OUDENAARDE (Belgio) – «Penso che l’obiettivo principale l’ho raggiunto. Per tutto quello che è venuto dopo, anche in accordo con la squadra e avendone parlato con i direttori, penso si possa essere contenti. Il rimpianto potrebbe essere non aver finito il Fiandre. Però se penso al bambino che la sognava fin da piccolino, posso dire di averne avuto un piccolo assaggio, anche fosse essere passato per primo sul Qwaremont (foto di apertura, ndr). E poi in futuro si vedrà».
La fuga di Romele al Fiandre potrebbe sembrare un racconto scontato, ma se foste stati lì e gli aveste visto brillare gli occhi, capireste che di banale nel viaggio di questo ragazzo c’è veramente poco, se non la considerazione di chi potrebbe ritenerlo tale. Noi lo abbiamo vissuto da vicino prima e dopo, seguendo il durante attraverso il maxi schermo della sala stampa. E alla fine lo abbiamo raggiunto con mille domande.
Ti sei ripreso?
Tutto okay, grazie. C’è voluta una buona giornata di riposo lunedì, senza fare nulla, ma ieri sono già tornato in bici. Non so da quanto sono qua, ho perso il conto dei giorni. Ho fatto la Nokere Koerse (19 marzo, ndr) e non me ne sono più andato. Domenica farò anche la Roubaix, non era nel programma, ma abbiamo deciso così. Un po’ per scelta tecnica e un po’ perché, tra un infortunio e una malattia, servivano corridori. Io però sono super contento della decisione della squadra.
Allora facciamo due passi indietro: che cosa hai pensato quando ti hanno detto che avresti fatto il Fiandre al primo anno da pro’?
Era dicembre ed è stato a particolare. Mi hanno consegnato il programma e mi sono messo a scorrerlo. Nella prima parte ho visto la Strade Bianche e già lì ero super emozionato. Poi ho continuato a scendere e ho letto Gent-Wevelgem. Mi sono detto: bella la Gent, l’ho fatta da U23. Vado oltre e leggo Dwars door Vlaanderen e Ronde. Lo rileggo e chiedo: la Ronde sarebbe il Fiandre? Siete sicuri?
E loro?
«Sì, sì – mi hanno risposto – vogliamo fartela fare. Sappiamo che è super dura, probabilmente la corsa più dura e più importante che avrai quest’anno in calendario». Diciamo che mi hanno dato questa grande opportunità. Nella campagna del Belgio, tutte le corse sono importanti, ma il Fiandre è un’altra cosa.
Torniamo a un passato più recente: nella riunione del sabato ti hanno detto che dovevi andare in fuga?
In realtà no. Ero stato designato come uomo squadra assieme Gazzoli e a Toneatti. Dovevamo tenere coperta la squadra il più possibile, lavorare nei nostri punti, nei nostri ingressi nei vari settori di pavé. Ovviamente se andavano via 20 corridori, non si poteva non essere dentro. La proposta di andare in fuga a qualsiasi costo l’ho lanciata io e devo dire che alla fine è stata accolta bene. Mi hanno detto che effettivamente poteva avere un senso per la squadra e da quello spunto è nata anche la decisione di Ballerini di anticipare il suo attacco. Quindi penso che alla fine sia stata una scelta che ha anche ripagato.
Scendere dal pullman, pedalare lungo quella strada e arrivare nella piazza del mercato di Bruges…
Fa specie, perché ti rendi conto di quanta gente c’è. Non sai il numero, ma sentire che solo alla presentazione erano stimate 30-35 mila persone, fa venire la pelle d’oca. Sei su quel palcoscenico in mondovisione, qualcosa di paragonabile forse a un Tour de France. E poi, proprio a livello di gente, sentivi questa enorme vicinanza al mondo del ciclismo. Dei miei amici erano qua e si sono fatti qualche giro nei bar e c’era un’atmosfera quasi da festa nazionale. E’ proprio la percezione del ciclismo che è diversa: lo senti e lo vedi, lo vivi.
Come è nata la fuga?
Impossibile prenderla, è stato veramente difficilissimo. Ho impiegato una quantità elevatissima di scatti e di energie. La partenza del Fiandre ha tutta una serie di elementi pericolosi che ci sono nelle città del Belgio. Spartitraffico, aiuole, siepi, isole del traffico che rendono la partenza più nervosa e pericolosa. Però dai ero lì e volevo andare in fuga fin dall’inizio. Penso che questa cosa mentalmente mi abbia aiutato a non fare trasparire le emozioni col rischio di perdere completamente il filo.
