ha.
«Nel 2023 avevo già fatto secondo alla Bassano-Montegrappa – ci dice con meno timidezza addosso – direi che mi sento uno scalatore. Infatti, più che i percorsi come questo di oggi con salite corte e tanto ripide, preferisco scalate lunghe. Per questo ho provato ad anticipare, in modo da non rimanere svantaggiato rispetto agli altri. Nel 2024 andrò per la prima volta al Giro Next Gen, con l’obiettivo di fare bene, anche di vincere. Sarà difficile ma spero di portare a casa almeno una tappa».
Prima della vittoria al Piva era arrivato un sesto posto al Recioto (foto NB Srl)Prima della vittoria al Piva era arrivato un sesto posto al Recioto (foto NB Srl)
Dall’hockey al ciclismo
Nelle parole scambiate nel post gara con Valoti è emerso che Novak si sia avvicinato da pochi anni al ciclismo. Incuriositi abbiamo voluto parlarne con lui, per capire da quale mondo arriva.
«E’ il sesto anno che corro – continua a raccontare – prima giocavo a hockey su ghiaccio in Repubblica Ceca. Da noi è sport nazionale, ci ho giocato per 10 anni, poi piano piano mi sono spostato al ciclismo, per provare. Sta andando anche bene, ma la bici è molto più difficile, servono tanti allenamenti. Da quest’anno vivo a Bergamo, nella sede della squadra, al primo piano dormo io, al terzo Valoti. E’ bello poter stare così vicino al team, durante la preparazione invernale mi è stato molto utile. Sono migliorato tanto e mi sento molto più sicuro dei miei mezzi. La Colpack è come una seconda famiglia, mi trattano benissimo e passo tanto tempo con i miei compagni».
I ragazzi della Vf Group hanno provato ad anticipare con Scalco (il secondo in foto) ma senza successoLa Vf Group ha provato ad anticipare con Scalco (il primo in foto) ma senza successo
La voce del battuto
Nel caldo di Col San Martino completano il podio Alessandro Pinarello e Diego Pescador, rispettivamente i primi due del Recioto corso martedì, a testimonianza della buona condizione.
«Dispiace un po’ – ci dice il corridore di casa, nato a pochi chilometri da qui, a Conegliano – noi della Vf Group abbiamo provato a fare la corsa, ma nel finale eravamo pochi. Scalco ha anticipato, è stato bravo, ma una volta ripreso non aveva gamba per chiudere su Novak. Tutte le altre squadre si aspettavano che fossimo noi a prendere in mano la situazione, ma non possiamo fare sempre tutto. In Italia si preferisce aspettare, vanno fatti i complimenti a Novak che ha capito come vincere oggi».
Gabriele Balducci oggi non seguirà la Roubaix in televisione: nelle stesse ore sarà impegnato con la Mastromarco al Trofeo Piva. E’ chiaro però che una parte del cuore batterà per quello che a buon diritto può essere definito il suo figlioccio: Alberto Bettiol. Il toscano non è stato bene dopo il Fiandre e lo svuotamento subito nella corsa dei muri è stato il principale cruccio della settimana. Certi sforzi vanno recuperati per bene e bisogna che nulla si metta di traverso.
Gabriele Balducci ha 48 anni ed è stato professionista per 12, con qualche vittoria e il gusto un po’ guascone per la vita, accanto a Dario Pieri: l’amico di sempre. Era direttore sportivo da quasi quattro stagioni, quando alla Mastromarco arrivò il giovane Bettiol. Era il2012, Alberto era al secondo anno da U23 e nella squadra toscana trovò Valerio Conti: rivale di tante battaglie. “Baldo” lo accolse e col tempo, assieme al procuratore Battaglini e a Piepoli (che gli fa da allenatore e psicologo), creò attorno al corridore una struttura a prova dei suoi alti e bassi. Quando Battaglini venne a mancare, il diesse si rimboccò le maniche e non ha mai fatto un passo indietro. Hanno litigato e lo faranno ancora, ma sempre nell’interesse dell’atleta. Si capisce che Balducci lo faccia per affetto e non per ambizione, perché non ha mai voluto un ruolo ufficiale nelle squadre di Bettiol. Altri probabilmente avrebbero cavalcato la situazione.
Franceschi, Bettiol e Balducci: Alberto è il tramite fra Cannondale e la Mastromarco, in cui ha corso da U23Bettiol e Balducci: Alberto è il tramite fra Cannondale e la Mastromarco, in cui ha corso da U23
Un cavallo di razza
Bettiol è un cavallo di razza, con impeti e momenti bui. Ha un motore da primo della classe, ma non sempre la capacità di sfruttarlo nel modo giusto. Ai mondiali di Wollongong sarebbe stato l’unico capace di andare via con Evenepoel, ma aveva previsto una tattica diversa e per restarle fedele, vide fuggire il belga. Quando vinse il Fiandre del 2019, non fu per caso: era il più forte e potrebbe esserlo ancora, in un ciclismo sempre più estremo che concede briciole agli uomini estrosi come lui. Alla Milano-Torino ha deciso di vincere e semplicemente lo ha fatto. A volte è solare, altre si rabbuia. Diciamo la verità: non è sempre semplice decifrarlo. E allora, alla vigilia della sua prima Roubaix, ci siamo rivolti proprio a Balducci per fare il punto della situazione. Chi è oggi Alberto Bettiol e dove può arrivare?
«Vi dico la verità – sorride il pisano – facciamo delle cose, ma finché non si conclude, anche dirlo sembra brutto. Io dentro di me so quanto può valere, però non lo possiamo dire proprio bene. Un po’ di risultati sono venuti, ma insomma non è che abbiamo fatto vedere tutto quello che potremmo. Quello ce l’ho dentro e solo io posso sapere quanto vale questo ragazzo, perché secondo me abbiamo ancora dei margini. A volte sembra che ci crediamo più noi di lui e va in questo modo da quando facemmo quell’intervista con lui e Valerio Conti (il riferimento è a un incontro fatto proprio nel 2012, quando Bettiol approdò alla Mastromarco, ndr). Erano due ragazzetti, ma già allora Alberto si chiedeva se sarebbe stato all’altezza. Diceva che Conti gli avrebbe “mangiato la pappa in capo”. Ed è una mentalità si è portato avanti in tutti questi anni».
Alla Milano-Torino aveva una condizione super: voleva vincere e ha attaccatoAlla Milano-Torino aveva una condizione super: voleva vincere e ha attaccato
Perché secondo te ha queste insicurezze?
Ce l’ha su tutto, se vi raccontassi quello che triboliamo anche per la vita normale. Ha un carattere che ha bisogno sempre di conferme. Prima della Milano-Torino chiedeva in maniera ossessiva se l’avrebbe fatta, perché stava così bene che voleva la conferma. Poi l’ha fatta e l’ha vinta. Perché accada non so dirlo. Ci sono corridori che hanno qualcosa in più, che sono sopra le righe, ma gli manca qualcosa. Alberto è un ragazzo d’oro, molto intelligente, però a volte ha queste mancanze.
