Con Marcellusi a Marsia, primo arrivo in salita del Giro

15.04.2025
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TAGLIACOZZO – Un cartello con su scritto 20 per cento incuteva un certo timore. Ma Martin Marcellusi, pur con un bel po’ di watt impressi sui pedali, non si è lasciato intimidire. Forse anche perché, per onestà, quel 20 per cento (che si nota nella foto di apertura) era un po’ gonfiato. Ma la durezza della salita c’era tutta. Quale salita? Quella di Marsia, Tagliacozzo, sede di arrivo della settima tappa del Giro d’Italia, il prossimo 16 maggio.

Con l’atleta della VF Group-Bardiani-Faizanè, ci siamo dati appuntamento in Abruzzo per provare il finale della Castel di Sangro-Tagliacozzo. Un vero e proprio tappone appenninico: 168 chilometri e oltre 3.500 metri di dislivello.

Sopralluogo con Marcellusi

Il corridore laziale si è scaldato poco dopo il finale della salita precedente, cioè la lunga discesa che arrivava da Ovindoli, ed è partito per la scalata finale. Subito aveva un buon passo. Nonostante parlasse tranquillamente nel tratto in pianura, filava via sul filo dei 40 all’ora e in salita, pur viaggiando in Z2, era al di sopra dei 20 orari. Mentre saliva, si apriva il panorama e spiccavano le vette ancora imbiancate del gruppo del Sirente Velino.

Tutto intorno regnava il silenzio, rotto solo dalla ruspa dei lavori in corso. Quando siamo riscesi a valle, un operatore ci ha detto che stavano giusto iniziando i lavori per il Giro d’Italia. Si stima che, tra pulizia delle banchine e tratti di asfalto nuovo (di cui possiamo garantirvi c’è assoluto bisogno), la Provincia de L’Aquila abbia stanziato un milione di euro. «Sono praticamente 30 anni che questa strada non veniva toccata», ci ha detto l’operaio.

E ancora: «Ma quel ragazzo farà il Giro vero? Quella maglia l’ho già vista in tv!». Una curiosità genuina che ci ha fatto un enorme piacere.

Alla scoperta di Marsia

La Tagliacozzo-Marsia si può dividere in due grandi tronconi: quello che va dall’uscita della cittadina al Valico di Monte Bove e quello che prosegue da qui fino al traguardo, posto ai 1.425 metri di quota.

I numeri raccontano di una salita non impossibile: 12,2 chilometri al 5,7 per cento. I primi 9,5 sono al 4,6 per cento, i restanti 2,7 chilometri superano il 10 per cento, con una punta del 17 per cento.

«Per ora va bene – ci ha detto Marcellusi un paio di chilometri dopo aver iniziato la salita – ma quello che mi preoccupa è che vedo ancora tanto dislivello da fare e per ora questa strada sale poco. Quel “rosso” che mi segna il Bryton mi spaventa!».

Il riferimento era chiaramente al segmento più duro. E noi per rincarare la dose: «Martin, pensa quando Roglic o Ayuso metteranno la squadra a tirare!».

La prima parte sale veloce. Tutta tra il 4 e il 6 per cento. Non conta solo la pendenza ma anche la planimetria: è tutto un susseguirsi di curve. Non ci sono 10 metri di rettilineo. Incredibile. I primi 4 chilometri sono esposti a Ovest-Nord Ovest: se ci sarà vento contrario, potrebbe pesare.

Arrivati nei pressi di Roccacerro (7 chilometri di salita), la pendenza cala leggermente. Un ampio tornante a destra, il primo sin qui, riporta poi l’inclinazione attorno al 6 per cento. Da qui in avanti le curve diminuiscono e la strada tende a farsi più larga e lineare.

La rampa finale

A un certo punto, quando si vede troneggiare un immenso hotel in mezzo al nulla, sta per arrivare il tratto duro. Questo hotel potrebbe essere un riferimento per i “girini”. Già da lontano, sulla sinistra, si nota una rampa dritta, mentre la strada principale piega leggermente a destra verso il Valico di Monte Bove.

Alla biforcazione si tiene la sinistra. Da qui, 2,7 chilometri alla cima, cambia tutto. La pendenza aumenta di colpo: si passa dal 6 al 12 per cento in un attimo. E’ tutto rettilineo o con curve larghissime. Si sale a gradoni. Ogni tanto si tocca il 16-17 per cento, ma mai si scende sotto al 10. Anche Marcellusi, adesso, danza sui pedali.

Questo lungo rettilineo non dà respiro. Guai ad andare in acido lattico. Il prezzo potrebbe essere salatissimo. Il rettilineo si interrompe a circa un chilometro dall’arrivo con una doppia “S” dove si addolcisce leggermente la pendenza, ma si resta sempre sul 10 per cento. Poi si passa tra due sponde rialzate, tra faggi fittissimi che quando siamo andati noi iniziavano a germogliare. A quel punto la pendenza crolla e in un centinaio di metri si arriva al traguardo.

Il segmento duro. Marcellusi fa vedere come il suo computerino indichi tratti in rosso: segnale di pendenza a doppia cifra
Il segmento duro. Marcellusi fa vedere come il suo computerino indichi tratti in rosso: segnale di pendenza a doppia cifra

Parola a Marcellusi

Ma se questa è la descrizione della scalata ora urgono le sensazioni del corridore. Parola dunque a Marcellusi. Mentre si rivestiva in fretta, vista l’aria frizzantina di questo pianoro abruzzese, il corridore laziale ci ha spiegato bene cosa ha visto, sentito e capito.

Martin, questa salita viene al termine di una tappa dura. Quanto contano le posizioni nella prima parte, visto che è anche tortuosa?

Esatto, viene dopo una tappa dura e questo aumenta la sua difficoltà. Se c’è qualche uomo di classifica che ancora non è in condizione e sente di non avere la gamba dei migliori, le posizioni contano tantissimo. Essendo molto veloce, se la prendi già dietro poi è tosta risalire o peggio ancora chiudere se si dovesse creare un buco. La prima parte è davvero rapida, quindi se una squadra decide di farla a buon ritmo rimontare è difficile. Anche se non ci si stacca, si rischia di arrivare dietro all’imbocco degli ultimi 3 chilometri, che sono quelli che faranno male a tutti. Se al bivio sei dietro, potresti non riuscire più a colmare il distacco dai primi.

Cosa ti è parso della scalata a Marsia?

Le pendenze nella prima parte sono intorno al 5-6 per cento. I più forti saliranno sicuramente a 30 all’ora e più. Tornando alle posizioni, quindi, conteranno. Io oggi in alcuni tratti sono venuto su a 25-26 all’ora stando in Z2 alta, anche Z3. Ho cercato di farla a buon ritmo per avere una percezione più reale della salita. Non andavo piano, ma non andavo neanche a ritmo gara, pertanto immagino che in corsa si farà davvero forte e possa esserci selezione già in questa parte.

Cosa racconterai ai tuoi compagni di questa scalata da Tagliacozzo a Marsia?

Dirò che chi vuole arrivare quassù a giocarsi la tappa deve prenderla davanti, perché la prima parte si farà veramente forte. Scarsa pendenza, tante curve e una strada non larghissima. Quindi stare davanti e stare a ruota il più possibile fino agli ultimi tre chilometri. Da lì poi servirà la gamba. Ci sarà poco da inventare.

Nel tratto duro spariscono le curve…

Esatto. Appena inizia il tratto duro, c’è questo drittone abbastanza largo che può trarre in inganno. Essendo largo non sembra così duro, quindi magari ti sposti cercando di rimontare e, se non conosci bene la strada, rischi di restare lì. Non sai che poi continua così per altri due chilometri e mezzo.

Se dovessi fare dei nomi per questo arrivo, su chi punteresti?