Che effetto fa passare da primo del Fiandre, con tutta quella gente? E’ vero che le forze si moltiplicano?
Si percepiva la spinta della gente, si sentiva. Parlavo con Cucinotta che mi seguiva con la seconda ammiraglia e quando ha visto che mi stavo avvantaggiando, ha cominciato a urlarmi via radio che li stavo staccando. Eppure era una cosa involontaria. La presenza della gente era enorme in uno spazio relativamente piccolo, perché la strada lì è veramente stretta. Poi mettiamoci anche l’emozione, perché sicuramente ero lì che mi godevo tutta quella gente. Mai mi sarei aspettato una cosa del genere. Pensavo al tifo e a tanta gente, ma così tanto è difficile anche da spiegare. E’ quasi inconcepibile che ci sia tanto casino da far vibrare tutto il corpo. Era veramente qualcosa di fuori di testa che non ho mai vissuto e ho ancora i brividi nel raccontarlo.
Quando hai saputo che stava arrivando Ballerini, hai chiesto di aspettarlo?
In un primo momento si stava avvicinando tutto il gruppo, quindi assieme ai ragazzi della fuga abbiamo accelerato fino a riportare il vantaggio intorno ai 2’40”. Poi è arrivato il Molenberg di cui avevamo parlato la sera prima. Mi ero riguardato la corsa del 2024 e quello era stato il punto in cui il gruppo si era spaccato e da dietro erano rientrati. Non sapevo che Ballerini si fosse avvantaggiato e quando è arrivato ho sperato di potergli dare una mano.
Invece sono arrivati i crampi, come mai secondo te?
Non sono venuti perché avessi bevuto poco, quello ormai è difficile. Il crampo arriva e ti ferma, difficilmente continui. Dipende dalla tipologia, ma quella è stata una tensione al muscolo dovuta allo sforzo. Non credo alla carenza di carboidrati, su quel fronte ero a posto. Secondo me è stato tutto lo sforzo fatto all’inizio e magari anche il fatto che sono passato primo sul Qwaremont. Mettiamo tutto assieme, mettiamoci i chilometri che erano già 200 e prendiamola come esperienza.
Quando hai realizzato che ti dovevi fermare, è stato come avere la morte nel cuore?
Quando sono stato raggiunto dal gruppo, ho capito che non sarebbe stato neanche troppo utile per la squadra che io finissi in fondo, cercando di rimanere a galla. Piuttosto meglio aiutare Teunissen e Bol a stare davanti all’ingresso dei settori che arrivavano. Finché sono rimasto senza energie, non avevo più nulla da dare. E probabilmente questa cosa, il fatto che avessi finito tutto quello che potevo, mi ha fatto stare bene anche con me stesso.
Quanto è importante conoscere i muri del Fiandre?
Fa la differenza e per questo sono stato ripreso dai ragazzi. Bol una volta si è un po’ arrabbiato, e aveva ragione, perché non ne sapevo proprio nulla, non sapevo dove passasse la corsa. Da piccolino le guardavo, ma solo gli ultimi 30 chilometri. Invece per capire davvero una corsa, c’è da studiare. E così ho iniziato a concentrarmi guardando il percorso al computer su VeloViewer. Da un lato lo schermo e accanto l’elenco delle salite. Tutto per essere consapevole delle cose e alla fine devo ringraziare i ragazzi perché mi hanno quasi obbligato a studiare e mi hanno anche aiutato a conoscere, capire e interpretare bene anche dinamiche tipiche di queste corse.
Quando hai riacceso il telefono, hai ricevuto più messaggi che dopo qualunque altra corsa della tua carriera?
Secondo me sì. Adesso sto cercando di limitare un pochettino, però subito dopo la corsa tendo sempre a rivedere i messaggi. Anche per capire se ho lasciato un qualcosa o se quello che ho fatto ha avuto un po’ un senso. Voglio una sorta di conferma mia e ammetto che ho avuto parecchi messaggi, da quelli che mi conoscono sin da quando correvo da ragazzino. Ma alla fine i messaggi importanti sono più quelli stretti, quelli della famiglia.
Che cosa hai imparato da questo Fiandre?
Non nascondo che mi abbia lasciato tanto, quindi penso che a livello di caratteristiche possa entrare tranquillamente fra le corse cui potrei ambire e che per ora si possono solo sognare. Ammetto che mi è piaciuto, mi ha sfinito. E mi ha anche emozionato tanto.