Ha ancora la giusta cattiveria?
No, sentite, a livello di cattiveria è ancora orgoglioso. Vi dico la verità, magari soffre e non lo dice, però è ancora orgoglioso. Gli piace farsi vedere e questa è la cosa che ci fa andare avanti. La cattiveria c’è ancora e secondo me è ancora tanta e ben più di quella che lascia trasparire. Diciamo che non gli scatta in tutte le corse, è uno che si carica nei grandi appuntamenti. Si carica veramente tanto e questa è una dote. Ci sono certe gare in cui dobbiamo portarlo fin lì e siamo a posto. Perché sappiamo che anche se è al 70 per cento, con la motivazione arriva al 90. Questo ce l’ha dimostrato più di una volta. A livello di cattiveria sono contento.
Lo abbiamo sentito dire che in nazionale si trova benissimo perché tutti lo coccolano come alla Liquigas, che si sente in famiglia. Però corre nella squadra con meno italiani che ci sia…
Avete visto bene. La EF Education è la meno italiana del gruppo, una squadra con delle idee un po’ particolari. Mi ricordo quando era in BMC con Fabio Baldato, di cui sono molto amico, che a volte sbottava e diceva che non lo sopportava più. Allora vi dico, forse è la meno italiana, ma anche la più giusta. Con lui ci vuole sempre una coccola, il modo giusto anche negli allenamenti. Condividiamo tanto gli allenamenti, tutte le tabelle. Tante volte per stimolarlo mi invento anche qualcosa: facciamo così, dai, che domani sarà meglio. E così magari capita che possa stare per ore in bicicletta e non se ne accorga nemmeno. Bisogna saperlo prendere, questa è la cosa fondamentale. Non voglio essere il più bravo né niente, però credo di conoscerlo nella maniera giusta. Non solo da direttore sportivo, ma da amico, da confidente, da psicologo e lui in qualche modo mi riconosce per la figura che sono.
La EF Education è la squadra meno italiana del WorldTour, ma secondo Balducci perfetta per BettiolLa EF Education è la squadra meno italiana del WorldTour, ma secondo Balducci perfetta per Bettiol
Non sarai troppo buono?
Ho cercato anche di essere più cattivo, ci siamo arrabbiati tante volte. Non so quante volte ho chiuso il discorso dicendogli di fare come gli pareva, però non è passato un giorno che non mi abbia ricercato. Quello che sto vivendo è una cosa bellissima, perché preparare insieme un Fiandre o una Sanremo per me è un sogno. Non tanto tempo fa venne fuori la possibilità di entrare in squadra con lui, ma vi dico la verità: io ho sempre guardato la mia squadra, le mie cose. Alberto ci sta vicino, abbiamo le bici Cannondale grazie a lui, ma non voglio che anche questo diventi una pressione. E non mi è mai passato per la testa di fare carriera sfruttando l’amicizia.
Tempo fa si diceva che tra i motivi per cui dovevi controllarlo ci fosse la poca attenzione sull’alimentazione.
Invece finalmente su questo è migliorato molto. Ci è arrivato da solo, a forza di sbagliare e risbagliare, lo vedo quando viene a casa nostra. Sa come deve fare e infatti ha vissuto un buon inizio di stagione. Una volta magari a tavola era necessario dirgli di fermarsi, ma ha capito che oggi il corridore lo fai anche mangiando nel modo giusto. Purtroppo non ci sono tante scappatoie. Se non fai quella vita lì, non porti a casa niente. Il ciclismo è cambiato tantissimo e per me è molto più bello. Magari può non piacere perché è tutto computerizzato, anche a me i numeri non vanno giù del tutto, però si sbaglia poco. La differenza con Alberto è che ti diverti ancora. Partiamo la mattina alle dieci con lo scooter e magari torniamo la sera alle cinque. Ci inventiamo delle cose che poi la sera raccontiamo quando si condividono gli allenamenti e ci piace stupirli. Con Alberto ci divertiamo davvero tanto.
Va detto che negli ultimi anni ha avuto problemi fisici veri, giusto?
Questa cosa ci tengo a dirla. Tante volte il fisico non ha retto al suo motore, che è veramente notevole. Sinceramente ne ho visti pochi con la sua forza, però magari la carrozzeria non è la carrozzeria di Johan Museew. E’ un po’ più delicato, tante volte non è continuo, non ha salute. Se penso che abbiamo tribolato con l’intestino, a fare delle flebo da 4.000 euro l’una, per una cura sperimentale. Abbiamo tribolato davvero, lui perdeva sangue mentre per gli altri corridori il sangue è oro. Poi è normale che ci abbia messo anche del suo, magari trascurando una cosa o mangiandone un’altra. Però i problemi fisici non li possiamo nascondere, semmai questi crampi…
I crampi hanno fermato Bettiol anche in alcune occasioni importanti: qui alle Olimpiadi di TokyoI crampi hanno fermato Bettiol anche in alcune occasioni importanti: qui alle Olimpiadi di Tokyo
Ecco, una nota dolente.
Anche l’alimentazione è cambiata, ora si va per microgrammi, si fa il conto dei carboidrati, ma non è detto che tutte le volte si facciano le cose per bene. Prendiamo un tot di carboidrati per ora, però magari mancano i liquidi o i sali minerali. Tante volte si sbaglia. Deve ragionare di più, l’altro giorno mi sono arrabbiato quando ha fatto quello scatto al Fiandre con Teuns, perché poteva anche gestirlo meglio. Però l’istinto del corridore era quello ed è arrivato al traguardo senza più energie addosso. E’ arrivato al lumicino, come la lucina Garmin rossa che si mette dietro la sella…
Perché a volte ha quasi degli scatti di ira? Perché al Tour Down Under l’anno scorso tirò la borraccia all’operatore che lo riprendeva mentre aveva un crampo?
Torno indietro alla cattiveria e al suo orgoglio. Ci lavoriamo tanto, ma a volte non ce la facciamo. I miei complimenti dopo la Milano-Torino sono stati per il fatto che non abbia fatto una scenata. Pensavo che si sarebbe buttato per terra, invece è stato perfetto. Così la prima cosa che gli ho detto è stata: «Grazie che non hai fatto niente dopo l’arrivo». La cattiveria delle volte viene fuori e bisogna saperla gestire.