E’ una salita che secondo me è adatta a Pidcock. Tom qui potrebbe dire la sua perché l’inizio è veloce. Uno come lui può stare a ruota e non faticare troppo fino agli ultimi tre chilometri. E lì sappiamo che ha una bella fucilata, specie su muri di questa durezza e durata. Poi, va da sé, va bene anche per gente come Ayuso e Roglic. I nomi sono quelli. Saranno loro a giocarsi la tappa.

A meno che non arrivi una fuga…

Eh – sospira Marcellusi – non lo so, ultimamente non arrivano più! O molto poco…

Martin, usciamo un attimo dal discorso degli uomini di classifica. Come si gestiscono gli ultimi tre chilometri?

Dipende. Se sei in difficoltà, devi cercare di non guardare i watt perché è una salita troppo dura. Non riusciresti a gestirla: sei portato a spingere forte. Devi valutare le tue forze solo in base alla distanza che manca all’arrivo. Va presa senza paura. Se invece stai bene e qualcuno la prende di petto, bisogna seguirlo e in quel caso c’è poco da calcolare. Andare a tutta e, nei limiti del possibile, lasciarsi un piccolo spazio per la volata. Però, ripeto, salite come questo finale di Marsia sono troppo dure per essere gestite.

Rispetto agli ultimi Giri, com’è questo primo arrivo in salita?

In effetti anche l’anno scorso siamo partiti con un percorso abbastanza impegnativo (si saliva ad Oropa nella seconda frazione, ndr). Ma questa è tutta una tappa tosta, non solo il finale. Già dopo sette giorni, chi ha calcolato di non arrivare al 100 per cento e di prendere la condizione in corsa potrebbe avere brutte sorprese. E’ un bel rischio. Marsia è una salita dura e potrebbe già segnare distacchi importanti.

Casa Alpecin, sera di festa e qualche puntino da aggiungere

14.04.2025
4 min
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ROUBAIX (Francia) – Philip Roodhooft si avvicina alla transenna da cui il nutrito manipolo di giornalisti belgi lo sta chiamando da cinque minuti. Non si capisce se il mananger della Alpecin-Decenunick non abbia voglia di parlare preferendo godersi da vicino la vittoria di Van der Poel, ma alla fine arriva. E arrivano anche le domande. Sarà la traduzione di un paio di colleghi fiamminghi a permetterci di capire che cosa abbia detto.

«Siamo felici, questo è chiaro – comincia – è una gioia, è molto speciale essere qui con la Roubaix di Mathieu. Questo velodromo è un luogo molto speciale nella storia del ciclismo. Da bambini sognavamo di essere qui e ora ci siamo davvero per la terza volta a dare il benvenuto al corridore e alla nostra Alpecin vincitori della Parigi-Roubaix, quindi è molto speciale. Anche un po’ difficile da credere. Sapevamo che Mathew fosse tornato a una buona condizione, ma questo scenario non era assolutamente prevedibile».

Alla partenza da Compiegne, Van der Poel sapeva di aver recuperato la miglior condizione
Alla partenza da Compiegne, Van der Poel sapeva di aver recuperato la miglior condizione
Qual era il piano?

Sapevamo di dover provare con lui e Jasper (Philipsen, ndr), con il piano di arrivare il più avanti possibile, in modo che le possibilità di vittoria fossero sempre più concrete. Sapevamo che l’uscita su asfalto dopo la Foresta di Arenberg sarebbe stata un momento difficile, poi è cominciata la sfida a due che avevamo già visto alla Sanremo e al Fiandre. Per un po’ c’è stato anche Jasper, diciamo che c’è stato da ragionare più dell’anno scorso.

Mathieu è tornato, da cosa lo si capisce?

Dal fatto che è parso molto più forte che al Fiandre. Penso che ci sia stata una differenza rispetto alla settimana scorsa, come se le cose siano tornate tutte al loro posto. Per seguire Pogacar doveva stare bene, perché ha dovuto fronteggiare attacchi molto violenti. Finché Tadej ha scelto un momento difficile per scattare e credo che abbia commesso il suo errore prendendo quella curva troppo forte. La corsa si era chiusa ben prima, ma quello è il momento che l’ha decisa. Tadej ha impiegato un tempo eterno per ripartire, ma anche quel tipo di reazione fa parte della gara.

In serata Van der Poel e l’ammiraglia Alpecin sono stati multati per rifornimento irregolare
In serata Van der Poel e l’ammiraglia Alpecin sono stati multati per rifornimento irregolare
Dopo questa gara, abbiamo scoperto che ora c’è uno sfidante molto serio per Van der Poel alla Parigi-Roubaix…

Sì, penso che tutti debbano essere contenti che Tadej sia venuto qui per fare la corsa e per il modo in cui l’ha fatto. Ha dimostrato ancora una volta il suo livello, il campione e l’uomo che è.

Che impressione ti ha fatto Pogacar sul pavé?

E’ molto veloce, anche perché ha una grande sensibilità di guida. Ma nel momento in cui ha sbagliato, rendendosi conto di non poter correggere la traiettoria, ha spalancato la porta a Mathieu. A quel punto, ha dovuto continuare, non c’era niente di diverso da fare. Non c’erano tante soluzioni, perché il vantaggio di 15-20 secondi imponeva di andare a tutta. Ma sono certo che parlandone con lui dirà che quel margine era molto superiore a causa del vento contrario.

Cosa pensi del lancio di oggetti e liquidi contro Van der Poel? Come squadra intendete fare qualcosa?

Al momento prendiamo tempo per dare modo alle autorità di provare a fare qualcosa. Speriamo che ci sia abbastanza controllo sociale per evitare che ci siano ogni volta delle persone che fanno questi gesti che danneggiano tutti. E’ spiacevole ed è anche pericoloso, ma soprattutto non è la prima volta. Forse è un problema sociale e non un problema della gara, ma servono regole che permettano di controllare la situazione.

Una foto Alpecin del 2022, da sinistra il diesse Christoph Roodhoft e dalla parte opposta suo fratello Philip: Mathieu è uno di famiglia
Una foto Alpecin del 2022, da sinistra il diesse Christoph Roodhoft e dalla parte opposta suo fratello Philip: Mathieu è uno di famiglia
Potete aiutare Mathieu in qualche modo?

Non lo so, se vedi quante persone felici e entusiasti ci sono sulle strade, ti viene da pensare che non puoi penalizzare loro per dare attenzione a pochi idioti. Sarebbe bello che la stessa gente isolasse chi fa simili gesti.

Mathieu ha agganciato Moser nel suo record delle tre Roubaix consecutive.

Si dice sempre che i record sono lì per essere battuti, ma non bisogna soffermarsi troppo a lungo su di essi. Quello che voglio ricordare è quanto sia stato speciale quello che abbiamo vissuto in questi giorni e in questi momenti.

ULTIM’ORA: Stando a quanto riportato da Het Nieuwsblad, il tifoso che ha lanciato la borraccia contro Van Der Poel si sarebbe consegnato oggi alla Polizia belga, in seguito alla testimonianza di un altro spettatore e ad una campagna tra tifosi perché aiutassero a identificarlo.

Magagnotti finora in sordina? No, c’è solo da aspettare…

14.04.2025
5 min
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E’ probabilmente il prezzo che si paga ad essere considerato un predestinato: Alessio Magagnotti in questa stagione ha corso 5 volte, centrando una vittoria e due podi, eppure c’è chi considera il suo inizio stagione non pari alle attese, quasi deludente. E’ quasi una contraddizione in termini, ma conoscendo il suo grande valore considerando che il cambio di categoria è ormai alle porte, abbiamo voluto addentrarci nel discorso attraverso chi lo conosce bene e lo segue da tempo: il suo general manager Enrico Mantovanelli.

L’arrivo vittorioso di Magagnotti al Memorial Vangi, primo centro della sua seconda stagione da junior (foto Fruzzetti)
L’arrivo vittorioso di Magagnotti al Memorial Vangi, primo centro della sua seconda stagione da junior (foto Fruzzetti)

«So che c’è chi considera il suo inizio stagione un po’ in sordina – esordisce il responsabile dell’Autozai Contri – ma io non mi sono mai preoccupato. Perché i risultati vanno valutati. Il suo inizio stagione è stato caratterizzato soprattutto dalla sfortuna».

In quale misura?

Alla prima gara, il GP Baronti, alla fine gli ho detto che aveva assommato tutti i problemi meccanici che normalmente si mettono insieme in un anno… Al Giro delle Conche era in fuga con altri due ragazzi ed ero convinto che alla fine avrebbe portato a casa il successo e che ti va a succedere? I tre sbagliano strada e la gara va a farsi benedire. Poi alla Piccola Liegi delle Bregonze cade e gli mettono 5 punti sul mento, eppure il giorno dopo era già in bici. Alla fine la vittoria al Memorial Vangi, al di là del suo valore, è stata una liberazione.

Il podio del Memorial Vangi a Calenzano, con Magagnotti primo davanti a Segatta e Sgherri (foto Fruzzetti)
Il podio del Memorial Vangi a Calenzano, con Magagnotti primo davanti a Segatta e Sgherri (foto Fruzzetti)
Tu che vivi la sua attività da vicino, lo trovi cambiato rispetto allo scorso anno?

Sì, lo trovo più forte, fisicamente ma anche molto cresciuto dal punto di vista mentale. Ma bisogna chiudere la parentesi sfortunata. Noi da questo punto di vista non gli mettiamo pressioni, Alessio è tranquillo e sa che non deve dimostrare nulla. A ben guardare anche nel 2024 iniziò così, abbastanza in sordina e poi sappiamo a fine stagione qual è stato il suo bilancio, con la svolta che arrivò al Giro dell’Abruzzo.

La sua crescita la si vede anche dai numeri?

Certamente, è quello che mi dicono il suo diesse Fausto Boreggio e il preparatore Giacomo Conti. D’altro canto Alessio sta anche lavorando profondamente su se stesso. I watt che produce non sono neanche paragonabili a quelli dello scorso anno e mi dicono che sia molto più reattivo anche in salita.

Enrico Mantovanelli, general manager dell’Autozai Contri (foto Rodella)
Enrico Mantovanelli, general manager dell’Autozai Contri (foto Rodella)
Questa per lui è una stagione importante, per certi versi delicata. Lo scorso anno molti team si erano interessati a lui, sei stato contattato per il suo futuro?

Ha trovato un ottimo procuratore in Manuel Quinziato e ne siamo stati molto contenti perché Manuel sa lavorare bene con i ragazzi più giovani. Non mette pressioni, si muove di pari passo con il team. So che ha avuto molti contatti e che ha già trovato un accordo di massima con un devo team del WorldTour ma vuole che Alessio non ci pensi, che lavori in tranquillità e che soprattutto segua le nostre indicazioni. Noi con Manuel eravamo stati chiari nella libertà di scelta del ragazzo ma anche nella volontà di avere mano libera con lui per quest’anno. E’ stata la scelta migliore.

Il trentino con la maglia iridata vinta lo scorso anno con il quartetto della pista (foto Rodella)
Il trentino con la maglia iridata vinta lo scorso anno con il quartetto della pista (foto Rodella)
Quindi Magagnotti continua ad essere seguito da voi, senza ingerenze da parte del nuovo team…

Assolutamente, su questo avevamo espresso le nostre volontà. In passato c’erano stati casi diversi, ad esempio con Erazem Valjavec, con noi ma già nella sfera della Soudal e non volevamo che si ripetesse. A noi importa farlo crescere con calma, in serenità, senza tirargli il collo. Il fatto di avere già un posto per il prossimo anno è un punto in più per lavorare senza stress.

Continueremo a vederlo su pista?

Sì, è un elemento importante della nazionale di Salvoldi, si è visto lo scorso anno e quei lavori si sono rivelati fondamentali per la sua crescita. Senza contare i risultati conseguiti. Già è stato a Montichiari con altri nostri ragazzi, magari quest’anno ne farà un po’ meno rispetto al 2024 ma per i mondiali di categoria sarà sicuramente a disposizione.

Per Magagnotti la pista resta un riferimento, sarà al via dei mondiali di categoria
Per Magagnotti la pista resta un riferimento, sarà al via dei mondiali di categoria
Finora ha corso abbastanza poco. Quali sono gli appuntamenti ai quali puntate maggiormente?

Alessio ha messo nel mirino due eventi in particolare, il Liberazione e la Coppa Montes, dove lo scorso anno aveva centrato la Top 5 in entrambi dimostrando che sono nelle sue corde. Vuole far meglio, puntiamo alla vittoria, poi vedremo come andranno le corse, ma Alessio sta lavorando per essere al massimo in quelle occasioni. Vorrei però sottolineare un aspetto: l’appoggio incondizionato della famiglia, che lo segue con passione ma che lascia a noi tutte le responsabilità e decisioni. Nel ciclismo di oggi non è una cosa comune…

EDITORIALE / La storia del ciclismo e i record che cadranno

14.04.2025
5 min
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BRUXELLES (Belgio) – Si torna a casa dopo la prima parte del Nord ragionando sulla terza Roubaix consecutiva di Van der Poel, 45 anni dopo il record di Moser. E’ passato davvero un tempo lunghissimo e questo dà la misura della eccezionalità del trentino e di come i record del passato non siano soltanto bersagli da luna park. Alle nostre spalle abbiamo campioni eccezionali e sarebbe sbagliato pensare che il nuovo corso così spettacolare li farà dimenticare. E’ vero, ci sono stati passaggi di cui il ciclismo avrebbe fatto a meno, ma prima di quelli c’è stata una storia così ricca ed emozionante con cui Pogacar e Van der Poel dovranno fare a lungo i conti e non è detto che riusciranno a uguagliarla.

Van der Poel è in fuga verso altri record, ma la strada non è sempre semplice
Van der Poel è in fuga verso altri record, ma la strada non è sempre semplice

I record che non cadono

Sembrava scontato che Van der Poel avrebbe vinto il quarto Fiandre, ma ha trovato sulla sua strada il solito Pogacar pazzesco che glielo ha ricacciato in gola. Probabilmente ci riuscirà nei prossimi anni, ma potrebbe anche non accadere mai. Anche Boonen sembrava lanciato verso il poker, ma dopo la terza vittoria trovò sulla sua strada un Cancellara altrettanto pazzesco che in un modo o nell’altro spense la sua voglia di record. E lo stesso Cancellara, giunto al tris, avrebbe potuto fare poker nel 2016, il suo ultimo anno da corridore, ma dovette inchinarsi a Sagan.

Ancora Boonen si è fermato a quota quattro Roubaix, agganciando il fantastico record di Roger De Vlaeminck. Sembrava che sarebbe riuscito a passarlo, in un modo o nell’altro, ma dovette inchinarsi a sua volta a Terpstra, Hayman e Van Avermaet: chi avrebbe potuto immaginarlo? Eppure accadde.

Resiste e resisterà chissà per quanto il record dei cinque Tour, vinti da Anquetil, Merckx, Hinault e Indurain. Contro quel muro si è fermato Froome e chissà se l’aggancio riuscirà a Pogacar o a Vingegaard. Ci riuscì Armstrong, che arrivò addirittura a quota sette, ma qui il discorso merita un distinguo. Se si accetta che in quegli anni dal 1999 al 2005 tutto il gruppo viveva al pari dell’americano, allora il record resta. Se invece ci fu disparità anche nei confronti dei colleghi, allora il record dei 5 Tour è ancora saldamente al suo posto. I sette successi di Lance esistono di fatto solo nella memoria di chi li ha vissuti. Probabilmente quelli sono gli anni di cui avremmo fatto a meno, ma è inutile piangere sul latte versato. Bene fa il ciclismo ad andare avanti nel segno di altri valori.