A sentirti parlare, la tua sembra quasi una missione…
Sì, sarò sempre dalla sua parte, lo sapete bene. Io so quanto vale e quindi è logico che stia con lui, poi è normale che vedo gli errori e glieli farò sempre presenti. Non mi tiro indietro, non mi tirerò indietro nel fargli presenti quelli che fa anche nella vita di tutti i giorni. Però Alberto è ancora quell’Alberto che piace a noi, che magari si ricorda episodi vissuti insieme che io magari ho dimenticato. Voglio bene a tutti i miei corridori, però ricreare un altro legame simile non è facile. Questo è bello, è una bella storia e me la tengo stretta.
Bettiol ha finito il Fiandre davvero al lumicino: l’attacco con Teuns è costato caroBettiol ha finito il Fiandre davvero al lumicino: l’attacco con Teuns è costato caro
Che cosa ti aspetti dalla Roubaix?
Innanzitutto, sono sincero, spero che abbia recuperato il Fiandre. Per il resto, è la prima Roubaix, ma lui sa spingere la bicicletta. Se non è una Roubaix bagnata, di quelle che fanno male, lui è nato per spingere. Quindi un po’ mi fa paura, perché non ha esperienza. Ne abbiamo parlato, della Foresta di Arenberg, del Carrefour de l’Arbre. Giovedì ha fatto una ricognizione di quattro ore e poi abbiamo parlato ancora, perciò c’è solo da sperare che abbia recuperato e lo vedremo subito. Io non vedrò la Roubaix, ma tanto mi telefonano e me lo dicono. Se sta coperto e guarda in basso, vuol dire che ha ancora addosso il Fiandre. Mase vediamo un Alberto che fa dentro e fuori con la testolina nelle prime 20 posizioni, potete stare tranquilli che qualcosa di bello lo farà di certo.
La Roubaix ha portato la tensione alle stelle. La foratura di Van Aert frutto di sfortuna? Per Gilbert è stato un errore. E resta il problema calendario
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ROUBAIX (Francia) – Se domenica scorsa al Giro delle Fiandre ci aveva colpito lo sguardo di Elisa Longo Borghini prima della partenza, stamattina a Denain quegli stessi occhi li aveva Lotte Kopecky. La campionessa del mondo è sempre molto concentrata e determinata, ma stavolta faceva veramente paura.
Body iridato strettissimo che esaltava ogni fibra muscolare. E quegli occhiali, appoggiati sul casco mentre gironzolava tra il bus e il podio firma, lasciavano intravedere uno sguardo agghiacciante.
«Questo era uno dei grandi obiettivi della stagione – ci ha detto la sua compagna Barbara Guarischi dopo l’arrivo – la volevamo tantissimo e la volevamo con Lotte. Oggi abbiamo corso da squadra vera. Sempre unite, sempre compatte».
Cielo grigio, vento teso (ma spesso a favore) e ben 25 gradi sulle strade della quarta Roubaix FemmesIl podio finale: prima, Lotte Kopecky, seconda Elisa Balsamo, terza Pfeiffer Giorgi«Un trionfo di squadra», ha detto Guarischi, qui col pugno alzato accanto a KopeckyCielo grigio, vento teso (ma spesso a favore) e 25°C sulle strade della RoubaixIl podio finale: prima, Lotte Kopecky, seconda Elisa Balsamo, terza Pfeiffer Giorgi«Un trionfo di squadra», ha detto Guarischi, qui col pugno alzato accanto a Kopecky
Spettri fiamminghi?
Eppure la corsa non sembrava stesse prendendo una piega troppo positiva per la Sd Worx-Protime. Lorena Wiebes faceva fatica e Kopecky, come avevamo già visto nelle ultime gare fiamminghe, continuava a scattare, ma senza fare la differenza. Per poi spegnersi nel finale.
«No – continua Guarischi – la corsa è andata come volevamo. Riscatto? Direi che è vero che qualcosa non ha funzionato bene nelle ultime gare, ma proprio per questo come ho detto prima ci siamo comportate come una vera squadra. Le gambe non sono sempre le stesse e ogni gara ha una storia a sé. Oggi però non ci sarebbe sfuggita. Speravamo di avere Wiebes davanti nel finale, così da far correre più coperta Lotte, anche perché c’erano ragazze molto veloci, ma col senno del poi è andata bene così».
Una volta entrate nel velodromo, tra le “altre ragazze veloci” c’era anche Elisa Balsamo. La sua presenza in quel drappello ci ha fatto sperare che il suo spunto riportasse la Roubaix Femmes in Italia dopo il successo di Elisa Longo Borghini due anni fa. Ma dal bordo della pista abbiamo rivisto lo sguardo feroce, o meglio l’espressione visto che questa volta gli occhiali erano abbassati, di Kopecky.
In questa foto tutta la potenza di Lotte KopeckyIn questa foto tutta la potenza di Lotte Kopecky
Feeling Koepcky
Per un po’ ci è sembrato uno sprint a due: Elisa contro Lotte. Prima della curva finale Balsamo si volta, come cercando Kopecky. L’iridata è dietro, poi sale sulla curva e si butta giù come un falco. Nel rettilineo finale va il doppio delle altre. Dal vivo, e per di più di profilo, questa differenza di velocità è stata stupefacente.
«Oggi mi sentivo davvero bene – ha detto Kopecky – sentivo un grande feeling con la bici, con il fisico e con la squadra. Sono state tutte molto brave. Elena Cecchini mi ha portato in testa nel primo tratto di pavè. Che dire, sono contenta. Tenevo moltissimo a questa gara».
Kopecky è stata una vera sfinge anche quando a 60 chilometri dall’arrivo ha avuto un guasto meccanico. Ci ha messo un secondo a rientrare e a tornare in testa al gruppo. Di nuovo ha mostrato quella sua determinazione famelica.
Marianne Vos in grande spolvero. In tante foto Balsamo le appare vicinaMarianne Vos in grande spolvero. In tante foto Balsamo le appare vicina
Podio d’onore
Dopo il podio, Elisa Balsamo si ferma a parlare con noi. E’ stanca, un po’ felice, un po’ delusa. Una vincente come lei non può gioire del tutto per un secondo posto. Anche se è un secondo posto di quelli pesanti.
«E’ normale che dopo l’arrivo ci sia un po’ di disappunto – racconta con la sua innata gentilezza l’atleta della Lidl-Trek – un secondo posto alla Roubaix per ora mi fa pensare che devo credere di più in me stessa. Ad inizio gara non avrei mai detto che sarei stata qui a giocarmela. Vorrà dire che ci riproverò l’anno prossimo».
Balsamo passa poi a raccontare della corsa e di quanto sia stato buono il lavoro della sua squadra. Ormai sempre più una squadra faro. Anche senza le due vincitrici della precedenti Roubaix, Longo Borghini e Deignan, hanno preso in mano la gara e non hanno sbagliato di molto a conti fatti.