Al Tour de France del 2021, Cavendish ha agganciato Merckx a quota 34 vittorie, lo ha battuto nel 2024
Al Tour de France del 2021, Cavendish ha agganciato Merckx a quota 34 vittorie, lo ha battuto nel 2024

La saggezza di Pogacar

I record sono fatti per essere battuti, alcuni infatti sono caduti e altri cadranno. Nel 2003 Cipollini ha vinto la 42ª tappa al Giro d’Italia, battendo un primato stabilito da Alfredo Binda nel 1933: giusto 70 anni prima. Lo scorso anno, Cavendish ha battuto con 35 tappe vinte al Tour il record di Merckx stabilito nel 1975: 49 anni prima. I record sono fatti per essere battuti, ma non si deve cadere nella faciloneria di pensare che con essi si cancelli lo spessore di chi li deteneva. Perché Binda nel frattempo, restando nell’ambito del Giro, vinse per 5 volte la classifica generale. E ugualmente limitandoci all’ambito del Tour, Merckx conquistò per 5 volte la maglia gialla.

In questi giorni di prodigiose imprese, che sembrano stratosferiche a noi più… giovani che non abbiamo vissuto gli anni di Merckx e Gimondi, si sente spesso accostare il nome di Pogacar a quello del Cannibale belga. E’ chiaro che nell’era dei facili social, il paragone è ritenuto accettabile, ma siamo certi che lo sia? Tadej potrà anche ricordare la fame di Merckx, ma per raggiungerlo, dovrebbe vincere per 7 volte la Sanremo, altre 4 volte il Giro, altre 2 volte il Tour, altre 2 volte il mondiale. Pogacar è probabilmente più intelligente dei tanti che cercando di appuntargli la stella sul petto e ha sempre rifiutato ogni confronto. Fa bene ed è proprio questa sua modestia a renderlo così amato. Anche perché basta uno starnuto della dea bendata perché le vittorie sfuggano, in anni che non sono mai uguali fra loro.

Pogacar, qui con la compagna Urska, si è misurato con la Roubaix: un test bellissimo, vanificato da un solo errore
Pogacar, qui con la compagna Urska, si è misurato con la Roubaix: un test bellissimo, vanificato da un solo errore

Uno sport di giganti

Vengono in mente anche le parole di Elisa Longo Borghini alla vigilia del Fiandre. Parlando della Milano-Sanremo dedicò un tributo sacrosanto alle ragazze di ieri. Sembra che il ciclismo femminile sia nato con il WorldTour, dimenticando grandi atlete come Jeannie Longo e Fabiana Luperini. Donne capaci di vincere a ripetizione il Tour de France e il Giro d’Italia quando i giorni di corsa erano più di adesso.

Si tende a cadere anche nell’errore di dirsi che le performance di oggi siano così superiori, da annichilire i campioni del passato. Come dire che i soldati di oggi siano più valorosi di quelli che scendevano sul campo di battaglia con il moschetto e la baionetta. In realtà ogni periodo storico ha avuto le sue armi, i suoi valori e le sue tecnologie. I campioni hanno sempre avuto accesso al meglio del loro tempo, anche quando correvano con bici da 15 chili su strade di fango. E grazie a quello che avevano, hanno inscenato i duelli pazzeschi che hanno fatto innamorare generazioni di tifosi, rendendo il ciclismo uno sport di giganti. Ma davvero crediamo che le sfide fra Coppi, Bartali, Anquetil, Magni, Koblet, Gimondi, Merckx, Poulidor, Hinault, Lemond, Fignon, Moser e i campioni che si sono succeduti negli anni fossero meno emozionanti delle attuali?

Pietre e muri alle spalle: le pagelle di Bennati. Due 10 e…

14.04.2025
9 min
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Con la Parigi-Roubaix di ieri si è conclusa la prima parte delle classiche del Nord, quella delle pietre e dei muri. In settimana ci sarà la Freccia del Brabante, che apre alla seconda parte, più adatta agli “scalatori”. E’ quindi tempo di primi bilanci. Bilanci che abbiamo affidato a Daniele Bennati.

Il “Benna” ha assegnato giudizi e voti, quindi le pagelle, ai protagonisti di queste corse. Da Mathieu Van der Poel fino ad Alessandro Romele.

Tre Roubaix di seguito: VdP è di diritto tra i giganti del ciclismo. Per Bennati è un cecchino ormai
Tre Roubaix di seguito: VdP è di diritto tra i giganti del ciclismo. Per Bennati è un cecchino ormai

Van der Poel: voto 10

Tris consecutivo come Moser alla Roubaix, sfiora il Fiandre, stravince ad Harelbeke, Van der Poel non ha paura di duellare con “Sua Maestà” e ha persino la faccia tosta di batterlo!

«A Van der Poel do 10. Non ha sbagliato niente. Senza parlare della Sanremo, che ha vinto, ha conquistato la sua terza Roubaix. Non ha vinto il Fiandre, ma se l’è giocato alla grande. Sappiamo che ha avuto quel piccolo intoppo, vero o non vero, degli antibiotici. Tra tutte le classiche, il Fiandre è quella che contro Pogacar era la più difficile per lui. Se poi magari lo ha beccato in un momento in cui non era proprio al 100 per cento, ma al 98, ci sta che si stacchi sull’Oude Kwaremont. Lì uno come Pogacar può fare la differenza».

«Quel che mi piace di Van der Poel è che ha affinato tutte le sue capacità nel corso degli anni: forza, tattica, gestione degli allenamenti. Quando è passato professionista commetteva tanti errori, nonostante fosse già molto forte. Però ha imparato veramente a gestirsi nel migliore dei modi. Ormai è un cecchino, e questo gli permette di fare quello che fa. E su queste corse, oltre al motore, fa la differenza con la capacità di saper guidare la bici e di cogliere attimi che magari altri non riescono a cogliere».

Pagelle di Bennati dopo le Classiche del Nord: Van der Poel e Pogacar da 10, Pedersen brilla, Ganna in calo, Van Aert e Visma deludono
Tadej Pogacar in azione al Fiandre. Col secondo posto alla Roubaix sa che potrà fare bene anche in questa classica Monumento
Tadej Pogacar in azione al Fiandre. Col secondo posto alla Roubaix sa che potrà fare bene anche in questa classica Monumento

Pogacar: voto 10

Protagonista assoluto. Vince, perde, emoziona e soprattutto le corse le disegna lui, almeno su questo siamo d’accordo? Parola a Bennati su Tadej Pogacar.

«Do 10 anche a Tadej perché comunque è andato contro tutto e tutti. Indipendentemente dal tipo di corsa che ha fatto ieri, si meritava un 10 anche se fosse arrivato decimo. Uno come Pogacar va solo che ringraziato per lo spettacolo che riesce a dare in questo ciclismo e per quello che mette a disposizione del ciclismo. Quando c’è lui, anche Van der Poel e gli altri danno quel qualcosa in più che poi fa diventare queste corse uniche e indimenticabili. Attaccano a 104 chilometri dall’arrivo!».

«Quindi il mio 10 non è solo per quello che ha fatto vedere sul fronte delle prestazioni, ma soprattutto per il coraggio e per l’amore verso il ciclismo. Ne ho sentite veramente tante in questo periodo e devo dire che sono sempre stato dalla sua parte. Sì, la Roubaix è pericolosa, ma se guardiamo le corse di oggi ti puoi fare male in qualsiasi gara. Perciò grazie a lui e anche a chi lo ha appoggiato, che è la sua squadra».

Gand-Wevelgem, Mads Pedersen trionfa dopo una fuga di 56 chilometri. Il danese è stato poi sul podio di Fiandre e Roubaix
Gand-Wevelgem, Mads Pedersen trionfa dopo una fuga di 56 chilometri. Il danese è stato poi sul podio di Fiandre e Roubaix

Pedersen: voto 8

Forte, fortissimo, anche un po’ sfortunato… più che altro per l’epoca in cui si è ritrovato, non tanto per la foratura di ieri. Ammesso che poi forare alla Roubaix sia solo questione di sfortuna. Ecco Bennati su Mads Pedersen.

«Direi un bell’otto. Pedersen ha vinto la Gand, ha fatto quinto a Harelbeke, terzo alla Roubaix, secondo al Fiandre. Non gli do dieci solamente perché davanti a lui ci sono Van der Poel e Pogacar. Per la forza che ha dimostrato, ha portato a casa “poco” dal punto di vista dei risultati. Anche lui sulla maglia ha i bordini di campione del mondo. Ieri sul podio c’erano tre iridati, capito che spessore?

«Se fossi in lui cercherei di risparmiarmi un po’, visto che corri contro Van der Poel e Pogacar. Però questo fa parte del suo carattere, delle sue caratteristiche: non ha paura di attaccare per primo. Ripeto, io aspetterei un po’».

Wout Van Aert: tanta volontà, tantissima fatica. Il belga non va oltre il 5 per Bennati
Wout Van Aert: tanta volontà, tantissima fatica. Il belga non va oltre il 5 per Bennati

Van Aert: voto 5

Tocca a Wout Van aert, uno dei grandi punti interrogativi di questa campagna del Nord. A lui resta ancora l’Amstel Gold Race, che in passato ha già vinto. Ma intanto si tira una linea…

«A Van Aert do 5. A malincuore non mi sento di dargli la sufficienza. E’ vero che ha avuto sfortuna, ma lo considero alla pari di Van der Poel e Pogacar su questo tipo di competizioni, pertanto uno così non può raccogliere così poco.

«Secondo me per Van Aert potrebbe esserci un problema di programmazione. Okay, lo scorso anno ha avuto questo infortunio, l’ennesimo, alla Vuelta. A quel punto aveva una grande occasione per recuperare al 110 per cento, resettarsi. Non doveva fare ciclocross, doveva solo ed esclusivamente pensare a recuperare e preparare la stagione su strada. Senza poi dover nuovamente saltare Tirreno o Parigi-Nizza, Strade Bianche, Sanremo… Un corridore come lui deve fare quel tipo di programm».

«Non conosco la Visma-Lease a Bike e come gestisce Van Aert, e quindi non mi permetterei mai di giudicare, ma se fossi in Van Aert avrei evitato di fare tre settimane di altura per preparare le classiche a discapito delle corse. E nonostante abbia avuto mesi difficoltosi, con prestazioni altalenanti, ha raccolto due quarti posti tra Fiandre e Roubaix».

A Bennati facciamo notare che Van Aert era più brillante nel finale che nella fase centrale: è anche una questione mentale? Di stress da corsa?

«Ci sta pure che soffra la rivalità con Van der Poel: lui negli ultimi due anni ha vinto tanto e se ne perde una non è un problema. Mentre per Van Aert la pressione è maggiore. Ma soprattutto questa sua brillantezza è la dimostrazione che è un corridore di fondo, che dopo 250 chilometri sa essere lì, anche se non è al top».

Lo sguardo sperso e affaticato di Ganna dopo la Roubaix. Per Pippo sono state le prime vere classiche preparate ad hoc: bicchiere mezzo pieno guardando al futuro
Lo sguardo sperso e affaticato di Ganna dopo la Roubaix. Per Pippo sono state le prime vere classiche preparate ad hoc: bicchiere mezzo pieno guardando al futuro

Ganna: voto 6,5

Il Pippo nazionale ha emozionato, fatto sperare, però forse ci si aspettava qualcosa di più? Per noi sì. Sentiamo invece cosa ne pensa Bennati.

«Se lasciamo fuori la Sanremo, diciamo che anche Filippo Ganna probabilmente si aspettava di più in queste classiche del Nord, almeno non per come era partita la stagione. Alla Tirreno aveva una condizione stratosferica e alla Sanremo lo ha dimostrato. Tuttavia, probabilmente ha pagato proprio gli sforzi della classifica generale alla Tirreno. Pogacar non ha corso né Parigi-Nizza, né Tirreno, e Van der Poel alla Tirreno si è allenato, non si è visto.

«Ovviamente questo non è assolutamente né un consiglio, perché io non sono un consigliere di Ganna né della Ineos Grenadiers, né una critica: è una mia considerazione dalla quale spero possa trarre degli insegnamenti».

«Alla E3, in quei 30-40 chilometri che hanno fatto da soli e lui era in terza posizione, ha detto di aver fatto tanta fatica. Anche quegli sforzi prolungati magari lo hanno reso meno brillante al Fiandre. Quel giorno, alla fine, il cercare di anticipare non è stato sbagliato, però quando sono arrivati da dietro Van der Poel e Pogacar il ritmo era sicuramente proibitivo per lui. Ieri magari ha avuto anche un po’ di sfortuna. Per me potrebbe essere arrivato un po’ “lungo” a queste corse, ma questa è una mia considerazione dalla quale spero possa trarre degli insegnamenti».

Ganna gli sta particolarmente a cuore e Bennati si dilunga con passione. Si vede che ci tiene: «Pippo l’ho sempre visto come un Fabian Cancellara che è nato cronoman e poi si è specializzato anche nelle classiche del Nord. Fabian era un cecchino nel preparare gli appuntamenti».

Dwars door Vlaanderen: Powless precede tre corridori della Visma-Lease a Bike
Dwars door Vlaanderen: Powless precede tre corridori della Visma-Lease a Bike

Visma-Lease a Bike: voto 5

Ovviamente in questo giudizio pesa molto il pasticcio della Dwars door Vlaanderen

«Va detto che Van Aert è un punto di riferimento per le classiche, per la Visma come Vingegaard lo è per i Grandi Giri, e quando il punto di riferimento, il capitano, non è al meglio, anche il contorno ne risente. I corridori risentono di questa sofferenza del capitano, e di conseguenza la squadra non gira come dovrebbe. Per loro però niente sufficienza: cinque».

«Guardiamo Pogacar e Van der Poel: quando hai due capitani così, sai che saranno primi o secondi, e a livello morale anche tutti i compagni di squadra ti danno sempre quel qualcosa in più. Mettiamoci poi che il fatto della Dwars ha ampliato questo stress interno: a livello morale non ha fatto bene né a Van Aert né a tutti gli altri. Tuttavia io non mi sento di condannare quella scelta, far fare lo sprint a Wout.

«Comunque è stata una scelta a favore di Van Aert. E poi chi si sarebbe immaginato che avrebbe perso una volata da Powless, con tutto il rispetto per lui? Van Aert è abituato a vincere le volate di gruppo, a vincere a Parigi sugli Champs-Elysées. Questa è stata una grande beffa e non un bel viatico per Fiandre e Roubaix».

In fuga al primo Fiandre e Roubaix nel sacco (71°) al debutto: bravo Romele. Alessandro è un classe 2003
In fuga al primo Fiandre e Roubaix nel sacco (71°) al debutto: bravo Romele. Alessandro è un classe 2003

Romele: voto 7,5

Prima esperienza nel WorldTour, prima campagna del Nord e tutto sommato se l’è cavata. E’ stato in fuga al Fiandre, finisce la sua prima Roubaix, coglie due top ten in classiche minori come Samyn Classic e Bredene Koksijde Classic. Alessandro Romele ha corso ben 11 classiche e solo in due non ha visto l’arrivo, dopo comunque essere stato nel vivo della gara.