«Voglio dire un grande grazie a tutte le ragazze e ad Ellen (Van Dijk, ndr) in particolare, che oggi è stata davvero forte. Tutte noi abbiamo fatto un ottimo lavoro. E’ stata una corsa molto dura. Nel finale temevamo che rientrasse Wiebes. Per radio ci hanno avvertito che erano a 18”. A quel punto Ellen si è messa a tirare e vedendo che non guadagnavano più, siamo rimaste abbastanza tranquille».
Il vento ha inciso non poco. E La stessa Guarischi, che ha lavorato le prime due ore, ha detto che alla fine proprio il vento ha reso ancora più stressante la corsa ben prima del pavè.
Dopo il piccolo cedimento nel Carrefour de l’Arbre Balsamo si è incollata a Giorgi, poi terzaDopo il piccolo cedimento nel Carrefour de l’Arbre Balsamo si è incollata a Giorgi, poi terza
Due momenti
Ma torniamo ad Elisa Balsamo. E continuiamo l’analisi della sua Roubaix. Le facciamo notare che ci hanno colpito due momenti in particolare: quando si è staccata nel Carrefour de l’Arbre e quando nel velodromo si è voltata mentre veniva lanciata la volata. Un gesto che abbiamo visto a 4 metri di distanza, non di più. E che sicuramente aveva un significato. Che cercasse proprio Kopecky?
«No – spiega Elisa – in realtà volevo prendere la ruota di Marianne Vos perché pensavo fosse la più veloce. Ma poi si sa: nelle volate dopo una gara così lunga e tosta, non conta tanto chi è più veloce ma chi è più fresco».
Stremata, Balsamo aspetta la compagna Ellen Van Dijk, dopo il traguardoStremata, Balsamo aspetta la compagna Ellen Van Dijk, dopo il traguardo
«Per quanto riguarda il Carrefour de l’Arbre invece, quando mi sono staccata, ero semplicemente un pochino oltre il limite. Dovevo per forza mollare un po’. Mi sono gestita». Ecco dunque spiegata anche la sua volata. Una Balsamo con le gambe giuste, tanto più in un velodromo, lei che è anche pistard, non fa uno sprint simile. Era quasi seduta.
Dopo una vistosa scodata in uscita di curva sempre su quel settore di pavè, pensavamo avesse un guasto meccanico, una foratura. Invece è stata questione di gambe. Però anche in quel frangente Elisa si è mostrata campionessa. Non è andata nel panico. Si è voltata, ha visto Giorgi risalire forte e si è fatta bastare quella manciata di secondi per “recuperare”.
La monocorona da 50 denti di Kopecky…E quella da 52 di BalsamoLa monocorona da 50 denti di Kopecky…E quella da 52 di Balsamo
50 vs 52
Le abbiamo anche chiesto se la sua scelta di usare la monocorona da 52 denti non sia stata troppo azzardata, rispetto alla 50, sempre mono, di Kopecky. Come a dire che quei due denti in più le avessero un po’ “cucinato” le gambe.
«No, no – spiega Elisa – col senno del poi credo fosse la scelta giusta, come per tutti gli altri materiali. La squadra ha fatto un grande lavoro in questi giorni anche in questo senso. Sono assolutamente contenta di questa scelta».
E a proposito di materiali, va segnalato che proprio Lidl-Trek e Sd-Worx sono state le uniche squadre a portare al traguardo sei atlete su sette, piazzandone due nelle prime dieci. Come tra gli uomini, più si alza il livello, più certe differenze sono marcate.
Balsamo, Kool e Vos. Terzo sprint, solito podio degli altri. L'iridata in carica fa il bis al Giro Donne e intanto dietro c'è chi vuole inserirsi fra le tre
Tra le juniores Chantal Pegolo sta impressionando per la sua costanza di risultati su strada come su pista. Ora è ai mondiali, ma hi già un futuro da pro'
Nella vita di chiunque e di un atleta in particolare, saper cogliere le occasioni è quello che fa la vera differenza. Quando si è preso coscienza del fatto che al Fiandre non ci sarebbe stato il vincitore uscente Pogacar e che anche Van Aert e Stuyven sarebbero mancati per la caduta di Waregem, si è aperta la caccia al secondo posto. Quanta gente avrebbe potuto lottare per fregiarsi della corona di viceré? Tanti, da Pedersen a Matthews, passando per Bettiol e Wellens: alle spalle di Van der Poel c’erano atleti di indubbio valore. L’unico che però sia riuscito a giocare alla perfezione le proprie carte è stato Luca Mozzato da Arzignano. Uno che non ha mai fatto proclami, con un numero onesto di followers e la carriera in costante ascesa. Sin da quando nel 2020, volendo passare professionista, si rassegnò a stare fuori dal WorldTour mentre i suoi compari Battistella, Sobrero e Konychev vennero destinati ai piani alti.
Credete che se la sia presa? Niente affatto. E ancora oggi, quando pensa a quella decisione, benedice la concretezza che la ispirò. Signore e signori, lo conoscete già perché ve lo abbiamo raccontato in mille e più occasioni, ma questo è Luca Mozzato dopo il secondo posto del Fiandre e alla vigilia della Roubaix. Uno che non ha paura dei giganti del Nord, perché ha imparato a rispettarli e a studiare se stesso.
La volata di Mozzato contro Matthews e Politt è stata uno scontro di energie residue (foto De Ronde)La volata di Mozzato contro Matthews e Politt è stata uno scontro di energie residue (foto De Ronde)
Mercoledì hai corso anche la Scheldeprijs, non avresti fatto meglio a riposarti un po’?
Forse col senno di poi avrei fatto meglio a tirare un po’ il fiato. Però non doveva essere una corsa troppo impegnativa, alla squadra faceva comodo e così sono andato.
Se da bambino ti avessero detto che saresti arrivato secondo al Fiandre?
Forse non mi sarebbe stato bene, avrei detto che volevo vincerlo. Però crescendo si cambia e se me lo avessero detto un mese fa, sarei stato incredulo. Adesso che è successo, sono super contento. Ho ricevuto un sacco di messaggi come al Tour di due anni fa ed è una cosa a cui non sono abituato. Per il corridore che sono sempre stato, non mi sono mai ritrovato al centro dell’attenzione. Però capisco che vedermi nel vivo della corsa cambi la percezione che la gente ha di me. Fa piacere, ma non credo che mi abituerò mai a questo tipo di emozioni, non le darò mai per scontate.
Secondo al Giro delle Fiandre.
Il risultato è stato sicuramente oltre ogni più rosea aspettativa. Oggettivamente la mattina l’obiettivo era quello di arrivare nel primo gruppo che si potesse chiamare tale. Quindi in genere, tolti quelli che si giocano la corsa, essere nel gruppo fra la dodicesima e la ventesima posizione, a seconda di quanto è grande il gruppo e di come è andata la gara. Quello poteva essere un obiettivo nell’eventualità che la situazione fosse favorevole. Per cui nella migliore delle ipotesi sarei potuto entrare nei dieci, diciamo un ottavo posto. Andare a podio neanche lo avrei potuto immaginare.