«Bravo davvero! E’ uno che sta nella mischia, perciò complimenti. Romele sta dimostrando di avere carattere. Si merita un bel 7,5. Non ha paura di andare in fuga, di limare, di aiutare. Al Nord comunque devi partire con il coltello fra i denti, e lui ha tutte le carte in regola per fare bene in futuro in queste classiche».

Tim Merlier sfreccia alla Scheldeprijs. Bennati non si aspettava molto di più dalla ex squadra regina delle classiche del Nord
Tim Merlier sfreccia alla Scheldeprijs. Bennati non si aspettava molto di più dalla ex squadra regina delle classiche del Nord

Soudal-Quick Step: senza voto

Okay, senza Remco e con una rivoluzione in atto non sono più la corazzata di un tempo, ma questa involuzione nel giro di pochi anni colpisce. La “Quick” porta a casa la Scheldeprijs con Tim Merlier: stop.

«Attenzione però, vi stoppo subito: se non hai corridori come Pedersen, Pogacar, Ganna o Van Aert, cosa t’inventi? Per me, con la trasformazione che hanno avuto, sono senza voto.

«Certo, mi hanno sorpreso alla Gand. In Belgio una squadra come la Soudal-Quick Step può fare di più, invece mi è sembrato abbiano corso per il secondo posto. Fosse per questo non gli darei assolutamente la sufficienza. Okay, Pedersen quel giorno è andato fortissimo, ma dietro loro erano in tre se non in quattro, mi aspettavo che una squadra così lassù facesse di tutto per chiudere, tanto più che avevano Merlier. Al massimo potevano perdere da Milan, però ci avrebbero provato.

«Hanno investito quasi tutto su Evenepoel e pertanto su altri tipi di corse e di uomini. Non gli do nessun voto, perché io obiettivamente non mi aspettavo una Soudal-Quick Step vincente in queste classiche, quindi personalmente non avevo nessuna aspettativa».

Pedersen non cambia idea: «Mathieu resta un mostro»

14.04.2025
3 min
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ROUBAIX (Francia) – Mads Pedersen vorrebbe probabilmente essere altrove e non ne fa mistero. Diretto e tagliente come il vento della Danimarca da cui arriva, il capitano della Lidl-Trek è stato messo fuori gioco da una foratura nel momento peggiore e non è più rientrato. Dava la sensazione di avere tanta birra ancora da dare e lo ha dimostrato inseguendo come un ossesso, infuriandosi con quelli che non collaboravano e poi vincendo lo sprint nel velodromo che gli è valso il terzo posto. Che cosa sarebbe potuto succedere senza quella foratura?

Ti incenerisce con lo sguardo e ha ragione, perché probabilmente si è punito abbastanza da sé con certi ragionamenti. Campione del mondo quando nessuno se lo aspettava, adesso che è spesso sulla porta di una Monumento, trova sempre un inghippo che glielo impedisce. Non deve essere piacevole: fortuna per lui che riesce a voltare rapidamente la pagina.

«Non voglio fare il gioco dei se – dice subito – perché sappiamo come va a finire. Non ho avuto fortuna, non posso farci niente. Mi sentivo molto bene, avevo buone sensazioni e la squadra aveva fatto un lavoro impressionante tutto il giorno per tenermi fuori dai problemi e mettermi nei settori in una buona posizione. Fino a quel momento era andato tutto bene…».

La Lidl-Trek ha lavorato sodo per tenere Pedersen davanti: un ottimo lavoro di squadra
La Lidl-Trek ha lavorato sodo per tenere Pedersen davanti: un ottimo lavoro di squadra
Mancavano 71 chilometri all’arrivo, corsa ormai chiusa: come si fa a cambiare mentalità e iniziare a lottare per il terzo posto?

Penso sia qualcosa che devi fare. Quando succede una cosa del genere, devi prepararti per qualcosa d’altro. In quel momento, non sapevamo se fossimo in corsa per il podio. Ma in questa gara, non sai mai cosa succederà. Sai che se continui a lottare, potresti finire sul podio e così è andata.

Due settimane fa hai definito Van der Poel un mostro, come lo descriveresti oggi?

Il mostro non è scomparso (ride, ndr), lasciatelo con questo status.

Nelle ultime settimane, abbiamo visto molte belle battaglie tra Mathieu, Tadej e anche te, ma la Roubaix potrebbe essere stata l’ultima, perché probabilmente di qui in avanti non ci saranno più gare in cui combatterete l’uno contro l’altro…

Pensate che sia un peccato? Non direi, non vedo l’ora di non correre più contro di loro (ride e strappa il sorriso, ndr). Andrò in altro corse e troverò altri avversari, credo che tutti dobbiamo accettarlo e divertirci. Dovremo aspettare 12 mesi per rivedere certi duelli, spero nel frattempo di poter fare i miei risultati. Mathieu andrà al Tour e come lui anche Tadej, ma avranno obiettivi diversi.

Pogacar, Van del Poel, Pedersen: gli stessi uomini del podio del Fiandre, sono cambiati i vincitori
Pogacar, Van del Poel, Pedersen: gli stessi uomini del podio del Fiandre, sono cambiati i vincitori
Non si gioca con i se, ma eri sicuro che avresti vinto la volata per il terzo posto?

Non avevo la sensazione di essere il più forte, quindi volevo anche che facessero tutti la loro parte. Negli ultimi 15-20 chilometri abbiamo avuto vento contrario e avevo bisogno di recuperare, quindi ho cercato di lasciargli fare il grosso del lavoro. Per fortuna hanno tenuto un ritmo alto che ha impedito gli attacchi e poi in volata ho dato tutto.

Secondo al Fiandre, terzo alla Roubaix. Sempre gli stessi corridori, che idea ti sei fatto del momento?

Non lo so, sta a voi di dire e fare certe considerazioni. Noi corriamo, cerchiamo di vincere, ci piace cercare fortuna sulle nostre biciclette. Fortunatamente sono stato in grado di finire nuovamente sul podio. Davvero a volte è tutto molto più semplice di quello che sembra…

Van der Poel fa la storia della Roubaix: tre di fila come Moser

13.04.2025
5 min
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ROUBAIX (Francia) – Sua madre lo ha abbracciato con grande discrezione e a quel punto Mathieu Van der Poel è andato verso il podio con lo sguardo rivolto alla tribuna che lo acclamava e nel petto l’orgoglio per la terza Roubaix consecutiva. In questo ciclismo che divora i record, oggi è stato eguagliato quello di Moser e la sensazione è che prima del fine carriera, l’olandese possa anche batterlo.

Forse neppure lui si aspettava uno svolgimento simile. Non credeva che sarebbe rimasto solo tanto a lungo, non lo aveva pianificato. La caduta di Pogacar lo ha chiamato allo scoperto troppo presto rispetto ai suoi piani e a quel punto non ha potuto fare altro che insistere. Ammette che per mezzo secondo ha anche pensato di aspettarlo, ma Van der Poel non è Pidcock, che aspettando Pogacar alla Strade Bianche ha fatto un bel gesto forzato: sapeva che avrebbe perso. Van der Poel è venuto per vincere la Roubaix e quando si lotta alla pari, non si fanno sconti a nessuno. Neppure a quell’idiota vestito da tifoso che a un certo punto ha scagliato contro di lui una borraccia gialla. 

Nella conferenza stampa, Van der Poel ha raccontato la sua emozione per la terza Roubaix
Nella conferenza stampa, Van der Poel ha raccontato la sua emozione per la terza Roubaix
Cosa pensi della curva sbagliata da Tadej?