Sfinito dopo l’arrivo, al Fiandre Mozzato ha visto l’occasione e non l’ha sprecataSfinito dopo l’arrivo, al Fiandre Mozzato ha visto l’occasione e non l’ha sprecata
Come è stato salire per l’ultima volta sul Qwaremont: a cosa hai pensato?
Ho capito veramente che il podio fosse ancora in gioco negli ultimi due chilometri. Alla radio mi avevano detto che davanti non erano in tanti, però comunque la sensazione era che Bettiol e Teuns fossero un po’ troppo lontani. Noi inseguitori siamo stati anche abbastanza fortunati, perché dal Paterberg fino a Oudenaarde non c’era tanto vento e quel poco che c’era, era in faccia. Questo ci ha dato una mano. Il vento ha giocato a nostro favore e noi siamo stati bravi a collaborare. L’occasione di andare a podio era ghiotta, quindi abbiamo girato tutti. Non si poteva pretendere che i quattro della UAE Emirates si mettessero a fare il trenino come se fossimo a metà corsa. L’ultima cosa che ha girato veramente a nostro favore è stato il fatto che non ci siamo mai guardati. Ai meno due quelli in superiorità numerica hanno cominciato ad attaccarci e noi, non fermandoci, siamo riusciti a prendere i fuggitivi proprio sulla linea.
Quando li hai visti che cosa ti è scattato nella testa?
Mentre andavamo verso Oudenaarde, contavo i corridori per vedere quanti dovevo metterne dietro per entrare nei dieci. Ero consapevole di essere abbastanza veloce, però il picco di velocità dopo sei ore e mezza di corsa è una cosa abbastanza relativa. E’ stata più che altro una volata di energie rimaste. Io ho provato a fare il massimo che potevo e per fortuna sono stato più veloce.
Hai avuto un’occasione e l’hai colta.
Se ci fossero stati Van Aert e anche Stuyven, sarebbe venuta fuori una corsa completamente diversa e probabilmente staremmo parlando dell’esatto contrario. Ma come dicevate, il ciclismo è anche saper cogliere le occasioni. A me se ne è presentata una bella ghiotta e penso di aver fatto il massimo. Oggettivamente Van der Poel era di un altro livello e avendo questa consapevolezza, ho raccolto il massimo possibile. Partiamo dal presupposto che per me è andato tutto dritto, perché se non fosse stato così sarebbe stato difficile arrivare secondo. La situazione di corsa ha girato bene e io ho avuto una delle migliori giornate della carriera al momento giusto, che mi ha permesso di fare il podio in una delle classiche più grandi.
Mozzato è il viceré del Fiandre, battuto da Van der Poel. Gli altri tutti dietroMozzato è il viceré del Fiandre, battuto da Van der Poel. Gli altri tutti dietro
Sei sempre stato uno coi piedi per terra, sin da quando sei passato professionista…
Penso che ognuno debba fare il suo percorso. Io credo di aver fatto tutte le scelte corrette, partendo comunque dal presupposto che quando sono passato non avevo la possibilità di andare in una squadra WorldTour. Però, come ci siamo detti spesso, non sarei stato nemmeno pronto, quindi è stata quasi una fortuna che sia andato in una squadra più piccola. Ho sempre potuto giocarmi le mie possibilità in corse di seconda e terza fascia e così sono riuscito a non perdere l’attitudine di correre davanti. Magari se fossi andato in una squadra con grandi leader, mi avrebbero chiesto di mettermi a disposizione e avrei perso la mentalità vincente. E questo a lungo andare paga.
Domani la Parigi-Roubaix, con quale obiettivo?
L’obiettivo è fare una bella corsa. Ho cercato di recuperare il meglio possibile e spero di avere una giornata come domenica scorsa. Ovviamente partirò con la stessa idea di rimanere nel vivo il più possibile e giocarmi il piazzamento. Come ambizione concreta, ci può essere una top 10, però comunque avrò bisogno di situazioni favorevoli.
Sei un corridore di 68 chili, come mai ti trovi così bene sulle pietre?
Secondo me è tanto un fatto di attitudine. Prima di questa campagna del Nord, ero convinto di non essere abbastanza forte per il Fiandre e di essere troppo leggero per la Roubaix. Probabilmente fra le due, quella più difficile per me era proprio il Fiandre perché nel finale viene veramente duro. Ma visto come è andata, il sogno è quello di arrivare davanti anche domani e poi si vedrà.
Quest’anno Mozzato ha già vinto la Bredene Koksijde ClassicQuest’anno Mozzato ha già vinto la Bredene Koksijde Classic
La squadra ha celebrato degnamente il tuo piazzamento?
Sicuramente anche loro erano contenti. Perché per me era addirittura il primo podio WorldTour e centrarlo in una corsa del genere penso che sia stato un punto di svolta. Però è stato anche il primo podio in una Monumento per la Arkea-B&B Hotels, quindi erano tutti contenti, a partire dai direttori e dallo staff. C’era anche il manager, quindi sicuramente è stato un bel momento da condividere tutti assieme. Poi, se vogliamo parlare di festa, non abbiamo potuto esagerare perché comunque avremmo dovuto correre ancora mercoledì e in vista della Roubaix. Quindi un po’ ci siamo tenuti, però un bell’hamburger con le patatine non ce lo siamo fatti mancare.
Quindi adesso ti toccherà chiedere l’aumento di stipendio?
Bisognerà trattare (ride, ndr). Ho ancora un anno di contratto, ma vediamo se il mio procuratore Manuel Quinziato farà bene il suo lavoro.
Se la ride. Il secondo posto del Fiandre gli ha dato sicuramente superiore consapevolezza nei suoi mezzi. Per quella che è stata finora la carriera di Luca Mozzato, siamo certi che non smetterà di costruire l’atleta che ha sempre pensato di poter diventare. L’ultimo podio italiano in una Monumento era stato al Lombardia 2023, con Bagioli secondo dietro Pogacar. La rincorsa continua.
Cosa accomuna Sagan e Van der Poel? Lo abbiamo chiesto a Bartoli. Hanno la stessa potenza devastante. Al momento Mathieu ha più fame, ma Peter può tornare
COMPIEGNE (Francia) – Neanche Oier Lazkano conosce i limiti di Oier Lazkano. E forse neanche li vuol sapere… per ora. Questa è almeno la sensazione che abbiamo avuto parlando con lui. Il corridore spagnolo è una delle rivelazioni di questo inizio di stagione e la cosa stupisce soprattutto perché lo vediamo molto attivo nelle classiche, specie quelle del Nord.
Non capita infatti spesso di vedere uno spagnolo andare forte lassù. Quando accadde Juan Antonio Flecha fu nominato “Van der Flecha”, quasi una rarità insomma.
Ierinell’Arenberg lo abbiamo visto determinato e concentrato durante la ricognizione per la Parigi-Roubaix, altra corsa che potrebbe vederlo protagonista. E come detto lo è stato parecchio da queste parti, anche se spesso ha commesso degli errori tattici.
Il basco Oier Lazkano (classe 1999) è pro’ dal 2020, dalla Caja-Rural nel 2022 è passato alla Movistar. E’ campione nazionale in caricaIl basco Oier Lazkano (classe 1999) è pro’ dal 2020, dalla Caja-Rural nel 2022 è passato alla Movistar. E’ campione nazionale in carica
Watt e testa
Cerchiamo dunque di conoscere meglio il campione spagnolo in carica. Fisico possente (189 centimetri per 74 chili), Lazkano è approdato alla Movistar tre stagioni fa. Fu il patron Unzue a volerlo per cominciare quel cambio di rotta della sua squadra, non più votata solo e del tutto alle grandi corse a tappe, ma anche ad altre gare.
E infatti in questi tre anni ha messo nel sacco sei successi con la Movistar, ma soprattutto appare in costante crescita. Basta vedere i punti UCI, in questo 2024 è colui che ne ha portati di più in squadra.
Ragazzo di poche parole, Oier va dritto al sodo quando gli diciamo che ormai lotta costantemente con i grandi delle classiche: «Sì, sono consapevole che sto andando forte, ma non sono del tutto sorpreso», per dire come si presenta.
In apparenza Lazkano sembra un tipo sulle sue. Chi lo conosce invece parla di un ragazzo molto sensibile e soprattutto di un vero studioso. Legge i libri di storia e politica e assicura che dopo il ciclismo vorrà continuare a studiare.
Contro i grandi senza paura. Per Ballan, Lazkano ne ha anche troppo poca a volte!Contro i grandi senza paura. Per Ballan, Lazkano ne ha anche troppo poca a volte!
Quali limiti?
Questo è uno degli aspetti più interessanti, capire davvero che corridore possa essere Lazkano e dove possa arrivare. Senza dubbio è un corridore potente, anche perché per andare forte da queste parti la potenza non ti deve mancare, ma è anche un ottimo cronoman visto che è stato secondo al campionato nazionale e sempre contro il tempo vanta delle ottime prestazioni.
«Sono da scoprire – ha detto Lazkano – e dovrò capirlo di anno in anno. Però non mi piace scegliere di essere un solo tipo di corridore: o questo o quello».
«Al Nord è molto importante avere esperienza. Bisogna conoscere proprio le strade. Fa molta differenza. Se i grandi sono ormai vicini? Van der Poel è il più forte ma non è impossibile combattere con lui. Nulla è impossibile».
Tra i migliori risultati stagionali dello spagnolo figurano la vittoria alla Clasica Jaen (in foto) e il 3° posto alla Kuurne-Bruxelles-KuurneTra i migliori risultati stagionali dello spagnolo figurano la vittoria alla Clasica Jaen (in foto) e il 3° posto alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne
Ed è già mercato
Domenica scorsa, prima del Fiandre ci aveva detto che voleva fare il massimo, di correre davanti e magari di stare nelle posizioni che contano. Voleva stare nel vivo della corsa fino all’ultimo Kwaremont. Se ci fosse riuscito sarebbe stato contento. Ha mancato di poco l’obiettivo, ma nel vivo della corsa c’è stato.
Il cammino di Oier ricalca le tracce del suo ex compagno, Matteo Jorgenson: giovane anche lui, lo scorso anno si mise in mostra e poi cambiò squadra. Quest’anno è alla Visma-Lease a Bike.
Anche su Lazkano girano già delle voci di mercato. Sembra abbia posto gli occhi su di lui la Bora-Hansgrohe e forse anche la Visma stessa. Probabilmente allo spagnolo non dispiacerebbe cambiare aria, stare con squadre che hanno una mentalità più da Nord.
In un’intervista ad un media spagnolo Lazkano ha insistito molto sul quel discorso della conoscenza di queste gare del Nord e dei loro percorsi, ebbene militare in un team che vi è più vicino non solo mentalmente ma anche geograficamente potrebbe dire molto per lui. E per la ricerca di quei limiti.
Ormai non lo si può più considerare una novità. Se la sua vittoria alla Cadel Evans Great Ocean Race aveva colto tutti di sorpresa, Laurence Pithie ha dimostrato nel prosieguo di questo avvio di 2024 che non era stata un caso. Al suo secondo anno nel circuito maggiore, sempre in forza alla Groupama-FDJ che pian piano gli ha fatto scalare anche le gerarchie interne, il ventunenne neozelandese è uno dei corridori più promettenti del panorama internazionale, soprattutto perché ha dalla sua la sfrontatezza della sua giovane età che lo porta a provare a emergere sempre, tipica espressione della nuova generazione ciclistica nata sull’onda delle imprese di Pogacar.
Pithie non si è minimamente spaventato per i grandi impegni che lo attendevano e infatti alla Milano-Sanremo è rimasto nel vivo della corsa fin quasi alla fine, lo stesso dicasi per le prime classiche del Nord, anche se il Fiandre alla fine lo ha relegato in un’anonima 39esima piazza. Ma il calendario gli dà subito l’occasione per rifarsi, nel tempio di Roubaix.
Pithie fra Pedersen e Van der Poel. La Gand-Wevelgem lo ha visto protagonista con una lunga fugaPithie fra Pedersen e Van der Poel. La Gand-Wevelgem lo ha visto protagonista con una lunga fuga
Che cosa ti ha spinto a fare ciclismo su strada? In Nuova Zelanda i successi maggiori sono arrivati dalla pista…
Inizialmente ho corso anche su pista, mi piaceva molto. Ho avuto dei buoni risultati e proprio grazie ai miei riscontri sono entrato nel Willebrord Wil Vooruit Juniors, un importante team olandese. La mia ambizione era correre su strada, la pista è stata una buona ispirazione. D’altronde non credo sia possibile avere una carriera lunga e buona su entrambi i fronti: se vuoi emergere in Europa è la strada che ti dà un futuro. Se correvo su pista sarei rimasto in Nuova Zelanda. Per me il ciclismo su strada e il Tour de France sono l’espressione massima di quello che faccio. Ciò che mi ha davvero ispirato per essere un professionista. La pista è stata una bella parentesi.
Come sono stati i primi mesi alla Groupama, è stato difficile per te che venivi da un altro mondo?