Era un po’ troppo veloce, la velocità era molto alta in quel momento. Non sapevo se sarebbe stato in grado di fare la curva, ma non avrei immaginato che sarebbe caduto. All’inizio mi stavo guardando indietro, prendendo distanza per curvare a mia volta. E forse questo ha impedito che cadessi sopra di lui. Da quel momento sono rimasto da solo e non credevo di dover fare una simile impresa. L’idea era di regolarla nelle ultime sezioni di pavé, ma è andata così. La difficoltà maggiore è stata che non sapevo nulla di quello che stava succedendo.

Che cosa vuoi dire?

Non avevo più la radio, mentre dopo la Foresta di Arenberg il mio power meter ha smesso di funzionare. E’ stato un esercizio al buio, non conoscevo il vantaggio e cosa stesse succedendo dentro di me. E’ stato difficile gestirlo. Anche quando ho bucato, non ho potuto dirlo alla radio. Quella poteva diventare una situazione difficile, perché non sapevo quanto vantaggio mi sarebbe rimasto. Però alla fine è andato tutto bene.

Hai mai pensato per un solo secondo di aspettare Pogacar?

Sì, all’inizio l’ho pensato, ma non sapevo che fosse caduto. Pensavo che sarebbe ripartito subito, invece mi sono voltato e mi sono reso conto che il distacco era molto grande. A un certo punto devi prendere una decisione e sappiamo bene che gli errori sono parte della Roubaix. Non sai mai cosa può succedere dopo, anche io ho bucato alla fine e lui avrebbe aspettato me? Le cadute e le forature sono parte di questa gara.

Avere con te Philipsen sarebbe stato un grande vantaggio, per questo hai provato ad aspettarlo?

L’ho aspettato per la prima volta, perché non c’era un grande divario. Ho provato ad aspettarlo anche la seconda volta, ma questa volta il ritardo era già troppo, quindi sapevo sarebbe stato un duello fra me e Tadej e non avrebbe avuto senso aspettarlo ancora.

Pogacar ti ha costretto a rivedere la tattica o ha cambiato la corsa?

La Roubaix è sempre difficile, ovviamente, e hai bisogno anche di un po’ di fortuna, ma questa non è una grande sorpresa. Tadej, quando c’è, è lì davanti. E’ uno dei migliori o, meglio, è il miglior corridore del momento. Quello che fa è piuttosto eccezionale e sicuramente tornerà per provare a vincere questa gara.

L’incidente della borraccia ha danneggiato la soddisfazione e il divertimento di oggi?

Non si è portato via il divertimento, ma non è normale. Era una borraccia piena, forse mezzo chilo, e io arrivavo a 50 all’ora. Era come una pietra che mi ha colpito la faccia e questo non è accettabile. Aspettano e bevono birra, ma questa non può essere una giustificazione. Servono azioni legali perché poteva finire anche molto male.

Fra le bici viste alla Roubaix, la Canyon di Van der Poel era forse la più normale: lui ad esempio non vuole la monocorona
Fra le bici viste alla Roubaix, la Canyon di Van der Poel era forse la più normale: lui ad esempio non vuole la monocorona
Tre Roubaix, si può dire quale sia la tua preferita?

Quella dell’anno scorso, con la maglia di campione del mondo e le migliori sensazioni sulla bicicletta. Oggi non ero così forte. Gli ultimi due settori di pavé sono stati molto difficili, prendevo a calci i pedali. Normalmente, se vai abbastanza veloce, hai il sentimento di volare, ma oggi non ho avuto questa sensazione. Vincere tre volte è già super speciale e non è qualcosa che ti aspetti quando inizi a correre. Ma vincerla per tre anni di seguito, considerando che serve anche parecchia fortuna, è piuttosto eccezionale.

Tre scontri con Pogacar su tre Monumenti corsi finora: che giudizio dai di questa primavera?

Sono molto felice, specialmente per come mi sono sentito. L’influenza che ho avuto la settimana scorsa non è stata ideale, ma ora mi sento meglio. Ho avuto la sensazione che le mie gambe stessero migliorando, per cui sono molto felice di poter finire questa stagione con una vittoria.

Sfinito nel prato, raccoglie l’abbraccio di Roxanne e dopo poco quello di sua madre
Sfinito nel prato, raccoglie l’abbraccio di Roxanne e dopo poco quello di sua madre
Pogacar ha detto che se fosse un bambino, tu saresti il tuo idolo: che effetto ti fa?

Se vedete cosa sta facendo, credo che finora io sia stato l’unico a batterlo. L’ho detto dopo la Sanremo, come anche il fatto che Tadej è l’unico corridore che può fare la differenza sulla Cipressa. Ha 26 anni, ha ancora molto da fare. Quando finirà la sua carriera, saremo di fronte a un altro Merckx, per cui lo ringrazio.

Hai un’idea delle tue prossime gare?

Ce l’ho chiarissima: da questo momento sono in vacanza. Oggi è finita la mia prima parte di stagione. E a dire il vero, non posso proprio lamentarmi.

Un grande Pogacar: debutto perfetto, fino alla caduta

13.04.2025
5 min
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ROUBAIX (Francia) – E’ persino comprensibile che Tadej Pogacar non faccia salti di gioia, ma ascoltandolo mentre risponde alle domande e guardandolo negli occhi si capisce quale fantastico balsamo sia la vittoria e quanto, per contro, oggi lo sloveno sia davvero stanco. Altre volte è stato sfinito, ad esempio al Fiandre, ma aver vinto aveva trasformato il suo umore. Nonostante fosse al primo assaggio di questa corsa così massacrante, si è mosso da vero campione. Tanto che nel momento stesso in cui è caduto, mancavano 38 chilometri all’arrivo, si era lanciato all’attacco di Van der Poel senza il minimo timore reverenziale. Già da una ventina di chilometri la Parigi-Roubaix si era trasformata in un violento corpo a corpo, la caduta l’ha chiusa.

«Shit happens – dice in inglese – per quella caduta non si può dire altro e me ne scuso. Quando segui una moto da lontano e vedi che gira, capisci che c’è una curva. Ma quando gli sei così vicino e quella gira all’ultimo, allora magari sbagli. Però sono scuse, avrei dovuto sapere che lì c’era una curva. Credo che sia stata un’ottima gara per la nostra squadra. Abbiamo ottenuto un terzo e un quinto posto, non è facile mettere due corridori in top 5. Penso che possiamo tornare l’anno prossimo, di nuovo con una squadra forte, ed essere motivati per giocarci la vittoria».

Pogacar voleva la pietra più grande e c’è andato davvero vicino
Pogacar voleva la pietra più grande e c’è andato davvero vicino

Ancora loro due

Si sono ritrovati nuovamente in due: Pogacar e Van der Poel. Per un po’ c’è stato anche Philipsen, ma era scritto che non avrebbe retto altri attacchi. Gli altri invece erano già da tempo finiti nelle retrovie per un numero di forature in linea con il tipo di corsa, ma che raramente negli ultimi anni avevano appiedato i favoriti. Ha bucato subito Ganna e dopo di lui anche Pedersen, poi lo stesso Van der Poel, il cui vantaggio però era ormai tale da non destare preoccupazioni.

«Mathieu è un grande campione – spiega Pogacar – e uno dei migliori corridori del mondo. E’ un enorme onore lottare contro lui e, come ho sempre detto, se fossi più giovane e fossi un tifoso di ciclismo, sarebbe il mio idolo. Lottare contro lui mi dà anche un po’ di motivazione supplementare. Quando mi sono ritrovato con lui e con Philipsen ho pensato che mi ero cacciato in una situazione poco felice. Essere in fuga verso un velodromo con due dei corridori più veloci al mondo non è stata esattamente un’idea felice. Poi Philipsen si è staccato e ammetto di aver provato a farlo faticare. Invece Mathieu è stato troppo forte».