Sì, non posso negarlo. Venendo dall’altra parte del mondo era super, ma anche complicato, per me e Reuben (Thompson, ndr). Confrontarsi non solo con le gare, ma con la cultura e l’ambiente, una lingua diversa, soprattutto per me che ho avuto alcune cadute all’inizio del 2023 che hanno reso tutto più difficile. Ma il team è stato di grande supporto, mi aiuta a integrarmi. La cultura francese e il vivere in Europa, lontano da casa, sono cose alle quali mi sono andato abituando. Ricordo che il primo mese mi sentivo sotto un rullo compressore, con un sacco di alti e bassi nell’umore, ma è parte del passato.
Alla Cadel Evans Great Ocean Race il suo primo successo di peso, in una volata ristrettaAlla Cadel Evans Great Ocean Race il suo primo successo di peso, in una volata ristretta
Tu sei un corridore molto veloce, ma ti abbiamo visto spesso cercare la fuga. Hai fiducia nelle tue doti di sprinter?
Sì, certamente. So che ho buone doti per il finale, ma non mi piace aspettare, preferisco costruire la corsa quando posso, stare davanti anche ben prima delle fasi finali. Io dico che se sei sempre davanti, di solito corri per la vittoria, mentre se aspetti uno sprint lasciando fare tutto agli altri, potresti anche veder sfumare tutto e lasciarti sfuggire le occasioni. Poi capita che vieni ripreso, come alla Cadel Evans Ocean Race, ma eravamo in pochi e potevo ancora correre per la vittoria. Magari se non ci avessi provato…
Avevi già corso nelle classiche belghe, cominci ad avere esperienza per ottenere risultati migliori?
Sono strade e percorsi dove per emergere bisogna imparare sempre di più. E’ vero che per ogni gara percorriamo molte delle stesse strade, ma ogni volta è diverso, la corsa è diversa. Alcune corse per me sono la prima volta, soprattutto le grandi corse. Quindi sto imparando ad ogni gara e sto migliorando.
Pithie con Cadel Evans, fondatore dell’omonima corsa. L’estate australiana gli ha portato fortunaPithie con Cadel Evans, fondatore dell’omonima corsa. L’estate australiana gli ha portato fortuna
Alla Gand-Wevelgem pensavi che la fuga potesse arrivare?
Sì, rispecchia quel che dicevo prima. Io dovevo provarci, dovevo essere lì se volevo avere qualche speranza. Quando Van Der Poel e Pedersen hanno forzato, io c’ero, potevo lottare con loro, ma ancora non ho le gambe per farlo, l’esperienza giusta. Avrei potuto aspettare dietro, ma che cosa ne avrei ricavato? Ho cercato di usare i miei compagni di squadra per costruire un risultato, quando lo faranno loro io sarò al loro servizio. Nessuno può negare però che la possibilità di vincere la gara l’ho avuta.
Sei rimasto sorpreso dai tuoi risultati in Australia?
Un po’, è stata la ricompensa per il mio duro, duro lavoro nella nostra estate in Nuova Zelanda. Sono andato in Australia, affrontando subito il massimo livello, ho visto che andavo forte e volevo concretizzare. Sapevo di aver lavorato sodo.
Il neozelandese punta con decisione alla selezione olimpica. A Parigi non solo per partecipare…Il neozelandese punta con decisione alla selezione olimpica. A Parigi non solo per partecipare…
Visti i risultati, speri di essere convocato per i Giochi Olimpici e che cosa pensi del percorso di Parigi, si adatta a te?
Lo ammetto, ci penso. Credo di aver dimostrato negli ultimi mesi che sarò competitivo e lotterò per un grande risultato. Ho studiato il percorso, ci sono molti punti dove attaccare, dove posso davvero giocarmi le mie carte. Quindi sì, spero di andarci ed è sempre stato un sogno gareggiare o fare le Olimpiadi, anche da prima di essere un ciclista per competere in qualsiasi sport.
In futuro pensi potrai essere un corridore anche per la classifica delle corse a tappe?
No, non per la classifica generale di sicuro. Mi piacerebbe fare le grandi corse a tappe e correre per le vittorie di tappa e anche per alcune maglie, ma non sarò mai uomo da classifica, non è nelle mie corde.
Nelle corse a tappe può puntare a vittorie parziali. Qui leader della classifica a punti alla Parigi-NizzaNelle corse a tappe può puntare a vittorie parziali. Qui leader della classifica a punti alla Parigi-Nizza
C’è un corridore al quale ti ispiri?
Non particolarmente. Posso dire che ci sono molti ragazzi che ammiro per come corrono, per le abilità che hanno, ma non direi che ci sia qualcuno che mi ha portato a essere dove sono.
Qual è la gara che più di tutte vorresti vincere?
Questa è facile: i campionati mondiali… Poter indossare la maglia arcobaleno per un anno penso che sia l’apice del ciclismo, qualcosa che resta per sempre.
«Penso che il momento in cui ho risposto alla Longo – ride Paternoster – sia stato quello in cui mi ha finito, il colpo di grazia. Diciamo che negli ultimi chilometri del Fiandre quello che mi spaventava in realtà non era tanto il Paterberg, ma il Qwaremont. Il Paterberg è più corto e più esplosivo, anche se alla fine di esplosività non ne era rimasta molta. Diciamo che il Qwaremont e i suoi due chilometri mi tenevano in apprensione. Di solito tutte le azioni importanti delle scalatrici iniziano lì, per cui una volta che l’ho passato, sono andata al muro successivo con fiducia e invece ho scoperto di non averne più. Devo dire che confrontandomi con i direttori sportivi, ad esempio con Pinotti, sicuramente quel tipo di resistenza mi verrà con le gare e con l’esperienza. A me mancano un po’ di corse nelle gambe rispetto a tutti quelli davanti, quindi penso che col tempo riuscirò a colmare questo gap».
Martedì era in pista, mentre giovedì Letizia è partita nuovamente per il Nord: destinazione Roubaix. La trentina, che tanti per anni hanno accusato di pensare soltanto all’esteriorità, ha cambiato decisamente registro. Chi l’ha vista combattere a Waregem e poi al Fiandre, ha fatto fatica a riconoscerla. Un terzo e un nono posto. Una tigre, con la voglia di riprendersi qualcosa che sentiva di aver perso: una ragazza di 24 anni che sta crescendo e ha la carriera tutta davanti. Che stesse cambiando lo avevamo intuito incontrandola a settembre all’Italian Bike Festival, ma l’inverno ha portato davvero grandi cambiamenti.
Dopo l’arrivo del Fiandre, Letizia Paternoster era sfinita e motivataDopo l’arrivo del Fiandre, Letizia Paternoster era sfinita e motivata
In queste corse sei sembrata molto cattiva, non ti si vedeva così da un pezzetto…
Sono molto cattiva? No dai, non sono mai cattiva. Sicuramente ho tanta fame di risultato, tanta grinta, tanta voglia di arrivare e sicuramente si vede.
Questo amore per le corse del Nord c’è sempre stato o lo stai scoprendo ora?
In realtà diciamo che sono alle prime esperienze in queste gare. La prima volta che le ho fatte è stata lo scorso anno, la prima volta nella mia vita al Fiandre e alla Roubaix. La Attraverso le Fiandre invece l’ho scoperta quest’anno. Devo dire che mi stanno piacendo assai. E anche se non le abbiamo fatte col sole, ho scoperto che mi piacciono queste condizioni estreme, questa fatica. E’ tutto un insieme di cose che le rendono belle, perché amo soffrire, amo la fatica. Quindi riuscire a fare bene con queste condizioni mi piace davvero tanto. E arrivare alla fine e riuscire a stare bene fa sì che mi senta un’atleta tosta. E mi piace dimostrarlo.
Forse dimostrarlo è il verbo più giusto. Raramente avevi mostrato questa convinzione: vuoi far vedere che nei sei capace?
In realtà non è voglia di farlo vedere, quanto una cosa che mi viene da dentro. Sinceramente lo faccio solo ed esclusivamente per me stessa, penso di volerlo dimostrare innanzitutto a Letizia. Essere là, sentirmi bene, riuscire ad andare forte. E più riesco ad andare forte, più mi esalto e vado ancora meglio. E’ un nuovo circolo in cui mi trovo benissimo.
Il podio di Waregem, con Vos e Van Anrooij, è il primo degli ultimi due anni: un risultato che valeIl podio di Waregem, con Vos e Van Anrooij, è il primo degli ultimi due anni: un risultato che vale
Meglio il terzo posto a Waregem o il nono del Fiandre?
Entrambi, ognuno ha il suo sapore. Sicuramente tornare sul podio è stato veramente emozionante, soprattutto esserci ritornata con un’azione di forza. Il Fiandre però è il Fiandre, è unico. Essere lì davanti fino all’ultimo muro a combattere con le grandi del ciclismo è stato veramente qualcosa di unico. Mi ha dato sicuramente fiducia ed è il punto di partenza che mi serviva e mi ha dato tantissime conferme. Una grande motivazione che mi fa ben sperare per il futuro. Sicuramente d’ora in avanti ci credo un po’ di più.
La sensazione è che il cambio di squadra sia stato un passaggio decisivo.
Sì, alla Jayco-AlUla mi sento veramente bene, mi vogliono veramente bene. Credono tantissimo in me, ci hanno creduto fin dal primo momento che mi hanno presa, accolta, accudita e aiutata a crescere. Avevamo un grande obiettivo, hanno sempre creduto nei miei numeri e sapevano che con pazienza e lavoro sarebbero riusciti a tirarmi fuori e così è stato. Hanno creato intorno un clima di lavoro veramente sereno, il cui merito è soprattutto di Brent Copeland. Penso che questo sia stato il punto di svolta.
Secondo te accade tutto grazie alla squadra oppure grazie a Letizia che sta diventando grande?
Penso che sia per entrambe le cose. Sicuramente in primis c’è una Letizia che è cresciuta, che è maturata. Che con le esperienze negative del passato è riuscita a maturare e imparare tanto. Ora ho una consapevolezza diversa. D’altra parte c’è la squadra vicina che mi ha dato fiducia. Mi stanno insegnando tantissimo e io ho bisogno di imparare tanto.
La nuova Paternoster sta sommando esperienze importanti correndo fra le bigLa nuova Paternoster sta sommando esperienze importanti correndo fra le big
Che cosa?
Una delle cose di cui mi sono veramente resa conto è che stavo in gara, lì davanti, e pensavo: e adesso che faccio? Allora ho iniziato a guardare la Longo Borghini oppure Lotte Kopecky. Quando cambiavano rapporto, cambiavo anch’io. Guardavo come si muovevano. Quando prendevano i ciucciotti, dicevo: «Cavolo, devo mangiare». Tutte cose che sto iniziando ad imparare adesso che riesco a pedalare vicino a queste grandi campionesse. Sta andando tutto bene, sicuramente la vita è una ruota che gira e adesso è tempo che giri anche dalla mia parte.
Com’è stato passare dai sassi e dalla pioggia del Fiandre al parquet di Montichiari?
Bellissimo (ride, ndr), una gioia infinita, un sollievo. Sono tornata perché in vista della Coppa del mondo di Milton era giusto fare un allenamento in pista, riprendere un po’ di brillantezza. Ho visto Marco Villa, prima abbiamo girato insieme alle ragazze del quartetto e poi ho fatto un po’ di lavori con lui per richiamare la brillantezza e l’esplosività con la bici da corsa a punti.
Cosa farai alla Roubaix?
Non ci sono salite, ma ci sono pietre. La affronto con tantissimo entusiasmo, sapendo che sto bene. Voglio riuscire a capirla, pur sapendo che è una corsa in cui contano tanto anche le condizioni esterne. Voglio arrivare lì con la maggiore positività possibile, con il grande sorriso e con grinta e voglia di stupire. Dentro di me so che sto bene, so che Roubaix è un posto che mi ha sempre portato bene. Lì ho vinto il mio primo mondiale in pista, proprio davanti a Lotte Kopecky. Chissà, magari è di buon auspicio. Voglio lottare fino alla fine, la fatica non mi fa paura e finché ne ho, lotterò per sognare in grande.
Agli europei per Paternoster è arrivato il titolo dell’inseguimento a squadreAgli europei per Paternoster è arrivato il titolo dell’inseguimento a squadre
Quasi non ti si riconosce: Letizia è sempre stata così guerriera e non lo avevamo capito?
Questa è la vera Letizia. C’è sempre stata, ma forse in quel periodo un po’ nero si era persa. Ora ho ritrovato quella che ero. Da junior sono sempre stata così, i primi anni da professionista feci terza alla Gand-Wevelgem. Ero questa, lo sono tuttora, mi sono ritrovata.
Le Olimpiadi di Parigi si svolgeranno ad agosto, restano il pensiero centrale?
Le Olimpiadi sono il grande e unico obiettivo dell’anno. Le sogno da tantissimo, chiudo gli occhi e ci penso. Ho fatto una grande preparazione per i campionati europei che sono andati bene, sono andata molto bene nel quartetto e da lì ho iniziato a fare veramente dei buoni numeri. Ora è il momento di correre su strada e stanno venendo fuori dei bei risultati, ma diciamo che tutta la preparazione è nata per la pista. Voglio ottenere i migliori risultati perché ho tanta fame di vittoria.
A Tokyo non si è vista una grande Paternoster, quanto sei diversa da allora?
Tanto. Sono una Letizia serena e con tanta voglia di riscatto. Se penso a Tokyo, penso soprattutto alla tanta voglia di riprendermi quello che ho lasciato per strada.