Consumo da record

Ha attaccato e risposto agli attacchi. Alla vigilia, il suo nutrizionista aveva spiegato che dalla lettura dei watt si potesse pensare che i tratti in pavé siano impegnativi come salite e la conferma arriva direttamente da Pogacar, che tiene una mano sulla guancia, come un bambino che le prova di tutte per non addormentarsi.

«E’ stata una gara piatta – sorride – ma in termini di potenza penso che sia stata una delle gare più impegnative che abbia mai fatto nella mia vita. Inoltre con quei colpi e tutto lo stress sul corpo, è stata davvero difficile. Forse ho pagato anche l’inesperienza e mi piace pensare che la prossima volta che verrò qui, non la troverò difficile come oggi. Avevo già detto che il mondiale di Glasgow fosse stato la corsa di un giorno più dura, ma oggi credo di averlo superato. Ci sono stati meno rilanci e meno fasi da 600 watt per 30 secondi, però il consumo energetico è stato sicuramente superiore».

Per questa primavera, il bilancio è di 2-1 per Van der Poel, che ha anche vinto la Sanremo
Per questa primavera, il bilancio è di 2-1 per Van der Poel, che ha anche vinto la Sanremo

Divertito, nonostante tutto

E quando gli chiedono se gli dispiaccia che di qui in avanti non ci saranno ulteriori scontri di questo tipo con Van der Poel, nello sguardo di Pogacar riaffiora il monello dei momenti più allegri, di quando si è divertito pur avendo fatto una fatica bestiale. Stessa cosa quando la domanda riguarda il Tour e se si sia chiesto cosa ci stesse a fare sul pavé, pensanto alla sfida francese.

«Non siate malinconici – dice – faremo altre corse, troveremo altri avversari, metteremo in scena altri duelli. Se mi sono divertito? Un po’, ma non ti diverti mai davvero quando vai a tutto gas per 5 ore. Però sì, è stato davvero bello. Mi dispiace deludervi, non c’è una sola volta in cui abbia pensato ai Tour de France. E’ ancora così lontano, insomma. Il programma nell’immediato prevede che domenica prossima io sia all’Amstel Gold Race, ma vediamo come mi sveglierò domattina».

In Centramerica sboccia una nuova Tomasi, sprinter di rango

13.04.2025
4 min
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La voce al telefono tradisce subito tutta la sua gioia. Da noi è tardo pomeriggio, per Laura Tomasi è ancora mattina e si appresta ad affrontare l’ultima prova della sua lunga trasferta in El Salvador, con il Giro a tappe e 4 classiche locali. Una trasferta proficua, che le ha portato la sua prima vittoria in maglia Laboral Kutxa e due podi (il terzo sarà proprio dopo la telefonata, nella classica conclusiva). Per la ciclista di Miane un bilancio decisamente sontuoso.

«Un’esperienza bella – esordisce la Tomasi – ma non lo dico solamente per i risultati. Io non ero mai stata da questa parte dell’Atlantico, per me era tutto nuovo, ma devo dire che a parte il caldo umido un po’ pesante in alcuni frangenti, ci siamo davvero divertite».

La volata vincente della Tomasi che ha portato a casa anche tre secondi posti (foto Laboral Kutxa)
La volata vincente della Tomasi che ha portato a casa anche tre secondi posti (foto Laboral Kutxa)
Raccontaci che tipo di gare avete affrontato…

La prima, il Grand Prix Boqueron, consisteva in una cronoscalata su un vulcano, per me è stato un po’ prendere le misure con questo tipo di gare. Il giorno dopo partiva il Giro di El Salvador, che consisteva in un breve prologo serale e 4 tappe. Non avevo mai gareggiato alle 20,30, è stato qualcosa di abbastanza strano anche se erano solo 2 chilometri. Poi abbiamo affrontato 4 tappe, non molto lunghe rispetto ai nostri canoni abituali, ma abbastanza movimentate.

Come vi siete strutturate?

Noi avevamo principalmente due obiettivi: correre per la classifica e per i traguardi di tappa. In questi io sono stata abbastanza soddisfatta con due piazze d’onore, in una finendo davanti ad Arianna Fidanza, ma nelle tappe a noi non congeniali dovevamo lavorare per Usoa Ostolaza che puntava alla vittoria e alla fine le è sfuggita per soli 2”, con Yanina Kuskova terza. In quel caso il prologo è stato determinante per favorire la vincitrice, la svizzera Hartmann che ha bissato il successo del 2024. L’ultima tappa non era sufficiente per recuperare, anche se Usoa ha vinto.

Il podio del GP El Salvador con la Tomasi al centro fra Sara Fiorin e l’irlandese Griffin (foto Laboral Kutxa)
Il podio del GP El Salvador con la Tomasi al centro fra Sara Fiorin e l’irlandese Griffin (foto Laboral Kutxa)
La vincitrice fa parte della Ceratizit: il confronto per la vittoria è stato con la formazione tedesca del WorldTour?

Con loro e con la Roland, altra squadra della massima serie. In gara la differenza con le formazioni sudamericane e del posto si vedeva, soprattutto nella gestione della corsa. Io credo che sia un discorso legato soprattutto all’esperienza, è chiaro che poter correre continuamente con le squadre WorldTour aiuta, poi in questi contesti gestisci un po’ la situazione dal punto di vista strategico.

Poi è arrivata la vittoria…

Sì, il calendario della trasferta prevedeva anche altre tre classiche d’un giorno, io mi sono aggiudicata la prima, il GP El Salvador in una volata generale, come anche l’ultima, il GP Surf City si è concluso allo stesso modo, ma lì sono arrivata dietro alla polacca Rysz. Il bilancio è comunque altamente positivo e mi dà molta fiducia per il mio ritorno in Italia.

Il caldo umido è stato il principale ostacolo delle corse disputate nel Paese centroamericano
Il caldo umido è stato il principale ostacolo delle corse disputate nel Paese centroamericano
Ora sei al secondo anno nel team basco, come ti trovi?

Molto bene, perché con l’andare del tempo ho visto che hanno una visione dell’attività molto simile alla mia, puntando a competere sempre più con le squadre più forti. In questo modo noi abbiamo la possibilità di crescere, di maturare. Certo, queste in Centro America non erano proprio gare come le classiche belghe, ma essere state protagoniste con vittorie e podi a ripetizioni ha comunque un suo significato.

Questo dipende anche dalla gestione del team, un po’ diversa da quella maschile molto più nazionalista, dove non ci sono stranieri?

Sono due entità diverse, dipendenti entrambe dalla Fondazione Euskadi, ma ognuna procede per proprio conto, con un suo staff e sue regole. Oltretutto abbiamo anche sponsor completamente diversi. Nel nostro team siamo di più nazioni, ma posso assicurare che noto un fortissimo senso di appartenenza: i Paesi Baschi mi sono sempre piaciuti per questo, c’è un legame indissolubile con il territorio e se per la squadra maschile è un po’ totalizzante, per noi si fonde con le nostre diverse culture. A me piace molto questa commistione.

Il team basco è multinazionale. In El Salvador c’era anche Arianna Fidanza
Il team basco è multinazionale. In El Salvador c’era anche Arianna Fidanza
E adesso?

Adesso si torna in Italia e inizia la preparazione per la Vuelta. E’ chiaro che per la nostra squadra la corsa a tappe iberica ha un sapore particolare, vogliamo fare bene anche se avremo di fronte tutto il meglio del ciclismo mondiale. Ma abbiamo dimostrato di sapercela cavare in ogni frangente e questo carico di fiducia che mettiamo in valigia ci aiuterà sicuramente. Mettere una firma anche in una volata della Vuelta non sarebbe male…